mercoledì 30 novembre 2011

«Così assumevamo i figli dei politici». - di Fiorenza Sarzanini

Pierfrancesco Guarguaglini e la moglie,entrambi indagati per false fatturazioni (Olycom)
Pierfrancesco Guarguaglini e la moglie,entrambi indagati per false fatturazioni (Olycom)

L'ex manager Borgogni: la Lega ha imposto Orsi a Berlusconi Favori a leghisti e al pd Latorre. Che replica: una bufala.

NAPOLI - Lancia messaggi, accuse, sparge veleni. Testimone a Napoli, indagato a Roma, il manager di Finmeccanica Lorenzo Borgogni cerca di resistere al ciclone che si è abbattuto sulla holding . E tenta di rilanciare il proprio ruolo raccontando ai pm i rapporti coltivati in questi anni dai vertici aziendali con politici e funzionari di Stato. Si concentra soprattutto sulle assunzioni di parenti e amici di parlamentari con un'attenzione particolare ai leghisti. «Perché - chiarisce - sono stati loro a imporre al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi la nomina di Giuseppe Orsi come amministratore delegato», avvenuta nell'aprile scorso quando si decise che Pier Francesco Guarguaglini, che all'epoca ricopriva entrambe le cariche, sarebbe rimasto solo presidente e con una riduzione delle deleghe. I rapporti tra i due sono gelidi, Borgogni non nega la propria avversione nei confronti di Orsi. Non a caso nell'elenco dei «favori» inserisce anche quello fatto al parlamentare del Pd Nicola Latorre, «per ottenere l'appoggio del suo partito». Sono i tre verbali di interrogatorio davanti ai sostituti Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio - titolari dell'indagine che parte dalla consulenza ottenuta dal faccendiere Valter Lavitola e già conta una decina di indagati - a ricostruire quanto raccontato sino ad ora. Ma l'inchiesta appare essere entrata in una fase cruciale perché soltanto nei prossimi giorni, quando tornerà accompagnato dall'avvocato Stefano Bortone, si capirà se si tratta di una vera collaborazione o se invece il responsabile delle Relazioni istituzionali - che si è autosospeso la scorsa settimana dopo aver saputo che il giudice di Roma aveva negato la richiesta di arresto presentata dal pm Paolo Ielo - sta soltanto giocando una partita interna a Finmeccanica e alle sue «controllate» per regolare i conti tra cordate diverse. 

Da Ponzellini a Giorgetti fino a Milanese
Sono numerosi i familiari dei potenti entrati in Finmeccanica grazie a una politica di assunzioni clientelari. Borgogni cita i due figli di Massimo Ponzellini, l'ex presidente della banca Popolare di Milano recentemente coinvolto nell'indagine della Procura di Milano sui finanziamenti concessi alla società Atlantis e da tempo ritenuto vicino al Carroccio. Poi si concentra su Giancarlo Giorgetti, leader leghista attuale presidente della commissione bilancio della Camera, anche lui favorito con un contratto a un parente. «Per assicurarsi buoni rapporti con il Pd - aggiunge - il figlio di Latorre fu prima assunto nella sede statunitense dell'Augusta e poi trasferito in quella italiana». Affermazione che il diretto interessato definisce «una enorme e bufala». «Mio figlio - spiega Latorre - è entrato tre anni fa ed è stato trasferito dopo sei mesi. Non so chi sia Orsi e questo contratto non c'entra nulla con la politica, anche perché io non mi sono mai occupato di nomine in Finmeccanica e posso escludere che il mio partito avrebbe avallato un'operazione del genere». Durante i suoi interrogatori il manager ha evidenziato il ruolo di Marco Milanese, braccio destro di Giulio Tremonti quando era ministro dell'Economia, che si occupava proprio delle nomine di Finmeccanica. E ha sottolineato come sia stato proprio lui a decidere l'ingresso nell'organismo di vigilanza di una società controllata dalla holding di sua moglie, l'avvocato Anna Maria Taddei.

I capannoni affittati a Malpensa Più articolato, secondo Borgogni, il piano di Orsi per spostare da Sud a Nord alcune attività strategiche e così assecondare i voleri della Lega. In questo quadro si inserisce la scelta di trasferire da Pomigliano D'Arco a Venegono in provincia di Varese, la sede legale dello stabilimento dell'Alenia, che tante polemiche ha già provocato visto che uno dei dirigenti è la moglie dell'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni. I diretti interessati hanno smentito, ma Borgogni insiste nel parlare di un piano «strategico» che «serviva a garantire l'ascesa di Orsi». E cita un episodio che riguarda l'attuale capogruppo del Carroccio alla Camera. Sostiene il manager che l'attuale vertice aziendale ha pianificato la chiusura di alcune attività ritenute sinora strategiche. Ma anche che alcuni appalti esterni sono stati affidati per soddisfare le richieste degli sponsor politici. Come nel caso che riguarda Marco Reguzzoni. Borgogni ha raccontato che a Malpensa sono stati presi in affitto alcuni capannoni di una società segnalata proprio dal parlamentare che guida il gruppo a Montecitorio.

Le telefonate con Milone Di fronte ai magistrati napoletani Borgogni ha parlato anche degli affari esteri, ammettendo che alcuni manager avrebbero favorito il pagamento di tangenti per ottenere commesse in Medio Oriente e in Sud America, in alcuni casi trattenendo una parte (è il filone nel quale era stata coinvolta anche l'ex modella Debbie Castaneda). Proprio quello che, secondo i pentiti dell'inchiesta romana, avrebbe fatto anche lui. Durante l'interrogatorio di sabato scorso di fronte al pm Paolo Ielo a Borgogni è stato chiesto di chiarire a che titolo avrebbe versato soldi a Filippo Milone, ex capo della segreteria di Ignazio la Russa, nominato sottosegretario alla Difesa nel governo Monti. Ma le sue risposte non sono apparse credibili e ora dovrà tornare per dimostrare la sua reale intenzione di raccontare la verità anche su questo fronte aperto nella Capitale.

CANCRO, DONNA RIFIUTA CHEMIOTERAPIA MA GUARISCE GRAZIE ALLA SOMATOSTATINA




La moglie di un oncologo famoso americano si ammala di cancro e il marito non la sottopone alla chemioterapia.


