giovedì 3 giugno 2010

I partiti mai a dieta - Gian Antonio Stella


Corriere della Sera, 3 giugno 2010

E’ nero su bianco: il mondo della politica sempre più bulimico e obeso non ce la fa proprio a impegnarsi in una dieta radicale. Neanche in momenti come questo. Basta leggere il decreto pubblicato dalla Gazzetta ufficiale. Certo, molti paletti in più per arginare abusi e megalomanie, soprattutto nelle periferie, ci sono. E nel faticosissimo groviglio di commi e codicilli che ridicolizza i proclami sulla semplificazione, par di capire che finalmente (salvo ripescaggi durante l’iter parlamentare…) quella leggina che anno dopo anno versava ai partiti i rimborsi elettorali per l’intera legislatura anche se questa era defunta, sarà rimossa. Bene.

Spiegare ai cittadini, e in particolare ai dipendenti pubblici, che per colpa della crisi è obbligatorio intervenire immediatamente sulle buste paga loro mentre quel taglio alla politica scatterà solo dai prossimi rinnovi del Senato e della Camera (fra tre anni), dell’Europarlamento (fra quattro) e dei consigli regionali (fra cinque, per la maggior parte) non sarà però facile per il governo. Ma come: la situazione è così grave da imporre il blocco di salari coi quali le famiglie faticano a vivere ma non così grave da bloccare i doppi pagamenti a partiti per una legislatura che non c’è più?

Vale per quella leggina, vale per il taglio ai rimborsi. Che non solo scatterà anche in questo caso negli anni a venire, ma è stato ridotto al minimo del minimo. Sia chiaro: i partiti sono tra i pilastri della democrazia. Ed è interesse di tutti che vivano. Magari non è opportuno, se vogliamo buttarla sull’ironia, che si arrivi a registrarne ufficialmente 156. Ma guai a chi li tocca: ne andrebbe della libertà. Detto questo, i nostri si sono gonfiati e gonfiati fino ad allagare la società, le istituzioni, le municipalizzate, l’economia, il calcio, il teatro, le bocciofile, tutto. E a pesare come in nessun altro posto al mondo. Ricordiamolo: ogni francese contribuisce al mantenimento dei partiti con circa 1,25 euro, ogni tedesco con 1,61, ogni spagnolo con 2,58, ogni italiano con 3 euro e 38 centesimi negli anni «normali» come il 2006, addirittura 4 e 91 centesimi negli anni grassi di doppia razione grazie all’infernale meccanismo in fase di soppressione. Un confronto inaccettabile. Tanto più rispetto a paesi come gli Stati Uniti, dove il finanziamento pubblico alle forze politiche è limitato alla campagna presidenziale: 50 centesimi ad americano. Ogni quattro anni.

Bene, se è vero che per curare uno Stato troppo ingordo occorre «affamare la bestia», anche i nostri partiti avrebbero bisogno di essere «affamati»: partiti diversi, politica diversa. Il progetto di Tremonti era ambizioso: un taglio del 50%. Poi è sceso al 30%, poi al 20%, poi al 10%... Una sforbiciata che, ammesso resista a nuovi aggiustamenti in Parlamento (ci proveranno, ci proveranno…) lascerà comunque agli italiani, in questo settore, il primato dei più «generosi».

Ma un segnale almeno, se proprio il governo non può metter becco nei bilanci di organismi come Quirinale, Camera, Senato, poteva essere dato: l’abolizione di quell’indecente regoletta che consente a chi regala soldi a un partito di ottenere sgravi fiscali fino a 51 volte superiori a quelli che avrebbe donando il denaro a chi si occupa della ricerca sul cancro o della cura di bambini leucemici. Non era una questione di soldi: di principio. È rimasto tutto com’era.



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