martedì 6 settembre 2011

VALIDITA’ DELLA PAROLA DEMOCRAZIA. - di Ida Magli




La democrazia rappresentativa si regge su un solo principio: la validità della parola dei cittadini. I politici diventano nostri “rappresentanti”, esercitano il potere in nostro nome in quanto noi ve li abbiamo delegati tramite la nostra parola. In un sistema di potere democratico il patto fra governanti e cittadini si fonda esclusivamente sulla fiducia reciproca della “parola”, ma la reciprocità di questo patto non è simultanea: la parola dei governanti, la sua fiducia-validità dipende dalla fiducia-validità della parola dei cittadini.

Da lungo tempo i nostri politici hanno posto la scure alla base dell’albero della democrazia, forzando, travalicando, esautorando la “parola” iniziale che dà origine al loro potere: basterebbe a comprovarlo il modo con il quale è stata realizzata l’unificazione europea, quasi del tutto fuori dalla delega dei cittadini. Ieri, con la disinvolta decisione di “mettere in rete” le dichiarazioni dei redditi di tutti, è stato dato il colpo di grazia: il “patto” non esiste più perché i governanti hanno dichiarato che la parola dei cittadini non è valida, che la firma che essi appongono ai propri atti non ne garantisce la veridicità.

Sarà la “piazza” a farlo. Si tratta, insomma, di una decisione talmente fuori da qualsiasi ordinamento civile da far supporre (o almeno voglio sperarlo) che i governanti non si siano resi conto delle sue implicazioni, delle sue conseguenze. Un sistema politico, qualunque esso sia, anche non fondato sulla democrazia rappresentativa, se si libera delle proprie funzioni di regolamento e di controllo della legalità e della giustizia, consegnandole alla “piazza” (internet è appunto questo: la “piazza”), perde esso stesso ogni qualifica di civiltà, segnala l’approssimarsi di quello stato che un tempo chiamavamo “barbarie”, ma che in realtà si è più volte riprodotto nella nostra storia anche recente, nei momenti di massima angoscia collettiva e di massimo degrado delle istituzioni: quelli del “dopoguerra”.

Purtroppo le cose stanno proprio così: stiamo vivendo un momento di massima angoscia collettiva e di massimo degrado delle istituzioni, anche se sono pochi coloro che sembrano essersene accorti e che, soprattutto, lo denuncino. La stretta del “debito” ha coperto, o meglio è stata usata per giustificare e per coprire sia l’angoscia inespressa dei popoli che lo stravolgimento delle istituzioni. Con quest’ultimo gesto, però, anche la copertura è venuta meno. Il pungolo spietato dei banchieri non si nasconde più dietro ai politici, ma anzi si esibisce nella sua qualità di unico potere effettivo, al di là, al di sopra, di qualsiasi patto democratico. Non la parola dei cittadini, ma il denaro è il valore posto alla base del loro sistema di potere. Cosa naturalissima, ovviamente: sono loro ad amarlo sopra ogni altra cosa, loro a produrlo, loro a regolarne la gestione, ed è evidente che si sono convinti di non aver più bisogno di “coperture”: ai politici è stato lasciato esclusivamente il compito di assicurare l’esecuzione della loro volontà.

La “prigione per i debitori”, vecchio strumento medioevale, percepito già nei cosiddetti secoli bui come troppo incivile per poterlo sopportare, è ritornato. Il limite fissato in base alla ricchezza non ne cambia né il principio né il significato. Allora furono i predicatori popolari, proprio in Italia, rimasti unici “rappresentanti” del popolo e suoi difensori nel generale degrado del potere, a denunciarne la barbarie e a creare i Monti di Pietà pur di non consentirne la presenza. Oggi possiamo soltanto constatare che il pericolo della barbarie è sempre dietro l’angolo e che, se non ci sarà un soprassalto di dignità e di consapevolezza da parte di tutti, dobbiamo prepararci a vivere un nuovo secolo buio.

Ida Magli

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8927&mode=thread&order=0&thold=0


Com'è rossa la mia tangente. - di Paolo Biondani


Filippo Penati

Ora l'indagine su Penati punta dritta a uno 'steccone' di svariati milioni. Che sarebbe stato pagato dal gruppo Gavio per poter vendere a prezzo altissimo le azioni Milano-Genova alla Provincia.