Sidney Winawer è un oncologo direttore del Laboratorio di Ricerca per il Cancro al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di NewYork, uno dei centri più importanti del mondo.
Per decenni ha praticato la chemioterapia a tutti i pazienti, metà dei quali sono deceduti. Ma un giorno la diagnosi è toccata a sua moglie… Ben consapevole dei danni catastrofici e dell’inutilità assoluta di quel tipo di cura (come ammetterà più tardi nel suo libro “Dolce è la tua voce”, Positive Press, 1998) non la sottopone a nessuna chemioterapia o radioterapia, ma si affida alla somatostatina (quella diLuigi Di Bella) E la moglie guarisce!Perchè la chemioterapia non risolve il problema.
Secondo la stragrande maggioranza delle teorie mediche, ci si ammala di cancro per una insufficienza del sistema immunitario. La chemioterapia riduce le masse tumorali di dimensione, ma al prezzo di distruggere completamente il midollo e le difese immunitarie dell’organismo, col risultato che quest’ultimo rimarrà debilitato ed esposto ad ammalarsi di nuovo per anni o anche per il resto della vita.

Per dare un’idea di quanto siano tossici questi veleni posso prendere spunto dalla stessa documentazione farmaceutica allegata a questi “farmaci”: pensate che basterebbe solo aumentare di poco le dosi di una sola “seduta” di chemioterapia per uccidere un cane, nel 100% dei casi, per avvelenamento nel giro di pochi giorni (potete controllare voi stessi dato che la tossicologia è pubblica).
Inoltre per smaltire questi farmaci occorre molto tempo (mesi e mesi), molto di più della durata di ogni ciclo, per cui quando si torna ad es. dopo un mese a fare un altro ciclo si ha un accumulo continuo di veleni nell’organismo!
Il fatto che molto spesso il cancro ritorna negli anni successivi, dopo una cura di chemioterapia ,non è dovuto a una certa “predisposizione” della persona, ma al fatto che le difese immunitarie sono ormai distrutte e quindi l’organismo è completamente indifeso ed è logico che venga aggredito nuovamente. La chemioterapia non è quindi la soluzione definitiva del problema, poichè questo si ripresenta molto spesso anni dopo con maggiore violenza.
Il cancro deve essere vinto invece potenziando il sistema immunitario.
Per molti tipi di tumore , il sistema immunitario ha una “memoria”, esattamente come per le malattie esantematiche (morbillo, varicella, rosolia, ecc.); se il tumore viene vinto dall’organismo stesso, piuttosto che represso dai farmaci, è molto più difficile che si ripresenti in seguito.
Qui ci sono 5 pagine di dati ufficiali sui veri risultati della chemioterapia dal 1950 ad oggi, oltre ai retroscena delle multinazionali farmaceutiche.
La ricerca non ha fatto passi da gigante come tutti pensano, ma, al contrario, la gente si ammala e muore più che nei decenni scorsi. Con i metodi di cura attuali il 90% degli ammalati non sopravvive più di 10 anni al cancro.


http://www.free-italy.info/2011/11/cancrodonna-rifiuta-chemioterapia-ma.html

Da Capri a Cortina, 1.500 euro in 5 giorni ecco le carte che accusano Minzolini.




Il rapporto della guardia di finanza alla base dell'accusa di peculato contro il direttore del Tg1 su cui deciderà il gup. Per 12 volte negli hotel più lussuosi il giornalista ha pagato per due con la carta di credito della Rai

di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Augusto Minzolini e Mauro Masi la chiamano "incomprensione amministrativa". Un innocuo pasticcio da 74.636,90 euro sperperati in un anno dal "direttorissimo"usando la carta di credito aziendale della Rai. Non ci siamo capiti e finiamola lì. Ma il procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna lo chiama peculato e il Nucleo di polizia tributaria della Capitale addirittura truffa aggravata (reato punibile con la reclusione da 1 a 5 anni). Il quadro probatorio sembra non lasciare scampo a Minzolini. All'"incomprensione amministrativa" è legata la sua sorte di direttore del Tg1. Martedì il giudice delle indagini preliminari decide sulla richiesta di rinvio a giudizio. Se dà il via libera al processo, Minzolini ha le ore contate. 
L'informativa delle Fiamme gialleIn 77 pagine di informativa la Guardia di Finanza ricostruisce dettaglio per dettaglio la vicenda della carta di credito aziendale usata indebitamente dal direttore del Tg1. Un lavoro certosino, che scava nella vita privata del giornalista quando questa è stata foraggiata dai soldi pubblici della Rai. Incrocio di ricevute sequestrate a Roma e Torino, verbali di interrogatorio, corrispondenza interna: su queste basi la procura ha messo sotto indagine Minzolini per peculato escludendo la truffa. Il 6 dicembre sarà un'impresa far passare un vorticoso e invidiabile elenco di località di vacanza, spese allegre, misteriosi informatori, ristoranti e alberghi di extra lusso con i quali si potrebbe scrivere una breve guida Michelin, come un piccolo equivoco senza importanza.

