martedì 14 dicembre 2010

Catia Polidori, l’ombra di B. si chiama mr Cepu. Barbareschi: “E’ stata minacciata”



La finiana che ha regalato la fiducia al Cavaliere è legata al patron dell'istiuto per la preparazione universitaria, i cui soni sono alcune società offshore. Per questo gli uomini di Fli attccano: "E' corruzione di pubblico ufficiale".

Catia Polidori, cugina del fondatore di Cepu Francesco Polidori, si è dissociata da Futuro e Libertà votando a sorpresa la fiducia a Berlusconi. C’entra qualcosa Mr. Cepu in questo cambio di opinione? Sembra convinto il deputato Luca Barbareschi che addirittura parla di “corruzione di pubblico ufficiale”. Quindi rilancia: “E’ stata minacciata”. L’ex finiana ribatte: “nessuna parentela”. Ma a farsi la domanda è anche il mensile Campus, la più importante testata italiana dedicata agli studenti. “Si sa che i cugini Polidori sono in ottimi rapporti”, scrive Giampaolo Cerri, direttore di Campus, sul blog della rivista. “L’ha confermato Catia ai primi di agosto in un’intervista alCorriere della Sera, quando si parlava del possibile contributo di Francesco alla macchina propagandistica del Pdl”.

Il 19 luglio scorso Polidori era riuscito a portare Berlusconi all’eCampus di Novedrate (Como), dove, nella mezz’ora concessa dal premier, “il patron del Cepu è riuscito a ricavare una dichiarazione pubblica circa il mantenimento del valore legale del titolo di laurea, a pochi giorni da un pronunciamento opposto del responsabile università del Pdl”, continua Cerri. “E’ proprio su questo valore che si regge tutto il sistema delle università telematiche, eCampus inclusa”.

A Campus appare oggi sospetto “tutto il lavorio di Mariastella Gelmini sul Decreto di Programmazione 2010-2012, che prevede la possibilità per gli atenei telematici di convertirsi in tradizionali”. Non solo: il Pdl in Commissione cultura della Camera, si è speso “per far approvare un subemendamento alla riforma che permettesse di finanziare le università online”. Che ruolo ha avuto Catia Polidori in quel subemendamento – votato anche dai finiani? Lo sapremo presto. Intanto, mentre ci arrovelliamo sui risultati del voto di fiducia, l’imprenditore umbro Francesco Polidori si starà godendo lo spettacolo dalla sua casetta a San Marino, dove risiede da tempo ed è entrato a far parte del corpo diplomatico come “console a disposizione”.

Ma gli affari di Cepu girano su ben altri paradisi fiscali. Cesd Srl, la società depositaria del marchio, con sede a Roma, ha un capitale di 5,903 milioni di euro, interamente controllato da una holding lussemburghese, la JMD International SA. Se si va a spulciare nello statuto della holding, si scopre che è stata creata il 30 aprile 2007, con un capitale iniziale di 31.000 euro, tutti in mano a una fiduciaria panamense, la Grandbridge Corp., il cui presidente Luis Alberto Laguna, è uno dei tanti prestanome del piccolo staterello sullo stretto. Chi stia veramente dietro la Grandbridge Corp., al vertice dell’impero Cepu, non è dato sapere.

Catia Polidori però rispedisce le accuse al mittente. “Ho votato contro la sfiducia al Presidente del Consiglio perché è fondamentale non privare il Paese di un Governo che possa garantire la stabilità che il momento attuale richiede. Rimango coerente con me stessa per aver dichiarato dal 29 luglio in poi che, pur approvando l’azione di stimolo promossa da Futuro e Libertà sin dalla sua fondazione, non avrei mai votato contro il Governo”

Il finiano Luca Barbareschi dà, però, un’altra lettura del voto. “E’stata minacciata per le sue aziende. Le hanno detto che le chiudevano le sue aziende”. Quindi l’attore e politico ha chiarito le sue parole: ”

Il voto contrario alla mozione di sfiducia espresso da Catia Polidori e’ semplicemente vergognoso”. Lo ha detto il finiano Luca Barbareschi conversando con i giornalisti a Montecitorio. “Questa è corruzione di pubblico ufficiale. Sappiamo per certo che la Polidori, la cui azienda di famiglia è il Cepu, ha ottenuto rassicurazioni che la favoriscono”. Barbareschi ha poi aggiunto che “anche se il governo reggesse per uno o due voti, sarebbe un voto inutile”. Lei perà smentisce: “’Ho provato a difendermi su vari quotidiani e ho scritto persino al Corriere della Sera, ma loro hanno pubblicato la mia lettera piccina in un angolo e credo che nessuno se ne sia accorto. Quindi lo ripeto a voi: con la Cepu nessuna parentela. Mio fratello ha una piccola fabbrica di ceramiche. Tutto qui”.


