martedì 26 aprile 2011

Io sto con Ingroia. - di Beppe Giulietti



No, non ci sto, questo tiro al bersaglio contro il magistrato Antonio Ingroia è davvero disgustoso. Lo attaccano solo perchè ha osato difendere la Costituzione, perchè è stato un allievo di PaoloBorsellino, perchè nelle sue inchieste si è spinto troppo in là, non si è fermato in tempo.

I mazzieri del regime gli hanno già rifilato una bella dose di randellate mediatiche, Giuliano Ferrara ha già annunciato che chiederà le sue dimissioni in diretta tv, forse una troupe di un tg di famiglia lo seguirà, riprenderà il colore dei suoi calzini e lo indicherà come una persona disturbata, un mezzo matto che si è messo in testa di colpire i mafiosi e i loro amici, per informazioni rivolgetevi al giudice Mesiano.

“Poteva pure starsi zitto, non è opportuno…”, questi i sussurri e non solo sussurri dei cerchiobottisti di ogni colore, quelli che quando Berlusconi randella qualcuno riescono solo a dire: “Forse avrà esagerato nei toni, ma anche loro se la sono cercata…”

A tutti costoro vorrei ricordare che da settimane un imputato sta oltraggiando i suoi giudicia colpi di videocassette trasmesse a reti semiunificate, anzi non contento ha persino ordinato di confezionargli una legge per mettere i pubblici ministeri alle dipendenze del governo, per ridurne l’autonomia, per scardinare la Costituzione.
Ogni qual volta la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, l’Associazione magistrati, i singoli magistrati hanno osato manifestare perplessità e critiche sono stati ricoperti da contumelie, da invettive, da inviti a tenere la bocca chiusa.

In queste ore il giudice Ingroia non ha potuto replicare ai suoi inquisitori, anzi a questo proposito vi proponiamo la lettera che ha spedito alla redazione di Articolo 21: Rivendico il diritto alla libertà di espressione di un magistrato: quando poi si tratta di riforme che riguardano la giustizia quel diritto diventa un dovere. Mancherei a questo dovere se tacessi. Mi piacerebbe che io, come altri miei colleghi messi nel mirino solo perché esprimiamo opinioni, potessimo avere un diritto di replica agli attacchi che spesso riceviamo da alcune reti televisive”

Questa lettera la gireremo alla Autorità di garanzia per la comunicazione, alla Commissione di Vigilanza, al Consiglio di amministrazione della Rai e da loro vorremmo sapere come intendano garantire il diritto al contraddittorio e alla replica anche ai giudici e più in generale a quanti sono e saranno più sottoposti al cosiddetto “metodo Boffo“, ad una sorta di pestaggio politico e mediatico teso a piegarne la resistenza, a imbavagliarli, a mettere in condizioni di non nuocere chiunque continui a pensare che lo stato non sia una delle tante aziende di proprietà del capo supremo.

Qualche tempo fa il ministro Maroni si stracciò le vesti perchè Roberto Saviano aveva parlato delle infiltrazioni mafiose in terra leghista, ipotesi per altro ormai condivisa dall’universo mondo e confermata dallo stesso governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Per replicare ai pochi secondi di Saviano, Maroni ottenne ore di trasmissione.

Perchè Ingroia non ha potuto replicare? Perchè quelli che ulularono contro Saviano tacciono adesso? Perchè alcune anime candide della opposizione storcono il naso e si girano dall’altra parte? Il diritto negato a Ingroia e a tutti i magistrati italiani riguarderà presto tutti quelli che contrasteranno davvero il disegno di colpire a morte il cuore della Costituzione? Il cavaliere non farà distinzioni e non farà prigionieri, questa volta giocherà davvero la partita della vita.

L’Ocse, l’organizzazione internazionale che si occupa anche della libertà dei media, ci ha fatto sapere di nutrire forti preoccupazioni per le troppe intimidazioni e minacce contro alcuni giornalisti italiani, tra di loro vengono indicati quasi tutti quelli che Berlusconi e Masi vorrebbero eliminare, cancellando quel poco che ancora resta del pluralismo politico ed editoriale nel polo Raiset. Dal momento che l’Ocse non è certo una organizzazione antiberlusconiana sarà davvero il caso di prendere sul serio le loro preoccupazioni e di non lasciare mai solo chi fa sentire la sua voce a protezione e a presidio della legalità repubblicana.

Per questo oggi siamo con Ingroia, e domani con chiunque altro sarà minacciato e colpito con i manganelli mediatici, sia esso un giudice che ama la legalità o un precario che non vuole rassegnarsi alla distruzione della scuola pubblica.



Napoli: aumenta la tassa smaltimento rifiuti.


A Napoli, la tassa sullo smaltimento dei rifiuti urbani, da quando è gestita dalla Provincia, è stataaumentata per ben tre volte.