"La restituzione è irrilevante "
Nel dossier si ritrovano molti particolari già conosciuti. Le mete delle trasferte del direttorissimo: week end a Capri, Barcellona, Ischia, Cortina, Cannes, Sanremo, Venezia, Marrakech, Dubai, Londra, Palma de Majorca, Amburgo, Monaco, Saturnia, Il Cairo. Il totale speso per questi viaggi e addebitato sulla carta di credito aziendale: 74.636,90 euro in poco più di un anno, dal 28 luglio 2009 al 30 novembre 2010, quando scoppia lo scandalo e la Rai ritira la carta a Minzolini. Di questa cifra il giornalista ha restituito 65.341,33 euro in 5 tranche: 2000 trattenuti sullo stipendio di febbraio 2011, 63.330,76 con tre assegni da marzo a maggio dello stesso anno, 1134 versati nel giugno scorso. Ma, precisa la polizia tributaria, ai fini del reato "è irrilevante la successiva avvenuta restituzione in cassa della somma". 
Il doppio rimborso spese
Il pasticcio dunque si complica. La lettura delle carte offre infatti altri particolari inediti. Le Fiamme gialle segnalano l'ipotesi di truffa aggravata per alcuni casi in cui Minzolini ha ottenuto un doppio rimborso: quello registrato per la carta di credito e quello a forfait, "richiesto e ottenuto dallo stesso Minzolini, per un importo complessivo di 1637,16 euro". In pratica, il direttore pagava il ristorante con il denaro aziendale attraverso la carta ma chiedeva anche il rimborso della diaria. Negli alberghi più belli e nelle località più lussuose, in 12 occasioni Minzolini "ha fruito di pernottamenti per 2 persone" e dieci volte è stato giustificato dall'azienda. Il direttore si portava il lavoro a letto. Ma sull'informatore o l'informatrice che Minzolini ospitava nella sua stanza c'è il buio pesto. Nemmeno la Finanza è riuscita a saperne di più. Le "schede alloggiati", come si chiamano in gergo i verbali delle Questure che registrano le presenze in hotel sulla base dei documenti presentati alla reception, non hanno fornito alcuna risposta. L'identità della Mata Hari è destinata a rimanere un mistero. 
"uso quasi quotidiano della carta"
Per legittimi motivi di riservatezza, Minzolini non rivela i nomi degli ospiti dei suoi pranzi o dei suoi aperitivi. Fa una sola eccezione e in questo modo risparmia 3166,50 euro dalla somma restituita a Viale Mazzini. La cifra, si giustifica il giornalista, è riferita a pasti con il vicedirettore di Libero Franco Bechis. "L'analisi delle spese  -  scrivono le Fiamme gialle  -  ha consentito di evidenziare un uso quasi quotidiano della carta di credito in esame". La usava anche quando non lavorava? Dal 28 luglio 2009 al 30 novembre 2010 Minzolini risulta "assente dal servizio" solo 5 giorni: il 29 e 30/8/2009, il 2 giugno, 29 giugno e 1 novembre 2010. In queste giornate spende 1527,70 euro pasteggiando nei ristoranti di Roma La Vecchia pineta, Mirabelle, Flame, Cesare, Harry's Bar, Gallura, Palazzo Manfredi, Girarrosto Fiorentino. "Senza autorizzazione" pranza al ristorante di Fiumicino "Bastianelli al Molo" 14 volte in un anno per una spesa di 2351,70 euro. 
Paga la Rai. 
Gli alberghi migliori
I numeri sono un incubo per il direttorissimo. Quelli del Tg1 in caduta libera di spettatori. E quelli delle note spese. Ma nel giro del mondo di Minzolini colpiscono anche gli indirizzi. Un concetrato della migliore tradizione alberghiera planetaria. A Venezia cambia e prova diversi alberghi: Gritti Palace, Bauer il Palazzo, Boscolo. Poi c'è il Cap d'Antibes beach (Cannes), il Carlo IV (Praga), il Four Season (Firenze), il Capri Tiberio Palace, il Principe di Savoia (Milano), Baglioni Hotel (Londra), Atlantis (Dubai), Vier Jahreszeiten Kempinski (Monaco). Dodici volte la carta di credito lo segnala in un luogo di vacanza, ma lui risulta in servizio. Il sistema registra. Dopo le prime notizie sull'inchiesta, "Minzolini rettifica la sua posizione considerandosi a riposo". Tutto questo è solo un pasticcio interno? Incomprensione amministrativa è una formula studiata da Masi e Minzolini con il contributo degli avvocati per tirarsi fuori dai guai. Eppure Minzolini, nello scambio burocratico di lettere, non rinuncia a uno strappo. Scrive il 19 marzo 2011 (e la Finanza annota): "Di questo cortocircuito l'azienda avrebbe potuto avvertirmi prima e non aspettare 18 mesi...". A Masi girano le scatole, si capisce dalla replica: "P. S.: un'amichevole precisazione. È più che evidente che la tua affermazione è sicuramente una semplificazione giornalistica e come tale la intendo". Schermaglie ininfluenti sulla decisione di martedì.

Creato il virus che può uccidere la metà della popolazione mondiale.







Polemiche infuocate nel mondo scientifico sulla pubblicazione dello studio. «Arma chimica». «No, aiuta a prepararsi alla pandemia»

MILANO - I ricercatori dell'Erasmus Medical Centre di Rotterdam (Paesi Bassi) hanno prodotto una variante estremamente contagiosa del virus dell'influenza aviariaH5N1 in grado di trasmettersi facilmente a milioni di persone, scatenando, così, una pandemia. Gli scienziati, guidati dal virologo Ron Fouchier, hanno scoperto che bastano cinque modificazioni genetiche per trasformare il virus dell'influenza aviaria (che finora ha ucciso 500 persone nel mondo) in un agente patogeno altamente contagioso che potrebbe scatenare una pandemia in grado di uccidere la metà della popolazione mondiale. La sua elevata capacità di diffusione è stata dimostrata in esperimenti condotti sui furetti, che hanno un sistema respiratorio molto simile a quello dell'uomo.
LE RICERCHE - Le ricerche di Fouchier fanno parte di un più ampio programma mirato a una maggiore comprensione dei meccanismi di funzionamento del virus H5N1. È stato lo stesso virologo ad ammettere che la variante geneticamente modificata è uno dei virus più pericolosi che siano mai stati prodotti. Un altro gruppo di virologi dell'Università del Wisconsin in collaborazione con l'Università di Tokyo è arrivato a un risultato simile a quello di Fouchier.
LE POLEMICHE SULLA PUBBLICAZIONE - Ora il dibattito è se pubblicare o no la ricerca. Molti scienziati sono infatti preoccupati dalla possibilità che, in mani sbagliate, il virus potrebbe trasformarsi in un'arma biologica. Negli Stati Uniti le polemiche sono roventi. Thomas Inglesby, scienziato esperto di bioterrorismo e direttore del Centro per la Biosicurezza dell’Università di Pittsburgh è categorico. «È solo una cattiva idea quella di trasformare un virus letale in un virus letale e altamente contagioso. È’ un’altra cattiva idea quella di pubblicare i risultati delle ricerche che altri potrebbero copiare». Critico anche Richard Ebright, biologo molecolare della Rutgers University in New Jersey: «Questo lavoro non andava fatto». Pubblicare lo studio però, come sostiene lo stesso Fouchier, aiuterebbe la comunità scientifica a prepararsi a una pandemia di H5N1. Sulla stessa linea d'onda l'italiano Fabrizio Pregliasco, virologo all'Università di Milano: «Non pubblicare lascerebbe i ricercatori al buio su come rispondere a un focolaio. Lo scambio di conoscenze è fondamentale per prevedere la reale gravità di una pandemia. L'aviaria era sì una "bestia" nuova, ma non apocalittica. Con un maggiore scambio di conoscenze la diffusione di informazioni sarebbe stata più precisa e meno allarmistica».

