martedì 19 aprile 2011

Patente sospesa? Basta conoscere il politico giusto.

Il vicepresidente della provincia di Teramo, Renato Rasicci (Pdl), chiama la prefettura per aiutare l'amico del figlio. Al ragazzo era stato ritirato il documento per il tasso alcolico oltre i limiti di legge. Ora indaga la procura

TERAMO – Una festa in piena notte. Un ragazzo che ha problemi con la polizia per una storia di documenti. Un politico importante del centrodestra che telefona alla Prefettura per chiedere un favore. Il favore che arriva e… tutti finiscono sotto inchiesta. Sembra una storia già sentita, vero? E invece no, questa è nuovissima. Ed è tutta in salsa teramana, anche se, come il “Ruby gate”ufficiale, rischia di avere ripercussioni politiche anche pesantissime. Ma andiamo al fatto. È agosto del 2010, sabato notte, ad Alba Adriatica si tira a far mattino, come in tutte le località di mare.

Davanti allo chalet “Il faro” c’è una comitiva di ragazzi, tutti più o meno ventenni, ridono e scherzano. Poi qualcuno va a prendere la macchina, ormai si sono fatte le tre e bisogna pur avviarsi sulla strada di casa. Un’ultima sgommata, qualche manovra un po’ forzata per strappare l’ultima risata alle ragazze del gruppo, il traffico che si ferma e, in un attimo, i lampeggianti della pattuglia della polizia stradale di Giulianova.
L’alcol test del ragazzo alla guida rivela un tasso esagerato, superiore al massimo del massimo consentito. Patente ritirata, subito. Il ragazzo, però, non si rassegna: tra gli amici, quella sera, allo chalet, c’è anche il figlio dell’assessore al Sociale e vicepresidente in quota Pdl alla Provincia di Teramo, Renato Rasicci, che chiama papà.

L’assessore pochi minuti dopo arriva sul posto del controllo della polizia. Sulle prime avrebbe cercato di intercedere in favore del ragazzo che aveva perduto la patente, poi però, vista l’assoluta fermezza de poliziotto, la cosa avrebbe preso un’altra piega, che è il motivo scatenante dell’inchiesta. Rasicci, sbandierando il ruolo pubblico ricoperto, avrebbe detto al poliziotto di essere certo di poter far riavere la patente al ragazzo in tempi brevissimi. Fin qui, forse, solo un attimo di nervosismo.

Invece, va proprio così: il ragazzo torna in possesso della patente due giorni dopo e il poliziotto che l’aveva multato consegna tutto alla Procura della Repubblica, che apre un’inchiesta coperta dal massimo riserbo.
Scopo dei magistrati, a questo punto, è verificare come e perché la Prefettura abbia deciso di restituire la patente al ragazzo, visto che quel tasso pretenderebbe il ritiro per almeno un anno, e soprattutto se, e se sì quanto, in questa decisione abbia potuto influire l’assessore e vicepresidente, con il suo ruolo pubblico. La questione è, come si intuisce delicatissima, anche perché sul registro degli indagati sarebbero già finiti sia l’assessore sia i funzionari della Prefettura.

Di avvisi di garanzia, però, Rasicci, dice di non averne ricevuti, ma sul fatto non smentisce, anzi: “È vero, sono stato chiamato alle 3 di notte di sabato da mio figlio e sono andato a vedere cosa accadesse, ma la polizia, per privacy, non mi ha detto nulla, se non che mio figlio non c’entrava – racconta il vicepresidente della Provincia di Teramo – il lunedì successivo ho chiamato la Prefettura, ma il Prefetto non c’era, è tornato il martedì e mi ha detto di parlare con il comandante della polizia stradale di Teramo, poi mi hanno fatto compilare un modulo scaricato da Internet e il ragazzo, il mercoledì, ha riavuto la patente, ma è tutto regolare… il procedimento penale va avanti, ma intanto il ragazzo, che fa il rappresentante, può lavorare… che c’è di male?”.

di Antonio D’Amore




Berlino: “Voti Berlusconi? Qui non entri”, un ristorante mette il cartello contro B.