Ci mancava solo la maxitangente rossa. L'accusa più grave partorita dall'inchiesta sul "sistema Penati" nasce da un affare che rischia di minare la credibilità politica della segreteria nazionale del Pd: una presunta corruzione di proporzioni imponenti, concordata nell'estate 2005 in "riunioni riservate", con versamenti proseguiti fino all'autunno 2008. Mazzette pluri-milionarie pagate dal gruppo Gavio, secondo i pm, per un'operazione da sempre chiacchierata: la vendita del 15 per cento dell'autostrada Milano-Serravalle, a un prezzo vantaggiosissimo per il privato, alla Provincia di Milano, quando presidente era Filippo Penati, indagato con il suo ex braccio destro Giordano Vimercati.

L'accusa è documentata nel decreto che ha portato la Guardia di finanza a perquisire gli uffici e i computer di un dirigente di Banca Intesa, indagato come presunto intermediario della corruzione. La Procura di Monza per ora non quantifica l'importo della maxitangente: l'unica certezza, per i pm, è che solo l'ultima rata è di due milioni tondi, ma la cifra totale sarebbe molto più alta, perché corrisponde a una percentuale dell'intero superprofitto ottenuto dal gruppo Gavio con l'affare Serravalle. La fetta destinata ai politici, insomma, di una torta economica da 176 milioni.

La nuova accusa si inserisce in una Tangentopoli locale che già insidia il partito a livello nazionale. Il giudice delle indagini, per cominciare, ha considerato "dimostrati numerosi e gravissimi fatti di corruzione posti in essere prima al Comune di Sesto e poi alla Provincia di Milano da Penati e Vimercati", che hanno evitato il carcere solo grazie alla legge berlusconiana sulla prescrizione (la ex Cirielli). E per il più ricco affare edilizio, sull'area ex Falck, il costruttore Giuseppe Pasini, seguito da suo figlio Luca e dal genero Diego Cotti, ha ammesso di aver dovuto pagare non solo i politici di Sesto, ma anche due emissari della cooperativa Ccc (2,4 milioni "per lavori mai eseguiti"), imposta da Penati e Vimercati "per garantire la parte romana del partito". Il tutto mentre resta da scoprire, come certifica il giudice, chi abbia intascato almeno 710 mila euro di tangenti sicuramente versate dall'immobiliarista Luigi Zunino e dal suo alleato Giuseppe Grossi per raddoppiare il cemento sempre sull'ex Falck. A questo punto i pm sospettano un "doppio binario di finanziamento: un primo flusso a Penati e Vimercati per la federazione milanese del partito e un secondo per il livello nazionale", attraverso le coop rosse.

I pm Walter Mapelli e Franca Macchia avrebbero voluto tenere segreta l'accusa di corruzione per l'affare Serravalle, che infatti non avevano inserito nella richiesta di arresti, coprendo con "omissis" anche i primi verbali depositati alle difese. Agli atti c'era solo un'ipotesi di finanziamento illecito al partito, che in Italia è un reato minore: due milioni versati nel 2008 da Bruno Binasco, manager del gruppo Gavio, all'imprenditore Piero Di Caterina, presunto tesoriere segreto di Penati per 15 anni e ora suo primo accusatore. L'importanza dell'affare Serravalle però non è sfuggita al gip, Anna Magelli, che potendo consultare i verbali integrali, ha inserito nell'ordinanza anche le prime rivelazioni sulla maxi-corruzione. A quel punto i pm hanno ordinato d'urgenza di perquisire l'unico indagato che si potesse ancora sperare di sorprendere: Maurizio Pagani, responsabile dell'area infrastrutture e trasporti per il gruppo Intesa. Nella sede della banca, la Guardia di finanza ha acquisito le carte e i documenti informatici sul prestito concesso proprio da Intesa alla Provincia di Milano per acquistare la quota di Gavio. Ora gli inquirenti stanno ricostruendo l'intero percorso di quel bonifico. Per verificare dove e a chi siano finiti i soldi pagati dall'ente pubblico guidato da Penati.