La tassa si paga per avere un servizio: raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, oltre che di spazzamento delle strade pubbliche. L'Ente non può incassare più di quanto spende per il servizio di raccolta e smaltimento. Ma se non si effettua la raccolta e, ancor più grave, non si procede allo smaltimento dei rifiuti come legge impone? Se lo smaltimento dei rifiuti, come audizioni parlamentari, intercettazioni telefoniche, indagini e processi hanno ampliamene dimostrato, non è stato mai svolto, per diciassette anni, come legge imponeva, i campani, per cosa hanno pagato?

Decreto Legislativo del 15 novembre 1993, n. 507: il mancato svolgimento del servizio rifiuti e quindi determinando una situazione sanitaria di danno o pericolo alle persone o all'ambiente, autorizza, il contribuente, per mezzo domanda scritta a richiedere uno sgravio o restituzione, della tassa.

La Provincia così spiega l'ennesimo aumento della tassa: il governo, dopo aver promesso di togliere la monnezza, non ha stanziato i fondi per i cosiddetti «ristori ambientali», vale a dire la riqualificazione ambientale delle zone che ospitano discariche e impianti per i rifiuti. Rispetto al 2009, i napoletani pagheranno il 70% in più. Una voce «aggiuntiva» quella del costo dei «ristori» che ricadrà sui cittadini; 150 milioni di euro. Napoli, presidente di provincia, Luigi Cesaro, fondatore della Sapna, la società che ha acquisito il compito di gestire l'intera filiera dei rifiuti nella provincia partenopea. Conflitto di interesse. Chi controlla la tariffa della tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani? Violazione delle norme europee, violazione dei diritti umani, violazione della Costituzione e del codice penale e civile. La Campania è totalmente amministrata nella violazione. L'illecito si è impossessato delle istituzioni campane; le procure, insidiano, nei cittadini, dubbi legittimi sul loro onesto operato. La domanda: mancano le leggi a permettere alle procure di intervenire, o nelle procure non tutto viene fatto secondo leggi? L'Unione Europea finge di assecondare i preziosi contribuiti dei cittadini campani, finge di sposarne le lotte, le battaglie. Finge, perchè poi lascia al governo italiano di continuare nell'illecito.

Nel frattempo, il ministro dell'Ambiente sigla un protocollo d'intesa assieme alla Confindustria per avviare ilSistri: il programma per la tracciabilità dei rifiuti. L'accordo tra il Ministero e i rappresentanti dell'industria chiude il periodo di contrattazione e apre al monitoraggio del funzionamento del sistema da parte di un Comitato consultivo che non risulterà in oneri ulteriori per la pubblica amministrazione. Chi fa parte di questo comitato consultivo? Il Sistri insomma nasce sotto una cattiva stella. Chiedere ai cittadini italiani di avere fiducia in chi inquina, come le industrie di Confindustria, rende il Sistri, una misura vana, uno specchietto per le allodole.

In particolare, il SISTRI sarà interconnesso telematicamente con l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che fornirà, attraverso il Catasto Telematico, i dati sulla produzione e la gestione di rifiuti alle Agenzie Regionali e Provinciali di Protezione dell’Ambiente, che a loro volta provvederanno a fornire i medesimi dati alle competenti Province. Nel caso di Napoli, i dati finiranno in mano a Luigi Cesaro?

Per garantire la tracciabilità dei rifiuti speciali, anche per quanto riguarda il trasporto marittimo e ferroviario, il SISTRI sarà interconnesso con i sistemi informativi della Guardia Costiera e delle Imprese ferroviarie. Inoltre, al fine di ottimizzare la gestione integrata dei rifiuti urbani della Regione Campania, l’art. 2, comma 2 bis, del decreto legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito nella legge 30 dicembre 2008, n. 210, ha previsto la realizzazione del sistema di tracciabilità di tale tipologia di rifiuti, denominato SITRA, meriterebbe un approfondimento a parte. Il Sistri non contribuirà affatto ad eliminare la piaga delle ecomafie. Non serviva il Sistri per conoscere chi produce inquinanti e quindi chi non smaltisce secondo le norme. Il Sistri non aiuterà ad inchiodare i responsabili delle migliaia di discariche mal gestite in Italia, il Sistri non farà pulizia dei parassiti e non darà giustizia ai cittadini. Naturalmente anche questo ricadrà nelle tasche e sulla salute dei cittadini. Nell'attesa dell'inutile Sistri, i rifiuti campani volano verso la Toscana. 'Il conferimento dei rifiuti campani nelle due discariche toscane è controllato, monitorato e garantito nei minimi dettagli e in ogni fase. Non esistono quindi estremi per mettere in dubbio la sicurezza di questa operazione svolta nel rispetto di tutte le norme''. Tiene a precisarlo l'assessore regionale all'ambiente della Toscana, Anna Rita Bramerini, rispondendo a quanto sostenuto in una lettera al presidente della Regione, Enrico Rossi, e a lei stessa da Renzo Macelloni, presidente della Belvedere Spa, la discarica di Legoli che potrebbe accogliere in tutto 4500 tonnellate di rifiuti campani. Anche qui la domanda nasce spontanea: se i rifiuti campani non seguono nessuna differenziazione, come fanno ad arrivare monitorati in Toscana e altrove?

