martedì 21 luglio 2009

A qualcuno fa ancora paura.



Paolo Borsellino, a qualcuno, fa ancora paura.

Il messaggio lanciato da quell’agenda rossa che in tanti terranno in pugno il 18 e 19 Luglio, sfilando nel cuore di Palermo nel nome del magistrato assassinato 17 anni fa con i cinque agenti di scorta, è insieme un simbolo e una richiesta di verità. Quell’agenda rossa, sulla quale Paolo Borsellino annotava giorno per giorno appuntamenti, riflessioni, nomi, nella sua spasmodica corsa contro il tempo e la morte, che sentiva vicina, per riuscire a scoprire gli autori del massacro di Capaci, ma soprattutto se e chi a ogni livello, anche esterno a Cosa Nostra, aveva voluto distruggere il genio investigativo, l’esperienza del suo amico Giovanni, insieme con l’eredità pur “normalizzata” del pool antimafia di Palermo. Quell’agenda da cui non si separava mai, che aveva con sé in una borsa rimasta intatta nella devastante esplosione in Via D’Amelio, fotografata nelle mani di un ufficiale dei carabinieri e poi misteriosamente svanita, senza che la Giustizia abbia fatto luce sul dove e perché sia scomparsa, in quale cassaforte sia finita.Ora le procure di Caltanissetta e di Palermo hanno riaperto ufficialmente le indagini su quelle stragi, ipotizzando ciò che in ben tre processi si era intravisto, cioè il coinvolgimento diretto negli attentati di uomini degli apparati di sicurezza dello Stato, con moventi ancora non definiti, ma risalenti ad ambienti esterni e con motivazioni diverse da quelle che mossero Riina e i capi di Cosa Nostra. La condanna definitiva all’ergastolo di organizzatori ed esecutori non ha messo dunque la parola “fine” alle inchieste giudiziarie, che si saldano invece con le inchieste in corso sulla trattativa che apparati dello Stato aprirono con i capi di Cosa Nostra, confermata ora da Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo che di quella trattativa fu tramite e testimone.Chi ha in mano quell’agenda, come gli appunti informatici di Giovanni Falcone mai venuti interamente alla luce, ora ha un motivo in più per preoccuparsi, ben oltre l’instancabile impegno di denuncia e di richiesta della verità da parte della famiglia Borsellino, delle associazioni antimafia, di magistrati in prima linea che condivisero la battaglia di Falcone e Borsellino.Nonostante l’indifferenza dei media, stampati e televisivi, che per anni, come peraltro sta di nuovo avvenendo, hanno distrattamente acceso la luce sui sanguinosi eventi siciliani, che hanno segnato la storia della Repubblica e determinato almeno in parte l’attuale quadro politico e civile, solo in occasione delle commemorazioni , senza scavare sui tanti punti oscuri delle indagini. Che giornali e TG abbiano lasciato nel silenzio e nell’indifferenza l’opinione pubblica, preferendo la facile alternativa dei delitti di cronaca nera, su una scia emozionale e consumistica che ha riempito i televisori e l’immaginario degli italiani da Cogne a Erba, a Garlasco, a Perugia, fino agli stupri di modello “etnico” che tanto hanno pesato nel dibattito sulla sicurezza e sull’opinione pubblica, è una vergogna che peserà a lungo sul Paese, ma anche sulla dignità professionale e sulla formazione etica del giornalismo italiano…Ora è arrivato il momento di andare fino in fondo, di riprendere i tanti fili finora mai seguiti, le contraddizioni e le coperture nelle indagini sulle stragi e sul patto scellerato che, almeno nella interpretazione dei “corleonesi”, doveva essere realizzato con lo Stato o chi diceva di rappresentarlo. Vicende in cui compare l’ombra, ma anche la fisica presenza dei Servizi. A nome di chi agivano quegli uomini, che interessi coprivano, quali erano i loro obiettivi? Quale il loro vero ruolo nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, come in quelle successive che insanguinarono Roma, Firenze e Milano? Rai News 24, che dirigevo, cercò nel 2000 di fare il proprio dovere e quello del Servizio Pubblico, trasmettendo in splendida (e aziendalmente forzata) solitudine l’ultima intervista televisiva di Paolo Borsellino. Due giorni dopo di quella intervista Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta saltarono in aria a Capaci e due mesi dopo, con una incredibile e tuttora inspiegabile accelerazione, fu la volta di Paolo Borsellino. Quella cassetta, che ci era stata data da Fiammetta, figlia di Paolo Borsellino, è stata vista e discussa nei processi sulle stragi. Il suo contenuto è dunque di straordinario interesse giudiziario, giornalistico e umano, oggi anzi ancora più attuale, ma la Rai non l’ha più trasmessa.

