sabato 16 luglio 2011

La rivolta contro i politici corre sul web E su Facebook spunta la pagina anti-Casta. - di Lorenzo Galeazzi


L'autore dice di essere un ex assistente di un onorevole "licenziato dopo 15 anni di precariato" a Montecitorio e vuole di svelare "pian piano" tutti i privilegi dei parlamentari. Gola profonda o bufala telematica, in Rete sta già spopolando.


Cento nuovi utenti al minuto. Seimila fan in poche ore. E’ la pagina Facebook “I segreti della casta di Montecitorio” curata dal fantomaticoSpidertruman. Le uniche informazioni che l’internauta fornisce sulla sua identità riguardano la sua ex professione, “licenziato dopo 15 anni di precariato in quel palazzo” e il suo scopo “ho deciso di svelare pian piano tutti i segreti della Casta”.

Quale sia il vero nome della gola profonda telematica ancora non è dato saperlo, ma in rete è già una star. Che, per il momento, rimane avvolta dal mistero. L’unico strumento per contattarlo è una casella mail rotellinarotta@libero.it. Non si sa nulla neppure del grado di attendibilità delle notizie che Spidertruman sta diffondendo su Internet, ma basta nominare i tanti privilegi dei parlamentari e il successo su Internet (e non solo) è assicurato. Specie in questi giorni in cui l’approvazione della manovra – pesante per i cittadini, ma quasi indolore per i politici – sta scatenando un putiferio di polemiche. Gli argomenti sono sempre quelli: auto blu, viaggi gratis degli onorevoli e tariffe telefoniche scontatissime per deputati e senatori. Solo per citarne alcuni.

Con chi abbiamo a che fare? Con un nostrano Julian Assange deciso a divulgare i tanti privilegi di cui godono i politici o con qualcuno che si diverte a soffiare sul vento dell’indignazione dei cittadini-contribuenti prendendoli per i fondelli?

Ancora non lo sappiamo. Ma il mix di post che Spidertruman pubblica è intelligente: qualche notizia già uscita (e quindi verificata), magari arricchita da nuovi particolari, insieme ad alcune novità assolute. Come la storia dell’agenzia di viaggi dentro a Montecitorio. “La prima volta che sono andato a fare i biglietti, il funzionario parlamentare adibito all’agenzia (7000 euro al mese) mi ha chiesto il codice millemiglia, che con accortezza il deputato-padrone mi aveva fornito – scrive sulla sua bacheca – Cosa ho scoperto: che lor signori non solo si fanno i viaggi gratis, ma con quei viaggi accumulano punti su punti che poi utilizzano per far viaggiare gratis anche mogli, amici e parenti sui voli Alitalia”.

Questo genere di articoli sono mescolati ad altre notizie che avevano già riempito le cronache dei giornali. Come quella dei furti a Montecitorio, dove c’è una polizza assicurativa che copre qualsiasi ladrocinio, di qualsiasi entità, che avviene dentro il palazzo. “Ogni giorno c’è sempre un deputato che denuncia il furto del suo costosissimo computer portatile”, attacca l’internauta chiedendosi come sia possibile, visti i rigidi controlli di polizia ai portoni, che alla Camera continuino ad agire un manipolo di ladri indisturbati: “Forse perché probabilmente i ladri sono coloro i quali entrano ed escono dall’ingresso principale quando vogliono: i deputati infatti sono gli unici esentati dai controlli”.

Pane per i denti dell’indignazione popolare verso una classe dirigente che mentre vara una finanziaria lacrime e sangue, di notte, al riparo da occhi indiscreti, in commissione Bilancio, boccia tutti i tagli ai costi della politica.

Ma la bufala, soprattutto su Internet, è sempre dietro l’angolo. E anche sul sito di Mark Zuckerber gli esempi non mancano. E’ di qualche giorno fa la notizia del falso profilo della Conad di Pomigliano d’Arco. Sulla wall del supermercato campano c’era un post con scritto che se i clienti, una volta in cassa, avessero gridato “viva Berlusconi” avrebbero ottenuto il 10 per cento di sconto sullo scontrino della spesa. Apriti cielo. “Promozione discriminatoria” ha tuonato il movimento 5 Stelle locale. La notizia è uscita addirittura su Liberazione, ma, tempo di qualche ora, è arrivata la secca smentita della catena di distribuzione. Il profilo era falso ed era stato messo online da qualche burlone telematico.

