giovedì 28 ottobre 2010

Vorrei avere Gogol (parodia di "Vorrei avere il becco" di Povia ) - TONY TROJA


Il grande Ratzinger - TONY TROJA


Vaffansilvio - TONY TROJA



L'eroica nonnina Annarella che inveisce contro il governo



In Campania la casta cresce sui rifiuti.


Sull'emergenza rifiuti Berlusconi e Bertolaso costruirono la vittoria alle elezioni del 2008. Ma nasconderla sotto il tappeto non è risolvere il problema

Sacchetti ricolmi di immondizia, abbandonati da giorni per strada. Roghi di spazzatura che sprigionano diossina. Rivolte popolari a Terzigno contro l’apertura della seconda discarica nel Parco Nazionale del Vesuvio, mentre da mesi la prima appesta di puzza il circondario. Scontri tra manifestanti a volto coperto che lanciano molotov e polizia in tenuta antisommossa che manganella senza pietà. Barricate. Feriti. Arresti. Il ritorno di Bertolaso, che significa: nel napoletano c’è di nuovo l’emergenza rifiuti. Ma dall’emergenza non si era mai usciti. Per la felicità di chi ha speculato sull’affare monnezza: politici collusi, amministratori senza scrupoli, consulenti senza competenze, piccole ditte contigue alla criminalità organizzata, grandi imprese in cerca del business facile. Le responsabilità sono tante. E diffuse. Ecco un elenco di nomi e cognomi. Largamente incompleto.

Antonio Bassolino. È il commissario dell’emergenza dal 10 maggio 2000 al febbraio 2004. Gli anni in cui gli impegni assunti nel contratto di gestione del ciclo dei rifiuti con la Fibe-Fisia-Impregilo vanno a rotoli: il contratto verrà rescisso l’anno successivo per inadempienze. In quel periodo si scava un ritardo che non è stato recuperato. L’ex governatore è sotto processo con l’accusa di non essersi accorto che tra il bando di gara e il contratto firmato “saltano” le righe relative all’obbligo immediato per Impregilo di smaltire il cdr (combustibile derivato da rifiuti) in impianti già esistenti, in attesa dell’inceneritore di Acerra che verrà. Così la Campania si intasa di 6 milioni di ecoballe che nessuno vuole bruciare. Quasi tutte abbandonate nel giuglianese. Le discariche si saturano, quelle chiuse perché in odore di camorra non vengono rimpiazzate, gli impianti di cdr funzionano male, la procura ogni tanto ne sequestra uno. Un processo nell’aula
bunker di Poggioreale sta cercando di appurare eventuali responsabilità penali. Ma la prescrizione galoppa velocissima.

Rosa Russo Iervolino. Incensurata e mai indagata, è giusto sottolinearlo. È il sindaco di Napoli da 10 anni. Con un milione di abitanti le percentuali di raccolta differenziata sono imbarazzanti, intorno al 19%. Ottenute tra una girandola di assessori che hanno lasciato poche tracce e meno rimpianti. Lei dice: “Napoli non ha nulla da rimproverarsi per l’emergenza, se Provincia e Regione (a guida Pdl,
ndr) mi finanziassero i progetti che abbiamo pronti, saremmo saliti al 25%”. La legge fissa il minimo al 35. Senza dimenticare che questo territorio vanta il record del più alto numero pro-capite di addetti all’igiene urbana, tra municipalizzate, consorzi, imprese pubbliche e semipubbliche. Sulla questione discariche, il sindaco ha avuto diverse posizioni. A Pianura si schierò dalla parte dei contrari (comunque l’invaso venne sequestrato dalla magistratura). A Chiaiano, invece, disse: “Scelta inevitabile, la meno dolorosa di tutte”. E si è aperta. Di fronte al ricorrere delle emergenze, il sindaco interpreta sempre lo stesso copione: intervenga il governo, noi non possiamo fare di più.

