venerdì 24 giugno 2011

Montezemolo si offre come premier di un governo di transizione. - di Stefano Feltri


Non vuole candidarsi, ma aspetta la chiamata. Perché quando c'è da ricostruire un Paese lacerato da una “guerra civile a bassa intensità” serve “la collaborazione di tutti”. Punta al 2013 ma, se il governo cadesse sulla manovra, anche prima.


A.A.A. offresi premier di transizione, grande disponibilità, bella presenza, prezzo ragionevole.Luca Cordero di Montezemolo è pronto per la politica, non lo aveva mai detto così chiaramente come ieri, ma non subito. Bisogna aspettare una “fase costituente”, come dice il presidente della Ferrari in perfetto politichese a una convention della sua associazione Italia Futura. Il senso è questo: l’alternanza al governo è una cosa ottima, ma per “le situazioni normali”, ma quando c’è da ricostruire un Paese lacerato da una “guerra civile a bassa intensità” serve “la collaborazione di tutti”. E qualcuno in grado di mettere tutti d’accordo. Quanto alla “Terza Repubblica”, dice Montezemolo, “la devono costruire quelli che hanno trent’anni meno di me”.

L’occasione per ribadire la propria disponibilità a una chiamata politica è un interminabile convegno di Italia Futura sull’“orgoglio italiano” e il settore della cultura. Al teatro Argentina, nel centro di Roma, c’è tutta la squadra montezemoliana ad ascoltare quattro ore di interventi (bofonchiando per i 45 minuti di ritardo con cui si comincia) sulla cultura e il suo rilievo economico. Decine di relatori, da Diego Della Valle che presenta il suo finanziamento per il restauro del Colosseo come il modello da seguire (invitaMassimo Moratti a occuparsi meno di fuorigioco e più di cultura) alla cantante Malika Ayane all’ex capo della Mondadori Gian Arturo Ferrari. C’è un dirigente del ministero dei Beni culturali, Roberto Cecchi, indagato per abuso d’ufficio. Ci sono filmati, lunghe relazioni, tutti gli oratori sforano il tempo a loro disposizione, alla fine sul palco sale Montezemolo. Commosso, dice, per un video sulle eccellenze italiane nella cultura, con la voce roca invita a “chiudere questa terribile Seconda Repubblica”.

Quando i suoi collaboratori scoprono che il presidente di Italia Futura ha deciso di parlare a braccio c’è un attimo di panico, pare che fosse anche un vezzo dell’Avvocato Gianni Agnelli snobbare il lavoro degli spin doctor. Alla fine lo convincono a leggere almeno la parte politica, cesellata per non dire troppo ma far capire tutto, dai due principali cervelli politici dell’associazione, il direttore Andrea Romano e il manager Carlo Calenda. Montezemolo non sbava troppo, si concede qualche ingenuità come dire che abbiamo “un volontariato leader in Europa” e che “se fossi un precario come quelli del teatro Valle che protestano qui fuori, anche io avrei l’angoscia per non sapere che fare fra tre mesi”. Ma non accenna in modo esplicito a Silvio Berlusconi, sorvola completamente sullo scandalo P4 e suLuigi Bisignani, suo amico personale a cui (si legge nelle carte della Procura di Napoli) ha chiesto aiuto per far approvare alla Rai delle fiction dell’ex compagna Edwige Fenech. Tra le righe si nota anche la recente tregua con il ministro Giulio Tremonti, un altro che ambisce a guidare governi post-berlusconiani. Dice Montezemolo che “la stabilità dei conti pubblici ha rappresentato l’unico argine che ha tenuto durante la Seconda Repubblica e non possiamo permettere che venga travolto”. Anche se, dice Montezemolo, i tagli vanno fatti “con il laser e non con il machete”.

Per Tremonti le cose si stanno però complicando parecchio, quando mancano pochi giorni alla presentazione della manovra triennale da 40 miliardi. Confindustria dice che se non si fanno anche riforme per favorire la crescita, nel 2012 la crescita sarà la metà rispetto alle previsioni (quindi lo 0,6 per cento) annullando parte degli effetti di risanamento della correzione, visto che lo scopo è migliorare il rapporto tra deficit e Pil. Senza riforme, avverte Confindustria, di miliardi ne serviranno 58, non 40. Sta già cominciando la protesta delle Regioni per i previsti tagli alla sanità, dei sindacati per l’aumento dell’età pensionabile nel settore privato, mentre la commissione Bilancio della Camera chiede di smetterla con i tagli lineari, mentre il malumore della Lega è sempre più evidente: almeno nel provvedimento di bilancio, il Carroccio deve incassare qualcosa per rispondere alla base di Pontida.
Se le cose dovessero precipitare, comunque, Tremonti è pronto per un governo transitorio appoggiato dal Quirinale. Come Montezemolo che, rispondendo alle sollecitazioni di Mario Draghi della Banca d’Italia, sta preparando un osservatorio sugli sprechi della politica e una spending review, un’analisi del bilancio dello Stato per decidere dove tagliare. Così, giusto per essere pronto nel caso qualcuno avesse bisogno di lui.




Quei 250 milioni spesi per il ponte di Messina (che non si farà più). - di Sergio Rizzo.

La crisi, il no della Lega. E l'opera non parte.

