domenica 19 dicembre 2010

Studenti, Gasparri: “Servono arresti preventivi”.




”Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara, qui ci vuole un Sette aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 in cui furono arrestati tanti capi dell’estrema sinistra collusi con il terrorismo. Qui serve una vasta e decisa azione preventiva”. Maurizio Gasparri ha le idee chiare, ma la memoria corta. Il sette aprile del 1979 (e non del 1978, come afferma il capogruppo al Senato del Pdl) fu il giorno dell’arresto dei “cattivi maestri” di Potere Operaio e Autonomia Operaia. Toni Negri, Oreste Scalzone, Emilio Vesce, Luciano Ferrari Bravo, Franco Piperno. Sono gli intellettuali più in vista della sinistra extra-parlamentare di quegli anni. Provengono dalle università, hanno un seguito negli studenti. Tutti sono accusati di associazione sovversiva e insurrezione armata contro lo Stato. Aldo Moro è morto da un anno, il 9 aprile del 1978, il suo corpo riverso nella Renault 4 rossa, e gli arrestati vengono coinvolti – salvo poi essere completamente scagionati nel 1980 – anche in quell’evento, apice e inizio del declino della stagione terroristica che finirà con il sangue di Vittorio Bachelet, ucciso il 12 febbraio del 1980.

Dal teorema Calogero – dal nome di Pietro Calogero, il magistrato che ordinò gli arresti – al teorema Gasparri sono passati 31 anni. Nel frattempo le ideologie che ispirarono quella stagione sono morte o divenute residuali, eppure l’ex ministro identifica con chiarezza i mandanti: “Si sa – dice Gasparri – chi c’è dietro la violenza scoppiata a Roma. Tutti i centri sociali i cui nomi sono ben noti città per città. La sinistra, per coprire i violenti, ha mentito parlando di infiltrati. Bugie. Per non far vivere all’Italia nuove stagioni di terrore occorre agire con immediatezza. Chi protesta in modo pacifico e democratico va diviso dai vasti gruppi di violenti criminali che costellano l’area della sinistra. Solo un deciso intervento può difendere l’Italia”.

Sono dichiarazioni che fanno il paio con quelle del ministro dell’Interno Maroni, che ancora ieri era tornato a chiedere di estendere l’applicazione del Daspo, il divieto di partecipazione, dagli eventi sportivi alle manifestazioni di piazza. Come se in un corteo di centinaia di migliaia di persone fosse possibile mettere un biglietto e dei tornelli. E infatti le parole di Gasparri sono accolte da un coro di repliche indignate. Dall’Idv, che consiglia all’ex-ministro un po’ “di ripetizioni di storia”, al segretario di Sel, Nichi Vendola, che ne denuncia l’attitudine “fascista”. Persino La Russa, dopo le intemperanze di pochi giorni fa, stempera le parole dell’ex camerata missino dicendo: “Penso che Gasparri voglia dire che se ci sono delle responsabilità penali, non bisogna avere tolleranza per nessuno. Non credo proprio che invochi leggi speciali, lo conosco bene a Gasparri”.

Come che sia, davvero i toni di questo 2010 sono i toni della stagione 1978-1979? Davvero il terrorismo rosso è tornato a bussare alla cronaca di questi anni? Davvero i centri sociali sono in grado di portare 100mila persone in piazza e trasformarle in pericolosi rivoluzionari? Anche solo a guardare i numeri verrebbe da dire di no. Solo nel 1977, ad esempio, furono contati 2178 atti terroristici, tra attentati, molotov, scontri di piazza, sequestri, sparatorie, gambizzamenti. Quanti nel 2010?

Questo non significa sottovalutare la violenza, ma isolare la propaganda dai dati di fatto. Uno su tutti: la protesta nata contro il disegno di legge Gelmini e sfociata nelle manifestazioni di Roma di martedì scorso è figlia del distacco e dell’esclusione dalla politica molto più che della partecipazione, è rivolta e non rivoluzione. Come ha scritto Barbara Spinelli su questo giornale: “Sono un po’ stanca di sentire ricordati gli anni 70 e anche della frase “bisogna stare in guardia”. Dire “tutte le istituzioni facciano muro” significa solo che salta la pluralità delle istituzioni. Che tutte devono rispondere al comando di un unico capo. È la logica di un paese in guerra. Fare muro è un giudizio negativo sulla magistratura che ha appena scarcerato i giovani”. Di più, portare tutto il peso sull’ordine pubblico, significa “non voler risolvere i problemi”, ma evitare “solo che la vetrina sia rotta. Questo non è governare – aggiunge Spinelli – è la risposta per ottenere una buona reazione da un eventuale sondaggio. Anche quella dei politici che si sottraggono al confronto è violenza”.