Nicola Cosentino. Sotto indagine per collusioni coi clan che hanno lucrato sull’emergenza spazzatura. Tra le carte dell’inchiesta culminata nell’ordinanza di arresto per camorra (respinta dalla Camera), ce ne sono molte dedicate agli interessi del coordinatore del Pdl campano nella localizzazione delle discariche e degli impianti. Ad esempio, secondo le rivelazioni del pentitoGaetano Vassallo, l’imprenditore “ministro dei rifiuti” del clan Bidognetti, “Cosentino aveva un interesse diretto nella società Eco/4, che avrebbe dovuto realizzare un termovalorizzatore a Santa Maria La Fossa. Poiché i rapporti interni tra Schiavone e Bidognetti erano mutati, Cosentino e ifratelli Orsi lasciarono il gruppo Bidognetti, passando con Schiavone”. Tenendo fuori Vassallo dal consorzio. L’inchiesta dei pm Milita e Narducci giunge alla conclusione che se pubblicamente l’ex sottosegretario all’Economia dichiarava la sua contrarietà all’inceneritore, privatamente avrebbe brigato per portarlo a compimento. Attraverso un consorzio “controllato” da Cosentino, nel quale, secondo l’accusa, politica e camorra si erano fuse in un
business per realizzare profitti, compiere assunzioni, alimentare clientele, accumulare consenso.

Clemente Mastella. Arpac. È l’acronimo di Agenzia regionale per l’ambiente della Campania. Braccio operativo dell’assessorato regionale, per la tutela delle acque, dell’aria e dei suoli, attraverso analisi, sopralluoghi, azioni di salvaguardia del territorio. Un Arpac ben funzionante potrebbe svolgere un ruolo importantissimo nell’affiancare le istituzioni ad affrontare le emergenze rifiuti e mettere in sicurezza i siti. Ma al tavolo della grande lottizzazione della giunta Bassolino, che a metà degli anni 2000 distribuisce come fette di torta la sanità alla Margherita, i fondi europei ai Ds, il lavoro e il welfare a Rifondazione, Clemente Mastella ottiene per l’Udeur la delega all’Ambiente. E non la mollerà più fino a quando non farà cadere il governo Prodi. Con il partito di Mastella al timone dell’assessorato, sostiene un’inchiesta coordinata dall’aggiunto Francesco Curcio, l’Arpac viene lottizzata minuziosamente. Incarichi di direzione, superconsulenze, ma anche contrattini a tempo determinato, vengono assegnati per appartenenza politica e per sviluppare clientele. I pm mettono sotto inchiesta Mastella e la moglie Sandra Lonardo. E si scopre un file di 655 raccomandazioni: a ogni nome corrisponde un padrino politico. Quali garanzie ha offerto un ente dove compiti così delicati sono stati dati a persone scelte secondo criteri che non sono quelli della competenza? Forse il processo in corso, ora in udienza preliminare (senza Mastella, stralciato), potrebbe darci una risposta.

Alfonso Pecoraro Scanio. Il ministro dell’Ambiente del governo Prodi, che in un’intervista all’
Espresso del 2005 rivelava l’ambizione di diventare il primo premier ecologista d’Italia, da due anni e mezzo è un desaparecido della politica. Si è ritirato a vita privata e fa il docente di Scienze del Turismo alla Bicocca di Milano dopo essere rimasto fuori dal Parlamento. A causa del flop della sinistra, e di una violenta campagna mediatica che ha additato in lui e in Bassolino gli emblemi del fallimento del ciclo dei rifiuti a Napoli. Con l’accusa di essere il campione dell’ambientalismo del no: agli inceneritori, alle discariche, a tutto. Accusa non del tutto fondata. Va però detto che Pecoraro non è esente da responsabilità. Per aver cavalcato le proteste contro il termovalorizzatore di Acerra e contro l’apertura dell’invaso di Valle della Masseria a Serre, senza però riuscire, da ministro, a imporre soluzioni alternative. E accontentandosi di ottenere la testa di Bertolaso, dimessosi nel 2007 da commissario per l’emergenza in seguito ai numerosi scontri con Pecoraro. Rivela un suo ex fedelissimo, un esperto del settore, oggi passato ai vendoliani: “Durante la crisi del 2007 lo tempestavo di e-mail per indicargli proposte e idee, rimedi di breve e lungo periodo. Ignorava gli appelli. Non ha capito che se avesse risolto l’emergenza, camperebbe ancora di rendita”.