ROMA - «Costruiremo il ponte di Messina, così se uno ha un grande amore dall'altra parte dello Stretto, potrà andarci anche alle quattro di notte, senza aspettare i traghetti...» Da quando Silvio Berlusconi ha pronunciato queste parole, era l'8 maggio 2005, sono trascorsi sei anni, e gli amanti siciliani e calabresi sono ancora costretti a fare la fila al traghetto fra Scilla e Cariddi. Sul ponte passeranno forse i loro pronipoti. Se saranno, o meno, fortunati (questo però dipende dai punti di vista).

La storia infinita di questa «meraviglia del mondo», meraviglia finora soltanto a parole, è nota, ma vale la pena di riassumerla. Del fantomatico ponte sullo Stretto di Messina si parla da secoli. Per limitarci al dopoguerra, la prima mossa concreta è un concorso per idee del 1969. Due anni dopo il parlamento approva una legge per l'attraversamento stabile dello Stretto. Quindi, dieci anni più tardi, viene costituita una società, la Stretto di Messina, controllata dall'Iri e affidata al visionario Gianfranco Gilardini. Che ce la mette tutta. Coinvolge i migliori progettisti, e per convincere gli oppositori arriva a far dimostrare che il ponte potrebbe resistere anche alla bomba atomica. Passerà a miglior vita senza veder nascere la sua creatura. La quale, nel frattempo, è diventata un formidabile strumento di propaganda. Ma anche un oggetto di scontro politico: mai un ponte, che per definizione dovrebbe unire, ha diviso così tanto. Da una parte chi sostiene che sarebbe un formidabile volano per la ripresa del Mezzogiorno, se non addirittura una sensazionale attrazione turistica, dall'altra chi lo giudica una nuova cattedrale nel deserto che deturperà irrimediabilmente uno dei luoghi più belli del pianeta. Fra gli strali degli ambientalisti, Bettino Craxi ci fa la campagna elettorale del 1992. E i figli del leader socialista, Bobo e Stefania, proporranno in seguito di intestarlo a lui. Mentre l'ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Nisticò avrebbe voluto chiamarlo Ponte «Carlo Magno» attribuendo il progetto di unire Scilla e Cariddi al fondatore del Sacro Romano Impero. Nientemeno.

Finché, per farla breve, arriva nel 2001 il governo Berlusconi con la sua legge obiettivo. Ma nemmeno quella serve a far decollare il ponte. Dopo cinque anni si arriva faticosamente a un passo dall'apertura dei cantieri, con l'affidamento dell'opera (fra polemiche e ricorsi) a un general contractor, l'Eurolink, di cui è azionista di riferimento Impregilo. Quando però cambia la maggioranza. Siamo nell'estate del 2006 e il ponte finisce su un binario morto. Il governo di centrosinistra vorrebbe addirittura liquidare la società Stretto di Messina, concessionaria dell'opera, ma il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, sventa la mossa in extremis. Nessuno lo ringrazierà: ma se l'operazione non si blocca il «merito» è suo. Nel 2008 torna dunque Berlusconi e il progetto, a quarant'anni dal suo debutto, riprende vita.

Certo, nella maggioranza c'è qualcuno che continua a storcere il naso. Il ponte sullo Stretto di Messina, la Lega Nord di Umberto Bossi proprio non riesce a digerirlo. Ma tant'è. Nonostante le opposizioni interne ed esterne, la cosa va avanti sia pure lentamente. E si arriva finalmente, qualche mese fa, al progetto definitivo. Nel frattempo, sono stati già spesi almeno 250 milioni di euro.

Sarebbe niente, per un'opera tanto colossale, se però gli intoppi fossero finiti. Sulla carta, per aprire i cantieri, ora non mancherebbero che poche formalità, come la Conferenza dei servizi con gli enti locali e il bollino del Cipe, il Comitato interministeriale che deve sbloccare tutti i grandi investimenti pubblici. Sempre sulla carta, non sarebbe nemmeno più possibile tornare indietro e dire a Eurolink, come avrebbero voluto fare gli ambientalisti al tempo del precedente governo: «Scusate, abbiamo scherzato». Il contratto infatti è blindato. Revocarlo significherebbe essere costretti a pagare penali stratosferiche. Parliamo di svariate centinaia di milioni. Ma nonostante questo il percorso si è fatto ancora una volta più che mai impervio. Non per colpa dei soliti ambientalisti. Nemmeno a causa della crisi economica, il che potrebbe essere perfino comprensibile. Piuttosto, per questioni politiche. Sia pure mascherate da difficoltà finanziarie.

Per dirne una, il «decreto sviluppo» ha materializzato un ostacolo imprevisto e insormontabile. Si è stabilito infatti che le cosiddette «opere compensative», quelle che i Comuni e gli enti locali pretendono per non mettere i bastoni fra le ruote al ponte, non potranno superare il 2% del costo complessivo dell'opera. E considerando che parliamo di 6 e mezzo, forse 7 miliardi di euro, non si potrebbe andare oltre i 130-140 milioni. Una cifra che, rispetto agli 800-900 milioni necessari per le opere già concordate con le amministrazioni locali, fa semplicemente ridere. Bretelle, stazioni ferroviarie, sistemazioni viarie.... Dovranno aspettare: non c'è trippa per gatti. Basta dire che il solo Comune di Messina aveva concordato con la società Stretto lavori per 231 milioni. Fra questi, una strada (la via del Mare) del costo di 65 milioni. Ma soprattutto il depuratore e la rete fognaria a servizio della parte nord della città, che ne è completamente priva: 80,7 milioni di investimento. Adesso, naturalmente, a rischio. Insieme a tutto il resto. Anche perché le opere compensative sono l'unica arma che resta in mano agli enti locali. Portarle a casa, per loro, è questione di vita o di morte.

