venerdì 3 settembre 2010

Di Pietro superstar alla festa del Pd, Marini fischiato su Casini e Dell'Utri (01/09/2010)



Così, a occhio, pare che la base del Pd tra Franco Marini e Di Pietro non è che stia esattamente con l’esponente e senatore del suo partito.

(poi, sia chiaro, la politica non si fa con l’applausometro; ma la differenza di gradimento tra i due è impressionante).


http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/09/03/hanno-fatto-la-festa-al-senatore-del-pd/



L’affarone di Tremonti - di Redazione Il Fatto Quotidiano




Un palazzo di Milano ceduto da Zunino sull'orlo del fallimento. L'Immobiliare Crocefisso, di cui il ministro dell'Economia è azionista di maggioranza, paga 7,5 milioni di euro. Ma nel 2005 il bene valeva 10 milioni

Il palazzo, quattro piani in tutto nella centralissima via Clerici, a poche decine di metri dalla Scala e dal Duomo di Milano, era in vendita ormai da anni. Luigi Zunino, il furbone del mattone assediato dai debiti, cercava disperatamente un compratore, qualcuno pronto a mettere sul piatto una decina di milioni in cambio di quella casa d’epoca nel cuore della City milanese. Alla fine l’acquirente è arrivato. Ha tirato sul prezzo e si è aggiudicato l’immobile alla pur sempre rispettabile cifra di 7,4 milioni di euro.

Fin qui niente di strano. Quello concluso nel giugno dell’anno scorso nello studio del notaio
Ciro De Vincenzo sarebbe rimasto un affare come tanti, roba da commercialisti e addetti ai lavori, se non fosse che il fortunato compratore è un ministro della Repubblica. Già, perché l’azionista di maggioranza dell’Immobiliare Crocefisso, fresca proprietaria del palazzo di via Clerici, si chiamaGiulio Tremonti.
Pare difficile che il tributarista, professore universitario nonché mente economica del governo
Berlusconi, scelga di trasferirsi armi e bagagli in quelle stanze. Ma il palazzo che fu di Zunino potrebbe rivelarsi un ottimo investimento. Di quelli destinati a rivalutarsi negli anni e a fruttare parecchio in termini di affitti. Cinque anni fa, nel 2005, la casa era stata promessa in vendita aDanilo Coppola, un altro immobiliarista a quei tempi in grande ascesa. Ma il prezzo, allora, era stato fissato a 10 milioni di euro.

Niente da fare. L’operazione non andò in porto. Coppola di lì a poco è finito in prigione. Poi è arrivato Tremonti, che ha spuntato uno sconto del 25 per cento da un venditore con l’acqua alla gola. Insomma, un gran business per il ministro, che ha dimostrato uno straordinario fiuto per gli affari.
Per non parlare della scelta di tempo. Davvero eccezionale. Addirittura sospetta, maligna qualche operatore immobiliare a Milano e dintorni. Perché a luglio del 2009, giusto un mese dopo la cessione a Tremonti della casa di via Clerici, la procura di Milano è partita all’attacco di Zunino chiedendo il fallimento della Risanamento, la sua holding quotata in Borsa. E il crack di quest’ultima avrebbe travolto tutta la galassia societaria del palazzinaro ex rampante, famoso tra l’altro per il progetto (rimasto in gran parte sulla carta) del nuovo quartiere milanese di Santa Giulia.

Quindi, con il senno di poi, si può dire che l’affare di via Clerici ha rischiato seriamente di andare in fumo. Con Tremonti costretto a fare marcia indietro e l’immobiliarista in crisi alle prese con i cocci del suo impero fondato sui debiti. Per capire meglio vediamo qualche data. L’11 giugno 2009 viene siglato il rogito. Nel ruolo di venditore troviamo la Nuova Parva, una società personale di Zunino. A comprare invece è l’Immobiliare Crocefisso, di cui Tremonti – oltre che socio di maggioranza – risulta anche amministratore, un incarico da cui si è autosospeso da quando, a maggio del 2008, è tornato sulla poltrona di responsabile dell’Economia. Il 16 di luglio arriva il siluro della procura. I pm
Laura Pedio e Roberto Pellicano chiedono il fallimento di Risanamento.

In sostanza, indagando su alcune vicende in cui erano coinvolte società di Zunino (fondi neri sulle bonifiche ambientali, buchi di bilancio di Banca Italease), i magistrati arrivano alla conclusione che il gruppo immobiliare, con oltre 3 miliardi di debiti al passivo, non è più in grado di vivere di vita propria. Peggio: a tenerlo in piedi sarebbero grandi creditori come Intesa e Banco Popolare con l’obiettivo di evitare un crack dalle conseguenze potenzialmente disastrose, non solo per Zunino ma anche per i banchieri che per un decennio e più lo hanno generosamente finanziato.

