giovedì 24 febbraio 2011

L'Italia è il principale partner militare di Gheddafi.


Le armi italiane potrebbero fare strage in Libia: è ora di intervenire

La rivolta libica
La rivolta libica
Le armi fornite dall'Italia al Colonnello Gheddafi in questi ultimi anni (in particolare elicotteri e aeromobili, bombe, razzi e missili) sono forse state in prima linea nella sanguinosa repressione di questi giorni della popolazione civile libica, che sta protestando pacificamente contro il regime. Basterebbe questo a dare forza alla richiesta di sospensione di ogni forma di fornitura di armamenti e di cooperazione militare col governo libico che la Rete Italiana per il Disarmo (coordinamento che raccoglie oltre 30 organismi italiani impegnati sul tema del controllo degli armamenti) e la Tavola della Pace rivolgono in queste ore concitate e dolorose al Parlamento e al Governo italiano.

L’Italia è il principale fornitore di armi alla Libia: al regime di Tripoli sono stati vendute diverse tipologie di armamento (aerei e veicoli terrestri, sistemi missilistici e sistemi di protezione e sicurezza) per un mercato di 93 milioni di euro nel 2008 e 112 milioni nel 2009. Un vero e proprio boom degli ultimi due anni favorito dalla firma del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” avvenuta nel 2008.

"I funzionari di Governo italiani che abbiamo incontrato negli ultimi anni ci hanno sempre assicurato che le tipologie dei sistemi d’arma venduti in giro per il mondo non potevano essere usati per violare i diritti umani - dice Francesco Vignarca, coordinatore della Rete. Ma le notizie degli ultimi giorni ci dimostrano come le repressioni di piazza si possono condurre anche con raid aerei contro i manifestanti. Una notizia che, se poi si confermasse l'uso di armamenti made in Italy, darebbe ancora più valore a quanto diciamo da tempo: una buona parte dell'export militare italiano è contrario alla nostra legge (la 185 del 1990) perché non tiene conto come prescritto delle possibili violazioni di diritti umani e dei grandi squilibri sociali che tali acquisti, con il loro impatto milionario, inducono nei paesi compratori delle nostre armi”.

"Non riesco a sopportare l’idea che armi italiane stiano facendo strage di civili in Libia” ha dichiarato Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace. “Così come non posso sopportare l’idea che l’Italia continui a sostenere anche in queste ore il regime di Gheddafi. C’è da vergognarsi. Ci vuole un sussulto di dignità. Basta con il silenzio e le complicità dell’Italia. Questo è il momento di rompere con il passato. Noi chiediamo al Parlamento di compiere un gesto chiaro e immediato: imporre il blocco della vendita delle armi e la sospensione di ogni forma di cooperazione militare con la Libia e con i paesi che non rispettano il diritto di manifestare liberamente e pacificamente.”

Le richieste dei due organismi italiani si uniscono ad altre autorevoli voci che hanno già interpellato in merito il nostro Governo, come quella del Segretario Generale di Amnesty International Salil Shetty che ieri ha scritto al Presidente del Consiglio Berlusconi e ai ministri Frattini e Maroni chiedendo "la sospensione della fornitura di armi, munizioni e veicoli blindati alla Libia fino a quando non sarà cessato completamente il rischio di violazioni dei diritti umani".

Gli interessi italiani e in particolare di Finmeccanica (il cui secondo azionista è proprio la Lybian Investment Authority) hanno sicuramente frenato in questi giorni l'azione diplomatica dell'esecutivo italiano ed in particolare del Ministro degli Esteri, Franco Frattini. “Le possibili violazioni delle prescrizioni di legge (se si guarda alla sostanza delle questioni, non alla forma sicuramente rispettata) configurano un grosso problema etico e morale per il Governo Italiano – afferma Giorgio Beretta esperto di commercio di armi della Rete Italiana per il Disarmo - che non a caso è l'unico a non essersi espresso per una sospensione delle forniture militari come invece fatto nei giorni scorsi da Francia, Germania e Regno Unito nei confronti di diversi paesi della turbolenta area mediterranea tra cui la Libia.

Che il ministro degli Esteri italiano sia all’oscuro delle dichiarazioni dei suoi colleghi? O forse non sa che sia la legge italiana che la Posizione Comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e di rifiutare le esportazioni di armamenti qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna?”.

In realtà non tutto il Governo italiano è inattivo in questi giorni: mentre la repressione del regime libico si abbatte sulla popolazione, con probabile uso di armamenti italiani, il nostro Ministro della Difesa Ignazio La Russa si trova ad Abu Dhabi per partecipare alla locale fiera di armamenti (Idex 2011), nella quale i nostri esponenti di governo puntano a far confermare la nostra industria militare tra quelle leader a livello mondiale. Come si fa a spacciare la vendita dei sistemi d'arma come un simbolo di “vitalità del nostro Paese che riesce a portare con successo, ovunque nel mondo, i frutti della propria inventiva e laboriosità”.

Tavola della Pace e Rete Italiana per il Disarmo hanno già chiesto nei giorni scorsi la cessazione di ogni sostegno politico-militare verso Algeria, Egitto e Tunisia e a maggior ragione vista la situazione attuale in Libia richiedono con forza al Governo e al Parlamento italiano, oltre al congelamento di ogni collaborazione sul piano commerciale-militare con il regime di Gheddafi un deciso orientamento a favore di una restrizione e maggior controllo dell’export bellico italiano per evitare l'uso di tali armi per la repressione del dissenso in qualsiasi teatro di conflitto mondiale.

*Rete Disarmo e Tavola della Pace



Nessun commento:

Posta un commento