domenica 27 febbraio 2011

La Libia, Obama e la giravolta del Cavaliere. - L'editoriale di Eugenio Scalfari.




LE RIVOLUZIONI dei popoli nordafricani e mediorientali hanno numerose differenze tra loro ma anche profonde analogie. Tra queste ce ne sono tre che meritano d'esser segnalate: sono guidate da giovani, hanno come primario obiettivo la conquista dei diritti di libertà e sono rivoluzioni laiche anche se nei paesi musulmani il loro grido di riconoscimento e di vittoria è spesso quello tradizionale "Allah è grande".

Bin Laden e il fondamentalismo talebano non potevano registrare una sconfitta storica maggiore di questa: Al Qaeda sperava d'essere alla testa di questo sconvolgimento storico; invece non ne è stata neppure la coda; semplicemente ne è rimasta fuori e non ha alcuna probabilità di inserirvisi. Lo sbocco finale è ancora incerto, in alcuni paesi dipende in larga misura dall'esercito e dai giovani ufficiali, in altri dalla nascente borghesia, in altri ancora dall'esistenza di forti legami tribali. Ma la conquista dei diritti di libertà (e di lavoro) spinge i rivoluzionari a guardare più verso ovest, cioè verso Occidente, che verso est. E non è un caso che ai giovani che hanno scacciato Mubarak dall'Egitto abbiano risposto i giovani e le donne iraniani che vorrebbero liberarsi dal giogo politico e culturale del regime khomeinista.

La stessa Israele è perplessa. Da un lato impensierita dalla caduta dei dittatori "moderati", dall'altro speranzosa di poter convivere con giovani democrazie prive di pregiudizi religiosi e storici.

Una convivenza competitiva ma non militare, una più equa diffusione del benessere, della divisione internazionale del lavoro e delle tecnologie che caratterizzasse tutta l'immensa regione che va dai due fiumi mesopotamici fino al Sinai, al Nilo, al Sahara libico e algerino, all'Atlante, a Casablanca. Forse sarà un sogno, ma le premesse ne stanno prendendo corpo. Molto dipenderà anche da come si comporteranno l'America di Obama e l'Europa. E meno male che Obama c'è!

Il Presidente americano ha legato il suo futuro politico al trionfo della democrazia nel mondo musulmano. Ne parlò un anno fa al Cairo e l'ha ripetuto adesso con chiarezza ancora maggiore. L'obiettivo è terribilmente ambizioso, molto di più di quello che portò alla caduta del Muro di Berlino. Sbaglia chi continua a proporre come metro il confronto tra Obama e Bush: il confronto attuale riguarda Obama da un lato e il pensiero unico del reaganismo dall'altro. C'è materia per riflettere e operare in un mondo multipolare che implica per tutti e per ciascuno una scelta di ruolo e di responsabilità.

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La Libia è oggi l'epicentro delle ultime convulsioni, ma l'esito è ormai segnato: la fine di Gheddafi porterà purtroppo stragi e rovine ma politicamente è già avvenuta. Non esiste alcuna ipotesi alternativa a quella del suo esilio perpetuo e del giudizio sui crimini commessi. Molti osservatori europei si preoccupano del petrolio e del gas, degli approvvigionamenti e dei prezzi di mercato; ma si tratta di preoccupazioni poco significative. Di gas ce n'è fin troppo sul mercato, l'offerta è maggiore della domanda e gli operatori internazionali sono ben contenti che ci sia una diminuzione del prodotto. Per il petrolio è diverso, ma quello libico è uno dei peggiori per qualità e comunque rappresenta meno del 2 per cento dell'offerta mondiale.

Il prezzo si è impennato a causa della speculazione, ma non ha l'aria di tenere a lungo anche perché la monarchia saudita deve procurarsi nuovi titoli di benemerenza con l'Occidente e non ha alcun interesse a speculare al rialzo sui prezzi del greggio.
Ma il problema libico contiene due elementi di vera preoccupazione: la costruzione di una stabile democrazia e l'emigrazione nordafricana verso l'Europa, della quale le coste della Sirte costituiscono il pontile. Questi due elementi sono fortemente intrecciati tra loro ed è superfluo spiegarne le ragioni, tanto sono evidenti agli occhi di tutti.

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La telefonata dell'altro ieri di Barack Obama al premier italiano è stata interpretata dai berlusconisti come un segnale di prezioso rafforzamento politico del premier italiano sullo scacchiere internazionale. Altri osservatori più distaccati si sono augurati che le opposizioni non si mettano di traverso e non operino contro il governo in un'azione che dovrebbe essere un obiettivo condiviso e "bipartisan".