Siamo a fineluglio del 2009: l’ultima parola sulla richiesta di fallimento spetta al tribunale di Milano. Se l’istanza dei pm venisse accolta, per il gran capo di Risanamento sarebbe un disastro, ma anche Tremonti nel suo piccolo non se la passerebbe bene. Crollata la holding quotata in Borsa, sarebbe presto andata a fondo anche la Nuova Parva, che ne controllava oltre il 30 per cento del capitale. Risultato: la vendita del palazzo di via Clerici sarebbe con ogni probabilità andata incontro a un’azione revocatoria.

Un’azione, quest’ultima, prevista dal codice civile per una serie di atti disposti dall’imprenditore insolvente (in questo caso Zunino) nell’arco dei dodici mesi precedenti alla dichiarazione di fallimento. Per Tremonti, costretto da un giudice a restituire il palazzo d’epoca appena acquistato, sarebbe stato un autogol clamoroso. Ma la suspence dura solo qualche mese. Zunino e le banche fanno fronte comune contro l’attacco dei pm. Affiancati da uno stuolo di avvocati e consulenti dalle parcelle milionarie, l’immobiliarista e i suoi creditori si oppongono alla richiesta di fallimento a suon di memorie difensive.

Il tribunale prende tempo. C’è un batti e ribatti con la procura. Alla fine però, il 10 novembre, arriva il verdetto: Risanamento non deve fallire. Il salvataggio verrà gestito dalle banche creditrici con un piano sottoposto all’approvazione dei giudici. Zunino esce di scena. Vincono i banchieri. E Tremonti può tenersi il suo palazzetto, congratulandosi con se stesso per l’ottima scelta di tempo.




Berlinguer, chi era costui? - Marco Travaglio



Signornò, da L'Espresso in edicola


Come se non ci fosse abbastanza confusione sotto i cieli della politica, giunge a proposito la polemica di mezza estate intorno a
Enrico Berlinguer. L’ha innescata quel diavolo di Tremonti, elogiando i suoi “scritti del 1977 sull’austerity”. Tarantolata come il vampiro dinanzi all’aglio, la sempre equilibrata sottosegretaria Stefania Craxi ha versato litri di bile sul ministro dell’Economia del suo governo in una lettera al Corriere della sera: “Berlinguer non credeva una parola (sic, ndr) di quello che scriveva”, il suo “Pci ha sempre rappresentato il partito della spesa”, poi fu “messo ko da Craxi” e allora “inventò l’austerità e il moralismo per nascondere l’isolamento in cui la sua fobia verso i socialisti aveva condotto il Pci”.

L’indomani
Emanuele Macaluso le ha ricordato qualche data che, nella fretta, le era sfuggita: “Berlinguer pronunciò quel discorso il 16 gennaio 1977, quando Craxi era segretario del Psi da soli sei mesi” e nemmeno volendo avrebbe potuto metterlo ko. Intanto però un’altra autorevole vestale del socialismo, Fabrizio Cicchitto, aveva scritto alla Stampa per associarsi alla Craxi e dissociarsi da Tremonti. A suo dire, Berlinguer “cavalcò la questione morale, poi tradotta dai suoi eredi in giustizialismo, malgrado il Pci fosse finanziato irregolarmente dal Pcus e altre fonti eterodosse” e “negli anni '70 spingeva per forti aumenti di spesa pubblica”. Altro che austerity. Parola di un signore che, grazie alla tessera P2numero 2232, di finanziamenti eterodossi dovrebbe intendersi un bel po’.

Ma la leggenda nera di Berlinguer capo del “
partito della spesa”, antiquato e passatista, messo ko dal più “moderno” Craxi è molto diffusa anche a sinistra. Basti pensare alle corbellerie pro-Craxi e anti-Berlinguer pronunciate in questi anni da Fassino, D’Alema, Violante e Veltroni. La storia insegna l’opposto: negli anni '70, compresi i due del compromesso storico, il debito pubblico era sotto controllo: 50-60% del Pil. Fu negli anni '80, col Caf al governo e il Pci all’opposizione, che balzò al 120: il maggior incremento lo registrò proprio nei quattro anni del governo Craxi (dal 70 al 92%). Il ko di Craxi a Berlinguer, poi, è pura barzelletta. Se l’ex Pci sopravvisse alla Prima Repubblica, lo deve essenzialmente al ricordo di Berlinguer, unico leader della sinistra rimasto nel cuore degli italiani. Intanto il Psi veniva annientato dalle ruberie craxiane. E ora quel poco che ne resta è annesso al Pdl, dove la signora Craxi siede comodamente in poltrona, scambiando Storace per Turati e la Santanchè e la Mussolini per la Kuliscioff. Significativamente il dibattito su Berlinguer è circoscritto entro i confini del Pdl. Il Pd ha altro da fare: perso per strada Tony Blair, faro dei “riformisti” nostrani (dopo i trionfi irakeni ed elettorali, ha appena fondato una banca per super-ricchi), si accapiglia intorno a un rovello epocale: invitare o no alla sua festa il leghista Cota? Vivo entusiasmo nella base.



Nichi Vendola parla della situazione politica italiana





E' affascinante, lo approcci con scetticismo, poi, ascoltandolo, come dice un'amica, lo abbracceresti!