Berlino: in un ristorante della capitale tedesca può capitare di imbattersi in un cartello (nella foto): “Se voti Berlusconi qui non entri". Il ristoratore rincara la dose e afferma "Nel mio ristorante non li voglio. gli elettori di Silvio Berlusconi, per loro non c’è servizio”. “Niente cervello, niente servizio”. I giornali tedeschi si sono fiondati sulla notizia e, in Italia, dal suo blog di Franca Rame ha scritto: “Il punto non è il cartello in sè, che può essere valutato una boutade: è ciò che rappresenta, il disprezzo verso gli italiani che eleggono come capo del governo una persona del genere”.







Pdl terrorizzato dal plebiscito anti B Cancellato il nucleare per salvare il Capo.



Il 12 giugno si vota anche l'abrogazione del legittimo impedimento. La tragedia in Giappone avrebbe spinto gli italiani a partecipare alla tornata referendaria, raggiungendo così il quorum. Un rischio troppo alto per il premier. Così oggi un emendamento cancella l'ipotesi di realizzare le centrali. Palazzo Chigi: "Nuova strategia energetica"

Il Governo blocca il progetto delle centrali nucleari, cercando di evitare il referendum previsto per il 12 giugno prossimo. C’è troppa attenzione sul tema, dopo la tragedia in Giappone. Così la maggioranza ha timore che gli italiani possano partecipare al quesito referendario per esprimere la loro contrarietà alla costruzione degli impianti sul terreno nazionale, raggiungendo il quorum. Ma soprattutto facendolo raggiungere anche al referendum che chiede di abrogare la legge sul legittimo impedimento. Vera preoccupazione del premier. La volontà della maggioranza non è quella di rinunciare alla partita nucleare ma piuttosto rimandare la questione a dopo le amministrative di maggio, che non si annunciano di certo facili. L’emendamento presentato stamani al Senato deve poi passare per la Camera e a Montecitorio sarà discusso il 20 maggio, cinque giorni dopo il primo turno delle elezioni amministrative. Stando a quanto riferiscono fonti vicine a Palazzo Chigi, dunque, il piano è solo rimandato. Poco importa se le schede per i referendum sono già state stampate.

L’esecutivo ha deciso di fermare il programma “al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche”. La rinuncia a portare avanti le norme sulla realizzazione di impianti in Italia sostituisce la moratoria già prevista ed è stata inserita come emendamento all’articolo 5 del decreto legge Omnibus, ora in esame al Senato. L’emendamento è stato presentato direttamente in Aula in mattinata e non era inserito nel fascicolo degli emendamenti prestampati, prevede che “al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”. In una nota Palazzo Chigi ha precisato che ”con l’emendamento viene affidata al Consiglio dei ministri la definizione di una nuova Strategia energetica nazionale”, che terrà conto delle indicazioni dell’Ue.

Sarà l’ufficio centrale della Cassazione a decidere se, alla luce dell’emendamento presentato oggi dal governo, il referendum sul nucleare salterà o se la consultazione si terrà ugualmente. La Suprema Corte – spiega il presidente emerito della Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti- dovrà infatti stabilire se l’abrogazione delle norme sulla realizzazione di nuovi impianti nucleari sia “sufficiente nel senso richiesto dai promotori del referendum”. Nel caso in cui la Cassazione dovesse ritenere che l’emendamento del governo al decreto omnibus soddisfi solo parzialmente le richieste dei comitato promotore, la consultazione del 12 e 13 giugno si terrebbe lo stesso, anche se con un quesito “ristretto”.

