mercoledì 21 aprile 2010

COMUNE INGRATO - Federico D'Orazio



A L’Aquila, in Consiglio Comunale mesi fa, degli scellerati avevano presentato una mozione per conferire la cittadinanza onoraria a Guido Bertolaso.

Proposta fatta da consiglieri del centrodestra. La città, come prevedibile, s’è spaccata in opposte fazioni, ma la proposta era di quelle che non potevano essere lasciate cadere senza dargli importanza.

Sin dall’inizio ho sposato insieme a tanti amici, la causa di chi si opponeva. Nei mesi, ho trovato sempre più ragioni per oppormi a quest’atto, che avrebbe sancito lo spregio istituzionale dei più importanti valori democratici. Chi è sotto inchiesta, specie se si trova sotto inchiestE, non può e non deve ergersi (né essere eretto) a vittima sacrificale. Vale per tutti. Dal Presidente del Consiglio in giù e in su.

Dopo l’emergenza, gli scandali delle intercettazioni, gli sciacalli ridens, le denunce per mancato allarme e conseguente omicidio colposo (tutte ipotesi di reato, al momento), L’Aquila ha detto no.

La mozione è stata votata con 14 no, 1 astenuto, due si. Gli altri sono pure usciti dall’aula.

Per la prima volta da mesi, sono orgoglioso della mia città, del mio Comune.

Per la prima volta ho visto affermare un principio in cui mi riconosco: Bertolaso, non è martire, Bertolaso non è eroe. Bertolaso è fallibile.

A L’Aquila, per più d’uno, ha sbagliato.

Bertolaso non è uno di noi. Bertolaso non è, e non sarà, cittadino onorario Aquilano.

E ora si può andare avanti, a testa alta. Come prima.

Anche il mio Comune, un anno dopo, ha voluto per sé l’etichetta che noi altri ci siamo presi da tempo. INGRATO.


http://stazionemir.wordpress.com/2010/04/21/comune-ingrato/#comment-644

E ora, per favore, chiedete scusa - Marco Travaglio



20 aprile 2010
Due anni fa il Csm puniva Luigi De Magistris, vietandogli di fare mai più il pm, e lo trasferiva da Catanzaro a Napoli, dopo che aveva denunciato un complotto politico-giudiziario per sottrargli e insabbiare le inchieste Poseidone e Why Not. Un anno fa lo stesso Csm destituiva il procuratore di Salerno Luigi Apicella e puniva i suoi sostituti Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, trasferendoli nel Lazio e vietando pure a loro di fare mai più i pm, dopo che avevano accertato il complotto ai danni di De Magistris e dunque indagato e perquisito i vertici della magistratura catanzarese che da mesi rifiutavano di trasmettere copie del fascicolo Why Not. Un ampio e trasversale fronte politico-giudiziario-affaristico-mediatico, con l’avallo del capo dello Stato, spacciò le indagini sulla fogna di Catanzaro per una “guerra fra procure” e i provvedimenti delCsm per una saggia azione pacificatrice. In realtà le indagini di De Magistris erano corrette e doverose, così come quelle dei pm salernitani, e chi ha trasferito gli uni e gli altri non ha fatto altro che coronare la congiura ordita dalla cupola calabrese. L’avevano già stabilito i provvedimenti emessi dal Riesame di Salerno (respingendo i ricorsi dei perquisiti a Catanzaro) e dal Tribunale di Perugia (che aveva archiviato le denunce dei pm catanzaresi contro Nuzzi, Verasani, Apicella e De Magistris).

Ma ora lo conferma anche l’
"avviso di conclusione delle indagini" appena depositato dalla "nuova" Procura di Salerno, che Il Fatto oggi rivela: un atto che prelude alle richieste di rinvio a giudizio per i magistrati catanzaresi che scipparono le indagini a De Magistris e/o presero il suo posto (Lombardi con la convivente e il figliastro, Favi, Murone, Iannelli, Garbati, De Lorenzo, Curcio) e per gli indagati eccellenti che avrebbero corrotto alcuni di loro per farla franca (Saladino, Pittelli e Galati). Le accuse vanno dalla corruzione giudiziaria all’abuso, dal falso al rifiuto di atti d’ufficio al favoreggiamento. La nuova Procura di Salerno che conferma la bontà delle indagini di Nuzzi, Verasani e Apicella è quella guidata da un anno da Franco Roberti, il valoroso pm campano protagonista delle più recenti indagini su Gomorra, che ha il merito di avere decapitato il clan dei Casalesi.

Che sia diventato improvvisamente anche lui un incapace, come i colleghi puniti, esiliati e degradati sul campo? Che meriti pure lui un’intemerata dal Quirinale e un’immediata punizione dal
Csm? Fino a quando le istituzioni fingeranno di non vedere quel che è accaduto e ancora accade nella fogna di Catanzaro, eliminando e imbavagliando chiunque osi metterci il naso (oltre ai pm già citati, quella cloaca ha risucchiato Clementina Forleo, Carlo Vulpio, Gioacchino Genchi e altri galantuomini). Nessuno confonde un avviso di chiusura indagini con una sentenza di condanna. Ma se, sotto la guida di Roberti, la Procura di Salerno giunge alle stesse conclusioni di quella guidata da Apicella, vuol dire che le indagini che costarono la carriera ai quattro pm erano tutt’altro che sballate.