Il governo nazionale non deve avere l'autorità esclusiva ed assoluta nel prendere decisioni che coinvolgono i cittadini. Il governo nazionale non può avere tra i ministri e funzionari di ministro, soggetti coinvolti direttamente in aziende o società collegati ad un servizio pubblico. Le segreterie di partito non possono avere come massimi referenti regionali soggetti accusati, a vario titolo, di appartenenza con la criminalità organizzata. Il governo nazionale non può permettere ad un suo referente istituzionale di fondare società private e quindi di gestire servizi pubblici con i soldi dei contribuenti. Il governo nazionale non può venir meno ad un suo specifico compito: arginare il fenomeno della corruzione e dell'illecito mediante leggi specifiche ed urgenti. Il ministero dell'ambiente e quello dell'economia non possono siglare accordi che prevedano cospicui stanziamenti pubblici a favore di soggetti privati ma ben noti nei loro corridoi e chiamati ad assolvere compiti pubblici, abusando di poteri e poltrone. Il governo viene da noi inteso come maggioranza ed opposizione. Una Nazione cresce e si sviluppa se guidata da una classe politica onesta e laboriosa. Fin quando vivrà nel seno del governo il conflitto di interesse, ogni buon proposito morirà ancor prima di vedere luce. Non occorrono invenzioni futuristiche, occorre venga rafforzata la legge, imposta ed attuata. Inoltre, più importante, le discariche usate dagli enti locali come buche per smaltire i propri rifiuti non possono essere di proprietà privata e non possono essere aree militarizzate, così gli inceneritori e i depuratori. Se il governo italiano pretende dagli italiani il pagamento di tasse preposte all'attuazione di servizi pubblici, aree e aziende, devono essere pubbliche e non private. Viene a mancare la trasparenza.

http://www.agoravox.it/Napoli-aumenta-la-tassa.html

Cernobyl, a 25 anni dal disastro nucleare.



MOSCA - Dalla sicurezza all'informazione, dagli studi medici ad un sarcofago ancora da ultimare dopo 25 anni: il disastro nucleare di Cernobyl sembra una lezione mancata dopo un quarto di secolo, e non solo per il recente bis a Fukushima. Oggi a Kiev si tenterà l'ennesimo bilancio con una maxi conferenza, dopo la messa-lampo del patriarca di Mosca Kirill e la rapida visita alla centrale dei presidenti di Ucraina e Russia, i due paesi più colpiti dalla nube radioattiva (insieme alla Bielorussia). Qualche leader ha già tentato di trarre un insegnamento per il futuro.

Il leader del Cremlino Dmitri Medvedev, erede di quell'Urss che nascose il disastro per tre giorni, si è detto convinto che "la principale lezione" è "dire la verità alla gente, perché il mondo è talmente fragile, e noi siamo talmente interdipendenti, che ogni tentativo di nascondere la verità, di non dire tutto...si risolve in tragedia". E ha condannato la condotta 'irresponsabile dello Stato'' sovietico, "che non trovò subito il coraggio di riconoscere quello che era successo", ha ammonito mentre consegnava al Cremlino l'ordine del coraggio ad alcuni "liquidatori".

In quattro anni l'Urss ne mandò oltre 600 mila per liquidare le conseguenze del disastro, esponendoli a forti dosi di radiazioni con una protezione minima. Lo ha confermato anche alla stampa il gen. Nikolai Antoshkin, comandante dei piloti di elicotteri inviati a gettare tonnellate di sabbia e piombo sopra il reattore numero 4, esploso per un errore umano durante un test di sicurezza, sprigionando elementi radioattivi di una intensità equivalente ad almeno 200 bombe di Hiroshima e dispersisi in un'area di oltre 200 mila kmq. Ricevevano pillole di iodio, una pomata antiradiazioni e una nuova uniforme dopo ogni missione, al termine della quale dovevano lavarsi. Sapevamo che si trattava di precauzioni insufficienti, ma volarono lo stesso. Idem per i 'liquidatori' mandati nel reattore con protezioni minime: ci stavano tra 25 e 60 secondi, ma spesso quei secondi erano letali.

