giovedì 18 agosto 2011

P3, un testimone: “Negli anni ’90 maxi investimento di Carboni con la garanzia di B.” - di Rita Di Giovacchino.


Nelle carte della P3 il racconto dell'avvocato Stefano Gullo, classe 1923, autore di un "affidavit" pro Sindona e amico di Giulio Andreotti: "In cambio di un miliardo ricevetti soldi mai incassati, uno era firmato 'B.'"

Flavio Carboni

Dalle carte della P3 emerge un pezzo del passato che riporta agli investimenti in Sardegna di Silvio Berlusconi, ancora rampante imprenditore, e all’aiuto offerto dall’amico Flavio Carboni, procacciatore di affari già coinvolto nel crack dell’Ambrosiano. Anche lui più giovane, non ancora indagato per l’omicidio Calvi, da cui sarà assolto, ma già protagonista della fuga a Londra dove lo accompagnò vivo e tornò con una borsa vuota. Una pagina che più di altre racconta quanto siano profondi e antichi i legami tra i “soci fondatori” della P3, in particolare Dell’Utri e Carboni, con il presidente del Consiglio. Al centro della vicenda un prestito da un miliardo di lire che un incauto (o forse no) avvocato agrigentino, Stefano Gullo, consegnò a Carboni per contribuire alla costruzione di un residence in Sardegna. In cambio avrebbe ricevuto alcuni assegni mai incassati. Uno di questi, da 250 milioni, avrebbe recato la firma illeggibile di Berlusconi. Vedremo a chi appartenevano gli altri.

A raccontarla è stato lo stesso avvocato Gullo, classe 1923, un personaggio che potrebbe ispirare Camilleri. Nato da genitori italo-americani, nei primi anni 50 fu sindaco comunista di Ribera, paese dove ancora risiede. Ruppe con il Pci dopo un dissidio sulla sua ricandidatura e da quel momento si proclamò fervente anticomunista. In seguito sembra abbia fondato ad Agrigento una loggia del Grande Oriente d’Italia. L’episodio di maggior rilievo fu l’affidavit a favore di Michele Sindonache, nel dicembre 1976, i legali del banchiere presentarono alla giustizia americana per contrastarne l’estradizione. Tra le dichiarazioni giurate , insieme a personaggi come CarmeloSpagnuolo, Edgardo Sogno, Licio Gelli, John Mc Caffery, Philip Guarino e Anna Bonomi, c’è anche quella di Stefano Gullo.

Dalla P2 alla P3 il passo è breve. Dal processo di Palermo emergerà che fu Andreotti a sollecitare la difesa di Sindona negli Usa e quel filo di riconoscenza tra il senatore e l’avvocato siciliano sembra non essersi mai spezzato. Nel 1993, quando il figlio Giovanni fu arrestato per detenzione di cocaina, assolto e poi condannato, la Cassazione rinvierà gli atti al Tribunale con motivazioni che consentirono di chiudere il processo con la piena assoluzione. Un episodio tra i tanti che porterà la procura di Palermo a indagare sull’ex presidente Corrado Carnevale, poi pienamente assolto.

Ma Gullo, il primo febbraio scorso, al procuratore Capaldo e all’aggiunto Sabelli, che lo avevano convocato per chiarire il significato di un fax inviato nel luglio 2010 a Carboni, subito dopo l’arresto, racconta i suoi rapporti con Sindona in tutt’altro modo: “Tra il 1982 e il 1985 ho vissuto negli Stati Uniti. Ricevetti da Max Corvo dei servizi segreti americani (Oss) l’incarico di verificare se Sindona fosse innocente o colpevole nella bancarotta della Franklin Bank. Preparai un rapporto nel quale concludevo per la colpevolezza di Sindona”. Non è stato però in grado di recuperare il documento. Il motivo per il quale era stato convocato dai pm era proprio quel fax in cui l’avvocato chiedeva a Carboni di onorare un debito del 1990, pregandolo di chiedere aMarcello Dell’Utri di saldare i 120 mila euro dovuti, in modo da alleggerire quel miliardo mai restituito: “Conobbi Carboni negli anni 90 – dichiara Gullo – mi disse che aveva degli affari in corso con Berlusconi, doveva comprare dei terreni per costruire villaggi turistici. Vendetti alcuni appartamenti di pregio a Palermo e gli consegnai un miliardo di lire. A garanzia mi diede cinque, sei assegni. Due erano a firma di un certo Nicolosi girati alla signora Vallone. Gli altri avevano firme illeggibili, in uno si distingueva una B, lui mi disse che era di Berlusconi, mi chiese di non metterli all’incasso”. Poi aggiunge: “Ho preferito mantenere con Carboni buoni rapporti per recuperare qualcosa, che Dell’Utri doveva a lui 120mila euro l’avevo letto sui giornali”.

Storia intrisa di messaggi. Ognuno dei personaggi citati riporta a scenari che hanno fatto da sfondo agli investimenti in Sardegna di Berlusconi, già oggetto di vari processi. Protagonista non soltanto Carboni, ma boss come Pippo Calò e Domenico Balducci, il primo capo della Banda della Magliana ucciso nel 1981. O intermediari come il commercialista siciliano Pietro Di Miceli.

La signora Alba Vallone è certamente moglie di Vittorio Pascucci, imprenditore in contatto con ambienti mafiosi sia romani che siciliani, il cui nome emerse nel corso del processo per bancarotta della Cassa rurale e artigiana di Monreale, indicata nelle cronache dei giornali locali come la “banca della mafia”. Per via dei suoi stretti rapporti con la famiglia Gambino, ma frequentata anche da Mangano, lo stalliere di Arcore. Meno certa l’identità di Nicolosi, ma all’interno di questa rete di relazioni potrebbe trattarsi di Stefano Nicolosi, presidente della Cram di Monreale. Nel corso del processo per bancarotta nei confronti di 11 funzionari della banca (poi assolti) il pentito della Magliana Antonio Mancini, lo riconobbe in foto: “L’ho incontrato in compagnia del Calò e della persona da me riconosciuta come Gambino Gaspare. Dai discorsi che vennero fatti, dal tono usato, ho avuto l’impressione che si trattasse di un intrallazzatore di denaro con l’edilizia. Dò atto che la persona corrisponde a Salvatore Nicolosi”. Fu nel corso di questo processo che si accertò che la villa di Flavio Carboni fu acquistata da Berlusconi.


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