La magistratura aveva cominciato a indagare sulla Serravalle già nel 2004, quando presidente della Provincia era la berlusconiana Ombretta Colli. Nel mirino un ipotetico patto occulto per svendere il controllo dell'autostrada pubblica sempre al gruppo Gavio. Un'inchiesta demolita da una provvidenziale fuga di notizie, che fece saltare in extremis la consegna di una presunta busta di denaro a un assessore provinciale di destra. Prima di dover archiviare, la Guardia di finanza documenta indubbi "favoritismi illegittimi" concessi dalla giunta Colli al socio privato. E nel giugno 2004 registra in diretta le reazioni di Marcellino Gavio e Bruno Binasco ai risultati elettorali. A sorpresa, vince Penati con il 54 per cento. Persa la sponda di destra, Gavio cambia strategia: "Sto facendo un pensierino a vendere tutto per 4 euro", confida al fidato Binasco. Che gli risponde: "Sicuramente portiamo a casa dei bei soldi". Gavio: "E non facciam sangue cattivo, che questi ci fan diventar matti". Attenzione al prezzo: nel giugno 2004 Gavio, che aveva comprato a 2,9 euro per azione, si sarebbe accontentato di 4. E sembra ottimista: "Il problema non è Penati, con lui un accordo si trova".

Il 30 giugno 2004, tre giorni dopo le elezioni, Gavio viene intercettato al telefono con Pier Luigi Bersani, che oggi è il segretario nazionale del Pd. Per rispetto all'immunità, il colloquio non è trascritto, ma solo riassunto dal maresciallo. "Bersani dice a Gavio che ha parlato con Penati. Dice a Gavio di cercarlo per incontrarsi in modo riservato, tra una decina di giorni". Il 5 luglio il neopresidente chiama il re delle autostrade. Penati: "Buongiorno, mi ha dato il suo numero di telefono l'onorevole Bersani...". Gavio: "Sì, volevo fare due chiacchiere con lei quando possibile". Penati: "Beviamo un caffè". Quindi Gavio conferma al suo manager che "Bersani ha dato il via a incontrarsi in un luogo riservato", ma Penati "non decide niente".

Quando scoppia la polemica, Penati minimizza sia l'incontro che il ruolo di Bersani: "Io non conoscevo Gavio, Bersani sì, perché era stato ministro dei Trasporti. Tutto qui". In ballo, all'epoca, c'è solo la nomina del nuovo presidente della Serravalle. Ma il 29 luglio 2005, dopo mesi di trattative segrete, Penati annuncia l'acquisto della quota di Gavio. Prezzo pattuito: 8,8 euro ad azione, per un totale di 238 milioni lordi. Un affare che assicura al gruppo privato una plusvalenza da favola: 176 milioni netti.
Proprio qui si inseriscono le rivelazioni di Piero Di Caterina, l'imprenditore di Sesto che ha confessato di aver pagato tangenti a Penati e Vimercati, per appalti di trasporti e affari immobiliari, nell'arco di ben 15 anni, per un totale di almeno 3 milioni e mezzo. "Prestiti", come lui li definisce, che i due politici s'impegnavano a fargli restituire da "altri impreditori" da cui avrebbero "ottenuto tangenti". Tornando al 2005, l'accusatore spiega: "Mi fu detto da Penati, per convincermi ad aspettare, che di lì a poco sarebbero arrivate somme consistenti per l'affare Serravalle". "Mi sono incontrato con lui, credo, il giorno precedente alla notizia dell'acquisto della partecipazione". Di Caterina ignora l'importo della tangente, ma sa che "era molto rilevante, per milioni di euro" e fu calcolato come "percentuale del sovrapprezzo pagato dalla provincia per il pacchetto di maggioranza".

Alle "trattative riservate con il gruppo Gavio", aggiunge Di Caterina, avrebbe assistito anche Antonio Princiotta, segretario generale prima del comune di Sesto e poi della Provincia. Nove giorni dopo, l'imprenditore consegna ai pm "un foglio dattiloscritto consegnatomi da Princiotta nel marzo-aprile 2010 in un ristorante di Lugano, con il testo delle trattative". Sul retro, Di Caterina ha annotato a penna i nomi dei partecipanti "riferiti da Princiotta": "Lui, Vimercati, Binasco e un rappresentante di Banca Intesa, tal Pagani". Che "nello studio di un commercialista milanese" avrebbero "discusso sia dei profili palesi sia del sovrapprezzo da pagare a Penati e Vimercati".