Non temano e non si preoccupino questi osservatori: per quanto possiamo capirne, l'opposizione non sarà così meschina da privilegiare i baciamano di Berlusconi a Gheddafi rispetto all'interesse nazionale. Esiste un peso politico e strategico dell'Italia nella questione libica che fa premio su ogni considerazione e così avverrà. Quanto a Berlusconi, la spinta dei fatti e la pressione americana l'hanno rapidamente costretto ad una virata di 180 gradi, dal baciamano a Gheddafi alla condanna senza appello del Rais. Del resto, mai come nel caso libico, vale la distinzione tra Stato e governo e non è di poco conto la dichiarazione del nostro Presidente della Repubblica che non ha disgiunto il tema dei diritti di libertà ardentemente sostenuti dai rivoluzionari e la comune responsabilità europea sul tema dell'immigrazione di massa.

Napolitano rappresenta lo Stato e lo Stato per bocca sua ha parlato chiaro e netto. Il governo faccia la sua parte e le opposizioni la loro.

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Il ministro Maroni si lamenta per la scarsa voglia dell'Europa di "spalmare" su tutti i Paesi dell'Unione la temuta ondata dell'immigrazione verso le coste italiane. La Commissione di Bruxelles si è dichiarata pronta a cogestire con il governo italiano la fase dell'accoglienza e i costi che essa comporta, ma ha escluso di poterci aiutare a "spalmare" gli immigrati.

Le ragioni di questa difficoltà sono due. La prima riguarda l'Unione europea, la seconda i singoli Paesi membri.

L'Unione - se richiesta dal Paese interessato - può agire in prima persona per gestire i problemi dell'immigrazione. Qualora il procedimento sia avviato, la gestione dell'Unione si farà con i criteri europei. Esistono in proposito almeno due direttive e Maroni dovrebbe conoscerle.

Proprio perché immaginiamo che le conosca e proprio perché non condivide i criteri dell'Unione, ha preferito agire direttamente e bilateralmente. I respingimenti in mare non sarebbero avvenuti nel modo in cui sono avvenuti se fosse stata l'Unione europea ad occuparsene. Invece sono stati Maroni e Gheddafi.

Quanto agli Stati membri, quasi tutti hanno obiettato che si potrà "spalmare" quando il rapporto "pro capite" tra immigrati e cittadini avrà raggiunto in Italia lo stesso livello esistente negli altri Paesi dell'Unione. Così l'Austria, così la Germania, così la Francia, così la Gran Bretagna, così l'Olanda e il Belgio, così molti altri dei 27.
Ci rendiamo conto che la Lega incontra notevoli difficoltà a condividere questi ragionamenti. A noi purtroppo sembrano chiari e razionali. Non per pregiudizio, ma per senso della realtà. Ma appoggeremo i tentativi del ministro dell'Interno di "spalmare" dove riuscirà a convincere gli interlocutori. Restando chiaro che chi di respingimento ferisce, di respingimento rischierà di perire.

Post scriptum . Mentre tutto questo accade c'è un problema che continua ad avvitarsi su se stesso e sul nostro Paese: l'economia non cresce, siamo al penultimo posto dei Paesi europei (salvati come sempre dalla Grecia), al quarantesimo nella lista della produttività e all'ottantesimo in quella della competizione. Ma si sta profilando un altro gravissimo rischio: l'inflazione combinata con la deflazione, una tenaglia che potrebbe far stramazzare un toro e figuriamoci un'anatra zoppa come l'economia italiana.

Fino a marzo la Banca centrale europea non si muoverà, ma è probabile e prevedibile che quando la primavera sarà in fiore la Bce alzerà i tassi di interesse con effetti negativi sul costo del debito pubblico e dei prestiti bancari. Forse sarà necessaria una manovra di bilancio con quel che ne seguirà sugli investimenti e sui consumi. Senza imposte patrimoniali ovviamente. A quelle ci dovranno pensare i Comuni per non chiudere i battenti per bancarotta.



Romiti contro Berlusconi "Su scuola e giovani sbaglia".



"Gli insegnanti ci mettono abnegazione e amore, si sacrificano e le famiglie amano i maestri. Abbiamo un debito enorme rispetto alle generazioni attuali. Abbiamo avuto tanto e ora non possiamo dare altrettanto. E la situazione peggiora". "Spero che Mediaset non si interessi alla carta stampata, sarebbe un duro colpo alla libertà d'informazione"


Romiti contro Berlusconi. Sul tema della scuola, dei giovani ma anche su quello delle concentrazioni editoriali. E l'ex amministratore delegato di Fiat e, oggi, presidente della Fondazione Italia-Cina, è critico anche sulla politica italiana rispetto alla Libia. Le sue parole sono state raccolte da Sky Tg24, nell'intervista di Maria Latella.

