giovedì 28 ottobre 2010

In Campania la casta cresce sui rifiuti.


Sull'emergenza rifiuti Berlusconi e Bertolaso costruirono la vittoria alle elezioni del 2008. Ma nasconderla sotto il tappeto non è risolvere il problema

Sacchetti ricolmi di immondizia, abbandonati da giorni per strada. Roghi di spazzatura che sprigionano diossina. Rivolte popolari a Terzigno contro l’apertura della seconda discarica nel Parco Nazionale del Vesuvio, mentre da mesi la prima appesta di puzza il circondario. Scontri tra manifestanti a volto coperto che lanciano molotov e polizia in tenuta antisommossa che manganella senza pietà. Barricate. Feriti. Arresti. Il ritorno di Bertolaso, che significa: nel napoletano c’è di nuovo l’emergenza rifiuti. Ma dall’emergenza non si era mai usciti. Per la felicità di chi ha speculato sull’affare monnezza: politici collusi, amministratori senza scrupoli, consulenti senza competenze, piccole ditte contigue alla criminalità organizzata, grandi imprese in cerca del business facile. Le responsabilità sono tante. E diffuse. Ecco un elenco di nomi e cognomi. Largamente incompleto.

Antonio Bassolino. È il commissario dell’emergenza dal 10 maggio 2000 al febbraio 2004. Gli anni in cui gli impegni assunti nel contratto di gestione del ciclo dei rifiuti con la Fibe-Fisia-Impregilo vanno a rotoli: il contratto verrà rescisso l’anno successivo per inadempienze. In quel periodo si scava un ritardo che non è stato recuperato. L’ex governatore è sotto processo con l’accusa di non essersi accorto che tra il bando di gara e il contratto firmato “saltano” le righe relative all’obbligo immediato per Impregilo di smaltire il cdr (combustibile derivato da rifiuti) in impianti già esistenti, in attesa dell’inceneritore di Acerra che verrà. Così la Campania si intasa di 6 milioni di ecoballe che nessuno vuole bruciare. Quasi tutte abbandonate nel giuglianese. Le discariche si saturano, quelle chiuse perché in odore di camorra non vengono rimpiazzate, gli impianti di cdr funzionano male, la procura ogni tanto ne sequestra uno. Un processo nell’aula
bunker di Poggioreale sta cercando di appurare eventuali responsabilità penali. Ma la prescrizione galoppa velocissima.

Rosa Russo Iervolino. Incensurata e mai indagata, è giusto sottolinearlo. È il sindaco di Napoli da 10 anni. Con un milione di abitanti le percentuali di raccolta differenziata sono imbarazzanti, intorno al 19%. Ottenute tra una girandola di assessori che hanno lasciato poche tracce e meno rimpianti. Lei dice: “Napoli non ha nulla da rimproverarsi per l’emergenza, se Provincia e Regione (a guida Pdl,
ndr) mi finanziassero i progetti che abbiamo pronti, saremmo saliti al 25%”. La legge fissa il minimo al 35. Senza dimenticare che questo territorio vanta il record del più alto numero pro-capite di addetti all’igiene urbana, tra municipalizzate, consorzi, imprese pubbliche e semipubbliche. Sulla questione discariche, il sindaco ha avuto diverse posizioni. A Pianura si schierò dalla parte dei contrari (comunque l’invaso venne sequestrato dalla magistratura). A Chiaiano, invece, disse: “Scelta inevitabile, la meno dolorosa di tutte”. E si è aperta. Di fronte al ricorrere delle emergenze, il sindaco interpreta sempre lo stesso copione: intervenga il governo, noi non possiamo fare di più.

Nicola Cosentino. Sotto indagine per collusioni coi clan che hanno lucrato sull’emergenza spazzatura. Tra le carte dell’inchiesta culminata nell’ordinanza di arresto per camorra (respinta dalla Camera), ce ne sono molte dedicate agli interessi del coordinatore del Pdl campano nella localizzazione delle discariche e degli impianti. Ad esempio, secondo le rivelazioni del pentitoGaetano Vassallo, l’imprenditore “ministro dei rifiuti” del clan Bidognetti, “Cosentino aveva un interesse diretto nella società Eco/4, che avrebbe dovuto realizzare un termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa. Poiché i rapporti interni tra Schiavone e Bidognetti erano mutati, Cosentino e ifratelli Orsi lasciarono il gruppo Bidognetti, passando con Schiavone”. Tenendo fuori Vassallo dal consorzio. L’inchiesta dei pm Milita e Narducci giunge alla conclusione che se pubblicamente l’ex sottosegretario all’Economia dichiarava la sua contrarietà all’inceneritore, privatamente avrebbe brigato per portarlo a compimento. Attraverso un consorzio “controllato” da Cosentino, nel quale, secondo l’accusa, politica e camorra si erano fuse in un
business per realizzare profitti, compiere assunzioni, alimentare clientele, accumulare consenso.