Immediate le reazioni dell’opposizione. I senatori del Pd parlano di legge truffa. “Addio al referendum sul nucleare. Il governo vigliaccamente toglie la parola agli elettori, portando in aula un emendamento al decreto omnibus che verrà votato tra oggi e domani”, dicono Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.”E addio anche alla moratoria di un anno, perché la procedura viene semplicemente sospesa sine die, in attesa forse di tempi migliori e sicuramente dopo avere aggirato l’ostacolo del referendum che avrebbe bocciato l’avventura nuclearista del Governo”, dicono. “Non è altro che una legge truffa in salsa nucleare, ma considerando che tutti i maggior Paesi si avviano a uscire dall’energia atomica, questo trucchetto è il definitivo harakiri dei nuclearisti nostrani”. Mentre secondo Sergio Chiamparino lo stop dell’esecutivo “è segno dell’ennesima improvvisazione del governo nella politica industriale e del fatto che si lascia guidare dalla pura ricerca di consenso”. Parlare di nucleare, secondo in sindaco di Torino, “è stato del tutto velleitario e demagogico, volto a trovare consensi nel mondo industriale salvo poi fare marcia indietro sull’onda emotiva del Giappone. Questo – precisa – è segno di improvvisazione nella politica industriale”.

Antonio Di Pietro convoca una conferenza stampa lampo a Montecitorio per denunciare la strategia del governo: “Il governo tenta, con l’emendamento che blocca la costruzione di centrali nucleari, di truffare con un colpo di mano i cittadini e evitare il referendum”. Secondo il leader dell’Idv (colto da un lievissimo malore durante le battute coi cronisti ndr) con la decisione di oggi l’esecutivo “tenta in realtà di disinnescare la mina dei referendum, perché la paura fa novanta e si teme che il referendum sul nucleare trascini con sé anche quello, ben più temuto dal premier, sul legittimo impedimento. Se si volesse rinunciare al nucleare – dice ancora il leader Idv – noi ne saremmo felici, ma allora si deve procedere con l’abrogazione dell’intera legge. Il parlamento – incalza Di Pietro – non deve insomma giocare a rimpiattino. Il governo riconosca di aver fatto un errore, ma non creda di fermare il referendum con un giochino”. E allora la proposta dell’Italia dei valori è, innanzitutto un immediato subemendamento in cui si chiede di abrogare tout court la legge, e poi l’invito ai cittadini di andare comunque al referendum”, per poi arrivare “a uno scioglimento anticipato delle Camere”.

In mattinata, durante un ‘intervento al Parlamento Europeo, a Bruxelles, sui piani del governo per il nucleare si era espresso negativamente Giulio Tremonti. Dopo quello che è successo inGiappone, alla centrale di Fukushima,che “non è solo un banale incidente”, per il ministro dell’Economia è necessaria una “riflessione economica e non solo”. Forse è arrivato il momento, ha continuato Tremonti, di rispondere con il “finanziamento di piani per le energie alternativeanche con gli Eurobond”, cioè l’emissione comune di titoli di Stato europei.

“L’esecutivo ha deciso di presentare un subemendamento che è identico a quello già presentato dai nostri senatori”, sostiene Francesco Rutelli. “Si mette fine così”, ha concluso il leader di Api, “ad una illusione priva di presupposti economici e di garanzie di sicurezza, tanto più alla luce del disastro di Fukushima. Noi anti-nuclearisti potremmo gridare vittoria, in realtà è l’ennesima pagina triste di questa legislatura”, commenta il deputato Pd, Dario Ginefra. “Si cerca di non far raggiungere il quorum al referendum, per timore che possa essere abrogata la norma sul legittimo impedimento”, aggiunge, “E si lascia il Paese senza un piano energetico. Anche gli ambientalisti non possono che gridare all’irresponsabilità di Berlusconi e del suo Governo”.