Nella logica di nascondere i sintomi piuttosto che curare la malattia, insomma, i Gasparri e i La Russa impegnati nell’identificazione dei colpevoli insieme ai Maroni e gli Alfano che chiedono punizioni esemplari, contribuiscono al “muro contro muro” di matrice elettorale molto più di quanto scongiurano nuovi scontri. Per dirla ancora con Spinelli: “Oggi c’è una forma di ghettizzazione: è come se una generazione intera fosse chiamata negra. I luoghi cui accedono i politici devono accogliere anche i giovani, gli stessi che avranno come pensione 360 euro al mese. Penso alla tv, per esempio. E poi non ci devono essere restrizioni di manifestazione del pensiero sul web. I politici devono cominciare ad ascoltare, perché non sono di fronte a terroristi. Penso alle dichiarazioni dei giovani nella rivolta delle banlieue parigine. Dicevano in tv: “Noi non riusciamo a parlare”.

Del resto, che la protesta non abbia una voce, ma nemmeno una guida e una regia è stato evidente anche nel suo svolgimento proprio martedì. Prendiamo l’esempio di Cristiano, il ragazzo di 15 anni che si è trovato una frattura al setto nasale, un ematoma e un trauma cranico per avere lanciato una mela all’indirizzo degli agenti, colpito al volto dal casco di un altro manifestante. Paragoniamo questa scena ai cortei della Fiom e della Cgil – ecco la politica in piazza – con i suoi servizi d’ordine interni, organizzati ed efficienti. Oppure i fotogrammi di un manifestante armato di un bastone che si scaglia da solo contro un agente. Uno o due colpi dà, cento ne prende, prima di essere sopraffatto da una decina di agenti che lo manganellano a terra. Non è un eroe e certamente va “condannato”, ma di sicuro le sue azioni somigliano più alla rabbia cieca di un disperato senza futuro che alla logica dell’agguato delle Br. Con buona pace del teorema Gasparri.

Lega, sicurezza: finiscono i soldi, scompare il problema.



Nel bilancio della regione Veneto la sicurezza scompare dai capitoli di spesa. Emergenza finita? Per i politici sì, ma in realtà sono i soldi ad essere finiti

Nella patria dei sindaci sceriffi, delle ronde, delle campagne elettorali passate più a parlare di immigrati che di politica, la sicurezza non è più un problema. Almeno, non lo è per la Lega. Siamo in Veneto e, dopo l’approvazione di un bilancio “lacrime e sangue”, come l’ha definito il governatore (leghista) Luca Zaia, che assegna zero euro al tema della sicurezza, a dare l’annuncio di un problema che non esiste più è il capo del partito, la Liga Veneta, Gian Paolo Gobbo, ascoltato come un vate in Nordest e secondo per preferenze (quando c’erano) solo aUmberto Bossi.

“Soldi non ce ne sono”, ha detto Gobbo. “La madre di tutto è il federalismo e tutto il resto va da sé, per cui si cerca di fare il meglio con quello che si ha. Non so se verranno tempi migliori, ma oggi come oggi la situazione è questa. Per cui quello che si può fare, si fa. Per il resto invece, se non ce n’è, non ce n’è. Sociale e sanità sono stati salvaguardati e credo che già questo sia molto importante. Dopodiché evidentemente la sicurezza non è più un’emergenza in Veneto”.

