domenica 21 novembre 2010

Traffico di rifiuti tossici e truffa allo Stato Ecco chi si dimentica del dottor Scotti



L'inchiesta giudiziaria lancia un grave allarme per la salute pubblica. Eppure i grandi quotidiani nazionali relegano la notizia in poche righe. Scelta giornalistica o altro? La risposta, forse, sta ancora una volta nella cronaca. E la cronaca racconta che il dottor Scotti da sempre è uno dei maggiori investitori pubbliciatri.

Chi dimentica il dottor Scotti? Di questi tempi sono in molti. Strano, proprio ora che i grandi quotidiani dovrebbero occuparsene. Senza fare molto di più che una banale cronaca. Raccontando, ad esempio, dell’operazione che il 17 novembre 2010 ha coinvolto sette persone. Tra queste il dottor Giorgio Radice, presidente della Scotti energia spa, uno dei fiori all’occhiello del gruppo ed anche la vera gallina dalle uova d’oro per il patron Angelo Dario Scotti. Eppure non è così. La vicenda è stata relegata in poche righe dal Corriere della Sera, da Repubblica, dalSole 24 ore e dalla Stampa. La cronaca, però, racconta anche che il dottor Scotti da sempre è uno dei maggiori investitori pubblicitari. Milioni di euro ogni anno vengono riversati sulle pagine dei grandi quotidiani. Scelta obbligata, dunque. Della storia non si parla. Anzi no. Della Riso Scotti si può parlare. Lo ha fatto, ad esempio, Repubblica. L’argomento però è un altro. Anche la tempistica è diversa. E ‘ il 5 luglio e il titolo sul giornale è questo. “Scotti dai chicci ai bit: il riso punta al web”.

In realtà l’inchiesta giudiziaria fa emergere responsabilità gravi, anzi gravissime. Anche per questo avrebbero meritato più spazio. Ma andiamo con ordine. Chi indaga (Il Corpo forestale) scopre che per anni, almeno dal 2007 al 2009, nello stabilimento pavese della Scotti energia si brucia di tutto. Anche rifiuti tossici, i cui fumi hanno inquinato il cielo della provincia pavese. Reato grave, dunque. Che diventa gravissimo spulciando l’ordinanza d’arresto nella parte in cui si parla di denaro pubblico (oltre 60 milioni di euro) incassato dal dottor Scotti. Denaro pagato dallo Stato in cambio di energia. Questo il motivo per cui nell’hinterland pavese il gruppo Scotti costruisce un inceneritore. Dentro bisogna bruciarci la lolla, ovvero lo scarto biologico della lavorazione del riso. Questa produce energia che viene poi venduta. Lo Stato la paga a prezzo maggiorato. Con il tempo, però, dentro all’inceneritore ci finisce di tutto. Oltre 33mila tonnelate di rifiuti che provengono da tutta Italia e da ogni tipo d’azienda. Ci sono anche scarti di lavorazioni farmaceutiche. Finisce così che lì dentro si brucia una miscela composta per il 70% da plastica e solo per il 10% da lolla. Il giochetto è semplice: basta falsificare le analisi. Lo strumento si chiama Analytica srl. I due soci sono stati arrestati. Ancora più inquietante, il passaggio dell’inchiesta dalla procura di Pavia a quella antimafia di Milano. Indaga il procuratore Ilda Boccassini , la stessa che il 13 luglio ha assestato un duro colpo alla ‘ndrangheta lombarda. Mafia dunque. Un nome che potrebbe rientrare anche nell’indagine sul dottor Scotti. E si sa, quando i boss trasportano rifiuti, non si tratta certo di terra di coltivo.

L’allarme sociale, dunque, è oggettivo. Qui è in gioco la salute delle persone. Eppure nemmeno questo smuove il Corriere della Sera e Repubblica. Il 18 novembere, il quotidiano di via Solferino confina la notizia in 12 righe nell’edizione nazionale. Pezzo breve affogato a pagina 25. Più spazio nell’edizione locale, dove si dà la notizia e le si affianca un ritratto di Angelo Dario Scotti. Il titolo è un virgolettato che riassume la filosofia del patron. “La bussola dell’azienda è il business pulito”. Due righe in più per Repubblica. Il Sole 24ore, invece, relega la notizia in una breve. La Stampa fa poco di più. Silenzio. La faccenda non stuzzica i vertici delle redazione.