Nucleare: ko tecnico. - di



Gli italiani non vogliono il nucleare. Ora è ufficiale. La notizia porta il timbro del governo Berlusconi, un governo che al suo attivo ha un punto di forza indiscusso: conosce l’arte dei sondaggi. Dopo il ko del 1987, quando il fronte nucleare finì al tappeto con il referendum post Cernobil, nel match di ritorno uno dei due contendenti annuncia il ritiro per manifesta inferiorità tecnica.
E la ragione è semplice: l’indagine sugli umori degli italiani ha dato un risultato netto. L’idea di vedersi piazzata una centrale nucleare vicino a casa è capace, in un’epoca di crescente disaffezione per le urne, di fare il miracolo di trascinare al voto tante persone. Che poi magari, visto che ci sono, potrebbero mettere una croce anche sulla domanda sul legittimo impedimento, cioè sulla possibilità di dare a qualcuno uno status al di sopra delle leggi, situazione gradita all’attuale maggioranza ma considerata improponibile dal senso comune.
La formula di ritiro dal ring referendario è però ambigua e prova ancora una volta a lasciare la porta aperta a un futuro nucleare, non precisato nel tempo. Ma stavolta sembra finita l’epoca delle giravolte sull’atomo. A gennaio i più autorevoli rappresentanti del governo lo definivano tanto «sicuro e affidabile» da poter garantire il 25 per cento dei nostri consumi elettrici. Anche all’indomani del disastro di Fukushima il ministro dell’Ambiente assicurò «naturalmente il piano nucleare va avanti». Adesso si dichiara forfait. Per riesumare domani i progetti imbalsamati? Visto che dispone di tanti esperti nucleari, il governo può chiedere loro se l’atomo può essere trattato come un paio di jeans: si può tirar fuori a seconda delle stagioni, magari cambiando il format delle centrali e aggiornando gli spot pubblicitari? Dopo mezzo secolo di esperienze un po’ più collaudate, a Fukushima ora la pensano diversamente.



Le firme false oltre quota mille 300 nella lista del Pdl a Milano.


Gli indagati non rispondono: il pm potrebbe chiedere il giudizio immediato a loro carico
Il radicale Cappato: "Il governatore Formigoni ha mentito agli elettori, adesso si dimetta"

di WALTER GALBIATI

Qualcuno si è avvalso della facoltà di non rispondere, altri si sono difesi. Gli interrogatori dei consiglieri e sindaci indagati per la vicenda delle firme false della Lista Formigoni sono partiti ieri e sono proseguiti a ritmi serrati. Tre consiglieri provinciali milanesi e un consigliere provinciale di Varese hanno deciso di non rispondere alle domande del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che nei giorni scorsi ha notificato loro un invito a comparire con l'accusa di falso ideologico.

Formigoni: "Ma i lombardi hanno scelto me"


In particolare, il consigliere provinciale milanese Massimo Turci si è presentato in Procura, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre gli altri due consiglieri provinciali di Milano, Marco Martino e Nicolò Mardegan, non si sono nemmeno presentati. Ha declinato l'invito anche il consigliere provinciale di Varese, Franco Binaghi, mentre l'unica a rispondere alle domande degli inquirenti, difendendosi, è stata Barbara Calzavara, anche lei consigliere della Provincia di Milano. Scena muta per Gianluigi Secchi, della provincia di Pavia, e di Massimo Vergani, della provincia di Monza e Brianza. Nell'inchiesta sono indagate in totale 14 persone, tra sindaci, consiglieri provinciali e comunali della Lombardia, che sono accusate di avere autenticato le firme ritenute palesemente false dagli inquirenti. In questi giorni sono previsti altri interrogatori degli indagati, al termine dei quali il pm potrebbe anche chiedere il giudizio immediato, vista la solidità della prova, costruita ascoltando uno per uno i firmatari delle liste, che puntualmente hanno disconosciuto la propria sigla.

Fra l'altro, il numero delle firme false sarebbe salito a quasi mille, in quanto sarebbero circa 300 le firme non valide presentate a sostegno della lista del Pdl per la circoscrizione provinciale di Milano, sempre per le ultime elezioni regionali. Quelle raccolte per Roberto Formigoni ammontano a circa 800. L'indagine della procura continua ad alimentare la polemica politica. "Crediamo che Formigoni si debba dimettere per il crimine politico di avere mentito agli elettori lombardi. Se si dovesse andare a nuove elezioni l'unico responsabile sarebbe soltanto lui". È quanto ha affermato, Marco Cappato, candidato della lista Bonino-Pannella e autore dell'esposto in procura contro Formigoni.

http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/04/19/news/le_firme_false_oltre_quota_mille_300_nella_lista_del_pdl_a_milano-15127390/




Lassini: "Se mi arrabbio vuoto il sacco lo slogan anti-pm usa frasi del premier".


