giovedì 23 giugno 2011

La supercassoela (Marco Travaglio).

Sarebbe facile infierire sul Museo Lombroso padano color pisello che domenica sgomitava sul palco di Pontida ornato di gerani e begonie. Ma è più interessante occuparsi di chi stava sotto quel palco: 50, forse 80 mila (secondo gli organizzatori) simpatici beoti che, a parte la fatica immane di decrittare i suoni gutturali del Senatur improvvidamente non sottotitolato, si bevevano tutto senza fiatare e si scorticavano le mani qualunque cosa uscisse dalla sua bocca. Intendiamoci: nei primi 5-6 anni di vita, la Lega Nord ha svolto un ruolo positivo nella politica italiana. Senza Bossi e i suoi, nel ’92 il pool Mani Pulite sarebbe stato trasferito in blocco in Barbagia o impiombato in un viadotto di cemento armato della Salerno-Reggio.

E il primo governo B. non sarebbe caduto dopo soli 8 mesi, dunque nel ’96 Prodi non avrebbe vinto e nel ’98 l’Italia non avrebbe agganciato in extremis il treno europeo salvandosi da sicura rovina. Da allora però la Lega ha perso qualunque ragione di esistere e Bossi ha supplito al vuoto pneumatico di funzione storica con una supercàzzola (in padano, supercassoela) dopo l’altra. L’ampolla del dio Po, il Va’ pensiero al posto dell’Inno di Mameli, il tricolore per pulirsi il culo, le macroregioni (prima tre poi quattro, poi cinque: chi offre di più?), la secessione, la devolution, la Guardia Padana, il Parlamento della Padania, il Procuratore della Padania (il siciliano Brigandì), i magistrati padani eletti dal popolo padano, gl’insegnanti padani per erudire i pupi sui dialetti padani, le scuole col Sole delle Alpi, le nozze celtiche, l’amico Milosevic, l’amico Saddam, i 300 mila padani armati pronti marciare su Roma, le banche padane (capitanate dall’ottimo Fiorani), il culto della Malpensa cioè l’aeroporto di Sesto Calende spacciato per l’ombelico d’Europa, le frontiere da chiudere contro l’invasione albanese, poi cinese, poi islamica, i dazi anti-Cina, Bin Laden travestito da imam di Gallarate, l’imam di Gallarate travestito da Tettamanzi, l’uscita dall’euro per tornare al tallero, le vacche padane contro le quote latte. Roba che doveva far ridere anche i polli padani e invece veniva presa terribilmente sul serio dal ceto politico e dalla stampa al seguito. Intanto la Lega, da movimento rivoluzionario, diventava la guardia repubblicana del berlusconismo e, per farsi digerire dal popolo padano, evocava attese messianiche in vista di una sempre nuova Ora X che i dirigenti speravano non arrivasse mai, per non dover scoprire il bluff. Poi, purtroppo per loro, l’Ora X è scoccata: una classe politica di dementi ha fatto passare il federalismo fiscale e ora se ne assaggiano i primi balsamici effetti: i comuni, affamati dall’abolizione dell’unica tassa federale (l’Ici), s’affrettano a gonfiare le addizionali Irpef. Urgono nuove supercàzzole per spostare la nuova frontiera un po’ più in là. Ed ecco la data di scadenza alla guerra in Libia (perché – rivela Bossi – “quelle che chiamano missioni di pace sono guerre!”: ma va? E chi ha votato le guerre travestite da pace in Afghanistan e in Iraq?). I ministeri al Nord. Il taglio delle tasse. E naturalmente dei “costi della politica”, perché “non è giusto che li paghino i cittadini”. Bene bravo bis. Il popolo padano sul pratone, sempre in attesa dei sottotitoli, si scortica le mani a furia di applausi, sulla fiducia. A nessuno viene in mente di domandare: e poi chi lo paga il Trota? Nessuno pensa che quei furbacchioni sul palco campano e ingrassano grazie ai “rimborsi elettorali” moltiplicati per 11 in 10 anni grazie ai voti della Lega; alle province inutili che costano 17 miliardi l’anno; o alle consulenze facili del ministro Castelli (condannato dalla Corte dei conti a rifondere il maltolto), che si circondava di dirigenti come Alfonso Papa, parte padano e partenopeo. Bossi, poveretto, ha già tanti guai: altrimenti verrebbe da augurargli che esistano davvero, i 300 mila padani armati. Perché se esistessero, non marcerebbero più su Roma. Ma su Pontida e dintorni. Per farsi restituire i soldi, i danè, gli schei. Anzi, i talleri.


Da Il Fatto Quotidiano del 21/06/2011.



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