A remare contro c'è poi il clima politico. Dopo la batosta elettorale alle amministrative la Lega Nord, che già di quest'opera faraonica non ne voleva sentire parlare, ha alzato la posta e questa è una difficoltà in più. Fa fede l'avvertimento lanciato dal leghista Giancarlo Gentilini, vicesindaco di Treviso: «La gente non vuole voli pindarici, non è interessata a opere come il ponte sullo Stretto di Messina perché è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Quindi anche tu, Bossi, quando appoggi questi programmi da fantascienza, ricordati piuttosto di restare con i piedi per terra, perché gli alpini mettono un piede dopo l'altro».

Con l'aria che tira nella maggioranza basterebbe forse questa specie di «de profundis» che viene dalla pancia del Carroccio per far finire nuovamente il ponte su un binario morto. Senza poi contare quello che è successo in Sicilia. Dove ora c'è un governo regionale aperto al centrosinistra, schieramento politico che al ponte fra Scilla e Cariddi è sempre stato fermamente contrario. Una circostanza che rende estremamente complicato al governatore Raffaele Lombardo spingere sull'acceleratore. E questo nonostante i posti di lavoro che, secondo gli esperti, quell'opera potrebbe garantire. Sono in tutto 4.457: un numero enorme, per un'area nella quale la disoccupazione raggiunge livelli record.

Ma il fatto ancora più preoccupante, per i sostenitori dell'infrastruttura, è il disinteresse che sembra ormai circondarlo anche negli ambienti governativi. Evidentemente concentrati su ben altre faccende. La società Stretto di Messina ha diramato ieri un comunicato ufficiale per dare notizia che «il consiglio di amministrazione ha avviato l'esame del progetto definitivo del ponte». Un segnale che la cosa è ancora viva, magari nella speranza che Berlusconi si decida a rilanciare il ponte, annunciando l'ennesimo piano per il Sud? Forse. Vedremo quando e come l'esame si concluderà, e che cosa accadrà in seguito. Sempre che il governo vada avanti, sempre che si trovino i soldi per accontentare gli enti locali... Intanto nella sede messinese di Eurolink, dove lavoravano decine di persone, sembrano già cominciate le vacanze. Come avessero fiutato l'aria.



Bossi, Berlusconi e Gheddafi, facce della stessa moneta.


Che differenza c'è tra Berlusconi, Bossi e Gheddafi?

Nessuna.

I primi due ci ci stanno uccidendo moralmente, Gheddafi uccide materialmente.

Entrambi lo fanno esclusivamente per mantenere il loro prestigio e per tutelare i loro interessi.



Legge bavaglio: quello che si vuole colpire è il diritto dei cittadini a sapere.


di Comitato per la libertà dell'informazione

Legge bavaglio: quello che si vuole colpire è il diritto dei cittadini a sapereOgni volta che, attraverso le intercettazioni, emergono gravissimi problemi che riguardano la democrazia e la correttezza di attività pubbliche e private, automaticamente viene riproposta la legge bavaglio. La rilevanza penale degli atti devono deciderla i magistrati e i cittadini hanno diritto di sapere. Invece è proprio su questo che si vuole intervenire.
Il problema non è il diritto alla privacy per tutelare la quale, se si voleva, tante proposte erano state avanzate. Quello che in tutta evidenza si vuol colpire è il diritto-dovere di cronaca e il diritto ad essere informati.
E' un vero e proprio attacco alla democrazia che la mobilitazione dei cittadini ha già bloccato e bloccherà anche questa volta.
Per questo tutte le associazioni che fanno parte del ‘Comitato per la libertà, il diritto all'informazione, alla cultura e allo spettacolo’ saranno, se il testo di legge preannunciato sarà depositato, immediatamente convocate per decidere le iniziative di protesta e mobilitazione.

Dalla P2 alla P4. La scandalosa 'Santa Alleanza' tra massoneria deviata, Vaticano e i 'berluscones'. - di Gianni Rossi