Al giornalista di Repubblica, Francesco Merlo. - di Giuseppe Costa



Ciccio,

ti scrivo a nome di tanti siciliani, e ti chiamo Ciccio perché anche tu sei siciliano, essendo nato a Catania.
Lo so che ti da fastidio, perché -avendo lavorato per 19 anni al Corriere della Sera e scrivendo da 10 anni per La Repubblica- probabilmente non ti piace essere chiamato “Ciccio”.
Magari, dopo tanti anni al Corriere, parli pure milanese, e Ciccio in milanese non suona bene.
Ma io continuerò lo stesso a chiamarti Ciccio, ok?
Dunque, Ciccio, voglio dirti che qui noi siamo indignati. Lo so che, proprio in questi ultimi tempi, è un termine inflazionato ma non ne trovo uno migliore per manifestarti il nostro sdegno per quello che hai detto nel tuo servizio sull’alluvione nel messinese.
Qui l’acqua avrebbe portato via il “mattone selvaggio e l’accozzaglia di laterizi”, mentre …dalle tue parti la natura malvagia avrebbe distrutto “i centri storici, lo spazio pubblico celebrato, la bellezza di città che sono storicamente costruite per piacere, per aiutare l’uomo a vivere e non a sopravvivere”.
Ciccio, ma che dici? La storia della tua terra (quella d’origine, intendo: la Sicilia) te la ricordi?
Ciccio, anche i nostri paesi hanno un centro storico: centri di antica tradizione, come Saponara: ti ricordi di Saponara, vero?
A Saponara l’acqua ha mandato giù un costone roccioso che ha sotterrato una casa, e -con la casa- ha sotterrato anche tre persone, e fra queste tre persone c’era un angioletto biondo di appena dieci anni.
Ah, …dimenticavo: quella casa non era abusiva: era una casa come la tua, forse meno ricca della tua, ma era comunque una casa, insomma una casa normale, non un’accozzaglia di laterizi.
A proposito del nostro bimbo annegato nel fango, …ecco, qui voglio ringraziarti per aver detto che “i bambini affogati sono uguali”. Almeno questo ce lo hai riconosciuto, Ciccio, …i nostri non sono figli di un dio minore, almeno quando affogano nel fango.
Grazie, grazie davvero.
“La forza dell’acqua distrugge sviluppo e sottosviluppo”. Naturalmente, lo sviluppo sta al Nord e il sottosviluppo è il nostro.
Ciccio, vuoi che partiamo da lontano?
E allora, mi permetto di ricordarti che nell’anno 1100, mentre dalle tue parti si brancolava nel buio del Medioevo, i Siciliani avevano il primo Parlamento della storia, il primo parlamento d’Europa.
Il Meridione possedeva una flotta mercantile pari ai 4/5 del naviglio italiano, una flotta che era la quarta del mondo. Il Sud era il primo produttore in Italia di materia prima e semi-lavorati per l'industria. Avevamo circa 100 industrie metal meccaniche che lavoravano a pieno regime (era attiva la più grande industria metalmeccanica d’Italia). Avevamo industrie tessili, manifatturiere, estrattive. Avevamo, distillerie, cartiere. Avevamo la prima industria siderurgica d’Italia. Il primo mezzo navale a vapore del Mediterraneo (una goletta) fu costruito nelle Due Sicilie e fu anche il primo al mondo a navigare per mare. La prima nave italiana che arrivò nel 1854, dopo 26 giorni di navigazione, a New York, era meridionale, e si chiamava -guarda un po’!- “Sicilia”. La bilancia commerciale con gli Stati Uniti era fortemente in attivo e il volume degli scambi era quasi il quintuplo del Piemonte. Il cantiere di Castellammare di Stabia, con 1.800 operai, era il primo d’ Italia per grandezza e importanza.
Ancora: il tasso di sconto praticato dalle banche era pari al 3%, il più basso della Penisola; una “fede di credito” rilasciata dal Banco di Napoli era valutata sui mercati internazionali fino a quattro
volte il valore nominale. Il Regno Napoletano, fra tutti gli Stati italiani, vantava il sistema fiscale con il minor numero di tasse: ve ne erano soltanto cinque.
Tu, Ciccio, potresti dirmi: “acqua passata”. Potresti chiedermi come ci siamo ridotti così, oggi, …sottosviluppati.
Bene, …ti spiego: fin dal primo anno di unificazione, il neonato Stato italiano introdusse ben 36 nuove imposte ed elevò quelle già esistenti.
In appena quattro anni, la pressione fiscale aumentò dell’87%, ed il costo della vita ebbe un incremento del 40% rispetto al 1860, i salari persero il 15% del potere d’acquisto.
Dopo l’unificazione d’Italia, l’industria meridionale e persino l’agricoltura furono letteralmente abbandonate e penalizzate con una politica economica che favorì il Nord a danno del Sud, come risulta da un’inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese dello Stato voluta da Francesco Saverio Nitti (non l’abbiamo pagato noi, …giuro).
Per diversi decenni si verificò un continuo drenaggio di capitali dal meridione al Nord dovuto proprio ad una scelta di politica economica dello Stato, mentre sul piano delle imposte il Mezzogiorno e la Sicilia contribuivano in maniera di gran lunga superiore alle regioni del Nord.
Non andò meglio per i lavori pubblici, in quanto gran parte delle spese furono fatte nell’Italia Settentrionale e Centrale.
In sostanza il bottino dei Savoia fu veramente enorme, se si considera che il danaro trafugato dalle casse del “Regno delle Due Sicilie” ammontava a 443 milioni di lire oro, vale a dire due volte superiore a quello di tutti (dico tutti) gli Stati preunitari della penisola messi insieme; lo Stato savoiardo ne possedeva solo 20 milioni.
Questa è storia Ciccio, dunque non volercene se una politica assassina ci ha ridotto come siamo adesso.
Non dirci che siamo “sottosviluppati”, non ce lo meritiamo. Perché -vedi- la cultura siciliana non è da meno rispetto a quella dell’ormai “tuo” Nord.
Anzi…, a giudicare dal numero e dall’importanza dei cervelli che mandiamo a lavorare dalle tue parti, potrei osare di più, ma non mi va.
L’acqua, qui, porta via centri storici e persone esattamente come a Genova e come nelle Cinque Terre.
E a Barcellona i torrenti sono “tombinati” esattamente come a Genova.
Sai, Ciccio, i giornali arrivano anche qui, e noi li leggiamo.
E, se proprio la vogliamo dire tutta, anche a Genova c’erano case costruite nei greti dei torrenti: le abbiamo viste tutti in televisione: anche lì, dunque, “mattone selvaggio” e “accozzaglia di laterizi”?
Ascoltami, Ciccio: nella prossima estate, torna in Sicilia. Non ti chiedo di starci molto: quindici giorni a pensione completa. Fatti un giro, magari anche nella città che ti ha visto bimbo meridionale: Catania.
Scoprirai cose nuove.
Scoprirai che i siciliani non sono affatto rassegnati, sono incazzati neri.
E’ diverso.
Scoprirai che “le persone per bene” che pensano che il Sud sia solo violento-imprevedibile-inaffidabile-sprecone-confusionario-corrotto-mafioso-camorristico (come dici tu in una sorta di crescendo rossiniano), in realtà non sono persone per bene: sono degli idioti. Oppure dei delinquenti.
E mi dispiace se fra loro dovessero esserci amici tuoi: sempre idioti restano, o delinquenti che hanno interesse ad affossarci ancora di più.
Perché -vedi- se qui i mafiosi portano ancora la coppola, mentre al Nord portano la cravatta e magari hanno l’auto blu e la scorta, per noi non fa molta differenza.
Ripeto, i giornali li leggiamo anche qua.
…E quella “pietà diversa” di cui parli, Ciccio: ma ti sei ascoltato?
“La disgrazia di Genova fece esplodere gli animi e mettere mano al portafoglio”, mentre qui le disgrazie sarebbero solo “il prolungamento della normalità”. Qui è meglio “non dare perché elemosiniere d elemosinato rischiano di fare la stessa fine”. E, quindi, “aiutare il Sud potrebbe risultare pericoloso, fortemente pericoloso”.
No, Ciccio, ti sbagli.
La nostra normalità non è questa che dici tu. La nostra “normalità” ci è stata tolta proprio da quelle “persone per bene” di cui parli, quelle stesse che oggi vorrebbero farci “il ponte sullo Stretto” per finire di fregarci il poco che ci è rimasto.
Noi non siamo affatto rassegnati, Ciccio, e vogliamo riprendercela la nostra normalità.
La nostra normalità ha nome e cognome, anzi …nomi e cognomi, come Antonello da Messina, Vincenzo Bellini, Francesco Maurolico, Finocchiaro Aprile, Alessandro Scarlatti, Filippo Juvara, Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Lucio Piccolo, Tommaso Cannizzaro, Bartolo Cattafi, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Renato Guttuso, Ettore Majorana, Vittorio Emanuele Orlando, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sciascia, Vann'Antò'.
La nostra normalità ha luoghi che si chiamano Mozia, Segesta, Selinunte, Piazza Armerina, Naxos, Siracusa, Monreale, Taormina, Erice, Agrigento, Noto: tutti con i loro “centri storici”, come Messina, e -perché no- come Barcellona e come Saponara.
Noi conserviamo la cultura dei nostri padri. Noi conserviamo le tradizioni di questi luoghi.
Non siamo rassegnati, siamo orgogliosi (oltre che incazzati).
E se i nostri Gattopardi sono stati sbranati dalle iene e dagli sciacalli, come aveva previsto il Principe di Lampedusa in tempi non sospetti, beh …verrà il momento del riscatto.
Noi ci crediamo, dobbiamo crederci.
E, per tornare alla tua “pietà diversa”, sappi che questo tipo di pietà non ci interessa. Noi vogliamo solo difendere i nostri diritti, vogliamo solo il nostro, quello che ci spetta.
Siamo noi che abbiamo pietà, pietà per gli oppressi, per i vinti, pietà per chiunque soffra.
E siamo ancora noi che abbiamo, legittimamente, dei pregiudizi. Da oggi nutriamo pregiudizi anche nei tuoi confronti e nei confronti del tuo giornale.
E se non riesci a fartene una ragione, se non riesci a pensare di dovere chiedere scusa, allora davvero hai voluto rinnegare le tue origini, le tue radici, la tua storia.
Ciao Ciccio.