Interrogato a Monza, Princiotta ora smentisce tutto. Come Penati. E come Vimercati, citato da Di Caterina come sua terza fonte. "Ho saputo da Vimercati che Penati lo avrebbe fregato nell'operazione Serravalle. E che Penati avrebbe ricevuto il suo guadagno a Montecarlo, Dubai e Sudafrica". Per questo "Penati e Vimercati hanno litigato", mentre "Princiotta si lamentava di non aver avuto nulla".
L'ultima rata della presunta maxi-tangente, a questo punto, sono i due milioni versati da Binasco, nel 2008, a Di Caterina. Mascherati da caparra per il mancato acquisto di un immobile. Sentendosi ancora in credito di un milione, nell'aprile 2010 Di Caterina scrive un'email minatoria, rivendica dal manager Binasco le "somme consistenti" versate al politico. Analizzando il caso, il giudice esclude il finanziamento illecito, ma solo perché non è certo che i due milioni siano finiti davvero al partito. Piuttosto, secondo il gip, quel regalo di Binasco a Di Caterina è "l'indizio principe" dei rapporti di corruzione con Penati. Anche perché la lettera minatoria risulta "ricevuta dai destinatari", ma nessuno ha risposto: neppure Penati ha fatto "contestazioni di sorta".

Per i pm di Monza ci sono fin d'ora "gravi indizi di illiceità nell'operazione Serravalle". Già la Corte dei conti aveva contestato a Penati di aver versato a Gavio "almeno 76 milioni in più del prezzo di mercato". Il giudizio sull'inchiesta ora spetta al tribunale del riesame: i pm chiedono il carcere per Penati e Vimercati, ipotizzando la concussione (non prescritta), mentre i due arrestati, l'ex assessore Di Leva e l'architetto Magni, invocano la libertà. Ad onore di Penati va registrato un impegno che lo differenzia da plotoni di inquisiti del Pdl: "Non mi nasconderò dietro la prescrizione o leggi ad personam". E intanto Di Caterina, circondato dai suoi bus tra i capannoni della Caronte trasporti a Sesto, si sente "un compagno che lotta per la legalità": "Io non ho attaccato i comunisti, ma i ladri".



Nessuno manovra per la crescita. - di Fabrizio Onida


Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sollecitato il gotha di Cernobbio a preoccuparsi non solo del vincolo del debito pubblico, ma anche delle mancate riforme per rilanciare produttività e crescita. La Confindustria ha giudicato l'ultima versione della manovra «debole e inadeguata», invitando il Governo a «ridurre le tasse su chi produce (lavoratori e imprese)» spostando il carico su tutto il resto «nulla escluso» (Il Sole 24 Ore del 2 settembre).

In effetti dov'è finita la "scossa" promessa qualche mese fa da Berlusconi per contrastare il pauroso prolungato ristagno dell'economia? Eppure senza stimoli alla crescita la manovra di aggiustamento dei nostri conti pubblici rischia di fallire miseramente per mancanza di credibilità.

Vanno benissimo le "riforme strutturali", purtroppo solo annunciate, come liberalizzazione dei servizi professionali, privatizzazioni di alcuni servizi pubblici locali, semplificazione amministrativa, allungamento dell'età di pensione di vecchiaia, promozione delle energie alternative: ma quasi tutti questi interventi sono privi di effetti sull'economia reale nell'immediato orizzonte temporale e quindi sul rilancio della crescita.

È possibile immaginare una manovra di "rigore e crescita", in cui accanto ai tagli di spesa pubblica e temporanei maggiori prelievi su redditi e patrimoni medio-alti (necessari!) vi sia una combinazione d'interventi capaci di agire contemporaneamente come stimolo alla domanda e all'offerta? Sì, una manovra che poggi su vari strumenti capaci di stimolare reddito e occupazione agendo su entrambi i lati della domanda e dell'offerta.

1) Come già proposto da Prometeia e altri, sgravi contributivi in busta paga e/o parziale riduzione dell'Irap finanziati con innalzamento di aliquote Iva. Le imprese sarebbero incoraggiate a creare nuovi posti di lavoro regolari (non in nero), mentre il maggior reddito disponibile dei lavoratori, solo molto parzialmente neutralizzato dai modesti rincari di prezzi dovuti all'Iva in questa fase di congiuntura depressa, agirebbe da spinta ai consumi. Incidentalmente, dato il rimborso Iva alle esportazioni ma la sua piena traslazione sui prezzi all'importazione, la manovra avrebbe effetti favorevoli sulle esportazioni nette e dunque sul Pil.

2) Sgravi fiscali permanenti, almeno fino all'uscita dalla fase peggiore della crisi, sull'assunzione di giovani, al Sud come al Centro-Nord: di nuovo un efficace incentivo alle aziende sane (che fanno profitti tassabili) a ridurre la disoccupazione giovanile, con effetto neutrale se non positivo sul gettito fiscale complessivo.