C’è un filo rosso “cardinalizio” che lega le sorti e le attività dei protagonisti dalla P2 alla P4, in 40 anni di storia repubblicana. E’ la perversa, strana, devastante ed anticostituzionale “Santa Alleanza” tra gli ambienti della massoneria deviata, i vertici del Vaticano, alcuni settori del potere politico e affaristico un tempo socialista e democristiano, ultimamente orbitante nell’area del berlusconismo, ma con addentellati anche in salotti ben frequentati del centrosinistra. Una denuncia della tentacolare rete di potere e dei pericoli per il sistema democratico l’avevamo anticipata un anno fa su questo sito (“Stragi, mafia e P2. Chi c’è dietro la Santa Alleanza”, 4/6/2010). La politica, specie quella di centrosinistra, dopo un primo momento di indignazione, fece “spallucce”, come accadde alla metà degli anni Settanta, quando in pochissimi giornalisti denunciavamo i pericoli della loggia P2.
Proprio 30 anni fa (il 17 marzo 1981) vennero alla luce a Castiglion Fibocchi (Arezzo), grazie ai magistrati di Milano, Gherardo Colombo e Giuliano Turone che indagavano sullo “scandalo Sindona”, gli elenchi della loggia segreta P2, diretta dal Maestro venerabile Licio Gelli, ex-repubblichino, neofascista, amico di potenti di mezzo mondo, di politici italiani, e frequentatore degli ambienti dei servizi segreti deviati. Nella lista, piuttosto “taroccata” (solo 962 nomi, rispetto ai 2.400 registrati originariamente), furono rinvenuti alti ufficiali delle forze armate, dei Carabinieri e della Guardia di finanza, politici di tutti i colori da destra a sinistra, uomini d’affari (tra cui “l’emergente” Silvio Berlusconi), grand commis dello stato, ecclesiastici. Più che la vastità dei nomi, colpiva la rete a cerchi concentrici. Non tutti sapevano degli altri, ma alcuni avevano la possibilità di estendere le conoscenze da un “cerchio” all’altro. Era da almeno 6 anni che in 4/5 giornalisti svolgevamo inchieste contro questo “cancro della democrazia”, osteggiati da magistrati, forze dell’ordine e servizi segreti, derisi dai partiti di sinistra (PCI e PSI).
Se, in seguito al rapimento e all’assassinio del leader DC, Aldo Moro da parte delle BR, ma “gestito” da settori deviati dei servizi e da esponenti piduisti, non fossero intervenuti alcuni settori della massoneria internazionale, sotto l’egida della Trilaterale,e il “corpo sano” paramassonico di alcuni “poteri forti” italiani, lo scandalo difficilmente sarebbe uscito alla luce, deflagrando nella “morta gora” del regime del vecchio “centrosinistra”, guidata dal CAF (Craxi, Andreoti, Forlani); ma sarebbe restato solo un filone di inchiesta di quel manipolo di giornalisti, visti come i soliti “rompiscatole”, i “dietrologi”, dai partiti del cosiddetto “arco costituzionale”. Dopo lo scandalo, il Parlamento istituì una Commissione d’inchiesta, presieduta dalla democristiana, ex-partigiana , Tina Anselmi, che nel 1984 decretò la loggia P2 come “un’associazione segreta, costituita per sovvertire l’ordine democratica e costituzionale” e ritenne gli elenchi “veritieri”. Alcuni degli iscritti furono perseguiti, specie nelle forze armate e dell’ordine. La maggior parte, però, ricorse alla giustizia civile e ai tribunali amministrativi. Riuscirono a “rifarsi una verginità”. La P2 e i suoi elenchi furono immersi in una nube solfurea di oblio.
La stragrande parte di quei personaggi ritornarono ai loro affari di sempre, mentre si andava riorganizzando e rafforzando la rete circolare della “Santa Alleanza”, tra quelli scampati al “dileggio mediatico” degli elenchi taroccati di Gelli, e i nuovi emergenti. La Rete, che alcuni di noi consideravamo la P1, senza documenti cartacei e senza un vero responsabile si stava di nuovo allargando sui destini del nostro paese, approfittando del declino dei partiti tradizionali, con le inchieste su Tangentopoli, e lo strapotere mediatico del partito berlusconiano. Questa volta, però non c’era più il “ragionier” Gelli, troppe volte ritenuto un “millantatore di credito”, un “burattinaio di secondo livello”, lo stilatore di elenchi, ma un nugolo di personaggi per lo più di estrazione cattolica, molto addentro alle ovattate stanze del Vaticano e ben inseriti nelle società a partecipazione statale, un tempo gestite dall’IRI (Finmeccanica, Alitalia, Fincantieri, Finmare, SME-GS, Autostrade, Breda, Tirrenia, ecc.). Grand commis di stato che avevano più capacità di “relazioni” che di gestione manageriale, ancora oggi una generazione di ultrasettantenni, affiancati da new entries più giovani, che tesse rapporti tra i potenti del Vaticano, dalla Segreteria di Stato fino all’anticamera del Papa, e il mondo della politica governativa, delle grandi società ancora partecipate dal Tesoro (ENI, ENEL, Ferrovie dello stato, ecc.). Bisignani era finora una delle "giovani risorse", altro che un millantatore o un gran "parolaio", come alcuni testimoni (tra questi proprio Gianni Letta) vorrebbero far credere ai magistrati e ai media.
A suo tempo il professor Prodi, presidente dell’IRI, parlò di essere stato come “in un Vietnam”, per la guerriglia che gli veniva condotta da queste personalità sia in Via Veneto, dentro le mura arcigne dell’IRI, sia tra i palazzi delle società controllate, poi privatizzate. Tutto ciò che lui discuteva, organizzata, stilava, veniva riportato in altre “stanze segrete”, a cominciare dal Vaticano per finire in alcuni archivi sei servizi, della Guardia di finanza e in faldoni di qualche giudice aderente alla “Santa Alleanza”. Uno di quei top manager pubblici “ati-prodiani” era stato “cacciato” dalla P2 di Gelli, perché si era messo in concorrenza con il Maestro venerabile, ma tutt’oggi gode di prestigiosi incarichi imprenditoriali e stabili alleanze in Vaticano e nella magistratura e, sembra, anche di tante carte in mano per determinare le scelte di molti potenti. La Rete nasce agli inizi degli anni Settanta, quando le due “famiglie massoniche”, quella laica di Palazzo Giustiniani e quella “cattolica” di Piazza del Gesù, decidono di riunificarsi e di “scremare” la parte più “nobile” dagli elenchi pubblici delle logge, dirottando gli iscritti “coperti e all’orecchio del Gran Maestro”, verso la P2. Altri, però, furono inseriti in due logge dalla parvenza regolare: la Lira e Spada e la Giustizia e Libertà. Su queste 2 logge né la magistratura, né i commissari della Commissione d’inchiesta indagarono mai. Come sul “Capitolo segreto” del Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, la Crème della massoneria. Sta di fatto che in questi elenchi appartenevano personalità tutt’ora operative e, soprattutto, “pontieri” tra gli ambienti cattolici oltranzisti del Vaticano, dello IOR, la banca del Papa, e quelli tradizionalmente “laici” di Mediobanca, IRI, EFIM.