PICCOLI DIRIGENTI PER UN GRANDE DISASTRO

Provincia di Napoli. Soluzioni alternative: zero

Fa sorridere che il presidente della Provincia di Napoli si lamenti della provincializzazione del ciclo dei rifiuti e della scarsa solidarietà delle altre Province, che forti di quella legge non vogliono accogliere la monnezza napoletana. Luigi Cesaro, infatti, è anche un deputato del Pdl. Quindi quella legge l’ha voluta anche lui. Poi gli si è ritorta contro. Complici anche le indecisioni della sua amministrazione provinciale. Che si è baloccata per mesi su un documento approvato a maggio, col quale si stabiliva un “no” alla seconda discarica del Parco del Vesuvio in Cava Vitiello. Subordinato, però, alla ricerca di soluzioni alternative. Proprio qui Cesaro ha fallito. Le soluzioni non le ha trovate. Forse non le ha nemmeno cercate, auspicando in cuor suo che la protesta per la seconda discarica non avrebbe superato per intensità quella civile e composta che accompagnò l’apertura della prima. Non ha fatto i conti con l’esasperazione di una popolazione nauseata da mesi di miasmi e spaventata dalle notizie sulle infiltrazioni delle falde acquifere. E quando Cesaro è tornato in aula, ha solo farfugliato qualcosa sull’allargamento di invasi già esistenti e chiusi da tempo. Del suo impegno anti-spazzatura, al momento di concreto c’è solo la creazione della Sepna. È la società provinciale che dovrà gestire in futuro l’intero ciclo. Ha chiamato a guidarla l’ex commissario per l’emergenza Corrado Catenacci, retribuito per il primo anno con 60 mila euro. Lo statuto della società prevede un consiglio di amministrazione di cinque componenti, un direttore generale, un comitato tecnico scientifico, un collegio sindacale. Sono stati affittati gli uffici. Per ora non ha spostato nemmeno un sacchetto, ma la Sepna sta già per diventare un luogo di spartizione di nomine e consulenze.

Provincia di Benevento. Impianti di Cdr col trucco

Aniello Cimitile è un politico, ma ha avuto un ruolo esclusivamente tecnico nell’emergenza rifiuti. E come tale è finito indagato (l’udienza preliminare non è ancora cominciata) – e per un breve periodo agli arresti domiciliari – nell’ambito di una delle diverse indagini sul disastro spazzatura. Il presidente della Provincia di Benevento, del Partito democratico, in qualità di docente di ingegneria informatica dell’Università del Sannio, di cui è stato rettore, ha fatto parte delle commissioni di collaudo dei sette impianti di cdr (combustibile derivato dai rifiuti) realizzati da Fibe spa e Fibe Campania. Impianti che avrebbero dovuto produrre cdr ma dai quali usciva spazzatura “tal quale”. Secondo la procura di Napoli la vicenda è infarcita di progetti esecutivi difformi dagli atti di gara, e impianti realizzati a loro volta in maniera diversa dai progetti esecutivi. L’inchiesta si è conclusa stabilendo che gli impianti di cdr avrebbero lavorato male anche a causa di commissioni di collaudo formate in base a criteri politici e clientelari. Commissioni che ne avrebbero attestato falsamente il buon funzionamento. La procura ha chiesto quindici rinvii a giudizio. Ma l’udienza preliminare non è ancora cominciata, perché per ben tre volte l’ufficiale giudiziario non è riuscito a notificare il provvedimento a Cimitile: risulta sconosciuto al suo indirizzo di residenza, in quel di Pomigliano d’Arco (Napoli).