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martedì 29 novembre 2011

Biocarburanti: alghe, urina cioccolato e acqua sporca. - di SARA FICOCELLI



Le auto a biocarburante sono una delle soluzioni che il mercato sta valutando per il futuro. Le alghe, in grado di produrre 30 volte più energia per ettaro rispetto al mais e della soia, sono una delle novità più interessanti del momento.

Biocarburanti: alghe, urina cioccolato e acqua sporca


C'è un solo prodotto al mondo che si può ottenere sia dal mais che dalla soia che dalle alghe che dal cioccolato. Il carburante per auto. Messa così sembra una storia a metà tra la fiaba e la barzelletta, eppure non c'è niente di più serio, fattibile e conveniente, sia dal punto di vista economico che ecologico. Le auto a biocarburante sono una delle soluzioni che il mercato sta valutando per superare la crisi del caro-petrolio, alla luce del fatto che questa risorsa non solo inquina, ma è destinata a esaurirsi.

Le alghe, in grado di produrre 30 volte più energia per ettaro rispetto al mais e alla soia, sono una delle novità più interessanti del momento, e diverse start up hanno cominciato a tastare il mercato riempiendo i serbatoi con soluzioni a base vegetale. In occasione dell'ultimo Sundance Film Festival, ad esempio, la Solazyme si è fatta notare facendo sfilare una Mercedes C320 alimentata ad alghe: "L'obiettivo era trovare una soluzione a breve termine - ha detto il presidente CTO Harryson Dillon - economicamente possibile ed efficacemente sostenibile. Questa tecnologia combina tutte le componenti chiave: bassa impronta ecologica, sostenibilità ambientale, certificazione di compatibilità con gli attuali veicoli e infrastrutture distributive". Tanto che la Solazyme, in partner con Chevron Corporation, sta pianificando di produrre e distribuire l'innovativo biocarburante da qui ai 3 anni.

Ma come si ottiene un prodotto del genere? Le alghe crescono senza luce solare all'interno di vasche di fermentazione alimentate da zuccheri e possono essere coltivate in stagni all'aria aperta o al chiuso, in serre riscaldate. La loro produzione quindi non intralcia in nessun modo l'ecosistema. Teoricamente si stima una resa possibile tra i 1000 e i 20000 litri di biocarburante per ettaro, in funzione naturalmente della specie coltivata. Calcolando che il potenziale di produzione negli USA si aggira intorno agli 8 - 16 milioni ettari, questi potrebbero produrre abbastanza alghe per sostituire il petrolio e lasciare all'agricoltura 180 milioni di ettari di terreni agricoli ad uso alimentare.

Altro esempio di auto eco-sostenibili arriva dall'azienda inglese World First Racing, specializzata in vetture da competizione in Formula 3: la sua ultima creazione è un'auto interamente realizzata con fibre vegetali (più che altro patate), ribattezzata "potato-pack" e interamente biodegradabile. Il produttore ha creato in materiale riciclato anche i diversi componenti a bordo, a partire dal radiatore, in vetro riciclato, fino al carburante, che usa scarti di cacao.

Altro aspetto interessante è quello delle auto che vanno ad aria compressa: all'aeroporto di Amsterdam circolano ad esempio vetturette a tre ruote che usano come carburante la semplice aria, il cui pieno costa appena mezzo euro e consente di percorrere non meno di 100 chilometri. Ma non tutti i carburanti "green" si ottengono lavorando sostanze tanto gradevoli e pulite.

Molte aziende del Nord Europa stanno ad esempio lavorando per ricavare biometanolo dall'acqua putrida delle fogne: "Questo carburante è prodotto in quattro fasi di digestione anaerobica - spiega Ole Jakob Johansen, uno degli studiosi che lavora al progetto - ossia in assenza di ossigeno, grazie agli stessi microrganismi della decomposizione di rifiuti umani ed alimentari. Tale tecnica la vedremo addirittura applicata fin dal prossimo anno sugli autobus urbani di Oslo".