Nell’era di Internet e dei supertelefonini cellulari, Bisignani e i suoi, non avevano bisogno certo di brogliacci ed elenchi dattiloscritti. Basta una fornita mailing list, un programma di archiviazione compresso e securizzato nel proprio computer. Ecco perché sarà molto difficile ripetere l’accusa per la P4 del reato di organizzazione segreta contro lo stato, come fu per la P2. Semmai si dovrà costituire una Commissione d’inchiesta che faccia luce su ambienti, aziende, personaggi che da decenni ne fanno e disfano sorti e fortune. Nomi di personaggi che sono stati già toccati dall’inchiesta sulla “cricca” e la P3, facevano parte fino al 2010 dell’elenco prestigioso e riservato dei Gentiluomini di Sua Santità, come Angelo Balducci (dal 1995), ex-presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici, implicato dello “scandalo G8”. E come non dimenticare Umberto Ortolani (Gentiluomo dal 1963 al 1983), piduista, legatissimo al Cardinal Lercaro, per molti anni arcivescovo di Bologna?
Ci sono poi Associazioni senza nessun rapporto con le istituzioni finanziarie, della politica o del governo, ma dentro le quali “navigano” sempre le stesse persone, alcune oggi all’onore della cronaca, come quella prestigiosa musicale di Roma, dove vi si trovano personalità quali: Cesare Geronzi, ex-patron di Mediobanca, Generali, Banca di Roma, e grande amico di Bisignani; il fratello del Papa, monsignor Georg, celebre organista; il parlamentare berlusconiano, editore e patron di cliniche private, Antonio Angelucci e suo figlio Giampaolo; il solito Antonio Balducci; ex- presidenti e direttori generali dell’IRI; il capo di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini e quello di Fintecna, Maurizio Prato, anche lui Gentiluomo; il “plenipotenziario” di Berlusconi dentro Palazzo Chigi e in Vaticano, Gianni Letta; un influente senatore del PD ed altri top manager pubblici e privati. Questi benemeriti appassionati di musica barocca, e non solo, non sono certo dei “golpisti” o degli esponenti di una “cricca”, ma la loro vicinanza ad ambienti così “paludati” è il sintomo di una “trasversalità” che può spingersi a segnalare persone per incarichi in società ex-pubbliche o, ancora, intavolare discorsi su strategie politiche, su opportunità di tessere alleanze, di stringere o meno rapporti per aiutare in determinati affari amici o conoscenti.
E’ questa trasversalità tra cattolici ben introdotti in Vaticano, al soglio di San Pietro come nella Segreteria di Stato, e personalità filomassonicche, grand commis, top manager che passano per “tecnici indipendenti”, buoni per i governi di centrosinistra come per quelli berlusconiani, che come cerchi concentrici, come una matassa elettrica, generano sempre nuova energia per sé stessi e per coloro che vi entrano a far parte. Si può essere stati segnalati da un cardinale, da un vescovo, o da un plenipotenziario di una potente organizzazione cattolica italiana o spagnola, o ancora dai salotti buoni, in cui si muovono a loro agio professori universitari di chiara fama, top manager pubblici e privati, finanzieri e banchieri, gerarchie militari o delle forze dell’ordine. E si fa strada, tanta strada! Questo sistema, che ultimamente parte da settori dei Gentiluomini di Sua Santità per arrivare a quelli più propriamente politici del Bisignani, non ha bisogno di sedi, di elenchi, di riunioni semiriservate, ma si svolge con telefonate, magari con reti criptate, via email, in incontri conviviali, serate musicali, cene private.
La RAI, da sempre nodo nevralgico di questi “giochi potere” non può che essere una delle “prede preferite” dalla Santa Alleanza. Si spiegano così nomine e avanzamenti di carriera impensabili un tempo o anche definizioni di contratti per appalti di programmi e fiction o di coproduzioni di film. E si capisce anche la preponderante influenza degli ambienti vaticani sulle scelte di alcuni vertici e nelle decisioni di politica industriale, oltre che nella strana trasversalità per le nomine di livelli intermedi, da destra a sinistra. La politica, finchè avrà le mani sulla RAI, userà questa “Rete parallela” per continuare a gestire le sorti della più grande azienda pubblica multimediale europea, per determinarne le sorti, facendo finta di non interferire direttamente. Ma la trasversalità di questa Santa Alleanza è la vera cancrena che rischia di affossare il Servizio pubblico. Servirebbe una leggina veloce e con pochissimi articoli, che dovrebbe introdurre criteri di valutazione oggettivi come i CV e una commissione esterna, europea, per selezionare nelle varie aziende dell’orbita pubblica assunzioni e scelte di manager, fino ai più alti livelli. Servirebbe una nuova "governance" per gestire l'azienda e un regolamento per evitare che la quasi totalità delle produzioni finiscano in mano a 4/5 società private, che monopolizzano il mercato anche loro legate al mondo Mediaset e ai salotti vaticani.
Un anno fa scrivemmo di condividere una proposta formulata dal magistrato Giancarlo De Cataldo, autore di “Romanzo criminale”, ovvero che: “per uscire da questa crisi di cui percepiamo i pericoli, ma non ancora scorgiamo la luce per uscire dal tunnel, ci vorrebbe una Commissione parlamentare d'inchiesta, senza potere sanzionatorio, per far luce su questi ultimi anni terribili e, quindi, lasciare una via d'uscita a coloro che verrebbero coinvolti politicamente. E perché non pensare ad un salvacondotto per Berlusconi e i suoi "dignitari" del Califfato? Forse l'unica strada da percorrere per riportare l'Italia nel novero delle nazioni democratiche, liberali e costituzionalmente affidabili. A meno che non si voglia ritornare ad essere un paese " a sovranità limitata", vassallo degli Stati Uniti, i quali, come "Lord protettore", ultimamente hanno però iniziato a lanciare avvertimenti all'establishment italiano e fatto trapelare i primi dossier scandalistici, pur di scompaginare i settori ancora invischiati nella Santa Alleanza.”.
I tempi stringono, la crisi politica, economica, istituzionale sta portando alcuni nodi al pettine dell'orologio della storia patria. Anche questa volta verremo etichettati dagli ambienti della sinistra come "visionari", adepti della "fantapolitica" o il “Vento del Nord” sta davvero cambiando l’aria della politica?