La scuola - "Il presidente del consiglio, se è convinto dell'inutilità della scuola pubblica, uscendo dalla sede dove ha fatto queste affermazioni, doveva chiamare il ministro della Pubblica istruzione e costringerla a dimettersi", ha spiegato Romiti. "Berlusconi non ha fatto un'affermazione vera, perché la maggioranza degli insegnanti ha pochi mezzi, guadagna pochissimo, eppure le famiglie amano maestri e maestre di scuola elementare". Gli insegnanti, afferma Romiti, "ci mettono molta abnegazione e amore. Si sacrificano".

I giovani - "I giovani hanno una sensibilità grandissima. Quando qualcosa non va lo dovrebbero dire. Oggi abbiamo perso un sentimento che è quello della vergogna. Non ci vergognamo più. I giovani devono intervenire. Giovani svegliatevi", ha spiegato. Quello che dice il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, "è vero" e sono "affermazioni molto sagge". "La nostra generazione - sottolinea Romiti - ha un debito enorme rispetto alle giovani generazioni attuali. Abbiamo avuto tanto dai nostri padri e dai nostri nonni e ora non possiamo dare altrettanto ai nostri giovani. E il problema è che la situazione peggiora".

Concentrazioni editoriali - L'ex presidente di Rcs Cesare Romiti auspica che Mediaset non si interessi alla carta stampata sulla scorta della norma sugli incroci tra tv e stampa contenuta nel decreto milleproroghe. "Credo che sarebbe un passo ulteriore gravissimo della nostra economia e del nostro sistema di vita", ha detto Romiti, sottolineando che peggiorerebbe il "sistema di libertà" garantito dai giornali italiani. "Vedo che c'è un pò di turbolenza, mi auguro ci sia senso dello Stato", ha detto.
Durissimo anche con Fedele Confalonieri. L'ex presidente di Rcs ha affermato di non credere alle affermazioni del presidente di Mediaset che ha bollato come "stupidaggini" le ipotesi di un ingresso dell'azienda nella proprietà di quotidiani come 'Corriere della sera'. "Non ci credo - ha detto Romiti - perché quando uno fa queste dichiarazioni dietro chissà cosa ha".
"C'è un pò di turbolenza. Finchè sono rimasto in Rcs abbiamo fatto sì che ci fossero pochi azionisti. In pochi azionisti si governa meglio e nessuno di loro allora si era introdotto nei giornali. Oggi non è più cosi, allora facevamo diversamente". Romiti, auspica che venga tutelata la "libera informazione" che nasce dai giornali.

La Libia - "Guardo con grande preoccupazione a quello che sta succedendo in Libia. La Libia ci ha fatto comodo perchè ha investito in molte aziende italiane ma la politica avrebbe dovuto avere un atteggiamento diverso nei confronti della Libia. Da parte governativa, non da questo governo, siamo stati troppo accondiscendenti rispetto al Babbo Natale del deserto", ha sottolineato Cesare Romiti. "Avremmo dovuto mantenere più dignità e difendere meglio le nostre aziende", ha concluso l'ex presidente di Rcs.
Romiti ricorda anche i rapporti stretti tra Fiat e la Libia. "Era un periodo difficile, era l'inizio degli anni '70. Era un momento difficile per la Fiat e i libici si fecero avanti. Furono trattative lunghissime. Alla fine - sottolinea Cesare Romiti - proposero di partecipare all'aumento di capitale e di entrare nel capitale di Fiat. Ci preoccupava perchè all'epoca la Libia era quello che era. Chiedemmo agli Stati Uniti che ci raccomandava di non divulgare nessuna cosa sensibile e al presidente della Repubblica italiana che allora era Carlo Azeglio Ciampi e che mi abbracciò".
Per Romiti la decisione della Libia di partecipare allora al salvataggio di un'azienda italiana si spiega con il fatto che all'epoca "la Libia era talmente screditata che il fatto di fare un'operazione capitalistica e comportarsi bene gli permetteva di riacquistare un'autorevolezza nel mondo".



Dio voterebbe Berlusconi?





Parole testuali di Accappatoio Selvaggio sulla scuola pubblica: "Gli insegnanti inculcano idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie". Lui non ha corso di questi rischi, è andato a scuola dai Salesianiche lo hanno con tutta evidenza educato ai valori della famiglia.

"Berlusconi: "La scuola pubblica non educa. Sì alla famiglia, no ai matrimoni gay". Eh si. La sua condotta di padre di famiglia è esemplare. Io ho sempre desiderato avere un padre quasi ottantenne che andasse a letto con delle prostitute minorenni. Come sono sfortunato.

"Luca Popper, Milano