Clemente Mastella. Arpac. È l’acronimo di Agenzia regionale per l’ambiente della Campania. Braccio operativo dell’assessorato regionale, per la tutela delle acque, dell’aria e dei suoli, attraverso analisi, sopralluoghi, azioni di salvaguardia del territorio. Un Arpac ben funzionante potrebbe svolgere un ruolo importantissimo nell’affiancare le istituzioni ad affrontare le emergenze rifiuti e mettere in sicurezza i siti. Ma al tavolo della grande lottizzazione della giunta Bassolino, che a metà degli anni 2000 distribuisce come fette di torta la sanità alla Margherita, i fondi europei ai Ds, il lavoro e il welfare a Rifondazione, Clemente Mastella ottiene per l’Udeur la delega all’Ambiente. E non la mollerà più fino a quando non farà cadere il governo Prodi. Con il partito di Mastella al timone dell’assessorato, sostiene un’inchiesta coordinata dall’aggiunto Francesco Curcio, l’Arpac viene lottizzata minuziosamente. Incarichi di direzione, superconsulenze, ma anche contrattini a tempo determinato, vengono assegnati per appartenenza politica e per sviluppare clientele. I pm mettono sotto inchiesta Mastella e la moglie Sandra Lonardo. E si scopre un file di 655 raccomandazioni: a ogni nome corrisponde un padrino politico. Quali garanzie ha offerto un ente dove compiti così delicati sono stati dati a persone scelte secondo criteri che non sono quelli della competenza? Forse il processo in corso, ora in udienza preliminare (senza Mastella, stralciato), potrebbe darci una risposta.

Alfonso Pecoraro Scanio. Il ministro dell’Ambiente del governo Prodi, che in un’intervista all’
Espresso del 2005 rivelava l’ambizione di diventare il primo premier ecologista d’Italia, da due anni e mezzo è un desaparecido della politica. Si è ritirato a vita privata e fa il docente di Scienze del Turismo alla Bicocca di Milano dopo essere rimasto fuori dal Parlamento. A causa del flop della sinistra, e di una violenta campagna mediatica che ha additato in lui e in Bassolino gli emblemi del fallimento del ciclo dei rifiuti a Napoli. Con l’accusa di essere il campione dell’ambientalismo del no: agli inceneritori, alle discariche, a tutto. Accusa non del tutto fondata. Va però detto che Pecoraro non è esente da responsabilità. Per aver cavalcato le proteste contro il termovalorizzatore di Acerra e contro l’apertura dell’invaso di Valle della Masseria a Serre, senza però riuscire, da ministro, a imporre soluzioni alternative. E accontentandosi di ottenere la testa di Bertolaso, dimessosi nel 2007 da commissario per l’emergenza in seguito ai numerosi scontri con Pecoraro. Rivela un suo ex fedelissimo, un esperto del settore, oggi passato ai vendoliani: “Durante la crisi del 2007 lo tempestavo di e-mail per indicargli proposte e idee, rimedi di breve e lungo periodo. Ignorava gli appelli. Non ha capito che se avesse risolto l’emergenza, camperebbe ancora di rendita”.

