domenica 10 aprile 2011

Non siamo tutti idioti!


In Parlamento 314 deputati, con soli 12 voti di scarto, hanno dichiarato di credere che Berlusconi, quando ha telefonato alla questura di Milano per farla rilasciare dopo l'arresto per furto, fosse convinto che Ruby fosse veramente la nipote di Mubarak.

Che lui sia un babbeo, infatti solo un idiota può affermare di credere alle parole di una ragazzotta che non nasconde la sua natura alquanto "disponibile e compiacente", niente da dire, ne prendiamo atto e pazienza!

Ma che lo siano anche 314 nostri rappresentati al governo, tra cui alcuni ministri, non possiamo accettarlo.

Questi 314 nostri rappresentanti, il cui compito è governare il paese nell'interesse del paese, hanno deciso di credere che la "panzana" del premier rispondesse a verità.

E solo per compiacerlo e salvargli le chiappe, quelle di un ambiguo, vecchio e flaccido con "il vizietto del sesso a pagamento".

Ma questi stessi indegni signori si sono mai chiesti come mai, il loro premier, pur essendo convinto che Ruby fosse la nipotina di Mubarak, la invitava a cena a casa sua e si intratteneva con lei anche nel dopo cena? E per giunta in presenza di altre donne di non meglio identificata professione?

Si sono mai chiesti perchè fosse così generoso con questa ragazzotta prosperosa e compiacente elargendole cospicue somme di danaro?

Chiunque al posto di B., se fosse stato un essere responsabile e, quindi, un buon padre di famiglia, avrebbe chiamato l'amico Mubarak per segnalargli il comportamento ambiguo e non conforme alle regole di buona condotta morale della "nipotina".

Ma non lo ha fatto. Perchè? Questo non se lo chiedono i 314 irresponsabili?

Come non si sono mai chiesti quale "incidente diplomatico" si sarebbe potuto verificare se Ruby fosse stata davvero la nipote di Mubarak e quest'ultimo avesse saputo che il suo amico, vecchio ultrasettantenne, usava intrattenersi con sua nipote?

La panzana non regge, è chiaramente una invenzione studiata a tavolino e senza alcuna logica, da qualunque lato la si voglia analizzare.

Inoltre, se ha telefonato in Questura in qualità di premier, come sostengono di credere i 314 privi di coerenza e dignità, ha commesso ugualmente un reato, quello di abuso d'ufficio: il reato di furto, infatti, va condannato, chiunque sia a commetterlo!

Provo, pertanto, profonda vergogna per il servilismo dimostrato dai 314 individui che si sono resi complici dei reati commessi da un essere indegno, irrispettoso delle leggi, qual'è il nostro presidente del consiglio.

Qui i nomi dei 314 deputati babbei e complici del premier:


REFERENDUM 12-13 giugno 2011



COMUNICATO STAMPA

a) referendum popolare n. 1 - Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. Abrogazione;

b) referendum popolare n. 2 - Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma;

c) referendum popolare n. 3 - Nuove centrali per la produzione di energia nucleare.
Abrogazione parziale di norme;

d) referendum popolare n. 4 - Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale.

I cittadini italiani residenti all'estero e alcune categorie di connazionali temporaneamente all'estero, come meglio specificato oltre, possono votare per i referendum abrogativi del 12 e 13 giugno prossimo.

II voto per i referendum dei cittadini residenti ed iscritti all'AIRE si esprime esclusivamente per corrispondenza negli Stati con i quali il Governo italiano ha concluso apposite intese il cui elenco verrà pubblicato sul sito del Ministero degli Esteri.

Negli Stati dove tali intese non sono state concluse gli elettori residenti ed scritti all'AIRE non potranno esercitare il voto per corrispondenza e pertanto, per votare, dovranno recarsi in Italia avendo diritto al rimborso del 75% del biglietto di viaggio presentando la relativa documentazione al Consolato di competenza.

Anche i cittadini italiani temporaneamente all'estero come militari o appartenenti a forze di polizia in missione internazionale, come dipendenti di amministrazioni pubbliche per motivi di servizio ovvero come professori universitari ed i loro familiari conviventi potranno esprimere il voto per corrispondenza.

La possibilità di recarsi a votare in Italia usufruendo del rimborso non riguarda questa tipologia di elettori in quanto tali categorie potranno votare anche negli Stati con i quali il Governo italiano non ha concluso apposite intese.