In Russia ne sono rimasti 150 mila ed hanno pensioni mensili dai 2500 rubli (62 euro) a 500 mila rubli (12.500 euro), a secondo del tempo di esposizione. Sono gli eroi sopravvissuti di una tragedia che tutti pensavano non potesse ripetersi. Tantomeno in Giappone. Eppure, dopo 25 anni, la lezione sembra tutta da imparare. Cernobyl fu frutto di un errore umano in una centrale senza adeguati sistemi di sicurezza. Ma l'ultimo dei suoi quattro reattori è stato chiuso definitivamente solo nel dicembre 2000. Nel frattempo le dieci centrali atomiche russe continuano a funzionare con una trentina di reattori in gran parte dell'epoca sovietica, il più vecchio dei quali risale al 1971. Il reattore di Cernobyl fu coperto in sei mesi con un involucro provvisorio di cemento, rinforzato alcuni anni fa, ma ora ha una fessurazione ed è costantemente monitorato per il rischio di crolli. E' rimasto provvisorio per 25 anni, e dovrà attenderne altri quattro prima di essere ricoperto da un nuovo sarcofago in acciaio per il quale la comunità mondiale non ha ancora coperto il budget di 1,5 mld di euro. Un'altra lezione mancata è quella medico-scientifica sulle vittime e gli effetti di Cernobyl.

A 25 anni dalla catastrofe, il bilancio suscita ancora controversie. Le autorità ucraine stimano che un totale di 5 milioni di persone abbia sofferto le conseguenze della tragedia. Per Greenpeace il numero varierebbe da 100 mila a 400 mila. Nel 2005 alcune agenzie dell'Onu (tra cui l'Oms) hanno indicato che sono morte 4000 persone. Ma l'Unscear, la commissione scientifica dell'Onu per gli effetti delle radiazioni nucleari, riconosce solo 31 vittime dirette dell'incidente, tra operatori e pompieri. E nel suo rapporto dello scorso febbraio fissa a 6000 i casi di cancro alla tiroide (di cui 15 mortali), riconoscendolo come unica conseguenza diretta del disastro. Ma il problema è che è mancato lo screening sanitario. "Studi indipendenti condotti in Ucraina, Russia, Bielorussia e in altri Paesi dimostrano che le conseguenze all'esposizione anche a un basso livello di radiazioni sono molto più allarmanti di quello che la comunità internazionale vuole accettare", sostiene Aleksander Glushcenko, un fisico nucleare autore di tre libri su Cernobyl.



Vertice Italia-Francia, Sarkozy: “Creare gruppi europei, sì a Draghi alla Bce”.

Convergenza anche sugli altri temi. Berlusconi cede sulla modifica di Schengen e il presidente francese si dice soddisfatto della scelta italiana d'intervento in Libia. Pronta una lettera per i vertici Ue: necessario un maggiore coinvolgimento

“Un incontro molto positivo”. Così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ha definito il vertice intergovernativo a Villa Madama con il presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, appena concluso. La convergenza dei due leader sui tanti temi affrontati sarebbe stata totale, secondo quanto dichiarato dal premier italiano nella conferenza stampa a margine. Durante il suo intervento, il premier italiano ha anche accennato alla recente decisione del governo di frenare sull’energia nucleare, nonostante “siamo assolutamente convinti che sia il futuro per tutto il mondo”, ha detto. Berlusconi ha così spiegato il motivo della moratoria governativa: il timore dell’opinione pubblica dopo il disastro di Fukushima avrebbe reso il nucleare “impossibile per anni”. Meglio aspettare “uno o due anni perché si tranquillizzino”, ha concluso. “Tra Italia e Francia ci sono delle tensioni, – ha dichiarato Sarkozy sul merito dell’incontro – non ha importanza sapere di chi è la colpa, ma non hanno motivo di esistere”. Nemmeno sulla gestione dell’immigrazione e sulla questione libica, quindi. Proprio su quest’ultimo punto, il presidente francese ha sottolineato di aver accolto positivamente la decisione italiana di un maggiore coinvolgimento militare. Non si tratterà di bombardamenti, ha chiarito ancora una volta Berlusconi, ma di “inteventi con razzi di estrema precisione su singoli obiettivi militari, dove si possa eslcudere con certezza la possibilità di danni alla popolazione civile”. Un passaggio dell’incontro è stato dedicato anche alla Siria, nuovo fronte caldo di proteste anti-regime. “Siamo molto preoccupati per gli sviluppi e le numerose vittime. – ha dichiarato Berlusconi – Facciamo un appello forte alle autorità di Damasco affinché diano un seguito concreto e immediato alle riforme annunciate”.

Il coinvolgimento in Libia. Durante il vertice, Berlusconi e Sarkozy hanno discusso al telefono con il leader del Comitato nazionale transitorio di Bengasi, Mustafa Jalil, per fare il punto della situazione. Entrambi i leader hanno ribadito ancora una volta la necessità di un appoggio internazionale al Cnt e di un passo indietro di Muammar Gheddafi. Jalil ha ringraziato l’Italia per la decisione di utilizzare i propri veivoli in azioni militari in Libia. Scelta del tutto condivisa anche dal presidente francese che, sin dai primi momenti delle operazioni, aveva richiesto un maggiore coinvolgimento. Una decisione difficile, ha dichiarato Berlusconi, “per il passato coloniale e per i trattati di amicizia siglati con il popolo libico, ma riteniamo che del nostro intervento ci sia bisogno”. Anche perché, ha specificato il premier italiano, era stato richiesto dalla Nato e dagli Stati Uniti. Nessun problema con i vertici della Lega, secondo Berlusconi, nonostante il Carroccio si sia opposto con fermezza. “Ci siamo già sentiti – ha spiegato il premier – e li richiamerò anche tra poco per spiegare la questione”. Ma il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, insiste: “La Lega Nord è contraria alla guerra. Questa è la posizione che porteremo con Umberto Bossi al prossimo Consiglio dei Ministri”. “Calderoli si basa su informazioni complete” è la risposta del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che domani riferirà insieme al ministro degli Esteri,Franco Frattini, davanti alle commissioni riunite Esteri-Difesa di Camera e Senato.

