mercoledì 3 novembre 2010

Lo sfogo della scorta: basta, non siamo Carabinieri per fare la guardia alle escort del premier. - di Gianni Barbacetto.


“Non ne possiamo più. Non siamo diventati carabinieri per fare la guardia alle escort del premier. Molti nostri colleghi sono morti mentre facevano la scorta a magistrati o politici che difendevano lo Stato. E noi, invece... È mai possibile essere ridotti cosi
?”. A parlare sono alcuni “ragazzi” dei servizi di scorta. Carabinieri allenati a difendere le “personalità” loro affidate fino a mettere a rischio la propria vita. “Ma qui ci fanno fare i tassisti dei festini. Per questo, dopo essere stati tanto zitti e obbedienti, ora vogliamo, a nostro rischio, far sentire la nostra voce”. Cominciano i racconti, che si incrociano, si intrecciano e si sommano.

“LE FESTE ad Arcore si tengono nei giorni del fine settimana, dal venerdì al lunedì. Molte sono proprio di lunedì. Nell’estate si moltiplicano. Noi accompagniamo le personalità fino alla villa e poi aspettiamo fuori. Vediamo un giro di ragazze pazzesco. Arrivano con vari mezzi. Moltissimi Ncc, le auto a noleggio con conducente. Alcuni pulmini, di quelli da 10-15 posti. Una volta abbiamo visto alcune ragazze scendere da due fuoristrada di quelli massicci. Alcune ragazze le porta direttamente Emilio Fede nella sua auto, altre scendono dalla macchina di Lele Mora con targa del Canton Ticino”.

“L’estate scorsa abbiamo visto molte feste alla villa di Arcore. Altre volte abbiamo accompagnato le nostre personalità in ristoranti di Milano, come ‘da Giannino’, in via Vittor Pisani, zona stazione Centrale. O in una casa privata di zona Venezia. Che ne sappiamo noi di che cosa succede là dentro? Ce li immaginiamo, magari fanno uso di droghe o infrangono la legge e ridono di noi, dicendo: noi siamo qua al sicuro, abbiamo anche i carabinieri che ci proteggono. E che gente c’è a quelle feste? Noi per arruolarci nell’Arma dobbiamo dimostrare di essere puliti per due generazioni, i nostri padri e i nostri nonni, e finiamo a far la guardia a gente che magari pulita non è”.

“Sì, la scorsa estate ad Arcore c’era un gran via vai. Ruby? No, non me la ricordo, ma sa, sono tante, tutte uguali, tutte giovani... Abbiamo riconosciuto una giornalista. E Flo, quella che ha partecipato alla ‘Pupa e il secchione’. Poi una bionda che era stata al Grande Fratello... Molte si capisce che sono straniere, tante hanno la cadenza napoletana. Poi alcune escono a fine festa, altre si fermano lì per la notte, ma è difficile tenere la contabilità, c’è un tale via vai...”.

“CI È CAPITATO di fare missioni all’estero e di incontrare colleghi stranieri che fanno il nostro stesso lavoro: ci sfottono per questa storia delle feste, delle ragazze. Ma è mai possibile che dobbiamo vergognarci, noi che vorremmo lavorare per le istituzioni e difendere lo Stato? Abbiamo orari massacranti, turni di otto ore al giorno che spesso diventano dodici. Facciamo anche 120 ore di straordinario, ma ce ne pagano al massimo trenta, a 6 euro e mezzo all’ora, più un buono pasto da 7 euro. Va bene, non ci lamentiamo, è il nostro lavoro. Ma lo vorremmo fare per lo Stato, non per questa vergogna. Vorremmo proteggere le personalità delle istituzioni, non gente che ci fa vergognare davanti al mondo”.

“Comunque non ci lamentiamo del nostro stipendio. Solo ci chiediamo se è giusto che una ragazza giovane e carina senz’altra esperienza politica prenda 15 mila euro al mese, perché è stata fatta diventare consigliere regionale. Il presidente? Con noi è gentile. Qualche volta è venuto a salutarci, a raccontaci qualche barzelletta. Una volta ci ha fatto, ammiccando, una battuta: ‘Eh, beati voi che adesso andate a casa a dormire, a me invece tocca trombare’. Un’altra volta ci ha portato qualche ragazza e ce l’ha presentata. Una notte ci ha mandato una ragazza che ci ha fatto la danza del ventre...”.