Ancora più clamoroso è il caso di Tommaso Debenedetti, noto alle cronache come “il genio degli articoli truffa” che per anni aveva piazzato sui giornali del nostro paese interviste ai più grandi autori internazionali, da Gore Vidal a Philip Roth. Tutte rigorosamente inventate. Debenedetti aveva messo in rete i falsi profili di Umberto Eco e Abraham B. Yehoshua e, per restare al semiologo di Alessandria, sulla sua finta bacheca era tutto un proliferare di “Onoratissima professore” e “Grazie mille”. Gente che non poteva credere di annoverare Eco fra i propri amici sul social network.

“Ci sono cascati tutti, giornalisti compresi”, aveva raccontato in un’intervista al Fatto Quotidiano. Ma alla fine qualche errore d’ortografia di troppo ha fatto vacillare la fiducia dei suoi fan.

Poi il finto Eco ha deciso di fare outing proprio dalle colonne del nostro giornale: “Ho voluto svelare il confine fra verità e menzogna”. Alla fine l’avvertimento: “Sono già al lavoro su dei progetti simili. Presto, online, ve ne accorgerete”. Che sia proprio lui lo Spidertruman anti-casta di cui la Rete si è innamorata?




Trani-Gate, per Berlusconi spunta un reato non ministeriale: abuso d’ufficio. - di Marco Lillo




La montagna ha partorito il topolino. Dopo quindici mesi il Tribunale dei ministri ieri ha finalmente statuito che un reato nelle telefonate del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi intercettate a Trani c’è. Solo che – secondo i giudici – il reato non è la concussione ai danni dell’ex commissario AgcomGiancarlo Innocenzi, né le minacce ai danni dell’Autorità Garante delle Comunicazioni per far chiudere Annozero, come ipotizzato a Trani. Per queste due ipotesi di reato, giovedì scorso il Tribunale dei reati ministeriali ha archiviato la posizione del premier con un’ordinanza di sei pagine.

Questo successo per il Cavaliere però potrebbe trasformarsi in un boomerang. L’ordinanza dei tre giudici Eugenio Curatola, Alfredo Maria Sacco e Pier Luigi Balestrieri, infatti, da un lato concede l’archiviazione, ma dall’altro ipotizza l’esistenza di un reato non ministeriale. Il Tribunale dei ministri suggerisce alla Procura di Roma di valutare se non sia il caso di indagare Berlusconi, stavolta assieme a Giancarlo Innocenzi, per un reato diverso: l’abuso di ufficio. Un’accusa magari meno grave, ma molto più rognosa perché solo per i reati ministeriali il presidente del Consiglio può contare sul paracadute dell’autorizzazione a procedere della Camera, mentre per l’abuso comune la magistratura ordinaria può rinviarlo a giudizio e condannarlo senza chiedere il permesso a nessuno.

I fatti sono noti grazie al Fatto Quotidiano che, a partire dal 12 marzo del 2010, ha pubblicato tutte le telefonate del premier con Innocenzi e quelle di Innocenzi con l’allora direttore della Rai Mauro Masi, nelle quali si delinea la strategia per chiudere Annozero e gli altri talk show sgraditi a Berlusconi.

Secondo il Collegio dei reati ministeriali, nessuno è innocente in questa storia: non lo è Berlusconi, ma non lo è nemmeno Innocenzi che invece nella ricostruzione della Procura di Trani era qualificato come vittima (concusso) delle minacce del premier. Per il Tribunale dei ministri, Innocenzi non brigava con Masi perché intimorito da Silvio Berlusconi che, come diceva lui al telefono “mi ha fatto due shampoo ed è incazzato nero”. Il commissario dell’Agcom minacciava di fare il “tupamaru” dentro l’Agcom perché condivideva la linea del boss. Ergo, Innocenzi non è una vittima, ma potrebbe essere invece – se questa impostazione fosse accolta dalla Procura – colpevole di abuso di ufficio assieme al suo Grande capo.