Non è l’ora che il Servizio Pubblico ci ripensi?


MAFIA: STRAGI DEL '92-'93, COMMISSIONE ANTIMAFIA DECIDE UN'INCHIESTA

- Dopo più di due ore di discussione, l'ufficio di presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia ha deciso di avviare un'inchiesta sulle stragi del '92-'93 alla luce dei nuovi fatti e delle acquisizioni recentemente emerse con particolare riferimento al possibile "patto" tra Stato e mafia. Relatore dell'inchiesta - secondo quanto si è appreso - dovrebbe essere lo stesso presidente della commissione, Beppe Pisanu (Pdl). Nei giorni scorsi erano stati il vicepresidente dell' Antimafia Fabio Granata (Pdl) e il capogruppo del Pd Laura Garavini a formalizzare la richiesta di avviare un'inchiesta e di attivare i poteri previsti nella legge istitutiva. La riunione per definire un primo calendario delle audizioni dovrebbe tenersi prima della pausa estiva. Orientativamente i primi ad essere ascoltati dovrebbero essere i magistrati che seguono le inchieste e cioé il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e il procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta Sergio Lari.
MARTELLI, RIINA? PARADOSSALE, MA CI SONO ELEMENTI VERI - E' "paradossale" che Totò Riina scarichi su pezzi dello Stato responsabilità che sono sue, ma la strategia dell'ex capomafia è "insidiosa" poiché contiene elementi di verità. Claudio Martelli, ministro della della Giustizia al tempo delle stragi di Capaci e di via d'Amelio, ripercorre quel periodo in una intervista al periodico 'Liberal'. "C'é un aspetto paradossale - dice Martelli - nel fatto che il capo dei capi di Cosa nostra" accusi lo Stato di "eccidi che vengono imputati a lui". Qualcosa "che dovrebbe indurre a pensare che la fonte di questi sospetti è più che sospetta". Fatta questa premessa, sottolinea l'ex esponente socialista, "riconosco che la strategia di Riina è insidiosa, perché ricostruisce un insieme utilizzando elementi parziali, collocandoli in modo da indurre ragionevoli sospetti". Nel '92, all'indomani della strage di Capaci, ricorda Martelli, "il governo e in particolare il ministro della Giustizia, ossia il sottoscritto e il ministro degli Interni, Enzo Scotti sono impegnati in uno scontro frontale con la mafia". Ma, aggiunge, "c'erano altre parti di Stato che viceversa pensavano che le cose si potevano aggiustare se per un verso la mafia rinunciava alla strategia terroristica e dall'altro parte lo Stato si toglieva dalla testa di portare il colpo decisivo a Cosa nostra". A dimostrazione di ciò, prosegue Martelli, c'é il fatto che "Ciancimino, un pezzo di mafia, si muove in questa direzione. Parla con il colonnello Mori e col capitano De Donno. Elaborano degli scenari per ottenere l'arresto di Totò Riina". La "sfumatura scivolosa", per l'ex ministro, sta nel fatto che "c'é un elemento politico" che fa "drizzare le orecchie" e cioé il fatto che "in quel clima qualcuno pensa di togliere Scotti dagli Interni" riuscendovi visto che "va alla Farnesina", ma anche di "togliere Martelli dalla Giustizia, ma Martelli dice di no". Insomma, in quelle settimane "movimenti ce ne sono, ma - sostiene l'ex Guardasigilli - Riina usa in modo infame e strumentale questi fatti perché si dimentica che Martelli, Scotti e dopo di lui Mancino e i carabinieri, Ros compreso, avevano un piccolo particolare in comune: la sua cattura. Che ottengono dopo vent'anni di latitanza". In questo contesto, aggiunge, "che carabinieri e servizi segreti abbiano fatto sventolare le ipotesi di trattativa con la mafia fingendo di patteggiare ci può stare, fa parte della strategia". Ecco perché, sottolinea, parlare di una "contrapposizione frontale del partito della trattativa e di quello della durezza mi sembra un andare fuori strada". Martelli, infine, scarta l'ipotesi di un complotto internazionale dietro la strategia degli attentati; tesi sostenuta da Paolo Cirino Pomicino. "La mafia - sostiene l'ex ministro socialista - è stata attrice di quella stagione politica" che arriva fino alla scomparsa della Prima Repubblica. "Non c'é stato un indistinto complotto internazionale: chi crede a queste ipotesi sono persone come Cirino Pomicino, che non si dà pace di quello che è accaduto e sente il bisogno di evocare un'entità sempre più strana internazionale".

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