giovedì 10 settembre 2009

Dalle carte delle stragi di mafia quella trattativa tra boss e politica.

PALERMO - Le indagini sui morti eccellenti di Palermo cambiano rotta e destinazione.
Tornano in scena i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, i boss più "stragisti" della città. I mafiosi che in tante inchieste e agli atti di un processo vengono raccontati come molto vicini al senatore Marcello Dell'Utri. Torna in scena una "trattativa" fra mafia e Stato che non si è interrotta con Capaci o con via D'Amelio, ma è proseguita fino al 1993 e anche nei primi mesi del 1994. Torna in scena la coincidenza temporale fra le stragi siciliane e la nascita di un nuovo partito: Forza Italia. S'indaga su altri mafiosi. E s'indaga anche su quelli che chiamano i "mandanti altri", i mandanti che non sono di Cosa Nostra. Le ultime scoperte spostano l'epicentro investigativo: da una borgata palermitana all'altra, dalla Guadagna a Brancaccio. Sono appena un paio di chilometri sulle mappe di Palermo, sono un paio di chilometri che portano in un altro mondo di intrecci fra boss e uomini politici a ridosso delle uccisioni di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Ci sono i fatti e poi ci sono le congetture, le ipotesi, le voci. Ci sono personaggi che sono già scivolati nelle nuove indagini e poi ci sono ombre che si allungano oltre i boss. C'è chi dice che un pentito abbia già fatto nomi, c'è chi dice di no, certo è che la "pista di Brancaccio" fa scorrere una nuova trama nella storia delle stragi siciliane del 1992. Si scava - alla procura di Palermo e a quella di Caltanissetta - sul patto fra i Corleonesi di Totò Riina e apparati dello Stato (alcuni già identificati, altri in corso di identificazione), si scava sul coinvolgimento nelle stragi di uomini dei servizi segreti, si scava sulla "accelerazione" della decisione di uccidere Borsellino voluta a tutti i costi da qualcuno. Chi?

Sono due i testimoni che hanno svelato elementi inediti ai magistrati delle procure siciliane, a quella di Firenze e a quella di Milano. Uno è il pentito Gaspare Spatuzza, ex sicario e poi a capo della "famiglia" di Brancaccio. L'altro è Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito. Il pentito Spatuzza si è autoaccusato della strage di via D'Amelio e ha praticamente sbugiardato Vincenzo Scarantino, l'uomo che 17 anni fa aveva confessato di aver portato in via D'Amelio l'autobomba. Ma Spatuzza non ha parlato solo della strage. Spatuzza ha parlato tanto anche dei Graviano e dei loro "interessi" su a Milano, delle amicizie importanti che avevano in ambienti imprenditoriali. Dei Graviano e dei rapporti che avrebbero avuto con Dell'Utri riferiscono tanti altri pentiti, tutti passati al vaglio dei giudici di primo grado che nel dicembre del 2004 hanno condannato il fondatore di Forza Italia a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Il racconto di Spatuzza è stato "secretato". Poi, i procuratori siciliani si sono concentrati sulla "pista di Brancaccio" con annessi e connessi. Il secondo testimone chiave è il figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. La procura di Palermo ha già depositato agli atti del processo d'appello a Marcello Dell'Utri uno stralcio di un suo interrogatorio e tre lettere che negli anni a cavallo delle stragi - fra il 1991 e il 1994 - l'allora capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano avrebbe indirizzato a Silvio Berlusconi. Lettere che sarebbero state inviate alla vigilia e subito dopo la famosa "discesa in campo". Lettere dove si fanno velate minacce e si parla del "contributo politico" che avrebbe voluto portare lo stesso Provenzano. Grandi mediatori di questa che sembrerebbe all'apparenza un'altra trattativa, secondo Massimo Ciancimino, sono stati suo padre Vito e Marcello Dell'Utri. Il 17 settembre la Corte di appello deciderà se acquisire agli atti del processo di secondo grado l'interrogatorio del figlio di don Vito e le tre lettere. Se la richiesta verrà accolta la sentenza subirà uno slittamento, altrimenti a metà o a fine ottobre sapremo se al senatore Marcello Dell'Utri sarà confermata o sarà annullata la condanna per mafia. I sussurri si sono rincorsi per tutta l'estate su quei "mandanti altri". E anche sulla trattativa. Fino a qualche tempo fa si diceva che era cominciata prima di Capaci ed era finita prima di via D'Amelio. Poi si è scoperto che è andata avanti ancora per due anni. "Fino al 1994", riferisce il colonnello dei carabinieri Michele Riccio riportando le confidenze del suo informatore Luigi Ilardo, un boss vicino a Provenzano. Fino al 1994, fino a quando Berlusconi è diventato il leader di Forza Italia. E' un'indagine che si ripete. Con tanti nuovi protagonisti. Ma non tutti. I nomi del premier e del suo braccio destro siciliano erano già entrati nelle indagini sulle stragi siciliane e poi anche in quelle in Continente, le bombe di Firenze e Roma e Milano del 1993. A Caltanissetta furono iscritti nel registro degli indagati come "Alfa" e "Beta" "per concorso nelle stragi", a Firenze come "Autore 1" e "Autore 2". Dalla prima inchiesta - ("Prove insufficienti, dichiarazioni di pentiti senza riscontro, elementi contrastanti") - uscirono nell'inverno del 2002, dalla seconda tre anni prima.


http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/giustizia-11/boss-trattativa/boss-trattativa.html

Nessun commento:

Posta un commento