venerdì 30 aprile 2010

Agcomiche - Marco Travaglio



29 aprile 2010
Ieri, come ha detto Fini che sta pure diventando spiritoso, il fratello dell’editore del Giornale ha espresso "la più convinta solidarietà a Fini per gli attacchi personali che quest’oggi il Giornale gli ha mosso" a proposito degli appalti Rai alla suocera di Fini perché "la critica politica, anche più severa, non può trascendere in aggressioni ai familiari e su vicende che nulla hanno a che fare con la politica". Stiamo parlando di Silvio Berlusconi. Da non confondere con Paolo che, com’è noto, è l’editore de Il Giornale talmente geloso dell’indipendenza della testata che – assicura Silvio – non permette a nessuno, meno che mai a Silvio, di influenzarne la linea. Infatti Silvio, rispondendo l’altro giorno a Fini, ha comunicato dolente che "io non parlo col direttore del Giornale e sul Giornale non ho alcun modo di influire", ma se Fini volesse influire un po’ "potrebbe far entrare nella compagine azionaria un imprenditore suo amico", perché lui, Silvio, pur non avendo alcun modo di influire, ha "convinto un mio familiare (una zia? Un cugino? Un nipotino? Il solito fratello Paolo?, ndr) a mettere in vendita il Giornale".

Ecco: Silvio decide di vendere il
Giornale, assume e licenzia i direttori (Montanellinel ’94, Feltri nel ’97), ma senza mai parlarci né influire. Che timidone. Un amico di Fini invece, magari un po’ più estroverso di lui, potrebbe parlarci e influire. Si dà però il caso che il giornalista-scrittore Enzo Bettiza abbia appena raccontato adAldo Cazzullo del Corriere come – lui dice nel dicembre 1996, ma era il 1997 – rischiò di diventare direttore del Giornale di Paolo, poi però non se ne fece niente. Feltri era stato appena messo alla porta per aver chiesto scusa a Di Pietro dopo la lunga campagna diffamatoria sul caso D’Adamo-Pacini Battaglia, con tanto di risarcimento dei danni per 700 milioni di lire. E chi chiamò Bettiza per sostituirlo? Paolo? Ohibò, no: Silvio.

"Con Berlusconi (Silvio,
ndr) ne parlammo in una cena ad Arcore. C’erano Letta, Confalonieri, Massari che era l’amministratore, Biazzi Vergani e Belpietro, che avrebbe dovuto essere il mio condirettore o vicedirettore, a garanzia del lato popolaresco e digrignante...Proposi di far scrivere il primo fondo a Montanelli. Letta disse subito di sì. Berlusconi rimase in silenzio, ma il suo istinto di venditore ambulante lo induceva ad accettare, per pure ragioni pubblicitarie. Tutti gli altri si opposero". Silvio, Gianni, Fedele. L’editore Paolo, per dire, non fu invitato nemmeno a fare il quarto a briscola.

L’estate scorsa, 12 anni dopo,
Littorio Feltri tornò sul luogo del delitto. Lo chiamò Paolo? Macché: di nuovo Silvio, quello che con Feltri non parla e sul Giornale non influisce. Lo raccontò lo stesso Littorio, a fine agosto, a Cortina: "Il 30 giugno ho incontrato Silvio Berlusconi. Ogni volta che lo vedevo, mi chiedeva: 'Ma quand’è che torna al Giornale?'. E io: 'Sto bene dove sono'. Ma quel giorno entrò subito nei dettagli, fece proposte concrete e alla fine mi ha convinto". Segnaliamo le dichiarazioni di Bettiza e Feltri, per competenza, alla cosiddetta "autorità indipendente" denominata Agcom che, sotto l’alta egida del Quirinale, vigila occhiutamente su ogni conflitto d’interessi, casomai le fossero sfuggite. Il presidente Calabrò e gl’inflessibili commissari Innocenzi e Mannoni prenderanno senz’altro buona nota e apriranno una pratica per verificare se, per disgrazia, il vero editore del Giornale non fosse Paolo, ma Silvio. Il che configurerebbe una violazione persino della legge Frattini sul conflitto d’interessi, che impone all’Agcom di accertare se per caso "le imprese...che fanno capo al titolare di cariche di governo, al coniuge e ai parenti entro il secondo grado… non pongano in essere comportamenti che… forniscono un sostegno privilegiato al titolare di cariche di governo". Nel qual caso l’Agcom dovrebbe riferire al Parlamento, diffidare e sanzionare. Ecco, gentili agcomici, ci fate eventualmente sapere?

Da il Fatto Quotidiano del 29 aprile


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