Gli elettori temporaneamente all'estero appartenenti alle categorie sopraindicate ed i loro familiari conviventi, per poter esprimere il voto, dovranno sottoscrivere una dichiarazione ai fini elettorali entro P8 maggio 2011.

Gli elettori residenti e temporanei all'estero riceveranno a domicilio, da parte del Consolato di riferimento, il plico elettorale contenente le schede e le istruzioni sulle modalità di voto.

Chi non ricevesse il plico elettorale entro il 29 maggio, potrà recarsi di persona all'Ufficio consolare di riferimento per verificare la sua posizione elettorale.

E ricordate che se:

6 - I cittadini, non andranno a votare il referendum.

7 - Berlusconi sarà contento, farà arricchire i suoi amici, si arricchirà, resterà al suo posto.

8 - I cittadini, continueranno a prenderla nel ".................".
...
Vuoi che le cose non vadano a finire cosi ? Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.
Passaparola!

Pubblicizziamo questi argormenti, signori miei!!!!

Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum.

E' necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone.

Per altre notizie, per saperne di più:



Salii sul Moby Prince e vidi l’orrore. - di Emiliano Liuzzi


Non credo verrà mai fatta luce attraverso quella nebbia che la sera del 10 aprile 1991 avvolgeva il mare davanti a Livorno. Come per Ustica, la strage del 2 agosto e piazza Fontana, anche per i 140 morti del più grave disastro della marineria italiana, uomini donne e bambini che quella sera si imbarcarono sul traghetto Moby Prince diretti a Olbia, non ci sarà mai giustizia. A scacciare le ombre ci ha provato qualche anno fa anche un magistrato che stimo molto, Antonio Giaconi, ma si è dovuto arrendere persino uno come lui che è un mastino. Posso raccontarvi quello che vidi io quella notte e nei giorni successivi. Per ricordare.

Vissi quei momenti da giornalista, con la macchina fotografica al collo, nonostante i miei 22 anni che, da allora, cambiarono aspetto. Ero alla finestra di casa, ad Antignano, periferia della città, guardavo l’orizzonte come spesso mi capita nelle pause di riflessione. In mare c’era appunto foschia, ma a un certo momento il fumo riusciva a distinguersi. E non era nebbia. Mio padre allora era condirettore del Tirreno e, naturalmente, era al giornale. Provai a chiamarlo, ma l’interno mi dava occupato. Allora feci il 401141, che era il numero del centralino, e mi feci passareElisabetta Arrighi, cronista di razza, certo che avrei avuto risposte. Mi disse che probabilmente era una bettolina andata a fuoco, che lei stava scappando in capitaneria perché in quelle informazioni che le avevano dato c’era qualcosa che non le tornava.

Scoprii più tardi quello che era successo. Altro che bettolina, aveva ragione Arrighi a porsi dubbi: un traghetto era finito contro la petroliera Agip Abruzzo, la prua aveva centrato la cisterna 7, carica di 2700 tonnellate di petrolio Iranian Light e gli aveva riversato addosso greggio e fiamme. Più tardi mio padre mi chiamò, mi disse di andare al porto con la macchina fotografica.

Da lì in poi la consapevolezza di qualcosa di enorme, struggente. Ma niente ancora di quello che avrei visto in seguito. Alla capitaneria, insieme a un collega, andammo negli uffici degli ormeggiatori, i primi ad accorgersi di quello che era successo davvero. Mi ricordo le loro lacrime, la tensione, finirono quasi per menarsi tra di loro in quel caos infernale. Al porto incontrai un altro collega, Furio Domenici. Mi disse che aveva parlato con un amico della Labromare (ditta privata che lavora insieme ai vigili del fuoco per spegnere le fiamme del Moby) e che il giorno successivo saremmo saliti su quella nave a vedere cosa fosse accaduto.

Fummo gli unici due giornalisti a salire sul Moby, io e Domenici. Travestiti (allora il mestiere si faceva così) da operai addetti alla bonifica di quel restava del traghetto. Io ero un ragazzino, Domenici ne aveva già viste di cotte e di crude, aveva seguito il terremoto in Irpinia, le stragi di Natale, i delitti del mostro di Firenze. Ma quando arrivammo al salone De Luxe della nave restammo di pietra. Entrambi. Avevamo delle maschere a coprirci il volto, ma quell’odore di bruciato, di carne umana bruciata, me lo porto ancora dietro.