Da An alla piazza. Le violenze di Pianura

Marco Nonno, consigliere comunale di Napoli, eletto in An, è un duro oppositore dell’amministrazione Iervolino. Ma quando ci fu da lottare contro la riapertura della discarica di Pianura, pezzi di destra e di centrosinistra si saldarono in un’alleanza per stoppare l’annunciato sversamento di rifiuti nell’invaso. Questo almeno sostiene la Dda di Napoli che nell’ottobre del 2008 chiese e ottenne l’arresto di Marco Nonno (libero dal novembre 2009 dopo tredici mesi tra carcere e domiciliari), dell’assessore del Partito democratico Giorgio Nugnes (poi morto suicida) e di altre trentacinque persone coinvolte negli scontri, che durante i primi giorni di quell’anno devastarono il quartiere di Pianura. La magistratura mise nero su bianco l’esistenza “di una regia politico-affaristica che ha fomentato la rivolta contro l’apertura della discarica di Pianura fino a farla trascendere in veri atti di guerriglia urbana”. Il processo è in corso. Le violenze sono sempre ingiustificabili. Ma la paura dei residenti di Pianura era fondata. Lo sversatoio infatti venne sequestrato e non è stato più riaperto. Un’altra inchiesta (che non coinvolge Marco Nonno e gli altri arrestati per le violenze di Pianura) ha accertato che per decenni Pianura ha accolto le scorie tossiche dell’Acna di Cengio (in provincia di Savona) e di altre aziende del Nord, e che la bonifica promessa e finanziata non è mai stata realizzata. Ma in assenza di una correlazione certa tra quei veleni e i casi di morte per tumore accertati nel comprensorio, il pm Stefania Buda ha chiesto l’archiviazione per i reati di omicidio colposo ed epidemia colposa.

Da
il Fatto quotidiano del 27 ottobre 2010

Ruby, le feste e il Cavaliere "La mia verità sulle notti ad Arcore"


La minorenne marocchina fu fermata per un furto, mentre era in Questura intervenne Palazzo Chigi: "Rilasciatela, è la nipote di Mubarak". La ragazza racconta il rituale del "bunga bunga", esclude di aver fatto sesso con il premier. Indagati Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti

di PIERO COLAPRICO e GIUSEPPE D'AVANZO

MILANO - Alla questura di Milano, nello stanzone del "Fotosegnalamento", c'è solo Ruby R., marocchina. Dire "solo" è un errore, perché Ruby è molto bella e non si può non guardarla. Se ne sta sulla soglia, accanto alla porta, e attende che i due agenti in camice bianco eseguano il loro lavoro, ma è come se occupasse l'intera stanza. E' il 27 maggio di quest'anno, è passata la mezzanotte e i poliziotti hanno già fatto una prova: la luce bianca, accecante, funziona alla perfezione. La procedura è rigorosa, nei casi in cui un minorenne straniero viene trovato senza documenti: finiti gli accertamenti sull'identità, se non ha una casa o una famiglia, sarà inviato, dopo aver informato la procura dei minori, in una comunità. È quel che gli agenti si preparano a fare, perché Ruby ha diciassette anni e sei mesi (è nata l'11 novembre del 1992) e all'indirizzo che ha dato, in via V., non ha risposto nessuno. Era anche prevedibile: ci abita un'amica che, dice Ruby, è una escort e se ne sta spesso in giro. All'improvviso, il silenzio dello stanzone si rompe. Una voce si alza nel corridoio. E, alquanto trafelata, appare una funzionaria. Chiudete tutto e mandatela via!, è il suo ordine categorico. Gli agenti sono stupiti. L'altra, la funzionaria, è costretta a ripetere: basta così, la lasciamo andare, fuori c'è chi l'aspetta!

Non è che le cose vanno sempre in questo modo, in una questura. La ragazza non ha i documenti. Per di più, il computer ha sputato la sua sentenza: l'anno prima Ruby si è allontanata - era il maggio del 2009 - da una casa famiglia a Messina, dove vivono i suoi. Anche il motivo per cui è finita in questura non è una bazzecola: è accusata di un furto che vale i due stipendi mensili dei poliziotti.