PICCOLI DIRIGENTI PER UN GRANDE DISASTRO

Provincia di Napoli. Soluzioni alternative: zero

Fa sorridere che il presidente della Provincia di Napoli si lamenti della provincializzazione del ciclo dei rifiuti e della scarsa solidarietà delle altre Province, che forti di quella legge non vogliono accogliere la monnezza napoletana. Luigi Cesaro, infatti, è anche un deputato del Pdl. Quindi quella legge l’ha voluta anche lui. Poi gli si è ritorta contro. Complici anche le indecisioni della sua amministrazione provinciale. Che si è baloccata per mesi su un documento approvato a maggio, col quale si stabiliva un “no” alla seconda discarica del Parco del Vesuvio in Cava Vitiello. Subordinato, però, alla ricerca di soluzioni alternative. Proprio qui Cesaro ha fallito. Le soluzioni non le ha trovate. Forse non le ha nemmeno cercate, auspicando in cuor suo che la protesta per la seconda discarica non avrebbe superato per intensità quella civile e composta che accompagnò l’apertura della prima. Non ha fatto i conti con l’esasperazione di una popolazione nauseata da mesi di miasmi e spaventata dalle notizie sulle infiltrazioni delle falde acquifere. E quando Cesaro è tornato in aula, ha solo farfugliato qualcosa sull’allargamento di invasi già esistenti e chiusi da tempo. Del suo impegno anti-spazzatura, al momento di concreto c’è solo la creazione della Sepna. È la società provinciale che dovrà gestire in futuro l’intero ciclo. Ha chiamato a guidarla l’ex commissario per l’emergenza Corrado Catenacci, retribuito per il primo anno con 60 mila euro. Lo statuto della società prevede un consiglio di amministrazione di cinque componenti, un direttore generale, un comitato tecnico scientifico, un collegio sindacale. Sono stati affittati gli uffici. Per ora non ha spostato nemmeno un sacchetto, ma la Sepna sta già per diventare un luogo di spartizione di nomine e consulenze.

Provincia di Benevento. Impianti di Cdr col trucco

Aniello Cimitile è un politico, ma ha avuto un ruolo esclusivamente tecnico nell’emergenza rifiuti. E come tale è finito indagato (l’udienza preliminare non è ancora cominciata) – e per un breve periodo agli arresti domiciliari – nell’ambito di una delle diverse indagini sul disastro spazzatura. Il presidente della Provincia di Benevento, del Partito democratico, in qualità di docente di ingegneria informatica dell’Università del Sannio, di cui è stato rettore, ha fatto parte delle commissioni di collaudo dei sette impianti di cdr (combustibile derivato dai rifiuti) realizzati da Fibe spa e Fibe Campania. Impianti che avrebbero dovuto produrre cdr ma dai quali usciva spazzatura “tal quale”. Secondo la procura di Napoli la vicenda è infarcita di progetti esecutivi difformi dagli atti di gara, e impianti realizzati a loro volta in maniera diversa dai progetti esecutivi. L’inchiesta si è conclusa stabilendo che gli impianti di cdr avrebbero lavorato male anche a causa di commissioni di collaudo formate in base a criteri politici e clientelari. Commissioni che ne avrebbero attestato falsamente il buon funzionamento. La procura ha chiesto quindici rinvii a giudizio. Ma l’udienza preliminare non è ancora cominciata, perché per ben tre volte l’ufficiale giudiziario non è riuscito a notificare il provvedimento a Cimitile: risulta sconosciuto al suo indirizzo di residenza, in quel di Pomigliano d’Arco (Napoli).

Da An alla piazza. Le violenze di Pianura

Marco Nonno, consigliere comunale di Napoli, eletto in An, è un duro oppositore dell’amministrazione Iervolino. Ma quando ci fu da lottare contro la riapertura della discarica di Pianura, pezzi di destra e di centrosinistra si saldarono in un’alleanza per stoppare l’annunciato sversamento di rifiuti nell’invaso. Questo almeno sostiene la Dda di Napoli che nell’ottobre del 2008 chiese e ottenne l’arresto di Marco Nonno (libero dal novembre 2009 dopo tredici mesi tra carcere e domiciliari), dell’assessore del Partito democratico Giorgio Nugnes (poi morto suicida) e di altre trentacinque persone coinvolte negli scontri, che durante i primi giorni di quell’anno devastarono il quartiere di Pianura. La magistratura mise nero su bianco l’esistenza “di una regia politico-affaristica che ha fomentato la rivolta contro l’apertura della discarica di Pianura fino a farla trascendere in veri atti di guerriglia urbana”. Il processo è in corso. Le violenze sono sempre ingiustificabili. Ma la paura dei residenti di Pianura era fondata. Lo sversatoio infatti venne sequestrato e non è stato più riaperto. Un’altra inchiesta (che non coinvolge Marco Nonno e gli altri arrestati per le violenze di Pianura) ha accertato che per decenni Pianura ha accolto le scorie tossiche dell’Acna di Cengio (in provincia di Savona) e di altre aziende del Nord, e che la bonifica promessa e finanziata non è mai stata realizzata. Ma in assenza di una correlazione certa tra quei veleni e i casi di morte per tumore accertati nel comprensorio, il pm Stefania Buda ha chiesto l’archiviazione per i reati di omicidio colposo ed epidemia colposa.

Da
il Fatto quotidiano del 27 ottobre 2010

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