Il triste paese dei poteri occulti - di Nicola Tranfaglia

Il palinsesto Bisignani-Rai- di Loris Mazzetti*

http://www.articolo21.org/3429/notizia/dalla-p2-alla-p4-la-scandalosa-santa-alleanza.html



L’inganno. - di Arturo Meli


Dunque, chiusa la verifica in Parlamento, Berlusconi è andato al Quirinale e, dinanzi al capo dello Stato, ha garantito: “Ho la maggioranza assoluta, vado avanti con le riforme”.

È l’ennesimo inganno. Ancora una volta il Cavaliere cerca di tramutare i suoi desideri in certezze. Certo, la maggioranza numerica c’è. Appena si sente parlare di crisi, c’è una maggioranza pronta ad alzare le trincee pur di garantirsi la sopravvivenza. Però, non c’è il governo perché a Palazzo Chigi siede un leader poco vitale, imbalsamato. Berlusconi continua a fare discorsi propagandistici, proclama che questo esecutivo è destinato ad arrivare alla scadenza naturale della legislatura. Tuttavia, il 2013 è un traguardo lontano, pensare di raggiungerlo è un’illusione. Grava su Palazzo Chigi la manovra economica annunciata dal ministro Tremonti e concordata con la Ue. A chiedere sacrifici al Paese sarà un premier investito dagli scandali, che gli italiani ora scoprono condizionato e guidato, assieme a tanti suoi ministri, dal potere oscuro della P4 e chissà di quanti altri faccendieri tipo Bisignani. Lo strapotere mediatico, questa volta, non basta per mettere al riparo il Cavaliere. I progetti del suo governo debbono essere più limitati: superare in qualche modo l’estate. Il guaio è che, se la maggioranza sta male, neppure il centrosinistra sembra godere di buona salute, malgrado i successi nelle amministrative come nel referendum. E il metodo Di Pietro, nella sua nuova versione, divulgata durante la verifica parlamentare, minaccia di accrescere la confusione.

Se l’obiettivo è quello di “scavallare” l’estate, come dice una fonte anonima berlusconiana, il premier può dirsi soddisfatto. Il Cavaliere, per il momento, è in grado di controllare il malumore leghista. Il Carroccio intende mettere fine all’era berlusconiana. Però, oggi non può farlo. Ha problemi interni seri perché la leadership di Bossi non è più indiscussa come in passato. La debolezza del senatur si salda, quindi, con quella di Berlusconi. Entrambi sono ormai nell’impossibilità di operare un cambiamento di passo. E hanno bisogno di sostenersi a vicenda, sapendo che una caduta del governo a breve scadenza segnerebbe la fine dell’avventura politica di entrambi. Comunque, tanto nel Pdl quanto nella Lega, è solo questione di tempo. I colonnelli si attrezzano per il “dopo”. Si moltiplicano le grandi manovre. Data prevista, per la crisi e il ritorno alle urne, il 2012. E il centrosinistra che fa? La confusione che regna alla corte di Berlusconi offre le condizioni propizie per affondare il colpo. Si dovrebbe, dunque, lavorare alacremente per mettere in piedi una coalizione alternativa vincente e convincente. Sono queste le invocazioni. Che non possono restare, ancora una volta, parole al vento.