1 commento:

  1. Questa mattina, nel seguire in TV le vicende della sfiducia al governo Berlusconi (bocciata per 314 a 311), mi tornava in mente un ricordo scolastico, “La colonna infame”, storia che il Manzoni espunse dal suo capolavoro “Fermo e Lucia”, perché la ritenne fuorviante per i suoi venticinque lettori.
    Mi rendo conto che per applicare il concetto della ‘colonna infame’ alla situazione della nostra Camera dei Deputati occorre fare una forzatura, perché la colonna infame fu elevata sulle rovine della casa-bottega di uno dei due presunti untori, Gian Giacomo Mora – barbiere (l’altro, Guglielmo Piazza era commissario di sanità). Si sa, erano ancora tempi di profonda ignoranza e di conseguenti processi sommari, la peste faceva paura e mieteva moltissime vittime. Correva l’anno 1630.
    Però questa mattina erano molti i nomi di quei molto poco onorevoli deputati che rinnegavano impegni scritti e militanze decennali, con una faccia tosta incapace di qualsiasi vergogna, stimolati dalla tante altre presenti in Parlamento.
    Mi è sfuggito l’intervento di Tonino Di Pietro (mi trovavo all’INPS assieme al mio ex cappellano don Mario Ferrari per chiarire alcuni suoi profili pensionistici che non avevano avuto fino a oggi soddisfazione), ma poi l’ho recuperato sul suo blog.
    E ho visto tutta la scena, l’intervento di Antonio Di Pietro e la pantomima del presidente del Consiglio che abbandona i banchi del governo, seguito di suoi ministri: un eclatante esempio di ‘democrazia’ e di servilismo.
    L’intervento di Di Pietro era forte nei toni e nei contenuti, ma diceva una sacrosanta verità: un ‘primus super pares’ (almeno così si ritiene da sempre il nostro presidente del consiglio) che si ostina a sottrarsi ai processi, che si difende non nei processi ma dai processi.
    E ancora: che una sconfitta della mozione di sfiducia per pochi voti, poi risultati essere tre, era una vittoria di Pirro. E tale è nella sostanza, salvo a far folgorare sulla via di Damasco altri illuminati parlamentari colti da raptus di fervore mistico nei riguardi del Paolo di Tarso moderno, capace di fulminanti conversioni alla sua religione, oltreché un narcisismo sconfinato e di un ego smisurato.
    Ebbene, il momento non è grave, non si canti vittoria, una maggioranza di 100 parlamentari che si riduce a un misero numero di tre è l’inizio della fine, fulminazioni permettendo.
    Ora è legittimo chiedersi quale errore è stato commesso per il quale il gruppo finiano Fli, da condizionante della maggioranza parlamentare ha perso pezzi di parlamentari che aveva firmato la mozione di sfiducia al governo, non tutti erano i duri e puri, c’era qualche colomba di troppo.
    A mio avviso vi è stata una imperdonabile sottovalutazione della capacità di ‘recupero’ di Berlusconi da parte di Gianfranco Fini, il quale avrebbe dovuto calendarizzare subito la sfiducia, senza perdere tempo.
    E invece? A mio giudizio è stato tradito dal ruolo istituzionale ed ha accettato il suggerimento del capo dello Stato (la c.d. ‘moral suasion’, una prassi costituzionale non presente nella Costituzione) di rinviare il tutto a 14 dicembre, a dopo l’approvazione del bilancio dello Stato, obbligo ed incombenza esclusivi del governo e del suo capo.
    Ora, checché se ne pensi il primo comma dell’art. 68 della nostra Costituzione (“I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni”), realizza una condizione di improcessabilità dei parlamentari per i voti espressi nell’esercizio del loro mandato (v. Michele Ainis – La Stampa – 12 dicembre 2010).
    “… non possono essere chiamati a rispondere … per i voti espressi …”.
    Corrotti o concussi, ammesso e non concesso che lo siano stati, non possono essere processati. Altra cosa è se si tratta di corruttori e concussori, ma vallo a dimostrare: ‘probatio diabolica’!
    E allora? E allora bisognerebbe cambiare un’altra volta l’art. 68 Cost. ma non c’è un’altra ‘Mani Pulite’ all’orizzonte.

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