Dichiarazione congiunta sul tema immigrazione. I due leader hanno firmato una dichiarazione congiunta su Libia e Nord Africa, con la richiesta alla Ue di una maggiore cooperazione – anche sul piano degli investimenti – con i paesi della sponda sud del Mediterraneo. Durante il vertice, inoltre, è stata decisa la nomina di due stretti collaboratori di Berlusconi e Sarkozy, che si occuperanno di “affrontare il tema immigrazione, sviluppando i trattati già esistenti”, ha spiegato il premier italiano. Che ha voluto anche porre fine alle polemiche di questi giorni con la Francia a proposito dei permessi temporanei ai migranti tunisini. “Non hanno diritto all’asilo, è un’immigrazione economica, non dovuta a nessuna guerra”, specificava l’Eliseo. Oggi, Berlusconi ha dato pubblicamente ragione al collega francese, riconoscendo lo sforzo della Francia “superiore cinque volte a quello italiano”. “Nessuna accusa quindi”, ha chiarito. Insieme alla dichiarazione congiunta, i due leader hanno firmato una lettera, indirizzata al presidente dell’Unione europea, Herman Van Rompuy, e al presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, con alcune proposte di modifica provvisoria del trattato di Schengen, in situazioni eccezionali, e la richiesta di potenziamento dell’agenzia Frontex, il sistema di pattugliamento europeo delle frontiere esterne. “E’ necessaria la solidarietà di tutti i Paesi della Ue”, ha concluso Berlusconi.

Lactalis-Parmalat, sì a gruppi italo-francesi. “Crediamo nel futuro dei gruppi europei, l’abbiamo sempre detto”, ha spiegato il presidente francese riguardo al capitolo economico dell’incontro. Che, proprio stamattina, ha visto scendere in campo il gruppo d’oltralpe Lactalis con l’opa lanciata per l’acquisto del gruppo italiano Parmalat. Una proposta “non ostile”, ha spiegato Berlusconi, che pure ha ammesso quanto sia singolare che l’iniziativa sia arrivata proprio questa mattina, data dell’appuntamento tra i due Paesi. La strada che Italia e Francia intendono percorrere, nel caso Lactalis-Parmalat e più in generale, è quella di una co-partecipazione. Per raggiungerla, secondo Sarkozy, è naturale “un periodo di tensione, per mettersi d’accordo”. “Voi avete le piccole e medie imprese, noi i grandi gruppi. – ha continuato il presidente – Non c’è bisogno di farci la guerra”. Massima disponibilità da parte della Francia, invece, ad appoggiare la candidatura di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea. Il presidente Sarkozy si è detto “molto felice” di sostenere la figura di Draghi, “perché è una persona di grande qualità, e in più é italiano”.




Foto-shock: le aziende italiane dopo 10 anni di Governo Berlusconi.


Il diritto di rispondere a un agente della Guardia di Finanza o a un ispettore delle Entrate «non rompete più di tanto» è il sogno di qualunque contribuente. Perché alla pressione fiscale da record (43,5% nel 2009; al terzo posto tra i Paesi sviluppati dietro Danimarca e Svezia), si aggiunge quello del numero di adempimenti fiscali e quello dei controlli (…) I documenti si moltiplicano e di pari passo simoltiplicano le ore dedicate alla consegna di faldoni contabili a questo e quell’ufficio. La Banca Mondiale ha fatto la classifica del Fisco complicato. Sulla bellezza di 183 paesi, l’Italia è collocata al 123° posto. Si stima che ogni azienda sia costretta a dedicare alle tasse il doppio del tempo necessario in Francia e Olanda, il 50% in più di Spagna e Germania; 60 ore in più della media europea. Nel corso di quest’anno, per esempio, le scadenze fissate sono 694.

[Fonte: La Stampa - Fonte grafici (click per ingrandire):
Il Giornale/Il Corriere della Sera/La Repubblica/Il Sole 24 Ore]
Dal 1994 in poi non ha mai smesso di promettere particolare attenzione al mondo dell’impresa, della competizione, dello sviluppo, dell’efficienza, della libertà economica – meno Stato e più Mercato, il suo motto preferito – assicurandoci “meno tasse per tutti” e scagliandosi contro un fisco vorace, da riformare, ed una burocrazia killer, da sconfiggere. Oggi sappiamo che 10 anni di ”Leader imprenditore” - e 17 di promesse mancate – hanno reso quelli italiani gli imprenditori più subissati d’Occidente, prima burocraticamente, poi fiscalmente. Questo era il suo cavallo di battaglia: figuratevi tutto il resto.