Tanto al Senato quanto alla Camera, Berlusconi ha ripetuto l’eterna litania: a questo governo non c’è alternativa perché “le tre o quattro opposizioni sono divise e non sono in grado di esprimere un leader”. C’era da attendersi una replica tempestiva ed efficace. È accaduto, invece, esattamente il contrario. Perché è stato proprio Di Pietro a offrire l’assist migliore al Cavaliere, attaccando l’assenza di una proposta alternativa da parte del centrosinistra e l’inerzia che avrebbe palesato il segreterio del Pd, Bersani. Una mossa inaspettata all’interno di un discorso che ha preso di petto più Bersani che lo stesso Berlusconi. È chiaro che nel mirino del leader dell’Idv c’è anzitutto Vendola, quando emerge la sua diffidenza verso leader che “magari affabulano, parlano bene , ma poi non si sa che abbiano in capo”. Tuttavia, non si capisce se Di Pietro intenda fermarsi a questo primo sbarramento oppure, nel momento in cui rivendica l’identità non di sinistra del suo partito, voglia negare allo stesso Bersani il lasciapassare per emergere in futuro come candidato premier del centrosinistra. Sono dubbi che vanno chiariti al più presto. Si può comprendere che Di Pietro voglia contare di più dopo i risultati straordinari dei referendum. Ma è inaccettabile la vecchia pratica del “fuoco amico” che miete vittime soprattutto nel campo della sinistra. Conviene che l’Idv recuperi un’identità “moderata” per parlare anche ai delusi del centrodestra? E’ possibile. Ma non può accadere che si alzino steccati per difendere il proprio orticello. Dia finalmente la prova, il centrosinistra, di un’unità troppe volte messa in forse. Sia messo in campo, al più presto, un programma credibile della coalizione. Si chiarisca, senza ambiguità, con chi si intende costruire l’alleanza per l’alternativa. E si affronti, al tempo debito, senza sotterfugi e lacerazioni, la competizione per il candidato premier. La politica del rinvio non serve. Non si può pensare che l’opposizione si rafforzi quasi senza far niente, grazie agli errori altrui.

http://www.libertaegiustizia.it/2011/06/23/linganno-2/



INCHIESTA P4 E RIVELAZIONE INTERCETTAZIONI.



Si temono NELLA "MAGGIORANZA PARLAMENTARE" (solo lì) i dialoghi tra i politici sul caso Ruby.

EBBENE, quest'aspetto HA DA ESSER PORTATO A CONOSCENZA DELL'OPINIONE PUBBLICA INDIPENDENTEMENTE DALLA SUA RILEVANZA PENALE che poi accerteranno gli Organi competenti.

INFATTI, VORREI RICORDARE COME LA "MAGGIORANZA" ABBIA AVALLATO L'IPOTESI/TESI DEL CAPO DI "GABINETTO" CHE TELEFONO' PER SALVARCI DA UNA GUERRA!!
Se è vero LO RINGRAZIEREMO, MA INTANTO VOGLIAMO SAPERE COME SI DIPANO' QUELLA "VICENDA BELLICA POTENZIALE" nelle "pieghe" della MAGGIORANZA.

ANZI, SE TUTTO E' LIMPIDO E CHIARO, DOVREBBE ESSERE A QUESTO PUNTO INTERESE DELLA "MAGGIORANZA" FAR CONOSCERE COME, dietro un SOLO apparente retaggio SQUALLIDO di mignotte minorenni anche, SI RIUSCIRONO AD EVITARE I LUTTI E DISTRUZIONI DI UNA GUERRA!




Napoli, 55 roghi di rifiuti nella notte E ora si rischiano tifo e colera. - di Vincenzo Iurillo


Via Depretis, quartiere porto, a duecento metri dal Comune di Napoli e dalla sede della Provincia. La mezzanotte è trascorsa da un quarto d’ora e i piromani dei rifiuti sono da poco entrati in azione. Va in fiamme un gigantesco cumulo di spazzatura, lungo almeno una quindicina di metri e alto un paio. Il fuoco sfiora il primo piano del palazzo e i fili della corrente. La diossina, col suo odore acre e pungente, si sprigiona tutto intorno. Una puzza terrificante che si sparge per centinaia di metri e allerta il parcheggiatore abusivo di un celebre ristorante di una traversa parallela. L’uomo accorre, si accorge che c’è un’auto minacciata dal fuoco e per salvarla raduna un gruppo di persone. Spaccano un finestrino, entrano, tolgono il freno a mano e la spingono via. Poi spiegano il loro gesto a una volante della Polizia intervenuta in seguito a una telefonata al 113. Ci vorrà un quarto d’ora prima dell’arrivo dei Vigili del Fuoco, altri dieci minuti per spegnere l’incendio.

Il sindaco Luigi de Magistris lancia l'allarme sui gravi pericoli per la salute dei cittadini. Napolitano: "Intervenga il governo"




Storie di ordinaria follia nella pancia di una Napoli arrabbiata e violenta, esasperata dall’ennesima crisi, attraversata da balordi e personaggi contigui alla criminalità organizzata che si intrufolano tra le proteste e scatenano il caos. La notte appena conclusa ha registrato 55 interventi dei pompieri, nonostante gli appelli per i gravi rischi alla salute che i roghi provocano. Roghi in strade centrali, come via Riviera di Chiaia, via santa Brigida. E in periferia, dove la zona di Pianura è tra le più colpite. Cumuli incendiati anche in provincia, soprattutto a Castellammare di Stabia e Melito.

Tra le montagnole di rifiuti bruciati che sprigionano diossine velenose, cassonetti rovesciati, vie chiuse per monnezza e sommosse popolari contro una situazione ormai insostenibile, Luigi de Magistris ha capito che non c’è più tempo da sprecare nell’attesa di aiuti sinora negati o solo promessi. E ha deciso di agire da solo, nelle stesse ore in cui anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha fatto sentire la sua voce contro i ritardi di Berlusconi, definendo “indispensabile e urgente” un intervento del governo per l’emergenza spazzatura a Napoli ed esprimendo la sua “inquietudine per la mancata approvazione del decreto legge che era stato predisposto” per ripristinare il flusso fuori regione della spazzatura napoletana.