La nave era ancora rovente, e le suole degli stivali che ci aveva dato Ghigo Cafferata della Labromare ci si scioglievano sotto i piedi. E poi quel salone. Fatto di brandelli che potevano ricondurre a essere umani, ma che non avremmo riconosciuto. Forse qualcosa di simile si trova nelle rarissime foto di forni crematori. Sì, credo di aver visto da vicino qualcosa di molto simile alla guerra. Anche se il ricordo che mi porto dentro è l’odore. Delle 140 persone non restava niente, si erano sciolte in un tentativo di fuga, forse, ma che non abbiamo mai saputo. Si dice che i passeggeri vennero tutti radunati nel salone mentre la nave prendeva fuoco e in attesa dei soccorsi. Uno degli elementi verosimili di tutta questa tragedia. Tutti particolari che non sapemmo allora e non sappiamo con certezza neanche oggi.

Perché nessuno fuggì da quel salone che era diventato una trappola? Come fece a salvarsi una sola persona? Neanche questo si può accertare, solo un racconto di quel mozzo, Alessio Bertrand, sempre molto confuso. Fu colpa della foschia? Improbabile. Ma soprattutto una cosa: perché i soccorsi partirono in ritardo. Alle 22.25 il marconista del Moby lancia il May Day attraverso una ricetrasmittente portatile, non era in sala radio, ma i soccorsi cercavano l’Agip Abruzzo, il Moby se lo persero. Lo trovarono un’ora e dieci minuti più tardi e quasi per caso.

Il pm Giaconi qualche anno fa si è fatto mandare immagini satellitari, si è riletto le trascrizioni dei messaggi tra l’avvisatore marittimo, la nave Agip Abruzzo, le comunicazioni sul canale vhf 16 della Moby. Non ne è uscito nulla di decisivo. Il fascicolo è stato archiviato.

Sappiamo che in quello specchio di mare c’erano manovre di navi americane che caricavano armi da Camp Darby, come avviene anche oggi con una certa frequenza e grande mistero, visto che le autorità della base non sono tenute ad avvisare dei loro spostamenti. C’era un traffico inconsueto quella notte in porto, e soprattutto c’era una nave, la Theresa, che misteriosamente si allontanò subito dalla zona dell’incidente.

Ma sono solo ipotesi, supposizioni. C’era una partita in tv quella sera e il comandante del Moby,Ugo Chessa, senza possibilità di difendersi, visto che si trovava a prua e fu sicuramente tra i primi a morire, venne accusato anche per quello: i dietrologi sostengono che l’equipaggio inserì presto il pilota automatico per fare i loro comodi. Fantasiosa anche questa come ricostruzione.

E ancora: quella bettolina, che eppure era in quello specchio d’acqua c’era. Che fine fece? Niente, non lo sappiamo. Io ricordo che le fotografie non riuscii a farle. Ne ho scritto più volte, anni dopo, di quell’incidente, ma sempre con uno stato d’animo confuso dai ricordi. La stessa confusione che mi accompagnò quando scesi dalla Moby, nei giorni a seguire, quando arrivarono i parenti delle vittime e venne allestita una sala dove ricomposero quello che restava dei corpi. Anelli, catenine, orecchini. Impronte dentali. Niente, in pratica.

Quella nebbia si è portata via la Moby e quelle persone che partivano, chi per le vacanze di Pasqua, chi per tornarsene a casa.

Per una serie di coincidenze ho viaggiato con la Moby decine e decine di volte, sulla stessa rotta. Ho passato anni a tentare di ricostruire quello che accadde, tra carte vecchie e nuove, a parlare coi figli del comandante Chessa. A tentare una spiegazione di quello che avvenne. Non sono mai arrivato a nessuna conclusione. Anche perché quando si aprì il processo (se non sbaglio, parte dell’inchiesta fin nelle mani di un magistrato arrestato anni dopo per una corruzione) ero via da Livorno e non lo seguii.

Ogni anno il 10 aprile torno al porto, alla Darsena Toscana, butto in mare un fiore. Solo per ricordare, consapevole che quelle 140 persone non avranno giustizia. E se per piazza Fontana e le stragi di Natale qualche vaga spiegazione me la sono data, ho capito che alcuni apparati dello Stato non possono parlare, per la Moby no. Non sono riuscito ad arrivare a nessuna conclusione. Non sono arrivato a capire perché coloro che sanno – e ci sono – continuino a non raccontarla giusta.




