mercoledì 10 novembre 2010

Feltri e Co., giornalismo suicida. - di Giorgio Bocca





Dove portano il dileggio, il fango, la ferocia con cui si distrugge l'avversario per conto del padrone? Al massacro generale, a una società in cui c'è un unico valore: il denaro-potere che ti mette al di sopra della legge

Mai il giornalismo italiano era sceso così in basso. Un fiume di diffamazioni reciproche, di attacchi personali, di finte rivelazioni su peccati veri o presunti anche se risalenti a trenta o a cinquant'anni fa del tipo "sei stato un fascista", "hai scritto lodi di Mussolini". In questa gara al reciproco dileggio i giornalisti sembravano voler apparire più accaniti, più feroci dei loro mandanti proprietari.
Il direttore del "Giornale", per dire, sembra impegnato in una gara con il proprietario di fatto Silvio Berlusconi a chi è più accanito nella diffamazione degli avversari politici. Che si tratti di un giornalismo suicida che vuole morire in mezzo ai miasmi e ai veleni che sprigiona lo capiscono tutti, anche nella parte di uno dei protagonisti del conflitto. Nicola Porro, vicedirettore del "Giornale", ha detto in televisione: il "Giornale" parte ogni mattino con due condizionamenti pesantissimi, uno di essere il giornale del padrone, l'altro di avere un direttore che appena sveglio pensa a quali argomenti trovare per aumentare il numero dei lettori. È una descrizione perfetta di ciò che non bisogna fare nel buon giornalismo. Il padrone che usa il giornale anche per i bassi affari, per i mediocri conflitti della lotta politica, e il direttore che cerca gli argomenti scandalosi che piacciono ai lettori non possono ignorare che così si fa del giornalismo giallo, non del buon giornalismo.

Il direttore editoriale del "Giornale" Vittorio Feltri non perde occasione per ricordare che con il suo modo di fare informazione ha diminuito i debiti e aumentato la vendita, ma ha fatto un giornale dichiaratamente fazioso, dichiaratamente punitivo degli avversari politici del suo padrone, un giornale che incute paura. Neppure negli anni della guerra fredda, dello scontro frontale con il comunismo staliniano si era arrivati a una simile violenza. Di De Gasperi, il leader democristiano, si scriveva al massimo che era un austriacante, un deputato di Trento al Parlamento viennese, di Togliatti che era l'uomo di Stalin, ma si rispettava la sua vita privata, la sua separazione dalla moglie, la sua relazione con la Iotti.


Allora io facevo un giornalismo di inchiesta che suscitava scandalo presso i conservatori, ma scrivendo della famiglia del re del cemento Pesenti non andavo più in là dal rivelare che in casa chiudeva il frigorifero con un lucchetto e si faceva pagare l'usura come dagli amici cui imprestava l'automobile.
Ma si dice: Berlusconi è stato sottoposto dalla stampa di sinistra a una persecuzione inaudita, a migliaia di attacchi, a volte di calunnie. Sì, ma come risposta a una sua ostilità senza precedenti verso la democrazia italiana, verso la magistratura, ad una sovraesposizione dei suoi piaceri e dei suoi amorazzi.
Ma c'è sempre una ragione più profonda. Questa durezza polemica, questo colpire l'avversario senza esclusione di colpi derivano anche dal cambiamento della società e dal declino, se non dalla scomparsa, dei valori etici. Nel mondo industrializzato dopo la seconda guerra mondiale valori come l'onore, la fedeltà, il buon nome, la rispettabilità si sono affievoliti sino a scomparire, sostituiti da un unico dominante valore: il denaro-potere, la ricchezza che ti mette al di sopra delle leggi e dei giudizi. Chi fa bancarotta non si toglie più la vita per la vergogna, i colpevoli dei fallimenti dolosi non si nascondono ma continuano a godere dei privilegi della ricchezza. In questo deserto degli antichi valori, in questa società dell'homo homini lupus non ci sono più limiti al generale massacro.




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