3) Rilancio da parte degli enti locali (in esenzione dal patto di stabilità) delle tante piccole-medie opere infrastrutturali (strade, trasporti, acqua, edilizia popolare e scolastica, ecc.) il cui stallo continua a penalizzare imprese e cittadini.

4) Accelerazione di alcuni grandi programmi infrastrutturali (banda larga in primis) con effetti positivi immediati sulla domanda d'investimenti e sui redditi (anche nell'indotto), ma in prospettiva anche sull'offerta (rimozione di molte strozzature e costi per le imprese). Alcuni studi della Banca mondiale (Cambini su La Voce.info del 2 settembre) stimano un moltiplicatore di queste spese sul Pil dell'1-1,5% all'anno.

5) Un'azione forte del Governo sui sindacati (tutti!) per favorire con appropriati incentivi fiscali la negoziazione collettiva di "salari di produttività", con effetti favorevoli indubbi sulla competitività basata sui costi del lavoro, che ormai da un decennio ci vede perdere terreno rispetto all'Europa.

6) Un programma decisamente più massiccio di sostegno pubblico (crediti d'imposta e finanziamenti diretti) a grandi programmi d'innovazione tecnologica nelle grandi filiere in cui giocano i vantaggi competitivi dell'industria italiana in molte nicchie a media e alta tecnologia. Si tratta, come ormai chiesto anche da Confindustria, di sostituire incentivi a pioggia di dubbia efficacia (come mostrano diversi studi microeconomici della Banca d'Italia) con un radicale rilancio di programmi come Industria 2015, unica iniziativa coraggiosamente disegnata più di cinque anni fa sulla scia dei "programmi strategici" (nulla a che fare con antichi e fallimentari "piani di settore") e poi colpevolmente mutilata.

Da anni Germania, Francia, Regno Unito, Olanda inducono aggregazione di grandi, medie e piccole imprese intorno a progetti di lungo respiro, nel contesto favorevole del Programma quadro della Ue, con approccio "bottom up" e senza assurde procedure come il "click day". Il premio Nobel Edmund Phelps ha suggerito anche in Italia una "banca dell'innovazione" sul modello israeliano. Anche con strumenti simili, oltre che con il "Fondo strategico" da poco varato da ministero dell'Economia e delle Finanza e Cassa depositi e prestiti, si possono incoraggiare le tanto sbandierate "reti di impresa", inclusi i 700 (!) "distretti hi-tech" ricordati nella Giornata della ricerca di Confindustria (Il Sole 24 Ore dell'11 luglio). Rilanciare la crescita combattendo il nanismo delle imprese: si può!

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-09-06/nessuno-manovra-crescita-063942.shtml?uuid=AanYJt1D


Pannelli solari addio.


William Fisher

Se avete intenzione di convertirvi al solare, prima di comprare costosissimi pannelli, sappiate che presto non serviranno più. Stephen Rand ed i suoi colleghi della University of Michigan hanno scoperto come ricavare energia dalla luce del Sole, senza l’utilizzo delle classiche celle fotovoltaiche. I risultati della ricerca del’equipe del prof. Rand, pubblicati nel Journal of Applied Physics, hanno dimostrato che il campo magnetico della luce, fino ad oggi considerato troppo debole per essere utilizzato in applicazioni pratiche, è invece una potentissima fonte d’energia.

“Nelle classiche celle fotovoltaiche, la luce attraversa un materiale semi-conduttore, viene assorbita e crea calore. Fino ad oggi si sono costruiti i pannelli solari basandosi su tale processo d’assorbimento e si pensava che l’intensità del campo magnetico della luce fosse troppo insignificante per esser preso in considerazione. Abbiamo scoperto, invece, l’esistenza di un’interazione così strana, che è stata trascurata per più di cent’anni: la luce, passando attraverso un materiale non-conduttore, crea un campo magnetico così intenso che è in grado di causare, come un campo elettrico, il fenomeno della rettificazione ottica (la separazione delle cariche provocato dal campo elettrico della luce all’interno delle classiche celle fotovoltaiche, ndr). I risultati ottenuti porteranno alla creazione di celle fotovoltaiche di nuova generazione, che non implicheranno l’utilizzo di materiali semi-conduttori e non si baseranno sull’assorbimento della luce, bensì utilizzeranno il campo magnetico della luce per produrre energia.” – ha annunciato Stephen Rand.