Le cose sono andate così. Qualche sera prima, una ragazza che ama la discoteca, Caterina P., va in un locale con due amiche. Ballano sino a tardi. Quando lasciano il "privé", si ritrovano insieme a Ruby R. e tutt'e quattro s'arrangiano a casa di Caterina. La mattina dopo, mentre Ruby dorme come un sasso, o così sembra, le tre amiche vanno a fare colazione al bar sotto casa. Al rientro, Ruby non c'è più, e chi se ne importa. Ma mancano anche tremila euro da un cassetto e qualche gioiello. Caterina maledice se stessa. Non sa da dove sia piovuta quella ragazzina, non sa dove abita, non sa dove cercarla. Il caso l'aiuta. Il 27 maggio il sole è tramontato da un pezzo e Caterina passeggia in corso Buenos Aires, quando intravede Ruby in un centro benessere. Chiama subito il 113 e accusa la ladra. La volante Monforte è la più vicina e la centrale operativa la spedisce sul posto. Ruby viene presa e accompagnata al "Fotosegnalamento". Con una storia come questa, ancora tutta da chiarire, come si fa a lasciarla andare?

Gli agenti lo chiedono alla funzionaria. La funzionaria scuote il capo. Dice: di sopra (dove sono gli uffici del questore) c'è il macello, Pietro Ostuni (è il capo di gabinetto) ha già chiamato un paio di volte e vedete (il telefono squilla) ancora chiama. E' la presidenza del Consiglio da Roma. Dicono di lasciare andare subito la ragazza, pare che questa qui sia la nipote di Mubarak, non ci vogliono né fotografie, né relazioni di servizio. Tutti adesso guardano la ragazza. "E chi è Mubarak?", chiede un agente. Il presidente egiziano, spiega con pazienza la funzionaria. Che intanto risponde all'ennesima telefonata del capo di gabinetto, per poi dire: forza ragazzi, facciamo presto, Ostuni ha detto a Palazzo Chigi che la ragazza è già stata mandata via.

L'ultimo affaire o scandalo che investe Silvio Berlusconi nasce dunque tra il primo piano e il piano terra di via Fatebenefratelli 11, in una notte di fine maggio. Ha come protagonista una minorenne, senza documenti, accusata di furto. E come canovaccio ha una stravaganza: la ragazza viene liberata per l'energica pressione di Palazzo Chigi, che sostiene sia "la nipote di Hosni Mubarak". Che cosa c'entra la presidenza del Consiglio con una "ladra"? E perché qualcuno a nome del governo mente sulla sua identità? Quali sono stati gli argomenti che hanno convinto la questura di Milano a insabbiare un'identificazione, in ogni caso a fare un passo storto? Le anomalie di quella notte non finiscono, perché ora entra in scena un nuovo personaggio. Attende Ruby all'ingresso della questura.

E' Nicole Minetti e ha avuto il suo momento di notorietà quando, igienista dentale di Silvio Berlusconi, a 25 anni è stata candidata con successo al Consiglio regionale della Lombardia. Nicole sa del "fermo" di Ruby in tempo reale da un'amica comune. Fa un po' di telefonate, anche a Roma, e si precipita all'ufficio denunzie. Chiede di vedere la ragazza. Pretende di portarsela via. Dice che Ruby ha dei problemi e lei se ne sta occupando come una sorella maggiore, ma non riesce a superare il primo cortile della questura. Soltanto quando Palazzo Chigi chiamerà il capo di gabinetto, la situazione si farà fluida e il procuratore dei minori di turno, interpellato al telefono, autorizzerà l'affidamento di Ruby a Nicole e - ora sono quasi le tre del mattino del 28 maggio - le due amiche si possono finalmente allontanare.