Per i grafici:

http://informarexresistere.fr/foto-shock-le-aziende-italiane-dopo-10-anni-di-governo-berlusconi.html?ref=nf


“Il governo non rinuncia al nucleare”.



Silvio Berlusconi spiega il punto di vista dell’esecutivo sull’atomo durante la conferenza stampa con Sarkozy.

Siamo assolutamente convinti che l’energia nucleare sia il futuro per tutto il mondo’.Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi nella conferenza stampa seguita al vertice italo-francese a Villa Madama puntualizzando il senso della ‘moratoria nucleare’ del governo.

MORATORIA PER L’OPINIONE PUBBLICA - “L’accadimento giapponese ha spaventato ulteriormente i nostri cittadini. Se fossimo andati oggi al referendum, non avremmo avuto il nucleare in Italia per tanti anni. Per questo abbiamo deciso di adottare la moratoria, per chiarire la situazione giapponese e tornare tra due anni a un’opinione pubblica conscia della necessita’ nucleare”. Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nella conferenza congiunta con Nicolas Sarkozy al termine della prima sessione del vertice italo-francese a Villa Madama. “Siamo assolutamente convinti che nucleare sia il futuro per tutto il mondo”, ha aggiunto Berlusconi. In ogni caso, “i molti contratti tra Enel, EdF e le altre imprese italiane non verranno cancellati.

GOVERNO SCHIZOFRENICO – Silvio quindi colpisce ancora: dopo che il suo governo ha innestato l’ennesima marcia indietro su un progetto legislativo od industriale, ne rivendica la bontà. Facendo così pensare ai favorevoli e ai contrari di essere un ipocrita, visto che dice (o fa, a seconda dei punti di vista) il contrario di quello che fa (o dice). In un paese normale uno del genere lo inseguirebbero con il forcone. In Italia tutto passa, perché non siamo abituati a prendere i governanti sul serio.

http://www.giornalettismo.com/archives/122813/il-governo-non-rinuncia-al-nucleare/

L’Antitrust: “Multa di 200mila euro a Mediaset”


Secondo il garante della Concorrenza, il gruppo televisivo prendeva con molta calma le richieste di disdetta dei servizi aggiuntivi a pagamento.

Mediaset Premium dovrà sborsare una multa da 200mila euro per ordine dell’Antitrust. Il garante della Concorrenza ha ritenuto che il Biscione, nell’ambito dei

suoi servizi sul digitaleterrestre, abbia consapevolmente evaso alcune richieste di recesso pervenutegli da abbonati che volevano disdire il servizio “Easy Pay”. Insomma, gli utenti volevano liberarsi del servizio aggiuntivo rispetto ai pacchetti base, ma Mediaset li accontentava con molta calma. E intanto continuava ad addebitare.

MULTONE – L’Antitrust, sommerso di reclami, ha spiccato una sostanziosa multa che ora Mediaset dovrà sborsare.

L’autorita’ Antitrust ha comminato a Rti – Reti Televisive Italiane (gruppo Mediaset), una sanzione da 200.000 euro per pratica commerciale scorretta in relazione alla fatturazione agli abbonati “Easy pay” dei canoni per l’abbonamento “Mediaset Premium” anche dopo che gli abbonati avevano esercitato il diritto di recesso dal contratto. La decisione dell’authority, si legge nel testo della delibera, prende avvio da numerose segnalazioni pervenute nel periodo dicembre 2009-febbraio 2011. Il procedimento dell’Antitrust ha avuto avvio il 9 dicembre 2010 e si e’ svolto attraverso una serie di comunicazioni con Rti e di accertamenti, al termine dei quali l’Antitrust ha verificato l’esistenza di una pratica di ampia portata circa l’inefficiente gestione delle richieste di recesso da parte dei clienti e la conseguente interruzione della fatturazione ai clienti del servizio Mediaset Premium.

I numeri sono presto detti. Secondo l’Antitrust, sul totale delle richieste di recesso pervenute a Mediaset, un buon 10% veniva sostanzialmente evasa. E non da indagini dell’Antitrust, visto che una buona percentuale dei reclami è stata riconosciuta e ammessa dalla stessa azienda.

Le parole del garante della Concorrenza sono nette.

Le dimensioni del fenomeno non sono dettagliate nel provvedimento ma come ordine di grandezza l’Antitrust scrive di (100.000-500.000) richieste di recesso/disdetta registrate tra dicembre 2009 e di circa (5.000-60.000) reclami per tardiva cessazione dell’abbonamento, di cui il (20-80%) riconosciuti fondati dalla stessa Rti. L’Antitrust sottolinea anche la consapevolezza di Rti circa la natura e la dimensione del problema e il fatto che non siano state prese adeguate misure atte a superarlo. Contro il provvedimento dell’Antitrust e’ possibile ricorso al Tar del Lazio entro 60 giorni.