Parla il candidato del Pdl a Palazzo Marino che è indagato per i manifesti contro i magistrati
"Vogliono escludere me per questo reato di opinione e intanto tengono i ladri in Parlamento"

di FRANCO VANNI

Roberto Lassini, presidente dell’associazione che ha ideato i manifesti “via le Br dalle procure”, come reagisce al fatto che il Pdl le ha chiesto di non presentarsi alle elezioni comunali a Milano?
«Mario Mantovani, coordinatore del partito in Lombardia, è un vecchio democristiano come me. Mi ha solo chiesto di “fare un passo indietro”, e può significare molte cose».

Indagati in tre per i manifesti I manifesti contro i magistrati E il Pd li cancella

Per la verità il messaggio pare chiaro.
«Sono pronto a resistere. E se mi arrabbio ho tanto da raccontare».

Suona come una minaccia...
«Semplicemente, non voglio fare da capro espiatorio. Mi escludono perché sono indagato per un presunto reato di opinione, mentre in Parlamento ci sono ladri condannati. Non parlo solo del Pdl, ma di tutti i partiti. Io sono stato assolto dopo cinque anni di processo ai tempi di Mani Pulite e vengo messo alla gogna».

A stigmatizzare i manifesti è stato anche il presidente Napolitano: non pensa di avere esagerato con quello slogan?
«Mi sono assunto la responsabilità di quanto fatto dai militanti della “Associazione dalla parte della democrazia”. Quello slogan è forte, è vero, ma riprende quanto detto da Silvio Berlusconi sul “brigatismo giudiziario” di certi magistrati».

L’azienda che avrebbe attaccato i manifesti dice che era lei a pagare le affissioni, almeno per una prima serie di poster a fondo azzurro. È così?
«È corretto».

Lassini in tribunale per Berlusconi La protesta a Palazzo Marino

Lei conosce Silvio Berlusconi?
«Gli ho stretto la mano a un pranzo elettorale. Tutto qui».

È vero che lei era sindaco di Turbigo quando ha conosciuto Mantovani, come lui ha raccontato in un’intervista?
«Siamo amici di famiglia, ci conosciamo da una vita. E abbiamo una comune storia politica nella Dc. Io ho seguito le evoluzioni del partito, oggi sono consigliere a Turbigo eletto con l’Udc».

È stato Mantovani a chiederle di entrare nella lista del Pdl a Milano?
«Mi sono proposto io e lui mi ha sostenuto».

Quando è successo?
«Le rispondo da democristiano: in tempi utili».

A Turbigo si dice che lei sia l’avvocato di Mantovani. È vero?
«No. L’anno scorso lui mi ha procurato un paio di piccoli lavori come legale per il Comune di Arconate, di cui è sindaco. Roba da mille euro a causa. È stato un gesto da amico, ne avevo bisogno, non sono milionario e ho anche debiti».

Lei è comparso vicino a Mantovani in una manifestazione “anti-pm” a Palazzo di giustizia. Il coordinatore ha avuto un ruolo anche nella contestata campagna di affissioni?
«Non parlo dei manifesti, c’è un’indagine in corso. E ripeto: è l’iniziativa di alcuni militanti della mia associazione».

Perchè i file dei primi manifesti, a tema “Silvio resisti”, sono sul blog del coordinatore della campagna elettorale del Pdl?
«Non parlo dei manifesti, c’è un’indagine in corso».

Qual è il suo sentimento in questi giorni di bufera?
«Mi spiace che la Moratti mi abbia chiesto di uscire dalla lista, questo è ovvio. Ma non ho nulla contro il sindaco né contro il partito. Rivendico solo il mio diritto di opinione».

http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/04/19/news/lassini_se_mi_arrabbio_vuoto_il_sacco_lo_slogan_anti-pm_usa_frasi_del_premier-15115680/?ref=HREA-1




Berlusconi punta al duello finale "Scontro ormai inevitabile col Colle".