Che cosa succede dopo lo spiegherà Ruby, ma in un interrogatorio che avviene due mesi più tardi: a luglio, quando l'affaire sminuzzato in questura si materializza. Prima al tribunale dei minori e, subito dopo, alla procura di Milano, dinanzi al pool per i reati sessuali. Una volta in strada Nicole, sostiene Ruby, chiama Silvio Berlusconi: è stato Silvio a dirle di correre in questura; è stato Silvio a raccomandarsi di tenerlo informato e di chiamare appena la cosa si fosse chiarita. Ora che è finita l'emergenza, Nicole spiega, ride alle carinerie del premier e poi passa il telefono direttamente a Ruby. Silvio mi dice così: non sei egiziana, non sei maggiorenne, ma io ti voglio bene lo stesso. Da allora non l'ho più visto, ma in questi mesi ci siamo sentiti ancora per telefono.

Ora bisogna spiegare quali sono i rapporti di Ruby con Silvio Berlusconi e non è facile, perché il loro legame viene ricostruito in un'indagine giudiziaria che deve chiarire (lo ha fatto finora soltanto parzialmente e in modo non esaustivo o definitivo) quando la giovanissima Ruby dice il vero e quando il falso. E' un'inchiesta (l'ipotesi di reato è favoreggiamento della prostituzione) in cui il premier non è indagato, anche se gli indagati ci sono e sono tre: Lele Mora, Nicole Minetti, Emilio Fede. Anzi, il premier potrebbe diventare addirittura parte lesa, perché prigioniero di un ricatto, vittima di una calunnia o addirittura perseguitato da un'estorsione.

Per evitare gli equivoci molesti disseminati in questi giorni, conviene dire subito che dinanzi ai pubblici ministeri Ruby esclude di aver fatto sesso con il capo del governo. Come confessa di aver mentito a Berlusconi: gli ho detto di avere ventiquattro anni e non diciassette. Nicole sapeva che ero minorenne e poi anche Lele, Lele Mora, lo ha saputo. Ruby però racconta delle sue tre visite ad Arcore, delle feste in villa e delle decine di giovani donne famose o prive di fama - molte escort - che vi partecipano. La minorenne fa entrare negli atti giudiziari un'espressione inedita, il "bunga bunga". Viene chiamata in questo modo l'abitudine del padrone di casa d'invitare alcune ospiti, le più disponibili, a un dopo-cena erotico. "Silvio (lo chiamo Silvio e non Papi come gli piacerebbe essere chiamato) mi disse che quella formula - "bunga bunga" - l'aveva copiata da Gheddafi: è un rito del suo harem africano".

Ruby è stata interrogata un paio di volte a luglio, è però in un interrogatorio in agosto che esplicitamente comincia a raccontare meglio i suoi rapporti con Berlusconi, Fede, Mora e Nicole Minetti. Conviene darle la parola. Sostiene Ruby che poco più di un anno fa - era ancora in Sicilia - conosce il direttore del Tg4. Emilio Fede è il presidente e il protagonista della giuria di un concorso di bellezza. Come già è accaduto nell'autunno del 2008 con Noemi Letizia, il giornalista, 79 anni, è amichevole e affettuoso con Ruby. Si dà da fare per il suo futuro, presentandole Lele Mora. Le dice che Lele l'avrebbe potuta aiutare, se avesse avuto voglia di lavorare nel mondo dello spettacolo. Non è che la minorenne rimugini più di tanto quest'idea che estenua e tormenta quante ragazzine senz'arte né parte. E' un'opportunità, non vuole perderla. Taglia la corda. Arriva a Milano. Cerca subito Lele.

Per cominciare, Mora la indirizza in un disco-bar etnico, ospitato in un sotterraneo sulla via per Linate. Ruby è una cubista. Dice: niente di trascendentale, anzi, la cosa più eccentrica che faccio è la danza del ventre, che ho imparato da mia madre. Dal quel cubo colorato, Milano è ancora più magnifica e scintillante. Manca tanto così alla trasformazione di Ruby R.. Ancora uno o due passi e la sua vita può farsi concretamente fortunatissima, soprattutto se c'è di mezzo il frenetico attivismo di Emilio Fede.