Il palmares del biocarburante più disgustoso va però alle vetture con tecnologia Selective Catalyst Reduction (SCR), alimentate da una miscela a base di urina che, iniettata nel catalizzatore, abbatte in modo drastico le emissioni inquinanti. L'additivo non è propriamente urina animale, ma il prodotto ottenuto per sintesi da vari gas naturali ha caratteristiche molto vicine a quelle della nostra pipì. Del resto se è vero, come dice una nota canzone, che dal letame nascono i fior, è anche probabile che dall'urina nasca il carburante del futuro.



http://www.repubblica.it/motori/attualita/2011/11/25/news/motori_biocarburanti-25508529/

"Soldi sporchi", indagine sul riciclaggio fra banchieri, tycoon e criminali. - di SILVANA MAZZOCCHI



"Soldi sporchi", indagine sul riciclaggio  fra banchieri, tycoon e criminali



Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, con il giornalista di Repubblica Enrico Bellavia, racconta e analizza in un libro un mondo potente e sommerso che muove il 5% del Pil del pianeta e minaccia l'economia mondiale.


Chi è rimasto fermo all'immagine del boss semianalfabeta che comunica a pizzini e si nutre di ricotta e cicoria, se ne faccia una ragione. La mafia corre e si muove a livello planetario, il denaro nero s'insinua rapido ovunque e coloro che gestiscono e riciclano i soldi sporchi del tesoro criminale portano colletti di un bianco sparato. Hanno studiato nelle università d'eccellenza, viaggiano e parlano (bene) più di una lingua, conoscono la legge e i segreti dell'economia mondiale e si muovono a loro agio nella rete dei paradisi fiscali. Sono i protagonisti del riciclaggio, i mafiosi in grisaglia inquinano l'economia mondiale per un ammontare che sfiora il 5% del Pil del pianeta, tra 600 e 1.500 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti. Un gotha senza confini dove l'Italia del crimine raddoppia e si attesta al top. Una realtà di cui molto si parla, ma che raramente è stata esplorata attraverso la lente esperta di chi disponendo, oltre che di sapienza ed esperienza, di dati e dettagli inediti, può finalmente offrire una fotografia completa del fenomeno. 

E' il caso di Pietro Grasso, il procuratore nazionale antimafia che, con il giornalista di Repubblica Enrico Bellavia, autore di numerosi libri sui segreti di Cosa nostra, ha messo insieme nell'illuminante Soldi sporchi, (Dalai editore) tutte le analisi, le storie, le informazioni e considerazioni utili per comprendere fino in fondo l'entità di quella che è diventata una delle minacce più insidiose al sistema economico mondiale. Una folla di banchieri e comparse, di manager e prestanome, forme e figure del riciclaggio, frequentatori dei paradisi fiscali e tycoon rampanti attenti ai nuovi mercati. Un mondo potente e sommerso impegnato a ripulire il denaro dal sangue e dal crimine e, mentre Bankitalia ammonisce che "il riciclaggio rappresenta un ponte fra criminalità e società civile" e, ciò che è più grave, informa che i criminali arrivano spesso a sedere nei consigli d'amministrazione e "a contribuire all'assunzione di decisioni economiche e sociali rilevanti",  si tenta di trovare armi efficaci per combattere l'ascesa e il successo del business planetario.

Ma come si può contrastare un'aggressione criminale di tale portata? I soldi, si sa, non hanno colore né odore e, pur entrando "in lavatrice" sporchi anche di sangue, ne escono puliti sotto forma di affari leciti, attraverso un percorso tanto tortuoso e mascherato da rendere i complici difficilmente rintracciabili, lasciando le indagini troppo spesso senza esito. E, se conoscere il problema e non sottovalutarne il peso è un  primo passo avanti per invertire la rotta, Soldi sporchi ammonisce: è urgente e indispensabile che gli Stati raggiungano al più presto nuovi accordi legislativi e culturali mirati a combattere il fenomeno. E' la sfida antimafia del terzo millennio. 

Procuratore Grasso,  a quanto ammonta il business dei soldi sporchi? 

"Secondo il Fondo monetario internazionale il riciclaggio muove almeno il 5 per cento del Pil del pianeta. In Italia, Bankitalia ha stimato che le mafie muovano con il denaro sporco almeno il doppio. A conti fatti si tratta di 150 miliardi di euro, come dire 4.750 euro al secondo. Se il riciclaggio fosse una holding, sarebbe la prima azienda italiana. Si tratta di cifre impressionanti capaci di sovvertire le regole del libero mercato, di inquinare l'economia di un Paese e di attentare alla stessa tenuta del sistema. Con questa enorme massa di denaro liquido, le mafie entrano in Borsa, rilevano aziende e si infiltrano nel mondo bancario: giocano la loro partita come un'azienda in salute dentro a un mercato in crisi. Soprattutto in fase di recessione economica, il denaro sporco mostra tutta la sua pericolosità, rischiando di essere l'unico denaro in circolazione per nuovi investimenti e per rilevare aziende in difficoltà". 

Quali i canali per pulire il danaro?
"Esistono vari livelli del riciclaggio. Il sistema più semplice è quello del ricorso a prestanome per l'acquisto di immobili o attività commerciali: ristoranti e centri commerciali su tutto. Ma si tratta solo di una minima parte del reinvestimento del denaro sporco in attività legali. Con le misure patrimonali, i sequestri e le confische, pur tra mille difficoltà e con risultati comunque apprezzabili, aggrediamo gli spiccioli dell'organizzazione. È molto più impegnativo invece riuscire a stare sulle tracce del fiume di denaro che prende la via dei paradisi fiscali, che si nasconde dietro allo schermo di società anonime e rientra poi in circuito, passando spesso per il sistema bancario. Nel libro abbiamo documentato decine di sistemi ingegnosi per occultare il denaro sporco: dalle scommesse sportive, all'acquisto di gioielli e quadri fino alle complesse architetture finanziarie che chiamano in causa la responsabilità di finanzieri specializzati in questo genere di operazioni. Si tratta di movimentazioni di capitali ingenti per conto di clienti che a loro volta non hanno più il profilo del classico criminale ma, come accade ad esempio per alcuni ex oligarchi russi o per i cervelli economici dei narcos, quello di veri e propri manager". 

Riciclare è un'arte, chi sono gli artisti?
"Chi presta la propria opera per riciclare il denaro è un professionista esperto, che ha studiato nelle migliori università e si muove con disinvoltura sullo scacchiere planetario. Studia con attenzione le legislazioni dei vari Paesi e sfrutta a proprio vantaggio quelle più permissive, riuscendo a utilizzare i canali normalmente utilizzati per ottenere una minore tassazione per veicolare denaro da portare all'estero e poi far rientrare attraverso il gioco societario o degli strumenti di garanzia. Quando pensiamo ai paradisi fiscali pensiamo a luoghi esotici e lontani. Ma attività di riciclaggio sono possibili oltre che spostando quantità enormi di denaro con un clic, anche portando fisicamente valige di banconote a San Marino. Proprio la facilità di trasporto dell'euro che ha il taglio da 500 è una delle ragioni che ha convinto i professionisti del riciclaggio a utilizzare questa divisa piuttosto che il dollaro. È ormai un fatto consolidato che la piazza europea sia quella che attrae i riciclatori di denaro più degli Usa. Ed è preoccupante constatare che la gran parte dell'attività di antiriciclaggio poggia sulle segnalazioni di operazioni sospette allo sportello bancario, con poche se non addirittura inesistenti segnalazioni da parte dei professionisti". 