Il premier risponde al Quirinale: "I pm hanno passato il segno, non io. Se prevalessero i pm, sarei costretto a lasciare l'Italia". E attacca: "Napolitano non ha detto nulla sulle intercettazioni date alla stampa". Letta non media.
di FRANCESCO BEI
ROMA - La scudisciata lo colpisce mentre è in riunione, ad Arcore, con gli avvocati Ghedini e Longo. Gli portano le agenzie con l'intervento di Napolitano e Berlusconi, inforcati gli occhiali da lettura, scuote la testa indignato: "Non ho nulla di cui rimproverami, l'intervento che ho fatto a Milano lo pronuncerei di nuovo. E questo Lassini nemmeno lo conosco". Il premier dà ordine ai suoi di non replicare al Quirinale, silenzio assoluto, ma chi si fa interprete del pensiero del Cavaliere riferisce del duro sfogo contro il "doppiopesismo" che il capo dello Stato avrebbe usato nei suoi confronti. "Se c'è qualcuno che ha superato il limite sono i magistrati e da tempo. Eppure Napolitano non ha mai detto nulla, nemmeno quando hanno passato alla stampa quelle intercettazioni del presidente del Consiglio che avrebbero dovuto essere distrutte".

Insomma Berlusconi, anche se la diplomazia istituzionale gli impone di non commentare la lettera del presidente della Repubblica, in privato non fa nulla per nascondere la sua irritazione. Oltretutto, sebbene giuri di non sapere nemmeno "che faccia abbia" l'autore dei manifesti sui pm "brigatisti", il premier si sente chiamato in causa in prima persona da Napolitano quasi fosse il mandante dell'iniziativa. Per questo stavolta non farà marcia indietro, non abbasserà i toni come pure gli chiedono molte delle colombe del partito, a partire da Gianni Letta. Ormai, anche con il capo dello Stato, la linea scelta è quello dello scontro.

Non che Berlusconi lo cerchi, ma non si tirerà indietro: "Saranno i nostri elettori a rispondere a Napolitano". Il premier è convinto infatti di aver ingaggiato "l'ultima battaglia", quella che deciderà del suo destino senza possibilità di rivincita. "Se i pm dovessero prevalere mi spolperebbero, mi toglierebbero le aziende, dovrei lasciare l'Italia. Ma questo non accadrà mai". Il terreno dello scontro finale Berlusconi lo ha già individuato: sarà la legge sulla prescrizione breve, l'unica arma che lo metterà al riparo dalla sentenza Mills. Il capo dello governo, spiegano i suoi, non si fa illusioni, è convinto che Napolitano non promulgherà il provvedimento rispedendolo dritto in Parlamento. "Lo scontro con il Colle sarà inevitabile - pronosticano gli uomini del Pdl - e allora tanto vale creare il clima giusto. Perché l'intenzione di Berlusconi è quella di riapprovare la legge in quattro e quattr'otto, senza modificarla di una virgola".

La partita sulla giustizia s'intreccia strettamente con quella elettorale. Berlusconi è preoccupato dei sondaggi su Letizia Moratti, che sembra condannata a giocarsi il tutto per tutto al ballottaggio. Così ha deciso di polarizzare la campagna elettorale, giocando la carta del referendum tra sé e i pubblici ministeri. Un modo per mobilitare un elettorato del centrodestra deluso, tiepido verso il sindaco uscente, che potrebbe essere spinto al voto soltanto se sentisse il proprio leader in pericolo. È quello su cui punta Berlusconi, che non fa nulla per attenuare i toni contro i magistrati. "Nell'ultima settimana - riferisce un esponente del Pdl milanese - grazie ai comizi del presidente del Consiglio, la lista Pdl è cresciuta di quattro punti nei nostri sondaggi".