E' il 14 febbraio, giorno di San Valentino. Ruby ha 17 anni e novantacinque giorni. Arriva a Milano dalla povertà e dalle minestre della comunità. In quel giorno, dedicato agli innamorati, entra ad Arcore, a Villa San Martino: è un bel colpaccio, per chi a tutti gli effetti può essere definita una "scappata di casa". La minorenne la racconta, più o meno, così: mi chiama Emilio e, dice, ti porto fuori. Non so dove, non mi dice con chi o da chi. Passa a prendermi con un auto blu. Salgo, filiamo via scortati da un gazzella dei carabinieri verso Arcore. Non entriamo dal cancello principale, dove c'erano altri carabinieri, ma da un varco laterale. Vengo presentata a Silvio. E' molto cortese. Ci sono una ventina di ragazze e - uomini - soltanto loro due, Silvio ed Emilio.
(Ruby fa i nomi delle ospiti. C'è intero il catalogo del mondo femminile di Silvio Berlusconi: conduttrici televisive celebri o meno note, star in ascesa, qualcuna celeberrima, starlet in declino, qualche velina, più di una escort, due ministre, ragazze single e ragazze in apparenza fidanzatissime, e Repubblica non intende dar conto dei nomi).

A Ruby quel mondo da favola resta impresso, anche per un piccolo dettaglio davvero degno di Cenerentola. Cenammo, ricorda, ma non rimasi a dormire. Dopo cena, andai via. Alle due e mezza ero già a casa. Con un abito bianco e nero di Valentino, con cristalli Swarovski, me l'aveva regalato Silvio. La seconda volta, continua il racconto di Ruby, vado ad Arcore il mese successivo. Andai con una limousine sino a Milano due, da Emilio Fede, e da lì, con un'Audi, raggiungemmo Villa San Martino. Silvio mi dice subito che gli sarebbe piaciuto se fossi rimasta lì per la notte. Lele mi aveva anticipato che me lo avrebbe chiesto. Mi aveva anche rassicurato: non ti preoccupare, non avrai avance sessuali, nessuno ti metterà in imbarazzo. E così fu. Cenammo e dopo partecipai per la prima volta al "bunga bunga". (Questo "gioco", onomatopeico e al di là del senso del grottesco, viene descritto da Ruby agli esterrefatti pubblici ministeri milanesi con molta vivezza, addirittura con troppa concreta vivezza. Si diffonde nelle modalità del sexy e maschilista cerimoniale che è stato raccontato da Mu'ammar Gheddafi e importato tra le risate ad Arcore. Ruby indica che cosa si faceva e chi lo faceva - un lungo elenco di nomi celebrati e popolari, in televisione o in Parlamento).

Io, continua Ruby, ero la sola vestita. Guardavo mentre servivo da bere (un Sanbitter) a Silvio, l'unico uomo. Dopo, tutte fecero il bagno nella piscina coperta, io indossai pantaloncino e top bianchi che Silvio mi cercò, e mi immersi nella vasca dell'idromassaggio. La terza volta che andai ad Arcore fu per una cena, una cosa molto ma molto più tranquilla. Quando arrivai Silvio mi disse che mi avrebbe presentata come la nipote di Mubarak. A tavola c'erano - sostiene - Daniela Santanché, George Clooney, Elisabetta Canalis.

Dice il vero, Ruby? O mente? E' il rovello degli investigatori. Che hanno un quadro appena abbozzato sotto gli occhi: giovani donne, che Ruby definisce escort, sono contattate dal trio Lele, Emilio e Nicole per partecipare alle feste di Villa San Martino, dove qualche volta i party si concludono con riti sessuali che sono adeguatamente ricompensati dal capo del governo, con denaro contante o gioielli. Quanto è credibile il racconto di Ruby? Per venirne a capo, l'inchiesta deve innanzitutto dimostrare che la minorenne abbia davvero conosciuto Silvio Berlusconi e sia stata davvero ad Arcore. Ruby offre quel che le appaiono incontrovertibili conferme.
Mostra i gioielli avuti in regalo da Silvio Berlusconi: croci d'oro, collane, orecchini, orologi e orologi con brillanti (Rolex, Bulgari, Dolce&Gabbana, ma anche altri dozzinali con la scritta "Meno male che Silvio c'è" o con lo stemma del Milan), haute couture, un'auto tedesca. Ruby sostiene di aver ricevuto dal capo del governo più di 150mila euro (in contanti e in tre mesi) e soprattutto una promessa: Silvio assicurò che mi avrebbe comprato un centro benessere e mi invitò a dire in giro che ero la nipote di Mubarak. Così avrei potuto giustificare le risorse che non mi avrebbe fatto mancare.