COMPORTAMENTO CONSAPEVOLE – RTI era dunque consapevole della pratica che veniva messa in piedi dai suoi impiegati, e non fece assolutamente nulla per fermarlo. Così, la multa, vista l’ammissione da parte dell’azienda, sarebbe addirittura meritata. Secondo il Codacons, che si è fatto portavoce della gran parte dei reclami all’azienda, la battaglia è vinta.

Un’importante vittoria dei consumatori”. Cosi’ il Codacons giudica la multa da 200mila euro inflitta dall’Antitrust a Rti. “La vicenda – spiega l’associazione – nasce da una nostra diffida inviata lo scorso anno a R.T.I. – Reti Televisive Italiane Spa, Antitrust e Agcom, nella quale si denunciavano i comportamenti scorretti dell’azienda con riferimento proprio alle modalita’ di recesso e disdetta dei servizi Mediaset Premium”.

Contro il provvedimento dell’AGCM è proponibile l’appello ante il Tar del Lazio. Ma RTI ha ammesso la gran parte delle violazioni, per cui ci si potrebbe aspettare che non impugnerà la sentenza. Ma staremo a vedere.

http://www.giornalettismo.com/archives/122830/lantitrust-multa-di-200mila-euro-a-mediaset/2/


Pdl, parte il tiro al bersaglio al pm Ingroia, nemico pubblico n .1 .


Berluscones scatenati contro il magistrato che indaga sulla trattativa mafia-Stato, il caso Ciancimino un pretesto per regolare vecchi conti e parare nuovi colpi. Domani riunione dei senatori Pdl per modificare la legge sui pentiti
di Giuseppe Lo Bianco

PALERMO – Giuliano Ferrara chiede la condanna a dieci anni di carcere per Antonio Ingroia, colpevole di ''attentato ad organi costituzionali''. Il senatore Luigi Compagna vuole una commissione d'inchiesta sulla gestione dei pentiti. Maurizio Gasparri sollecita la Procura di Palermo a spogliarsi dell'inchiesta sulla trattativa mafia-Stato: "Non possono indagare su Ciancimino coloro che ne hanno fatto un oracolo". Il vice presidente dei deputati Pdl, Osvaldo Napoli, chiede addirittura un intervento del Csm sul procuratore aggiunto di Palermo. Per Fabrizio Cicchitto ''la Procura di Palermo arresta Ciancimino e lo interroga escludendo quella di Caltanissetta''. E nel coro del centro-destra alla fine spunta pure la voce di Sgarbi: ''I pm di Palermo continuano a tutelare Ciancimino, icona dell'antimafia". Ma le acrobazie lessicali, le giustificazioni surreali (e i copia e incolla documentali) del giovane figlio di don Vito sono solo un pretesto: dal randello mediatico all'iniziativa parlamentare il passo e' breve. Gasparri annuncia per domani una riunione dei senatori del Pdl per quella che definisce "un'offensiva di verità, in commissione antimafia e nel Paese".

Ecco oggi il nemico pubblico numero uno per il centro destra: il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, allievo di Paolo Borsellino, titolare delle inchieste piu' scottanti sui segreti di questo Paese. Lo accusano di frequentare i convegni e redigere le prefazioni di libri, come quello di Maurizio Torrealta, ''Il Quarto livello'': ma in quella prefazione non c'e' traccia delle indagini su Ciancimino. Lo indicano come il persecutore di Berlusconi, il pm che si ostina a inseguire favolette mediatiche come la trattativa mafia- stato, il pm populista che arringa da un palco centinaia di migliaia di persone, parlando di controriforma della giustizia progettata dal governo Berlusconi. La frontiera mediatica piu' avanzata e', ancora una volta, Ferrara che dalla prima pagina del Giornale individua con precisione il bersaglio da colpire: per lui Ingroia ha “la libido da convegno” e “usa il suo delicatissimo potere d'indagine e di accusa mescolando con un attivismo politico fazioso in forma incompatibile con la Costituzione e la legge della Repubblica”. Sono le stesse accuse mosse un mese fa, quando il procuratore aggiunto parlo' dal palco di piazza del Popolo, a Roma, definendo la riforma della giustizia del governo Berlusconi una ''controriforma''. Puo' piacere, o meno, la sua esposizione mediatica, anche nella forma populista (parlare su un palco davanti a centomila persone), ma, sostenne lo stesso Ingroia, non si puo' negare a un magistrato il diritto di replica: ''“Rivendico il diritto alla libertà di espressione – si difese - quando poi si tratta di riforme che riguardano la giustizia quel diritto diventa un dovere. Mancherei a questo dovere se tacessi. Mi piacerebbe che io, come altri miei colleghi messi nel mirino solo perché esprimiamo opinioni, potessimo avere un diritto di replica agli attacchi che spesso riceviamo da alcune reti televisive”. Oggi che il centro destra lo accusa di avere trasformato il figlio di un sindaco mafioso in un' ''icona antimafia'', Ingroia ricorda di essere stato il primo ad avere messo in guardia da questa ‘’metamorfosi mediatica’’. E cioe’ la sovraesposizione di un teste dal cognome ‘pesante’, portato in giro, per giornali, tv e presentazioni di libri, scortato come un magistrato, ed esaltato come una star dopo avere deciso di rompere, nei modi e per ragioni ancora tutte da chiarire, l'omerta' paterna. Una sovraesposizione che non inficia, pero’, la credibilita’ delle sue dichiarazioni confermate da perizie e riscontri.