Un cambio storico per la Lega. Difficile, nella prossima campagna elettorale, continuare a stuzzicare gli umori col problema della sicurezza, con questi immigrati che rubano e sono un peso per la società. E singolare è che a dirlo sia proprio Gobbo che, per colpa dei “ladri” venuti da lontano ha sulle spalle un’imputazione per banda armata. Ma Gobo non è il solo. Gobbo, a gennaio è stato rinviato a giudizio insieme a 36 militanti e esponenti della Lega Nord nell’inchiesta della procura della Repubblica di Verona riguardo le Camicie Verdi e la Guardia Nazionale Padana. L’inchiesta è stata avviata per indagare su fatti risalenti al periodo 1996/97, secondo l’accusa quella delle Camicie Verdi sarebbe stata un’associazione a carattere militare e quella cosa chiamata Guardia nazionale padana sarebbe stata istituita con il solo scopo di organizzare la secessione del Nord dal resto d’Italia”. Ma i 36 della Lega probabilmente non verranno mai condannati, visto che dallo scorso 9 ottobre il reato di banda armata è stato depenalizzato. Se Gobbo lascia un piccolo margine d’interpretazione alle sue parole (“evidentemente non è più un problema”) è molto più esplicito Gianpaolo Vallardi, il leghista che i pattugliamenti dei cittadini se li è praticamente inventati: “La sicurezza per noi sarà sempre uno dei temi principali. Ma dopo due anni di governo Berlusconi possiamo dire che il Veneto adesso vive una situazione felice”.

Tutti parlano, nessuno presenta dati credibili. Ma è politica, of course. Sicuramente la Lega, “il partito della gente”, non ha fatto i conti con quello che ha detto l’Istat dieci giorni fa durante la presentazione del rapporto su “Reati, vittime e percezione della sicurezza”, secondo cui è diminuito negli ultimi anni il numero di italiani che si sentono “molto sicuri”, e le zone di maggiore criticità risultano Campania, Lazio e Puglia al sud e, appunto, il Veneto per le regioni del nord. “Nel territorio”, spiega l’Istat, “emergono alcuni luoghi di maggiore criticità: la Campania, il Lazio e la Puglia si posizionano sempre nei livelli più alti della graduatoria sia rispetto ai reati subiti, che al timore di subirli nonché in relazione alla percezione di insicurezza e al degrado della zona.

Tra le regioni del nord invece è il Veneto a mostrare i “livelli più elevati di paura tra i cittadini“. I reati per cui è cresciuta la preoccupazione sono rapine e aggressioni, scippi e borseggi, e soprattutto le violenze sessuali, di cui ha paura più del 50% delle donne. E’ cresciuta l’influenza della criminalità sulle abitudini di vita, salita dal 46,3% al 48,5%. Tra i cambiamenti di questi anni, il miglioramento del giudizio sul lavoro delle forze dell’ordine, apprezzate in egual misura da nord a sud. Di conseguenza, se ne deduce, che non siano le ronde a risolvere i problemi né Berlusconi con la bacchetta magica, ma forze qualche merito ce l’hanno le forze dell’ordine, nonostante anche loro siano alla canna del gas e in aperta contestazione di questo governo. E comunque la percezione della sicurezza in Veneto è un problema che rimane serio.

D’altronde Zaia è stato chiaro fin dall’inizio nel presentare il bilancio ai suoi alleati: “Soldi non ce ne sono, riduciamo tutto, ma la sanità non si tocca. La Sicurezza, che ha anche un assessorato, avrebbe dovuto prendere qualche fondo in meno, ma alla fine, con una coperta corta, è finita a zero euro. E come per magia si è risolto il problema.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/19/la-lega-e-il-problema-sicurezza-irrisolto/82782/


La Lega pronta a staccare la spina.


Approvato l'ultimo decreto legislativo alla legge delega il Carroccio invoca le urne: ci sono timori per il passaggio in commissione bicamerale dove la maggioranza non c'è più. Meglio le elezioni per tornare al governo in tempo per il via libero definitivo

“Abbiamo perso tempo, sono tre mesi che dico di andare al voto”. A meno di 24 ore dall’approvazione da parte del Consiglio dei ministri dell’ultimo dei decreti legislativi per il federalismo, la Lega torna a invocare con forza le elezioni anticipate. Umberto Bossi si rimangia anche l’apertura all’ingresso dell’Udc nell’attuale maggioranza, passando dal “nessun veto da parte nostra” di martedì al “non si fa entrare chi ti vuole morto” di oggi. E boccia anche l’ipotesi dell’arrivo dei deputati di salvataggio dei finiani delusi che corrono in soccorso del governo. “Non vedo nuove alleanze che si stanno costruendo”, dice il Senatur. “C’è il rischio di instabilità più che di una stabilità”. La soluzione è il voto anticipato.