Ieri in serata il sindaco ha emesso una serie di provvedimenti urgenti e immediati, motivati dai gravi rischi per la salute dei cittadini, che secondo la docente di Igiene Maria Triassi potrebbero degenerare in epidemie di tifo e colera. Tra le misure adottate ci sono alcune indicazioni per ridurre a monte la produzione dei rifiuti, con annesse sanzioni contro la grande distribuzione e gli esercizi commerciali che non le rispetteranno; la disposizione alla società municipalizzata Asìa di lavorare 24 ore su 24 per raccogliere la spazzatura senza sosta, usufruendo anche del personale di altre società comunali (“ma il 70% dei mezzi di Asìa è guasto”, ha ricordato de Magistris); l’individuazione di un secondo sito di trasferenza per consentire la rimozione nel più breve tempo possibile delle 2.500 tonnellate di spazzatura che giacciono sui marciapiedi di Napoli. L’area, di circa 11.000 metri quadrati, si trova a Gianturco, tra i capannoni dismessi di proprietà pubblica. E può accogliere all’incirca 1.200 tonnellate di immondizia.

E’ il secondo sito di trasferenza di Napoli, dove il pattume può restare al massimo 3 giorni, dopo quello dell’ex Icm di Ponticelli, già in uso. Un terzo sito a Napoli potrebbe essere aperto nel quartiere di San Pietro a Patierno. Provvedimenti tampone che però servono a dare respiro a una città soffocata, a rimettere in moto un corretto ciclo di smaltimento che permetta una costante eliminazione delle giacenze, e consentire l’avvio delle campagne di sensibilizzazione annunciate da de Magistris e dal suo vice con delega all’Ambiente, Tommaso Sodano: un isola ecologica mobile per ogni municipalità e l’avvio dal 1 luglio di una raccolta differenziata estesa ad altri cinque quartieri partenopei. Troppo lunghi i 15-20 giorni che la Regione Campania ha chiesto per attivare l’intesa tra le cinque province campane e dare il via all’export della spazzatura napoletana fuori provincia. L’individuazione di siti in città dovrebbe rendere per qualche giorno Napoli autonoma, senza dover dipendere dai comuni limitrofi, dove il rischio che un sindaco firmi un’ordinanza per vietare i conferimenti è sempre in agguato. Come è accaduto in questi giorni a Caivano e ad Acerra, mandando in tilt il piano in base al quale de Magistris aveva annunciato la ripulitura di Napoli ‘in quattro-cinque giorni’.

Sui siti napoletani e sulle strategie future de Magistris si è mostrato volutamente vago. “Non abbiamo interesse a dirvi tutto, ci sono troppi poteri, non solo politici, che stanno facendo di tutto per ostacolare la rivoluzione ambientale che stiamo preparando. Diremo solo quello che è utile dire. Berlusconi? Se ne frega, ce l’ha fatto capire con le parole e gli atti. Caldoro e Cesaro? Hanno a cuore le istituzioni e la salute dei cittadini, con loro abbiamo un rapporto quotidiano. Il governo fino a questo momento non ha fatto nulla, in ogni caso continuiamo a ritenere che la strada non è lo stato di emergenza perché ci farebbe tornare a quelle condizioni che hanno consegnato la città ai poteri affaristici e criminali”. Ad appena cento metri da Palazzo San Giacomo, si inciampa nei sacchetti neri bruciati del giorno prima. Sono diventati ‘rifiuti speciali’, altamente inquinanti, e vanno rimossi con procedure particolari. “Ci sarà una task force della polizia municipale contro chi appicca i roghi” dice il sindaco. Ma sarà un’impresa stanare questi personaggi.



Napoli, la camorra “firma” la protesta contro l’emergenza rifiuti. - di Vito Laudadio


Dietro ai roghi e ai vari disordini non c'è più solo la reazione esasperata della cittadinanza, ma veri e propri raid organizzati in diversi punti della città che rispondono a un'unica regia.


Il segnale era arrivato nei giorni scorsi, la firma è stata apposta nella notte: c’è la regia della camorradietro la protesta sui rifiuti a Napoli. Non più la reazione di cittadini esasperati ma raid organizzati con un’unica regia, in diversi punti della città, con modalità inequivocabili. Al Corso Vittorio Emanuele, un lembo della cosiddetta “Napoli bene” che confina con i Quartieri spagnoli, a ribaltare i cassonetti in tarda serata è stato un gruppo di donne, che subito dopo si è dileguato. Alla Riviera di Chiaia, zona mare, in azione si sono visti ragazzini appena adolescenti armati di guanti in lattice.

È il metodo, antico, usato dai clan quando c’è da fare la voce grossa, quando c’è da ricattare il Palazzo: gli uomini in trincea, donne e bambini sul fronte. L’episodio più inquietante, tuttavia, è avvenuto poco prima della mezzanotte in via Montagna spaccata, tra Pianura e Quarto. Un gruppo di giovani, una ventina circa, è arrivato a bordo di scooter e motociclette di potente cilindrata: hanno ribaltato cassonetti, sparpagliato l’immondizia lungo la strada, creato una vera e propria discarica a cielo aperto per centinaia di metri chiudendo di fatto traffico una delle più importanti arterie che collegano la città alla provincia flegrea.