Da quello che trapela, sarebbe più sfumata nell’ordinanza del Tribunale dei ministri, l’analisi della posizione di Mauro Masi, che non è mai stato indagato. Anche se, alla luce dell’ordinanza del Tribunale dei ministri e delle intercettazioni dell’inchiesta P4 (che riguardano sempre il caso Santoro), la Procura di Roma potrebbe rivalutare la sua posizione. Comunque, le dissertazioni giuridiche del Tribunale dei ministri riguardo ai reati non ministeriali non vincolano i pm romani. Sarà il procuratore aggiunto Alberto Caperna, con i suoi due sostituti, a valutare se iscrivere Berlusconi nel registro degli indagati. Se Caperna non ritenesse provato l’abuso d’ufficio, potrebbe spedire tutto in archivio. Si arriverebbe così al paradosso di un’indagine sul premier che finisce in nulla nonostante tre organi diversi (Procure di Roma e Trani più il Collegio dei reati ministeriali) abbiano ravvisato reati a suo carico. Saremmo di fronte a un caso unico di strabismo giudiziario nel quale cinque pm e tre giudici sono bravi a vedere solo i reati di Berlusconi sui quali non hanno competenza. Questo esito della pochade giudiziaria iniziata a Trani nell’autunno del 2009 non era scontato.

Tutti si attendevano che il Tribunale dei ministri – come gli era stato proposto dalla Procura di Roma – chiedesse semplicemente alla Camera l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche a carico del premier per poi procedere contro di lui, e lui soltanto, per concussione e minacce. I fatti erano chiari e le intercettazioni parlavano da sole.

E invece, dopo avere fatto melina per mesi, il Tribunale dei reati ministeriali giovedì improvvisamente si è accorto che il reato non è ministeriale. Forse i tre giudici avranno anche ragione. Forse qualificare Innocenzi come vittima è stato un errore. Forse il reato giusto è l’abuso d’ufficio. Forse non c’è reato ministeriale. Ma certamente potevano dirlo prima senza tenersi per quindici mesi un fascicolo così delicato per il presidente del Consiglio, ma anche per il pluralismo dell’informazione. Anche perché, mentre i giudici di via Triboniano si baloccavano con il codice, il mondo intorno continuava a girare. Il provvedimento pilatesco di giovedì poteva essere scritto quando Annozero era in onda, Masi era ancora alla Rai e Innocenzi era ancora all’Agcom. Ancora un po’ e nemmeno l’ultimo superstite sarebbe stato presente all’indirizzo di Palazzo Chigi. Con l’ordinanza cerchiobottista trasmessa ieri in Procura, il Tribunale dei ministri si libera di una questione probabilmente al di sopra delle forze di un organo strutturalmente inadeguato perché composto da tre giudici estratti a sorte e abituati a occuparsi d’altro che improvvisamente si ritrovano a decidere, nel tempo libero dal loro lavoro ordinario, il destino di un premier.

Ora si ricomincia da capo e tocca alla Procura di Roma decidere se chiedere alla Camera di usare le intercettazioni contro Berlusconi, per accusarlo di un reato non ministeriale. Una cosa è certa: Berlusconi diceva al telefono al fido Innocenzi il 14 novembre del 2009: “Quello che adesso bisogna concertare è che l’azione vostra sia un’azione che consenta… che sia da stimolo alla Rai per dire “chiudiamo tutto”, ma non solo su Santoro, aprite il fuoco su tutte le trasmissioni di questo tipo”. A distanza di un anno e 8 mesi, Santoro è stato convinto a sloggiare, il Tribunale dei ministri è riuscito a trovare il modo per archiviare e intanto gli scherani del sultano continuano a ostacolare le altre trasmissioni sgradite. Il bilancio per il premier è positivo. Per i cittadini che pagano il canone e le tasse e vorrebbero ottenere pluralismo e giustizia, un po’ meno.



Panico a Palazzo, i fantasmi di Tangentopoli tormentano Re Silvio e la sua corte. - di Mario Portanova



L'impunità scricchiola con il caso Papa, Berlusconi chiama alla resistenza contro i magistrati ma Bossi si sfila. Approvata la finanziaria "lacrime e sangue", Tremonti lancia strani messaggi. E se il peggio dovesse ancora arrivare?