Mafia e politica, Lombardo verso il rinvio a giudizio.


Notificato dai pm di Catania l'avviso di conclusione delle indagini, ora il governatore ha venti giorni per depositare memorie e chiedere di essere sentito. Incriminati con lui il fratello Angelo, deputato Mpa, il deputato regionale Giovanni Cristaudo e l'ex parlamentare Fausto Fagone, già in carcere
Raffaele LombardoSi conclude probabilmente con la richiesta di rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa l'inchiesta della procura di Catania nei confronti del governatore della Sicilia Raffaele Lombardo. I pm hanno depositato l'avviso di conclusione delle indagini, e da oggi il presidente della Regione ha venti giorni di tempo per depositare una memoria e chiedere di essere sentito nell'inchiesta che coinvolge anche il fratello del governatore, Angelo Lombardo, deputato nazionale dell'Mpa, un deputato regionale, Giovanni Cristaudo, e un ex deputato ancora in carcere Fausto Fagone. Sarebbero in tutto 56 gli indagati per i quali la Procura si appresta a chiedere il processo. Lombardo e' accusato di avere incontrato alcuni boss mafiosi ai quali avrebbe sollecitato consensi elettorali in cambio di favori. Il governatore ha sempre ammesso di avere incontrato quelle persone, esponenti del clan Santapaola, senza conoscere la loro qualita' di uomini d'onore, negando di aver chiesto loro voti. Il presidente della Regione ha chiesto piu' volte di essere sentito dalla Procura di Catania, che pero' l'ha sempre respinta ritenendo di rinviare l'interrogatorio ad un momento successivo. "Ho chiesto reiteratamente e invano, sin da quando la stampa ha iniziato a raccontare questa storia, di essere sentito - sostiene adesso Raffaele Lombardo - e sinora ho potuto rendere conto soltanto all'opinione pubblica. Da oggi disporrò di elementi certi e potrò contribuire a ricostruire compiutamente la verità". E conclude: "La scelta dei titolari dell'indagine di depositare gli atti che mi riguardano - aggiunge il governatore - pone fine allo stillicidio di notizie, sulla cui fugà sono state avviate indagini, strumentalizzate più d'una volta a fini politici, anche per la modalità di diffusione troppe volte coincidente con momenti delicati della vita politica e istituzionale della nostra Regione".


Berlusconi, un uomo solo allo sbando. - di Sara Nicoli


Mentre Napolitano e Maroni lavorano per riportare l'Europa sui binari di Schenghen, il Cavaliere pensa a se stesso. Dal palco dei Confondatori di Rotondo attacca i giudici. Quindi vola a Lampedusa per una passerella a suo uso e consumo. Intanto, il Pdl è sempre più lacerato da una guerra per bande

Adesso cominciano a chiederselo anche nel Pdl, anche a casa sua, anche nei suoi giornali; sarà mica che il Cavaliere, ormai, è bollito? Ecco, guardando la situazione con freddezza, non si può che convenire che ormai parrebbe arrivato alla frutta: crisi mediterranea, sfacelo immigrazione, maggioranza in ordine sparso, partito ormai evaporato da qualche mese, processi senza sosta. Quirinale gelido, poteri forti diventati avversari, Geronzi abbattuto senza neppure mandargli un sms di avviso, sondaggi a picco.

Eppure, nonostante tutto, oggi il Caimano sorrideva. Dalla mattina presto in cui ha incontrato i “Confondatori” democristiani di Rotondi fino alla sera, quando è volato a Lampedusa per fare l’ennesima passerella. In ogni istante non ha mai perso di vista l’obiettivo unico della sua esistenza: farsi i fatti suoi. Adesso, diventati un’emergenza tale da essere diventati oggetto di campagna elettorale e predellino mediatico ad uso e consumo del suo popolo.