“A fine serata riportiamo le personalità a casa. Vediamo alcune ragazze uscire e tornare verso Milano, altre restano nella villa per la notte. Capita che dobbiamo scortare personalità che fanno il giro a riaccompagnare le ragazze nei residence milanesi, alla Torre Velasca o in corso Italia. L’ultima magari se la portano a casa. E noi dobbiamo accompagnare la nostra personalità fino alla porta dell’appartamento: è imbarazzante salire in ascensore con un signore anziano e una ragazzina. Pensiamo alle nostre figlie e diciamo che non ci piace questo mondo. Sarà moralismo, ma non ci piace”.


Da: il Fatto Quotidiano del 2 novembre 2010.

Caso Ruby, decisive le intercettazioni. E adesso B. le vuole cancellare definitivamente. - di Davide Milosa


Le telefonate non potranno essere usate come prova mé dall'accusa né dalla difesa. Questo il progetto del Cavaliere per arginare la frana che sta travolgendo il suo governo

Lui proprio non le sopporta. Vorrebbe cancellarle. Il chiodo è fisso da anni ormai. Nessun segreto. In fondo, Silvio Berlusconi vive le intercettazioni come il peggiore dei mali possibili. Oggi più di ieri. Con il caso Ruby Rubacuori che pesa come un macigno sul su governo. Ma non solo. Anche sulla propria immagine personale ormai al tracollo tra bunga bunga e festini hard conditi con qualche bustina di droga.

E allora, eccolo, ospite all’inaugurazione della fiera milanese sul Ciclo e Motociclo, sciorinare un proposito dopo l’altro. Via libera a brogliacci e tabulati telefonici solo per terrorismo, criminalità organizzata, pedofilia e omicidio. Niente droga, naturalmente. E naturalmente, nisba prostituzione. Ci mancherebbe. Un caso? Mica tanto. Sono proprio le intercettazioni il piatto forte dell’ultimo pasticcio che dalla Questura rimbalza in procura, dove l’affaire Ruby s’impasta con una corposa inchiesta su un giro di escort.

Inchiesta vecchia maniera, si dice. Che parte da informatori, scende in strada con servizi di appostamento e trova conferma in sala d’ascolto. I telefoni subito scottano. Nessuno pensa a essere intercettato. E quindi si parla. Si commenta. Una frase dopo l’altra, una battuta dopo l’altra. Il quadro si compone. Gli investigatori annotano. Compilano informative. Inviano carte in procura. Ecco come si forma il reato. Che da giorni suona così: favoreggiamento alla prostuzione. Sul registro degli indagati ci finiscono Lele Mora, Emilio Fede, e la consigliera regionale Nicole Minetti. Tutti fedelissimi di B. Che ora inizia ad aver paura. Lui, per adesso, resta fuori da ipotesi d’accusa. Ma poco importa. Altre, e forse molto più gravi, sono le sue responsabilità

Imprudenze smascherate proprio dalle intercettazioni. Quegli stessi brogliacci che hanno dato vita alle ultime inchieste su mafia e corruzione in Italia e in Lombardia. E che rimbobamo da tempo sui giornali. Già, perché, da sempre, si inizia a intercettare non per il reato di associazione mafiosa, ma magari, appunto, per traffico di droga o guarda caso per prostituzione o ancora più banalmente per reati finanziari come fatturazioni false e simili.

Ma il Cavaliere non si ferma. Indossa la maschera più seria che conosce e inzia a menar colpi. Sotto ancora con le intercettazioni. Che, dice B., non potranno essere usate come prova né dall’accusa né dalla difesa. Allora perché intercettare? Giusto. Ma con una nota a margine. Per il premier le intercettazioni possono valere ma solo se preventive. Arte in cui sono maestri i servizi segreti. Gli stessi che in ultimo devono rendere conto a chi? Ma sì proprio a lui, Silvio Berlusconi.

Controllo totale, dunque. E bavaglio collettivo. All’indice, manco a farlo apposto, i giornalisti. Per i quali, il Cavaliere immagina un fermo da 3 a 30 giorni da parte del loro quotidiano se solo si azzardano a rendere noto ai cittadini il contenuto delle telefonate. Se fosse così, tutti i pazienti passati per le mani del macellaio Pier Paolo Brega Massone, chirugo della clinica Santa Rita, mai avrebbero saputo il perché di quelle operazioni folli e improvvise, di quei tumori che nascevano senza preavviso, di quei malanni che nonostante la sala operatoria proseguivano. Nel frattempo lui raccontava: “Io pescavo dappertutto, da Lodi, dove tiravo fuori le mammelle, poi ho cominciato a pescare anche i polmoni… dall’Oltre Po pavese, da Pavia, da Milano”. Parole che incastrano e derubricano il tutto a una condanna per 15 anni. Eppure, il Cavaliere palleggia parole in serenità. Dice e conclude: “I giornali vi imbrogliano”.