Scelta dubbia. Che un po’ scandalizza scorrendo le pagine dell’inchiesta in cui gli investigatori annotano, impresa per impresa, il materaile che è finito dentro all’inceneritore. Vediamone qualcuno. Partendo, magari, dai 712.640 chili di “rifiuti prodotti dall’estrazione tramite solvente 06″. Tutta monnezza che deriva da una società farmaceutica. E ancora 1.399.910 chili di “fanghi di scarto contenenti carbonato di calcio”. Ma ci sono anche rifiuti da fibre tessili grezze e “fanghi bilogici prodotti dal trattamento di acque reflue industriali”. Tutto questo finisce nell’inceneritore che produce energia. Una colpa divisia a metà. da un lato la Riso scotti energia e dall’altro, annotano gli investigatori, “tutte quelle società che hanno conferito presso la Riso scotti energia rifiuti generati dalla raccolta dei Rs falsificandone il codice di identificazione”. Il tutto “finalizzato a eludere i normali oneri”. Questo è quanto. Non sembra poco. Anzi.



Trattativa Stato-mafia. Amato ''Pressioni dal Viminale per revocare il 41 bis''.


L'ex capo del Dap, parlai con Parisi e Mancino.


di Maria Loi - 20 novembre 2010.


Palermo.
Nel marzo del 1993 suggerì all’ex Guardasigilli Giovanni Conso la revoca del carcere duro per i boss mafiosi detenuti. E’ per spiegare questa sua posizione che l’ex capo del Dap Nicolò Amato, autore di un documento (6 marzo 1993) in cui si pronunciava contro le proroghe del provvedimento carcerario, è stato sentito nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa mafia–Stato dai magistrati della Dda di Palermo.

Interrogato per circa quattro ore, Amato ha riferito che questa linea “più morbida” sul regime carcerario era stata discussa il 12 febbraio 1993 al Viminale durante una riunione del Comitato per l’Ordine e la sicurezza pubblica.
E in quell’occasione il capo della polizia Vincenzo Parisi espresse pesanti riserve sull’eccessiva durezza delle misure carcerarie (41 bis ndr) introdotte d’urgenza tra le stragi di Capaci e via d’Amelio e trasformate in legge dopo l’assassinio del giudice Borsellino.

Amato ha ricordato che, sempre dal Viminale, arrivarono “pressanti insistenze” per la revoca del decreto del carcere duro negli istituti di pena di Secondigliano e Poggioreale.

Si trattò solo di una “discussione politica”, ha fatto sapere l’ex capo del Dap ribadendo che non ci fu nessun legame tra il suo documento e la cosiddetta trattativa.

Nessuna anomalia dunque, secondo Amato, sul suggerimento dato a Conso. A breve anche lui verrà sentito dai pm di Palermo.

Fatto curioso è che a giugno del 1993 Nicolò Amato viene improvvisamente rimosso dalla direzione del Dap e sostituito con Adalberto Capriotti.
Il 16 luglio il ministro Conso firma oltre 240 proroghe di 41 bis per i mafiosi (notificate la notte delle bombe di Roma e Milano).
E tre mesi dopo, il 4 novembre, lo stesso Conso cambia idea decidendo “in assoluta solitudine” di non rinnovare i decreti per 140 mafiosi.
Amato invece torna alla sua professione di avvocato e assume la difesa proprio di Vito Ciancimino.
A tirarlo in ballo è Massimo Ciancimino che ha dichiarato ai magistrati palermitani in corso di interrogatorio che l’ex direttore delle carceri, venne segnalato come difensore di suo padre dal generale Mario Mori.
“All’epoca mio padre era in carcere e il nome del legale da nominare lo fece Mori a me e all’avvocato Ghiron”.
Siamo nel giugno 1993, quando Amato non era più direttore del Dap e l’ex sindaco di Palermo era detenuto.
“Ricordo che andavo spesso nello studio dell'avvocato Amato – ha concluso il figlio di Don Vito –, per consegnare o prendere delle buste chiuse”.
Amato ha replicato alle accuse del figlio di don Vito annunciando querela.




Senza titolo.


Così lo Stato scippa i fondi no profit.