Qualche fotografia sparsa di un assolato sabato d’aprile all’ombra del Caimano; davanti alla platea democristiana, Silvio spara a palle incatenate contro i giudici ma soprattutto se la prende con il famoso Mesiano, quello che l’ex direttore di Studio Aperto, Claudio Brachino, fece a pezzi per il solo fatto che portava i calzini azzurri. Silvio lo odia quel giudice perché gli ha dato torto sulla questione Mondadori condannandolo a pagare 750 milioni di euro: “E’ stata una rapina a mano armata”, sentenzia, ma poi piange miseria perché la Mondadori varrebbe anche meno della multa (252 milioni, dice lui) e dunque sono i giudici che vogliono vederlo anche in miseria. Poi, mentreGiorgio Napolitano da un lato e Bobo Maroni dall’altro strattonano un’Europa recalcitrante a tener fede al trattato di Schengen, arrivando fino al punto (Napolitano) di chiederne una “revisione”, lui è a Lampedusa ufficialmente per dichiarare di aver tenuto fede alla promessa di svuotare l’isola. Ma, soprattutto, per far vedere alle telecamere degli inviati di mezza Europa che lui la casa a Lampedusa l’ha effettivamente comprata, anche se ci sono un po’ di rogne notarili. Ma “se non si risolveranno, vorrà dire che ne comprerò un’altra; ho già promesso ad amici di passare le vacanze qui”. Magicamente, i fatti suoi sono tornati al centro della scena.

La realtà che emerge da due episodi avvenuti a poche ore di distanza l’uno dall’altro, è evidente: Berlusconi, al momento, vede solo due emergenze, quella di vincere le prossime amministrative e di riuscire ad uccidere i processi che lo riguardano. Ancora ieri sera a Lampedusa ha sparato sui magistrati “che lavorano contro il Paese” perché lo chiamano alla sbarra “in un momento come questo”. “Ditemi voi – ecco le sue parole – se si può lavorare così, io avevo fatto una legge sul legittimo impedimento ma la Corte Costituzionale l’ha affossata; che ciascuno tragga le sue conclusioni”.

Le prossime settimane saranno fotocopie fedeli di questo sabato, una campagna elettorale continua, puntata sull’aggressione alla magistratura da una parte e poggiata sul lavoro parlamentare ammazza processi dall’altra. Nonostante la maggioranza che fa acqua da tutte le parti. Ecco, il Cavaliere mente sui numeri parlamentari. Anche ieri ha annunciato, come ormai fa ogni due, tre giorni, il prossimo arrivo di nuovi adepti nel gruppo dei “Responsabili”, tre nuovi assoldati da Verdini dai banchi delle opposizioni. “Siamo ormai a quota 330, adesso possiamo fare le riforme”, ha gongolato davanti ai Confondatori democristiani. Non è vero niente. E lui lo sa bene. La settimana scorsa, i primi voti sul processo breve sono arrivati solo perché i ministri deputati erano presenti in massa alla Camera. In un momento così difficile e drammatico per il Paese, è stato persino spostato il Consiglio dei Ministri di giovedì per garantire che il governo fosse sempre in aula; altro che maggioranza “serena” per poter fare le riforme. Nel Pdl è ormai una guerra per bande, Scajola contro La Russa e Verdini, Gelmini e Frattini asserragliati accanto a Silvio, ex Dc e ex Forza Italia che fanno fronda, Miccichè contro tutti, Alemanno che sente odore di bruciato e si guarda intorno. Per non parlare del ricatto dei Responsabili, ormai veri padroni della partita e a cui Berlusconi deve pagare la cambiale più rapidamente possibile se non vuole vedersi staccare la spina quando meno se lo aspetta. Gli obiettivi prioritari del Caimano per il momento sono due: approvare il prima possibile il processo breve (Ghedini vorrebbe entro i primi di giugno) e vincere le amministrative di maggio. Se li centrerà, potrà anche non preoccuparsi troppo dei referendum successivi e puntare subito a mettere in cantiere la leggina supera-Bassanini per aumentare i posti di governo e accontentare i Responsabili.

A detta dei suoi, nella testa del Caimano c’è solo un’ombra su questo progetto all’insegna dell’impunità giudiziaria e del mantenimento del potere attraverso una nuova investitura popolare, seppur solo amministrativa: il Quirinale e Napolitano che potrebbe mettersi di traverso sulla firma al processo breve e sull’allargamento della maggioranza. Ma, a quel punto, non avendo più nulla da perdere, Berlusconi non ci penserebbe un attimo ad attaccare anche il Colle, in modo più pesante di quanto non sia avvenuto fino ad oggi. Il Cavaliere, insomma, non ci sta a fare la parte del “bollito”, anche se il suo mondo e il suo sistema ormai sta in piedi solo per miracolo. Un miracolo che per il Paese sta durando sempre troppo.