Pietro Grasso
con Enrico Bellavia
Soldi sporchi
Dalai Editore
pag 358, euro 18.



http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/11/28/news/soldi_sporchi_pietro_grasso-25725455/?ref=HREC2-10

La galassia delle fondazioni ‘politiche’. Nessuno spiega da dove arrivano i soldi. - di Ferruccio Sansa




Di centrodestra, di centrosinistra e sempre più spesso trasversali: le associazioni culturali fondate dai parlamentari vengono finanziate dai big dell'imprenditoria nazionale e da società di Stato senza nessuna trasparenza. La legge lo permette.


Il manifesto è chiaro: “Declinare al futuro i valori dell’unità nazionale”. Tra le parole chiave il “patriottismo consapevole”. Ma a leggere l’elenco dei membri dell’associazione Italiadecide ecco Roberto Calderoli. Un politico che del patriottismo, per di più consapevole, non ha mai fatto una bandiera. Non è la sola sorpresa: accanto a Luciano Violante (presidente), e a tanti esponenti Pd, c’è mezzo governo Berlusconi. Centrosinistra e centrodestra uniti; pare quasi un embrione della strana coalizione che ritroviamo oggi a sostegno del governo Monti. Italiadecide è una delle decine, forse centinaia di fondazioni e associazioni politiche fiorite negli ultimi anni. Una febbre, per essere un politico decente bisogna averne almeno una. Soggetti che promuovono attività culturali, ma che talvolta sembrano il nuovo bancomat della politica. Un fenomeno che dopo le inchieste degli ultimi mesi merita un approfondimento.


Indagati e inchieste

Tommaso Di Lernia dal carcere dice: “Optimatica è una società vicina al ministro Altero Matteoli, credo che eroghi finanziamenti alla fondazione a lui riconducibile”. Di Lernia sostiene che Optimatica finanzierebbe anche l’Officina delle Libertà vicina ad Aldo Brancher (che inizialmente aveva sede in casa di Silvio Berlusconi). Ma ci sono anche le inchieste su Franco Morichini, in contatto con i vertici Finmeccanica e procacciatore di finanziamenti per Italianieuropei. Per finire con l’indagine sul ‘sistema Sesto’ che tocca anche la fondazione FareMetropoli di Filippo Penati. Finora, va detto, le fondazioni di Brancher, Matteoli e D’Alema non sono state oggetto di addebiti penali. Le polemiche e gli scandali degli ultimi mesi, però, sono legati da un filo invisibile: le fondazioni e le associazioni di esponenti politici. Sulla scena politica degli ultimi anni, con i partiti defilati, sono loro i protagonisti: “Soggetti perfettamente trasversali, che non hanno nemmeno più bisogno di quello sgradevole inciampo che sono gli elettori e gli iscritti”, racconta l’ex dirigente di una fondazione di centrodestra che mantiene l’anonimato. Aggiunge: “I segreti del loro successo, però, sono altri: le fondazioni con le assemblee e i convegni sono un formidabile centro di potere. Lobbies all’amatriciana, tanto diverse da quelle americane”. Ma non somigliano neanche ai think tank del resto del mondo, ai salotti del potere tipo Davos. Qui non sono in gioco gli eventuali gettoni di presenza, ma l’appartenenza, l’influenza, le poltrone. Una merce invisibile e, però, preziosissima. Ma soprattutto, grazie a una disciplina molto benevola, da questi soggetti passano finanziamenti per la politica. Per questo in tanti si sono buttati a pesce nello spiraglio lasciato aperto (apposta?) dalla legge. Niente di illegale, quindi, ma le inchieste rischiano di scoperchiare il pentolone.

Matteoli, tanto per ricordare l’ultimo nome assurto all’onore delle cronache, smentisce categoricamente le affermazioni degli indagati dell’inchiesta Finmeccanica. Ma questi organismi geneticamente modificati restano un mondo inesplorato. Un labirinto di nomi che paiono slogan, dove le parole ‘fare’, ‘futuro’, ‘Italia’, ‘libertà’ sono le più gettonate. Ormai tanti esponenti politici o aspiranti tali comunicano attraverso editoriali di fondazioni e associazioni: da Gianfranco Fini (Farefuturo) a Luca Cordero di Montezemolo (Italiafutura), fino a Claudio Scajola rientrato sulla scena dopo lo scandalo della casa comprata “a sua insaputa” contando i deputati fedeli nell’associazione Cristoforo Colombo per le libertà. Un viaggio attraverso le fondazioni e le associazioni politiche apre nuovi mondi, aiuta a disegnare la mappa del potere. Magari partendo proprio dalla prestigiosa Italiadecide (mai toccata da inchieste, né da ombre di alcun genere), perché è l’emblema del trasversalismo: destra e sinistra, politica e affari. “Niente di strano, lo scopo della nostra associazione è proprio unire persone di aree diverse”, racconta il presidente Luciano Violante. Tra i promotori (il grado più alto della gerarchia) compaiono nomi perfettamente bipartisan: si va da Giuliano Amato a Giulio Tremonti passando per Gianni Letta.

Amici di amici

Ma l’elenco dei “semplici” soci riserva altre sorprese. Ecco il dalemiano Antonio Bargone, che dalla politica è passato all’impresa con la passione per le grandi opere. Come l’autostrada Livorno-Civitavecchia della cui società Bargone è diventato presidente (oltre che Commissario Governativo) dopo essere stato sottosegretario alle Infrastrutture con Prodi e D’Alema. Poi, si diceva Roberto Calderoli, quindi Franco Bassanini (Pd), Giovanni Maria Flick (ex ministro del governo Prodi), Altero Matteoli (altro ministro berlusconiano), Vito Riggio (presidente Enac) e Alessandro Profumo (il banchiere che stava preparando il grande salto in politica, corteggiato dal Pd, quando è stato azzoppato da una clamorosa inchiesta giudiziaria). Tra i soci anche l’attivissimo Andrea Peruzy, che oltre a sedere in diversi consigli di amministrazione (Acea, per dire) è anche in Italianieuropei e nell’associazione Romano Viviani (che raccoglie altri dalemiani soprattutto toscani).