In Finanziaria tagli per gli enti benefici. Il 5 per mille ormai non esiste più, il cittadino italiano può liberamente disporre, al massimo, dell’1,25. Il resto se lo prende il governo

E tu a chi lo dai il tuo 1,25 per mille? Con la nuova legge di stabilità bisogna aggiornare il lessico sociale: il 5 per mille ormai non esiste più, il cittadino italiano può liberamente disporre – al massimo – dell’1,25. Il resto se lo prende il governo. Nella prima bozza della Finanziaria era stata abolita in tronco la possibilità per ogni contribuente di devolvere una piccola parte del gettito fiscale a enti no profit. Ora l’esecutivo ha deciso di reinserire l’opzione ma con un tetto fisso: 100 milioni di euro contro i 400 degli anni passati. “Il problema sta innanzitutto nella norma” spiega Marco Granelli, presidente delCoordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato.

Il tetto massimo di 100 milioni

Il 5 per mille nacque nel 2006 come singolo articolo da inserire in Finanziaria. Non è quindi una legge dello Stato, ma un dispositivo che ogni anno viene rimaneggiato. Fino al 2010, lottando e vigilando, le onlus hanno ottenuto il rinnovo e una fedele rispondenza tra somme raccolte e denaro materialmente devoluto. A luglio il governo aveva cancellato in blocco il dispositivo, salvo reintegrarlo ora ma con un tetto massimo di 100 milioni. Il resto delle cifre devolute a maggio dai contribuenti lo gestirà il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, come meglio crede. E non possiamo fare nulla, non c’è una norma da impugnare, una legge cui far riferimento. Semplicemente dobbiamo subire la decisione: noi associazioni così come i contribuenti”.

In pratica saranno le associazioni di volontariato, i centri di ricerca e gli enti no profit (oltre 55 mila quelli accreditati) a procurare denaro allo Stato. Perché finora gli italiani hanno assegnato circa 400 milioni di euro ogni anno tramite il 5 per mille: stavolta invece i 15 milioni di contribuenti (dato 2008) saranno traditi diventando finanziatori involontari di altre politiche governative. Per chi dovrà spartirsi il poco rimasto, sarà guerra tra poveri. Per fare un esempio, la scelta che si pone è questa: o tutti i soldi del 2010 andranno ad Airc, Emergency e Medici senza frontiere (che di solito incassano rispettivamente 70, 10 e 9 milioni ciascuno) oppure tutti gli enti dovranno ricevere una cifra decurtata del 75 per cento.

“Provocazione inaccettabile” dice Michele Mangano, presidente nazionale
Auser, associazione che si occupa di anziani. In questa manovra non ci sono scelte anticicliche e risorse da destinare alla ripresa del lavoro o per i settori produttivi, mentre persiste l’attacco ai diritti universali: istruzione pubblica, cultura, assistenza”.

Spariscono i fondi per il sociale

Il guaio è che con queste cifre sarà impossibile mantenere il livello di servizio garantito fin qui dal mondo no profit. Specie nei settori più delicati. Quest’anno, 5 per mille a parte, il taglio drammatico è stato fatto all’insieme dei fondi per il sociale: un miliardo e mezzo di euro la cifra stanziata per il 2010, 350 milioni per il 2011. “Praticamente sono rimaste le briciole” ha detto Rosi Bindi, mentre c’è chi fa notare come la situazione rischi di diventare pesantissima non solo per gli assistiti ma per gli stessi operatori del settore. Giuseppe Guerini, presidente di
Federsolidarietà, lancia l’allarme: “Gli effetti sull’occupazione saranno inevitabili, soprattutto sul lungo periodo. Non vorrei che a fronte di qualche risparmio immediato sulle politiche sociali ci fossero maggiori spese per la cassa integrazione. Oltre la beffa il danno”.

Il Pdl Maurizio Lupi, storico sostenitore del 5 per mille, ha solennemente promesso di attivarsi presso il ministro Tremonti per far rivivere il 5 per mille il prossimo aprile. “Speriamo – conclude Granelli – intanto chiediamo a tutti di firmare l’appello (su www.csvnet.it) per una modifica immediata del provvedimento. Anche perché al Senato esiste già da giugno 2009 una legge per stabilizzare il 5 per mille. E’ già passata in commissione legislativa, basterebbe un ok. Sa da che è bloccata? Mancanza di copertura finanziaria. Ma se si paga da sola! La verità è che nessun governo vuole preventivamente blindare una quota fissa dei tributi. Tenersi la mani libere è molto più comodo”.