martedì 19 luglio 2011

Manovra ok, Silvio ko. - di Marco Damilano


Passato il pacchetto Tremonti, finisce la tregua che la settimana scorsa ha tenuto insieme la maggioranza. Ora a rischiare il default è Berlusconi, mai debole come in questi giorni. E per lui si parla di un 'salvacondotto'.

Fino a che punto possono spingersi le larghe intese? In tempi di assalto della speculazione internazionale, di crisi di governo strisciante, di inchieste giudiziarie che fanno tremare il Palazzo, la ricerca spasmodica di inedite alleanze e di nuove protezioni può espandersi fino a diventare intese larghissime, onnicomprensive, a comprendere personaggi, settori, ambienti che in situazioni di normalità sarebbero inconciliabili. Per accorgersene bastava capitare domenica scorsa a Spoleto, all'Eremo delle Grazie, in occasione della cene finale del festival dei Due mondi, con l'orchestra del teatro San Carlo di Napoli in trasferta e un bel pezzo della città che conta ad accompagnarla. E osservare i commensali del tavolo d'onore, curato personalmente dal commissario del San Carlo Salvo Nastasi, che è anche capo di gabinetto del ministro della Cultura e devoto di Gianni Letta. Ed ecco, sorpresa, seduti uno accanto all'altro, di fronte al sindaco Luigi De Magistris, il sottosegretario Letta e il procuratore capo di Napoli Giandomenico Lepore, guida della procura più temuta e più incontrollabile d'Italia, da cui passano le inchieste sulla P4 e sul braccio destro di Giulio Tremonti, Marco Milanese. Al tavolo accanto, il pm Francesco Curcio, titolare dell'inchiesta sul grande amico di Letta, Luigi Bisignani. Tutti insieme, intenti a elogiare il menù tricolore, in onore dei 150 anni dell'Unità nazionale.

Massì, stringiamoci a coorte o almeno al desco e viva l'Italia, in questa settimana di paura, con il terrore del default che fa il miracolo, il Parlamento che vota in quattro giorni la manovra finanziaria, con l'intera opposizione Pd-Udc-Idv disposta ad accelerare i tempi di approvazione e con il ministro Tremonti che ne loda il senso dello Stato, unico precedente possibile la giornata più drammatica della storia repubblicana, il 16 marzo 1978, quando dopo il rapimento di Aldo Moro le Camere votarono in un pomeriggio la fiducia al governo presieduto da Giulio Andreotti.

Ma qui finiscono le somiglianze: perché nessuna unità nazionale è possibile attorno all'uomo del Crack, Silvio Berlusconi. E infatti nella stretta decisiva di lunedì 11 luglio, con la Borsa di Milano che si inabissava al meno 4 per cento, il premier si chiudeva nel silenzio e faceva perdere le tracce, impegnato probabilmente in una riunione familiare per decidere la strategia da adottare sul risarcimento di 560 milioni di euro da consegnare alla Cir di Carlo De Benedetti dopo la sentenza di Milano sul lodo Mondadori. E in assenza del presidente del Consiglio il governo della crisi finanziaria passava nelle mani del Quirinale, da Giorgio Napolitano, in collegamento con Letta a Palazzo Chigi.

Con le opposizioni, a partire dal Pd di Pier Luigi Bersani e dall'Udc di Pier Ferdinando Casini, avvistato nei giorni successivi a braccetto con Antonio Di Pietro in pieno Transatlantico, a dare il via libera per l'approvazione a tempo record, sia pure continuando a votare contro. "Se non lo avessimo fatto", ragiona il bersaniano Andrea Orlando, "Berlusconi avrebbe rovesciato addosso a noi la responsabilità della speculazione. Dopo l'approvazione della manovra, però, dovremo riprendere ad alzare la voce".

La voglia di unità nazionale provocata dagli attacchi in Borsa mal si concilia con un quadro politico sempre più sfilacciato. La tregua sembra destinata a durare il tempo di dare ai mercati l'impressione di un Paese compatto: una volta passata la manovra in Parlamento la tensione è destinata a risalire. Nel mirino, più di tutti, c'è Giulio Tremonti. Isolato nella maggioranza, abbandonato dalla Lega, sfiorato dall'inchiesta giudiziaria che coinvolge pesantemente il suo uomo di fiducia Marco Milanese. Sull'orlo di una crisi di nervi, al punto di sentire il dovere di scusarsi con i senatori dell'opposizione a Palazzo Madama: "Non dormo da due giorni". Difficile che il ministro possa tornare a sonni tranquilli nei prossimi giorni. Dopo la tempesta economica sta per abbattersi su di lui quella politico-giudiziaria. "Prima si diceva che i mercati crollavano perché Tremonti minacciava di dimettersi. Ora si afferma che i mercati vanno giù perché Tremonti minaccia di restare", sintetizza un deputato della maggioranza. "Su Tremonti noi del Pd non abbiamo detto una parola per senso di responsabilità. Ma ora bisognerà prendere posizione", avverte Orlando. Angosciante lo spettacolo che arriva dall'inchiesta di Napoli: il potente ministro dell'Economia racconta ai pm di un tentativo di intimidazione ai suoi danni organizzato all'interno della maggioranza e del governo ("Dissi a Berlusconi di essere refrattario al metodo Boffo"), descrive la trama di un complotto ai suoi danni che parte dal Pdl e da Palazzo Chigi. Mentre nel gruppo parlamentare azzurro già calcolano a decine i colleghi pronti a votare per l'arresto di Milanese quando la richiesta arriverà in aula.



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