Non basta, perché, caso più unico che raro, Italiadecide tra i soci accoglie non solo persone fisiche, ma anche giuridiche. Insomma, imprese con il portafogli bello gonfio e gli occhi magari puntati sulle opere pubbliche: Autostrade per l’Italia, Banca Intesa San Paolo (fino a pochi giorni fa guidata dal ministro Corrado Passera), Banca Popolare di Milano, Eni, F 2 i e Unicredit spa. Ma è una specie di catena di sant’Antonio, prendi un nome, uno qualsiasi, e lo ritrovi in tante altre fondazioni e associazioni. Prendete Giuliano Amato e lo ritrovate, per dire, in Italianieuropei di D’Alema. Non è il solo, anche Violante e Bassanini sono in entrambe le associazioni. Tremonti invece siede anche nell’Officina delle Libertà. Matteoli ha la sua Fondazione della Libertà per il bene comune. Nel sito campeggia una bella immagine di un Lego tricolore: come dire costruiamo l’Italia. Le attività, però, non paiono esattamente febbrili visto che ancora ieri veniva reclamizzato un evento del 26 ottobre scorso. Nessuno pare aver aggiornato il sito.

Vetrine “vuote”

Ma stando alle pagine web di associazioni e fondazioni parecchie paiono vetrine tutte addobbate di negozi che nel magazzino non hanno molta merce. L’ultima news di Riformisti Europei (presidente Carlo Vizzini) è del 26 giugno. Il sito di Riformismo e Libertà di Fabrizio Cicchitto è totalmente kaputt. Su quello di Costruiamo il futuro di Maurizio Lupi (nel comitato anche il neo-ministro Lorenzo Ornaghi) sono ancora reclamizzate le cene estive e appuntamenti di mesi fa. Oltre ovviamente alle presentazioni di libri di Lupi. Ma davvero ogni politico ha una fondazione:Renato Brunetta ha la sua Free Foundation, in inglese perché la parola ‘libera’ era già inflazionata. Praticamente è un Brunetta fan club: interventi, dichiarazioni, rassegna stampa, l’ex ministro domina. Poi, tra mille esempi possibili, ecco Magna Carta (senza ‘h’) di Fabrizio Quagliariello Foedus di Mario Baccini. Spostandosi verso il centro troviamo Liberal che fa capo a Ferdinando Adornato. In zona centrosinistra ecco NensNuova Economia e Nuova Società, fondata da Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco. Un’associazione in passato toccata da qualche polemica: la sede (“in affitto”, precisò Visco) era di proprietà della famiglia di uno dei massimi dirigenti pubblici del Demanio.

Niente di illegale, una questione di opportunità. Poi ecco Astrid, di Franco Bassanini, dove ritroviamo, tra gli altri, Amato (siamo a quota tre) e Giulio Napolitano (stimato professore universitario, figlio del Presidente Giorgio, presente anche in Italianieuropei), e Democratica che fa capo a Walter Veltroni. A un primo esame le associazioni di centrosinistra sembrerebbero più attive. Italianieuropei di D’Alema, per esempio, ha una sua sede in piazza Farnese, nel centro di Roma, suoi dipendenti e un’attività consistente: organizza convegni, aggiorna il sito e stampa una rivista. Lo stesso per Democratica di Veltroni che, tra l’altro, organizza corsi di politica. Ma gli organigrammi delle fondazioni vanno letti insieme con quelli dei cda delle società, soprattutto pubbliche. Nel consiglio della Nuova Italia, presieduta da Gianni Alemanno, oltre a sua moglie Isabella Rauti, troviamo, per dire, Franco Panzironi, nominato dal sindaco amministratore delegato dell’Ama (società comunale che si occupa di rifiuti) e Ranieri Mamalchi (già capo segreteria di Alemanno al ministero dell’Agricoltura e oggi dirigente di Acea).

Fondazioni e associazioni sono, però, oggetti misteriosi. A parte le dichiarazioni di principio piuttosto vaghe. L’unico modo per saperne qualcosa sono i siti internet dove compare almeno l’elenco dei soci. Come per esempio nel Maestrale di Claudio Burlando (governatore della Liguria), associazione trasversale che ha tra i membri la Genova che conta. Sono esplose polemiche per gli incarichi pubblici ottenuti dai membri, anche perché tra i promotori apparivano una bella fetta della società Italbrokers (da cui Lorenzo Borgogni, pezzo grosso di Finmeccanica, sostiene di aver ricevuto due milioni, ma gli interessati smentiscono e annunciano azioni legali), nonché Franco Pronzato, arrestato per le mazzette Enac. Lo stesso Pronzato che era socio di Interconsult (società in passato legata a Italbrokers), impresa che ha versato 25 mila euro di contributi pubblicitari alla società Solaris che fa capo a Italianieuropei. Dopo le polemiche nessun chiarimento, ma il sito di Maestrale non è più visitabile.

Copertura assoluta

Impossibile, ecco il nodo della questione, per comuni cittadini e cronisti avere notizie sui finanziatori di associazioni e fondazioni. Si era visto all’epoca dell’inchiesta su Franco Morichini, procacciatore di finanziamenti per Italianieuropei: “Rivelare i nomi sarebbe come renderne pubblici gli orientamenti politici”, dissero dalla fondazione dalemiana. Vero, ma i partiti hanno l’obbligo di rendere pubblico chi li finanzia. I nuovi soggetti della politica italiana invece no: basta depositare in prefettura l’atto costitutivo e lo statuto. E nessuno, a parte eventualmente i magistrati, può metterci il naso. Così ecco la domanda: chi paga le fondazioni? Chi è il destinatario finale del denaro? Certo, ci sono casi – più unici che rari – come Magna Carta che rende pubblici i nomi dei finanziatori, come Francesco Bellavista Caltagirone, British American Tobacco, Mediaset, Wind e Finmeccanica.

Viene da chiedersi che utilità abbia una società pubblica a sponsorizzare la fondazione di un politico. Per scoprire chi finanzia le fondazioni non resta che prendere scorciatoie. Per esempio andando a vedere l’elenco degli inserzionisti pubblicitari dei loro giornali. Prendiamo Italianieuropei. Nel 2011 troviamo una bella lista di imprese pubbliche: Eni, Fincantieri, Enel, Trenitalia e ancora Finmeccanica. Poi giganti del settore privato: di nuovo British American Tobacco, poi si passa al mattone stavolta di sinistra con Coopsette, quindi al settore ferroviario con Bombardier che sforna centinaia di locomotive per i nostri treni, quindi Lottomatica, Barclays, Conad-Leclerc, Allianz, Sky, la banca ‘rossa’ del Monte Paschi di Siena e Telecom Italia. Infine Sma, società del gruppo Intini, un imprenditore amico di D’Alema che faceva affari con Gianpi Tarantini. Lo stesso Intini che attraverso due società, Sma e Milanopace, contribuisce all’associazione Faremetropoli di Penati. Niente di illegale, comunque, Italianieuropei (comeFaremetropoli) ha sempre regolarmente registrato i finanziamenti.