Panico a Palazzo, un continuo evocare i vecchi fantasmi, quelli del 1992-1993: le casse dello Stato esangui, l’inchiesta Mani pulite, gli intoccabili in manette, il crollo del sistema, i potenti messi improvvisamente da parte dopo regni decennali. Nei giorni della finanziaria lacrime e sangue e delprimo sì all’arresto del deputato Alfonso Papa, i fantasmi tormentano innanzitutto Silvio Berlusconi: “Stiamo tornando al clima di Tangentopoli, Dobbiamo reagire, impedirlo a tutti i costi”, ha detto il presidente del consiglio ai suoi, in uno sfogo ripreso dalle agenzie di stampa. E’ la “gogna giudiziaria”, ma questa volta i magistrati vanno bloccati prima che sia troppo tardi, per le richieste di arresto già pervenute e per quelle che – secondo i boatos che percorrono il Parlamento – arriveranno a breve. “E’ arrivato il momento di dire basta, non dobbiamo mollare, altrimenti si rischia di fare come nel ’92″.

Dire basta, però, non è facile, se il grande alleato degli ultimi dieci anni si mette di traverso a muso duro: “In galera”, ha sibilato Umberto Bossi a proposito di Papa. La Lega ha già annunciato che voterà a favore del suo arresto, quando il caso arriverà alla Camera, e già oggi l’astensione dei suoi due rappresentanti nella Giunta per le autorizzazioni a procedere è stata determinante. E non è che apra grandi spiragli sull’altro caso caldo, quello di un altro deputato Pdl inseguito da una richiesta di arresto, Marco Milanese.”Poi ci pensiamo, una cosa alla volta”, si è limitato a dire Bossi. Altri fantasmi: il grande tradimento del 1994, quando la Lega fece cadere il primo governo del Cavaliere, il cappio sventolato in Parlamento dal deputato del Carroccio Luca Leoni Orsenigo. Intanto il tribunale del riesame conferma gli arresti domiciliari a Luigi Bisignani. Un simbolo anche lui, inguaiato con la legge tanto nella prima quanto nella seconda Repubblica.

Non poteva mancare, nella rievocazione che semina panico, la scena simbolo di Bettino Craxi all’hotel Raphael di Roma .“Il presidente del Consiglio è a rischio monetine“, dichiara Carmelo Briguglio di Fli, “e poiché è un uomo intelligente, negli ultimi tempi non solo non parla, ma scansa tutte le manifestazioni pubbliche, da Lampedusa ai funerali del nostro militare caduto in Afghanistan. Gli consigliamo sinceramente di lasciare Palazzo Chigi, la protesta contro il governo sta montando nel Paese”. Intanto, come sempre accade in Italia quando la politica si avvita nella spirale dell’inefficacia e del malaffare, si fanno i nomi dei “tecnici” che potrebbero raddrizzare le cose. Il nome che circola è quello di Mario Monti. Un classico.

La prima Repubblica finì con Tangentopoli e con una voragine nei conti pubblici. Con la lira sotto atrtacco della speculazione internazionale, nel luglio del 1992 il presidente del consiglio Giuliano Amato varò una Finanziaria-mostro da 100 mila miliardi di lire, con tanto di prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani. Vent’anni dopo, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti descrive la prospettiva delle finanze pubbliche con il più celebre dei naufragi: il Titanic. E avverte che “neanche i passeggeri di prima classe si salvarono”. Sfiorato anche lui dalle inchieste giudiziarie, in particolare con il caso Milanese, Tremonti lancia strani messaggi a chi fin dalla discesa in campo l’ha sempre voluto al suo fianco. Alla buvette di Montecitorio, dopo l’approvazione della Finanziaria alla Camera, dice ai cronisti di non aver nulla da dichiarare. Ma butta lì la citazione di due libri diGeorges Simenon, “Tre camere a Manhattan” e “Il Presidente”. La storia, quest’ultima, di un uomo molto ricco e potente, in procinto di diventare, appunto, presidente. Ma siccome è vecchio e malato, viene controllato perché qualcuno lo ritiene pericoloso. Sullo sfondo un gioco di ricatti e documenti compromettenti tra lui e un suo ex collaboratore in carriera.

Le suggestioni si affollano, ma i fatti, in fondo, sono ancora poca cosa rispetto agli anni ribollenti di Tangentopoli. Almeno i fatti di dominio pubblico. Forse, nel Palazzo in preda al panico, ne conoscono e temono di inediti e più gravi.