“In base al fenomeno della rettificazione ottica, all’interno del materiale semi-conduttore con cui sono costruiti gli odierni pannelli solari, il campo elettrico della luce provoca una separazione delle cariche positive e negative, creando un voltaggio e quindi energia – ha spiegato il ricercatore William Fisher – fino ad oggi si pensava che tale effetto elettrico avvenisse solo all’interno di materiali cristallini che possiedono una certa simmetria. Abbiamo scoperto, che nelle giuste condizioni, la rettificazione ottica può essere indotta anche dalla componente magnetica della luce: il campo magnetico è in grado di curvare gli elettroni e generare sia un dipolo elettrico, che uno magnetico. Convogliando un numero sufficiente di questi dipoli in una fibra abbastanza lunga, si può ottenere un enorme voltaggio, tale da costituire una vera e propria batteria ottica. Estrendolo, tale voltaggio può essere utilizzato quale fonte d’energia”.

“Per ottenere questi risultati, la luce deve brillare in un materiale che non conduce elettricità,come il vetro ad esempio - sottolinea Fisher - e dev’essere infocata ad un’intensità di 10 milioni di watt per cm², anche se i nuovi materiali sono in grado d’ottenere ottimi risultati ad intensità minori. Tutto quello di cui abbiamo bisogno sono lenti per infocare la luce ed una fibra per guidarla. Il vetro può essere considerato un buon materiale, risultati migliori si ottengono con la ceramica trasparente”.

William Fisher e Stephen Rand hanno scoperto che la luce (di un laser o del Sole), passando attraverso un materiale non-conduttore, crea un campo magnetico con un’intensità così forte, che può essere utilizzato quale fonte d’energia e di sostituire, quindi, il ruolo che la corrente elettrica gioca nelle classiche celle fotovoltaiche. Gli scienziati della Michigan University hanno creato una “batteria ottica”, in grado di soppiantare i vecchi pannelli solari.

Durante i prossimi esperimenti, previsti per l’estate del 2011, Rand e Fisher lavoreranno prima con la luce di un raggio laser, poi direttamente con la luce del Sole. Gli scienziati prevedono di costruire una nuova generazione di celle solari che saranno, oltre che enormemente più potenti, anche molto più economiche di quelle utilizzate oggi.

Matteo Vitiello

http://buenobuonogood.wordpress.com/2011/05/03/pannelli-solari-addio/


Terremoto in procura, Laudati e Scelsi dal Csm. Lavitola: "Torno e mi faccio arrestare".


Da Palazzo dei Marescialli la richiesta ai pm di Lecce che indagano sull'operato dei colleghi di notizie sui procedimenti in corso nei confronti dei colleghi. Lavitola respinge le accuse. Le indagini sulle escort saranno chiuse il 15 settembre, in arrivo le incettazioni.


di MARA CHIARELLILa prima commissione del Csm ascolterà nei prossimi giorni il capo della procura di Bari Antonio Laudati e il suo ex sostituto (ora alla procura generale del capoluogo) Giuseppe Scelsi. La decisione è stata presa questa mattina al termine di una riunione durata un’ora convocata a seguito del nuovo scandalo che ha coinvolto lo stesso procuratore barese, travolto dall'inchiesta sulle escort a Palazzo Grazioli per il quale poi l'ex imprenditore d'oro della Sanità è finito in carcere a Napoli con l'accusa di estorsione. Con lui, la moglie Angela Devenuto (ora ai domiciliari a Roma) e il direttore dell'Avanti, Valter Lavitola. "Presto rientrerò a casa e mi farò arrestare. Contro di me accuse infondate", fa sapere Lavitola da Panama, dove di ce di trovarsi.

Il memoriale di Lavitola - "Sono stanco di passare per l'uomo nero (LEGGI). Vi pare - spiega - che dati i miei rapporti con Berlusconi sarebbe stato mio interesse mettere insieme una truffa del genere? Ovvero spillargli 500mila euro per dividerli con Gianpaolo Tarantini? Se avessi avuto bisogno di denaro lo avrei chiesto direttamente al Cavaliere. Ci ho rimesso 173mila euro",lamenta a proposito dei pagamenti a beneficio di Tarantini. "Sono pronto a documentare tutto, ci sono le prove - assicura - io di soldi non ne ho intascati". Sul motivo per cui non sia ancora rientrato in Italia: "Avevo lavori da sbrigare in Brasile. Dovevo vendere due barche".