Non c'è dubbio che ci sia un'incongruenza: nonostante la leggendaria generosità di Berlusconi, tanto denaro contante, tanti gioielli e promesse appaiono sproporzionati all'impegno di tre soli incontri. Ma qualche riscontro diretto alle parole di Ruby é stato afferrato. Il suo telefonino cellulare il 14 febbraio è "posizionato" nella "cella satellitare" di Arcore. Un paio di gioielli in suo possesso - è vero anche questo - sono stati acquistati da Silvio Berlusconi. Le indagini hanno accertato anche quanto rasentava l'incredibile: e cioè che le giovani donne ospiti di Villa San Martino, come alcuni degli indagati, usano, nei loro colloqui, l'espressione gergale e arcoriana del "bunga bunga".

Sono conferme ancora insufficienti? Il capo del governo e gli indagati sono a conoscenza dell'indagine fin da quella prima notte di maggio in questura e la monitorano passo passo. Il premier, descritto molto inquieto, ha affidato a Nicolò Ghedini la controffensiva. Da settimane accade questo. Una segretaria di Palazzo Chigi convoca le giovani ospiti del premier in un importante studio legale di via Visconti di Modrone per affrontare, con Ghedini, la questione delle "serate del presidente". Le ospiti di Villa San Martino non si sorprendono dell'invito, prendono nota con diligenza dell'ora e dell'indirizzo. Sono indagini difensive che, come è accaduto in altre occasioni - per il caso d'Addario, ad esempio - vorranno dimostrare che Silvio Berlusconi non ha nulla di cui vergognarsi; che quelle serate non hanno nulla di indecente o peccaminoso; che quella ragazza, la Ruby, è soltanto una matta o, forse peggio, una malandrina che sta ricattando il premier, magari delusa nel suo avido sogno di facile ricchezza.

Nonostante la sua contraddittoria provvisorietà, questa storia non ha solo a che fare con l'inchiesta giudiziaria, forse già compromessa da un'accorta fuga di notizie. Sembra più importante osservare ciò che si scorge di politicamente interessante: Berlusconi c'è "ricascato". E qui incrociamo una questione che non ha nulla a che fare con il giudizio morale (ognuno avrà il suo), ma con la responsabilità politica. Dopo la festa di Casoria e le rivelazioni degli incontri con Noemi Letizia allora minorenne, dopo la scoperta della cerchia di prosseneti che gli riempie palazzi e ville di donne a pagamento, come Patrizia D'Addario, questo nuovo progressivo disvelamento della vita disordinata del premier, e della sua fragilità privata, ripropone la debolezza del Cavaliere. Il tema interpella, oggi come ieri, la credibilità delle istituzioni. Il capo del governo è ritornato a uno stile di vita che rende vulnerabile la sua funzione pubblica. Le sue ossessioni personali possono esporlo a pressioni incontrollabili.

Qualsiasi ragazzina o giovane donna che ha frequentato i suoi palazzi e ville e osservato le sue abitudini può, se scontenta, aggredirlo con ricatti che il capo del governo è ormai palesemente incapace di prevedere. Dove finiscono o dove possono finire le informazioni e magari le registrazioni e le immagini in loro possesso (Ruby racconta che spesso "le ragazze" fotografavano con i telefonini gli interni di Villa San Martino)? Quante sono le ragazze che possono umiliare pubblicamente il capo del nostro governo? È responsabile esporre il presidente del Consiglio italiano in situazioni così vulnerabili e pericolose per la sicurezza dell'istituzione che rappresenta?


http://www.repubblica.it/politica/2010/10/28/news/davanzo_ruby-8503315/?ref=HREA-1