In realta' crocifiggendo Ingroia ai giochi di prestigio di Massimo Ciancimino la maggioranza raccolta attorno al premier cerca di raggiungere tre obbiettivi: 1) tenta di gettare il bambino (le indagini riscontrate sulla trattativa, che per il sociologo Arlacchi e' solo ''una favoletta mediatico-giudiziaria'') con l'acqua sporca delle parole inquinanti del teste 2) delegittima il magistrato (e la Procura) che oggi (insieme a quelle di Firenze e di Caltanissetta) si sta avvicinando, grazie anche alle parole di collaboratori vecchi e nuovi, ai segreti dell'origine della fortuna finanziaria (e della conseguente discesa politica) di Silvio Berlusconi. 3) sferra una nuova, violenta, offensiva contro la magistratura, dopo i manifesti sulle Br in procura, individuata, attraverso Ingroia, da Giuliano Ferrara addirittura come ''eversiva'' dell'ordine costituzionale, tradendo uno spirito da resa dei conti lontano anni luce dalla serenita' necessaria per riformare la Costituzione. Oggi Ingroia e' il 'simbolo-bersaglio' di un controllo di legalita' che oltrepassa le vicende di corruzione e tangenti che hanno segnato il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica e si aggira faticosamente in quel ''Labirinto degli Dei'', mirabilmente descritto dallo stesso magistrato nel suo ultimo libro, il labirinto di un'Italia profondamente mafiosizzata dove troppe domande attendono ancora risposte: come quella che lo stesso Ingroia non fece in tempo a rivolgere a palazzo Chigi al presidente Berlusconi (che si avvalse della facolta' di non rispondere), interrogato come indagato di reato connesso nel processo Dell'Utri, il 26 novembre del 2002: ‘’Presidente, ammesso che all’inizio non si sapesse nulla sul conto di Mangano, Cina’, e adesso Dell’Utri, che risultarono tutti poi collegati alla mafia, le chiedo: perche’ non se ne libero’ subito? Perche’ per tanti anni se li e’ tenuti accanto? Le servirono a qualcosa?’’.


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Piccolo grande caso diplomatico Ora anche la Georgia snobba Silvio.




C’è un caso diplomatico, rimasto fino ad ora riservato, che spiega bene, alla vigilia dell’incontro bilaterale di oggi tra Berlusconi e Sarkozy, quale sia il livello di autorevolezza del Cavaliere sul piano internazionale.

Si tratta di un episodio accaduto la scorsa settimana, in occasione della visita in Italia di Nikoloz Gilauri, primo ministro della Repubblica di Georgia.

Certo non un paese del G20, ma non per questo trascurabile vista l’importanza strategica di uno Stato incastonato nella delicatissimo teatro caucasico.

Fu proprio il nostro premier, almeno questo lui dice, ad evitare che le tensioni tra Tiblisi e Mosca sfociassero, nell’estate del 2008, in guerra aperta.

E anche allora si trovò di fronte il presidente francese accanto ai georgiani, secondo uno schema che li vedeva contrapposti alla coppia Berlusconi-Putin.

Sulla base di quegli accadimenti, secondo quanto riportato da wikileaks in merito alle relazioni dell’ambasciatore Usa a Roma, il governo di Tiblisi si formò la convinzione che Putin avesse promesso a Berlusconi una percentuale di profitto da ogni gasdotto sviluppato dall’Eni insieme a Gazprom.

Per tutta questa serie di motivi la visita del primo ministro georgiano in Italia rappresentava un appuntamento importante per ribadire i sentimenti di amicizia nei confronti dello stato caucasico, tanto più se le intenzioni di Palazzo Chigi fossero state quelle di sdrammatizzare il rapporto, più che stretto asfissiante, con Putin.

E invece a far saltare il tutto ci ha pensato proprio il giovane premier georgiano che, alla vigilia dell'arrivo a Roma, ha espressamente chiesto di non incontrare Berlusconi.

Un no che avrebbe assunto i connotati dell’incidente diplomatico se non ci fosse stato l’incontro con il sottosegretario Letta, oltre a quelli con il presidente della Camera Fini e col segretario del Pd Bersani.

Ma per il Cavaliere rimane l’onta di essere stato snobbato dal collega georgiano. Sperando che resti un caso isolato.