L'indage disciplinare del Csm - Da Palazzo dei Marescialli è partita la richiesta ai pm di Lecce, che indagano sull'operato dei colleghi nella gestione dell'inchiesta che coinvolge il premier, di notizie sui procedimenti in corso. Nel capoluogo partenopeo hanno ipotizzato i reati di abuso d'ufficio e rivelazione del segreto di ufficio. In alcune intercettazioni tra l’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini e il direttore dell’Avanti Valter Lavitola Laudati viene indicato come colui che avrebbe in qualche modo agevolato lo stesso Tarantini nell’ambito dell’inchiesta sulle escort a Palazzo Grazioli. Il Csm, che aveva già aperto un fascicolo sul “caso Laudati” a seguito di un esposto anonimo e di una lettera di Scelsi, doveva decidere se avviare un’istruttoria parziale ascoltando solo il procuratore o completa ascoltando anche l’ex pm.

FOTO I PROTAGONISTI

Il "caso Laudati" - Scelsi, che fu il primo ad indagare su Gianpaolo Tarantini, nell’esposto al Csmlamenta i tempi lunghi dell'indagine barese sulle escort che l'imprenditore barese portò a feste organizzate nelle residenze private del premier Silvio Berlusconi tra il 2008 e il 2009. Afferma anche che Laudati, a luglio scorso, gli avrebbe impedito di leggere l'informativa conclusiva appena depositata dalla Guardia di finanza nel fascicolo assegnato fino ad allora a lui e ai colleghi Eugenia Pontassuglia e Ciro Angelillis. Il Csm si è occupato di Laudati anche a seguito di un esposto anonimo nel quale si afferma che avrebbe creato un database sulle intercettazioni e avrebbe gestito in modo non appropriato finanzieri che fanno parte della sua segreteria particolare.

LEGGI Escort per Berlusconi, l'ex pm al Csm: "Le trame del palazzo per farmi fuori"

Le intercettazioni che scottano
- L'avviso di conclusione delle indagini preliminari dell'inchiesta di Bari sarà notificato dopo il 15 settembre. Quel giorno partiranno - spiegano fonti giudiziarie - gli avvisi previsti dall'articolo 415 bis del Codice di procedura penale, a carico di una dozzina di indagati, tra cui lo stesso Tarantini, accusati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e al favoreggiamento della prostituzione. Con la notifica degli avvisi di conclusione delle indagini, saranno a disposizione dei difensori tutti gli atti dell'inchiesta, dai verbali di interrogatorio delle ragazze portate alle feste alle intercettazioni, molte delle quali sono contenute nell'informativa finale della Guardia di Finanza, depositata nel luglio scorso dopo quasi tre anni di indagini.

http://bari.repubblica.it/cronaca/2011/09/06/news/csm_laudati-21293823/?ref=HRER1-1

Il Csm indaga su Laudati per il caso Escort Ghedini: “Dell’estorsione non sapevo nulla”


Il pm barese Scelsi aveva denunciato il procuratore capo per presunti intralci all'indagine che mette in imbarazzo Berlusconi. Anche la Procura di Lecce apre un'inchiesta. L'avvocato del premier: "Non ero a conoscenza dei pagamenti a Tarantini e Lavitola", ma il suo nome compare più volte nelle carte. Il direttore dell'Avanti!, latitante: "Torno presto, ho solo aiutato una coppia in difficoltà."


Il caso Tarantini-Escort scuote anche la magistratura. Mentre la procura di Lecce apre un fascicolo sull’operato dei colleghi di Bari, affidata al procuratore aggiunto Antonio De Donno, entra in campo anche il Csm. La prima commissione del Consiglio superiore della magistratura ha avviato gli accertamenti dopo l’esposto inviato dall’ex pm di Bari Giuseppe Scelsi, ora sostituto procuratore generale, contro il procuratore della Repubblica, Antonio Laudati. Scelsi, che fu il primo ad indagare su Gianpaolo Tarantini, lamenta i tempi lunghi dell’indagine barese sulle escort che l’imprenditore barese portò a feste organizzate nelle residenze private del premier Silvio Berlusconi tra il 2008 e il 2009.