L'assaggio di questa escalation studiata a tavolino l'hanno avuto i corrispondenti delle più prestigiose testate internazionali (prima che apparissero i manifesti di Lassini sui muri di Milano), sui quali il Cavaliere ha "testato" la prima volta l'equazione pm=Br. In un lungo sfogo di quattro ore, che sarebbe dovuto restare off the record, Berlusconi aveva infatti usato parole del tutto identiche a quelle del suo "sconosciuto" attacchino milanese. Racconta uno dei giornalisti testimoni del monologo: "Sembrava indemoniato. Ci disse che le Brigate rosse usavano il mitra come i pm usano oggi il potere giudiziario. Anzi, aggiunse che l'attacco dei pm è persino più pericoloso per la democrazia rispetto a quello delle Br, perché viene portato da funzionari pubblici. Parlò di eversione". Giudizi che lasciarono basiti i giornalisti. Ora i più avveduti nel Pdl, vedendo avvicinarsi un conflitto istituzionale senza precedenti, cercano di gettare acqua sul fuoco. Maurizio Lupi sostiene ad esempio che "il richiamo di Napolitano è rivolto a tutti, non solo a noi. Non dimentichiamoci che il segretario dell'Anm disse che la maggioranza non era legittimata "moralmente" a fare la riforma della giustizia". Su Lassini poi la sentenza sembra già emessa. "Da Alfano a Moratti - dice Lupi - siamo tutti d'accordo nella condanna di quei manifesti". Lassini "se ne deve andare", commenta laconico Paolo Bonaiuti. Ma anche se Lassini - come sembra inevitabile - sarà costretto a lasciare la lista del Pdl, Berlusconi tirerà dritto nel suo attacco: "A Milano ci giochiamo tutto. Se vinco vado avanti fino al 2013".

http://www.repubblica.it/politica/2011/04/19/news/berlusconi_punta_al_duello_finale_scontro_ormai_inevitabile_col_colle-15118086/?ref=HREA-1


La batcaverna. - di Gianni Barbacetto.



Eccola, la Bat-caverna. Altro che laboratorio. Altro che showroom. Il superloft di Gabriele Morattiin via Airaghi 30 a Milano non è più un immobile industriale (come imporrebbe la destinazione d’uso), né è mai stato uno spazio commerciale (come ha tentato di far credere il figlio del sindaco). È l’abitazione ultra-tecnologica del Morattino, con zone soggiorno, cucina, area party, camere padronali, camere per gli ospiti, servizi, giardino, piscina, palestra, poligono di tiro, parcheggio auto e ponte levatoio. Lo dimostra il video-documento che presentiamo: un “rendering”, come dicono gli architetti, cioè una presentazione di Casa Moratti a fine lavori.

Un abuso edilizio è sempre un abuso. Ma se a commetterlo è il figlio del sindaco, allora diventa anche un problema politico. Soprattutto se il primo cittadino prima nega, poi minimizza, infine scarica tutto sul figlio, come se non ne sapesse niente. “Sono stata a casa di mio figlio solo un paio di volte”: così è sfuggito a Letizia Moratti, che si è subito corretta: “Nell’immobile di mio figlio”. In realtà c’è andata più volte. Non solo: l’ha frequentata anche durante i lavori di ristrutturazione. A fine 2009, andava nella casa del figlio a fare il bagno in piscina, perché l’acqua della Bat-caverna è salina e dunque faceva molto bene a un suo polso dolorante. Allora la palazzina era ancora un cantiere ma, quando arrivava l’auto blu del sindaco, i 15 operai uscivano e, per un paio d’ore, lasciavano tranquilla Lady Letizia. A mollo nella Bat-piscina.

L’abuso edilizio, naturalmente, avrebbe dovuto rimanere segreto. Invece è emerso perché l’azienda che ha realizzato una parte dei lavori, la Hilite, ha avviato una causa civile nei confronti di Gabriele Moratti il quale, insoddisfatto dei lavori, si era rifiutato di pagare il conto. È poi seguita un’indagine penale sugli eventuali reati urbanistici, avviata dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che in questa vicenda si è assunto il ruolo del Joker e ha chiesto l’azzeramento delle opere ritenute abusive, fino a ripristinare la situazione iniziale del capannone di via Airaghi.