E ora chi li ha linciati dovrebbe cospargersi il capo di cenere, ammettere la clamorosa cantonata e correggere l’errore. In due modi: ripulendo finalmente gli uffici giudiziari di Catanzaro dai magistrati inquisiti (e fra breve imputati) per corruzione giudiziaria e altri gravissimi reati, finora incredibilmente lasciati quasi tutti al loro posto; e annullando le sanzioni contro Nuzzi e Verasani (De Magistris ormai è eurodeputato e Apicella pensionato), restituendo loro l’onore, le funzioni e l’ufficio. Il 1° ottobre 2009 De Magistris si dimise dalla magistratura con una lunga lettera al presidente della Repubblica (e del
Csm) Giorgio Napolitano, pubblicata integralmente dal Fatto. Conteneva una serie di drammatici interrogativi sulle sconcertanti interferenze del capo dello Stato nel caso Catanzaro-Salerno. Nessuna risposta. Alla luce delle ultime notizie in arrivo da Salerno, il capo dello Stato non ha nulla da dichiarare?

Da
il Fatto Quotidiano del 20 aprile


Le bugie di Mondadori e la censura sui 'Padrini' - Peter Gomez



21 aprile 2010
In un saggio sulla mafia del '94, sparito il legame Mangano-Berlusconi. Fini: io sto con Saviano.

La bugia più grossa,
Marina Berlusconi l’ha messa nero su bianco a metà della sua lettera di risposta a Roberto Saviano, pubblicata da La Repubblica domenica scorsa. Dopo aver difeso il padre che aveva tra l’altro accusato lo scrittore e chi racconta la mafia di fare “cattiva pubblicità all’Italia”, la figlia del premier assicura che quella era solo un critica - peraltro da lei condivisa - e considera: “La Mondadori fa capo alla mia famiglia da vent’anni. In questi venti anni abbiamo sempre assicurato, come è giusto e doveroso, secondo il nostro modo d’intendere l’editore, il più assoluto rispetto delle opinioni di tutti gli autori e della loro libertà di espressione”. Un’impegnativa affermazione di principio che si scontra con la realtà dei fatti. Perché i libri in Mondadori - come insegnano i casi di Belpoliti e Saramagorifiutati da Einaudi - a volte vengono censurati. E la pratica va avanti da anni. Non per niente risale proprio al 1994, periodo della discesa in campo di papà Silvio, uno dei più sconcertanti episodi di tagli redazionali operati proprio su un saggio riguardante Cosa Nostra. La Mondadori traduce il libro L’Europe del parrains(L’Europa dei padrini), in cui il giornalista francese Fabrizio Calvi parla anche delle vecchie inchieste della Criminalpol (1984) sui “legami dell’entourage di Berlusconi con il boss Vittorio Mangano”. Dall’edizione italiana però i riferimenti al Cavaliere e al capo del clan mafioso di Porta Nuova, per due anni fattore di villa San Martino ad Arcore, scompaiono.

Semplice prudenza per non andare a urtare la sensibilità dell’editore e di un uomo d’onore amico della sua famiglia? Può darsi. Certo è, però, che la cronologia dei fatti (di mafia) lascia spazio pure ad altre interpretazioni. A spunti forse utili per rispondere alla polemica domanda lanciata ieri dal presidente della Camera,
Gianfranco Fini, durante una riunione con i parlamentari Pdl a lui fedeli: "Come è possibile dire che Saviano con il suo libro ha incrementato la Camorra? Come si fa a essere d'accordo?”. Infatti, proprio nei mesi della pubblicazione de L’Europa dei padrini, Mangano era tornato a frequentare Milano 2. Da alcune agende, sequestrate a Marcello Dell’Utri, risulta che il capo-mafia si vede a fine ‘93 con l’allora numero uno di Publitalia (lo ammette anche Dell’Utri). Mentre nella sentenza di primo grado che ha condannato il senatore azzurro a 9 anni per cose di Cosa Nostra, si parla d’incontri in provincia di Como che proseguono fino al ‘95. Oggetto dei colloqui, per i giudici, sono delle norme pro-cosche che Dell’Utri tenta di far approvare, in cambio di appoggi elettorali e la richiesta della fine della stagione delle stragi. È la presunta “seconda trattativa” nella quale andrebbe pure inquadrato, secondo le ipotesi investigative, pure il famoso decreto Biondidell’estate ‘94, (salva ladri) nel quale, come dice all’epoca il leghista Bobo Maroni, ci sono anche passaggi che favoriscono la mafia . Subito dopo il decreto (non convertito in legge) Berlusconi tuonerà per la prima volta contro i film e i libri che denunciano Cosa Nostra. Per la gioia di Michele Greco, il papa della mafia che in carcere aveva detto “è tutta colpa de Il Padrino” se in Sicilia vengono istruiti i nostri processi”, il premier dichiara il 14 ottobre del ‘94: “Speriamo di non fare più queste cose sulla mafia come La Piovra, perché questo è stato un disastro che abbiamo combinato insieme in giro per il mondo. Da La Piovra in giù. Non ce ne siamo resi conto, ma tutto questo ha dato del nostro paese un’immagine veramente negativa. Si pensa all’Italia e sapete cosa viene in mente... C’è chi dice che c’è anche la mafia, nella realtà italiana”. Immediato il plauso di Totò Riina, in manette dal ‘93, che durante un processo dice: “È vero, ha ragione il presidente Berlusconi, tutte queste cose sono invenzioni, tutte cose da tragediatori che discreditano l’Italia e la nostra bella Sicilia. Si dicono tante cose cattive con questa storia di Cosa Nostra, della mafia, che fanno scappare la gente. Ma quale mafia, quale piovra, sono romanzi”. La figlia del premier questa storia sembra però non conoscerla. Eppure di motivi per ricordare ne ha parecchi. Anche perchè Mangano, tra il ‘74 e il 76, era la persona che l’accompagnava ogni mattina a scuola. E l’affetto che il boss provava nei suoi confronti è pure dimostrato dal nome con cui Vittorio e la moglie decisero di battezzare la loro terzogenita: Marina, Marina Mangano.

da Il Fatto Quotidiano del 21 aprile 2009