La Lega ha atteso fin troppo. E’ da giugno che invoca le elezioni. Ha aspettato la fiducia ai cinque punti programmatici di fine settembre prima e quella al governo, il 14 dicembre. Prove superate, ma con margini sempre minori. Ora, incassato il sì definitivo all’ultimo degli otto decreti, vede la strada spianata al federalismo. Rimane l’ultimo passaggio: i pareri delle commissioni, in particolare la commissione bicamerale presieduta da Enrico La Loggia che deve esprimersi sul federalismo fiscale. Commissione in cui la maggioranza è scesa a 14 componenti contro i 16 dell’opposizione. Equilibrio che è cambiato dopo la nascita di Fli in cui è confluito Mario Baldassarri, componente della commissione. E Baldassarri ha già più volte espresso le sue perplessità. “Voglio che le cose siano fatte per bene e su questo decreto qualcosa non mi torna”, ha ripetuto anche ieri dopo il consiglio dei ministri.

I pareri non sono vincolanti ma, da procedura parlamentare, nel caso in cui il rilievo fosse negativo l’esecutivo dovrebbe adeguarsi. Il governo può anche non tenerne conto ma deve presentarsi in parlamento per giustificare la decisione di non allinearsi con le indicazioni della commissione. In entrambi i casi ci sarebbe un aggravamento di tempo. E di tempo non ce n’è, visto che la legge delega per il federalismo scade il 31 maggio 2011. Termine che può essere prorogato, ma per farlo serve una legge parlamentare. Strada difficile da percorrere oggi, con una maggioranza di appena tre deputati a Montecitorio.

“Il problema è a livello politico, il consiglio dei ministri ha approvato tutti gli otto decreti in via definitiva ora ci sono i pareri parlamentari ed è un passaggio molto delicato”. A spiegarlo è Luca Antonini, ordinario di diritto costituzionale all’università di Padova, presidente della commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e super esperto della legge. Antonini è stato il braccio destro di Roberto Calderoli nella stesura del testo. In casa Lega è considerato il professore della materia, dopo il ministro delle riforme ovviamente. “Il problema è tutto politico, se cadesse il governo l’esame può andare avanti anche a Camere sciolte ma i rischi sono alti. Fino a ora abbiamo fatto un lavoro enorme, raccogliendo solo pareri positivi ma con questi equilibri instabili è difficile prevedere cosa accadrà”. Quindi “anche se sarebbe meglio portare a casa tutto subito – aggiunge Antonini – per valutazioni politiche” i leader del Carroccio spingono per il voto. Per tornare al governo con una maggioranza più ampia dell’attuale.

Bossi è convinto di stravincere, lo ripete da giugno e sa che il Carroccio farebbe un notevole balzo in avanti. Non solo al nord, tanto che in estate ha lanciato l’avanzata nelle regioni del centro. Con le elezioni in primavera il nuovo governo può insediarsi prima del 31 maggio 2011, in tempo per approvare senza nessun problema la proroga della legge delega. Queste le “valutazioni politiche” di via Bellerio. Così i tre ministri leghisti oggi hanno invocato le urne. In un crescendo di dichiarazioni aperto da Calderoli, in mattinata. “Se dovessero arrivare altre adesioni” al governo “saranno benvenute, altrimenti c’è solo il voto”. Poi è stata la volta del titolare dell’Interno,Roberto Maroni, più stringente. “In assenza di una maggioranza forte è meglio andare al voto”. Infine la sintesi di Bossi: “Sono tre mesi che dico che l’unica igiene è andare al voto”. E la crisi economica, sbandierata dal premier come spauracchio contro chi vuole le elezioni anticipate, per Bossi “è soltanto un alibi”. Del resto il federalismo ormai, scriveva stamani La Padania, “è cosa fatta”. Per Calderoli è “il più bel regalo di natale che si potesse fare al paese”. Ora dunque si può pensare alla elezioni, così da festeggiarle a pasqua.