Il titolare della Hilite, Matteo Pavanello, aveva ricevuto da Gabriele Moratti due incarichi: per 380 mila euro attraverso la società Brera 30 e per 250 mila euro attraverso Hilite. Ha ricevuto solo una parte dei pagamenti, attraverso due assegni firmati da Gianmarco Moratti, padre di Gabriele e marito di Letizia. Il valore totale dei lavori della Bat-caverna, dalle opere in muratura agli interventi tecnologici fino agli arredi, si aggira attorno ai 4 milioni di euro.



Manifesti giudici-Br pagati dal PdL?


La procura indaga: sotto accusa Giacomo Di Capua, braccio destro del coordinatore locale Mantovani. E un sospetto sul reale committente

Roberto Lassini e Giacomo di Capua: al momento sono il presidente della misteriosa Associazione dalla parte della democrazia, autodenunciatosi, e il capo della segreteria di Mauro Mantovani, coordinatore del PdL lombardo, gli indagati per la vicenda deimanifesti “Fuori le Br dalla Procura” che hanno tappezzato Milano fino a provocare la reazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera ci spiega però che l’ipotesi dei magistrati è più complicata:

Di Capua è stato infatti indagato, per l’ipotesi di reato di «vilipendio all’ordine giudiziario», dopo che a indicarne il ruolo nelle recenti campagne pubblicitarie firmate dalla misteriosa «Associazione dalla parte della democrazia» è stato uno dei due titolari dell’azienda di comunicazione politica che la Digos e il pm Armando Spataro avevano interrogato sabato, la «Bergomi&Falcone». Il gioco del cerino ha fatto ricostruire a ritroso il percorso dei manifesti: gli attacchini hanno indicato una ditta, questa ha spiegato che aveva operato, come spesso avviene in questo mercato, dietro mandato di u n ’ a l t r a a z i e n d a , l a «Bergomi&Falcone» (dal nome dei due titolari), che in passato aveva fatto diverse campagne per il Pdl. Falcone ha spiegato che il materiale per le affissioni della fantomatica «Associazione dalla parte della democrazia » (e cioè i precedenti manifesti Silvio resisti e Toghe rosse, ingiustizia per tutti, escluso però a suo dire proprio il manifesto sui pm «brigatisti» riecheggiante alcune esternazioni del premier) era arrivato da una certa tipografia.

Analoga la spiegazione iniziale di Bergomi, che però, di fronte all’esito dei primi accertamenti, ha modificato quanto aveva detto fino a quel momento agli inquirenti. E soprattutto, si pensa che anche quei manifesti, come altri, siano stati stampati con l’accordo che alla fine a pagare sarebbe stato il PdL:

E ha rivelato che l’incarico per la campagna pubblicitaria di affissioni siglate dall’«Associazione dalla parte della democrazia» gli era stato dato venti giorni fa in un incontro nella sede del partito in viale Monza da Di Capua, capo della segreteria del coordinatore regionale pdl, con l’intesa che a pagare sarebbe stato come le altre volte il Pdl. Bergomi rimarca che non c’erano i manifesti Fuori le Br dalle Procure. Ma le perquisizioni nella società ne trovano uno, che Bergomi sostiene sia stato raccolto per caso da qualcuno e buttato nel cestino; e nella tipografia indicata trovano sia le matrici sia l’ordinativo di 5.000 manifesti, emesso da una società di pubblicità nella medesima orbita. E Lassini? Anche l’autodenunciatosi candidato alle comunali di Milano nella lista Moratti, «presidente onorario» di un’Associazione «registrata 2 mesi fa», è indagato, dopo Di Capua e il tipografo: ma, al momento, solo a causa della sua intervista.

http://www.giornalettismo.com/archives/121961/manifesti-giudici-br-pagati-dal-pdl/