sabato 17 dicembre 2011

Frequenze tv, sì del governo all'asta Berlusconi: da Mediaset neanche un euro. - di Marco Conti




Silvio Berlusconi

ROMA - «Il nostro appoggio è stato sempre fuori discussione ma qui c’è il problema della tenuta del Pdl». L’ex ministro è nel cortile di Montecitorio dove è più facile inviare sms per bloccare i molti deputati pronti a salire su un aereo o su un treno per rientrare a casa prima del voto di fiducia finale. In aula il partito di Alfano ha già perso pezzi nel primo voto e, soprattutto, ha lasciato che alcuni deputati votassero contro, come Stracquadanio e Mussolini, e altri si astenessero come Martino e Moles. «Non possiamo lasciare alla Lega il monopolio dell’opposizione. Così come non possiamo permettere che il Pd recuperi il dissenso grazie alla Cgil». Il ragionamento del Cavaliere sembra però più il frutto di una presa d’atto che di una strategia e sconta la matta voglia degli ex di An di votare contro. «Se toccavano i tassisti e le farmacie l’avremmo mandato sotto», insinua un deputato romano cresciuto in via della Scrofa.


La decomposizione del centrodestra, si materializza in serata, quando la Camera vota un emendamento dell’Idv e della Lega che annulla la distribuzione gratuita delle frequenze e stabilisce l’asta.Un colpo basso che il disorientato gruppone guidato da Fabrizio Cicchitto, incassa con un sommesso brusio che taglia i banchi. Berlusconi non è in aula al momento del voto, ma si aspettava il colpo basso del Carroccio frutto, a suo giudizio, anche della guerra più o meno sotterranea che contrappone nella Lega il capogruppo Reguzzoni all’ex ministro Maroni che da tempo vorrebbe un suo uomo alla guida del gruppo leghista di Montecitorio. «L’asta non mi interessa e Mediaset non tirerà fuori un euro», continua a sostenere il Cavaliere poco o nulla turbato per il voto sull’ordine del giorno che di fatto non cambia nulla.

La sfida lanciata dalla Lega è però solo la prima di una lunga sequenza di colpi sotto la cintura che mirano ad innervosire il Pdl, ma non scalfiscono l’accordo fatto da Berlusconi con Monti prima del primo voto di fiducia e che sostanzialmente, raccontano a palazzo Grazioli, impone al governo di non intervenire sul sistema radio-televisivo. Ieri sera Berlusconi si diceva «tranquillo» con i suoi. Al punto da sbracciarsi e spiegare che con quel «disperato non volevo offendere il governo e Monti. Anzi, era un modo per condividere difficoltà che ben conosco». Malgrado gli sforzi di Berlusconi e Bossi, l’alleanza di centrodestra, così come è stata sino al 2008, non c’è più e, viste le assenze in aula di ieri, potrebbero essere tutti in salita i prossimi appuntamenti in aula. A cominciare dal voto di giovedì prossimo sull’uso delle intercettazioni che riguardano l’ex ministro Romano e dal voto in commissione che dovrebbe autorizzare o meno l’arresto di Cosentino. La Lega è infatti pronta a schierarsi con Idv e Pd pur di dare un pesante segnale all’alleato. Non solo, ma incassata una manovra che alla fine scontenta più il Pd che il Pdl, Berlusconi teme che al prossimo giro, ovvero sul pacchetto crescita e liberalizzazioni, sia il centrodestra a dover pagare il prezzo più alto con un Pdl chiamato a dare prova di unità su tassisti, municipalizzate e farmacie. Uno scenario che solletica l’ala centrista del partito di Alfano che da tempo medita l’emarginazione degli ex An.

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