Nell’esposto Scelsi afferma anche che nel luglio scorso Laudati gli ha impedito di leggere l’informativa conclusiva appena depositata dalla Guardia di finanza sul giro di sesso a pagamento, fascicolo assegnato fino ad allora a Scelsi e ai sostituti Eugenia Pontassuglia e Ciro Angelillis. A carico di Laudati pende da alcuni mesi al Csm un esposto anonimo nel quale si afferma che il procuratore di Bari avrebbe creato un database sulle intercettazioni e avrebbe gestito in modo non appropriato militari della Guardia di finanza che fanno parte della sua segreteria particolare.

Intanto scoppia il caso Ghedini. Niccolò Ghedini, avvocato di Silvio Berlusconi e parlamentare del Pdl, rivendica una completa “estraneità in relazione a pagamenti, movimentazione di denaro o incontri” relativi alla presunta estorsione orchestrata ai danni del presidente del consiglio daGianpaolo Tarantini e Valter Lavitola. Ghedini reagisce così a un articolo di Repubblica, uscito oggi, che lo definisce “perfettamente al corrente dei passaggi di denaro da Berlusconi a Tarantini”, in cambio del silenzio di quest’ultimo sulle escort fornite al presidente del consiglio, a cominciare da Patrizia D’Addario. “La Procura”, scrive ancora Repubblica, “che nei giorni scorsi ha sentito come testi gli avvocati Nicola Quaranta e Nicola Perroni, legali di Tarantini nella vicenda barese, vuole capire se sia stato proprio Ghedini a gestire in prima persona i pagamenti. Teneva lui il libro paga?”.

Nella nota diffusa alle agenzie di stampa, l’avvocato-parlamentare afferma che l’articolo è “completamente inventato” e annuncia querele. Il caso prende spunto dall’ordinanza di custodia cautelare contro Lavitola e Tarantini firmata dal gip di Napoli Amelia Primavera il 30 agosto, dove Ghedini è nominato più volte. A partire da una telefonata intercettata tra i due indagati il 17 luglio, che verte sui 500 mila euro sborsati da Berlusconi e, secondo l’accusa, trattenuti in gran parte da Lavitola.

GT: senti Và (Valter), ti volevo dire una cosa strana che mi ha chiesto Perroni oggi (Giorgio Perroni, avvocato di Tarantini e, in altri procedimenti, di Silvio Berlusconi, ndr)”.

VL: eh.

GT: mi sono incontrato…va bè che non so se tu sai che è uscito il fatto della D’Addario, sai de…

VL: no. Me lo stava dicendo adesso tua moglie, ma da ieri non ho visto i giornali.

GT: va bè…che ha ritrattato tutto, ha detto che è stata obbligata da…dall’avvocato, che è la compagna di Scelsi… va bè, ste cose qua. Poi, a un certo punto, mi prende un attimo e mi dice nell’orecchio: “ma lei li ha avuti…ma, senta, mi tolga una curiosità, perchè mi hanno chiesto…mi ha chiesto – inteso come Nicolò, di chiesto – ma ha avuto poi i 500 lei?” Ho detto: “guardi…” ho detto:”no, veramente no.” Oh?

VL: eh! Ti sento, ti sento.

GT: io sono rimasto di cazzo. Ho detto: “no, me li doveva dare, perché siamo rimasti così l’ultima volta.”

VL: roba da pazzi. Questi sò scemi, sò pazzi.

GT: non vorrei che lui gli abbia detto così a…Nicolò.

VL: chi lui?

GT: lui, il Presidente.

Per gli inquirenti, “Nicolò” è proprio l’avvocato del Cavaliere: “La circostanza della consegna di quella somma da Berlusconi al Lavitola”, scrive il gip Primavera, “è stata comunque comunicata al Tarantini dal suo avvocato Perroni che l’avrebbe appresa, a sua volta, dall’avvocato Niccolò Ghedini”. Su questo punto, ribatte il parlamentare, “nell’ordinanza del Gip si può apprezzare come l’unico momento in cui vi sarebbe stato un mio interessamento in merito ai 500.000 euro sarebbe a versamento ampiamente avvenuto. Quindi da parte dell’autorità giudiziaria non vi è alcuna indicazione di una consapevolezza ex ante né di una compartecipazione né la consegna del denaro, né alcun profilo di illiceità”.

Ghedini si spinge oltre e afferma di non aver saputo nulla neppure ex post, e comunque “essendo il presidente Berlusconi persona offesa dal reato di estorsione, se avesse comunicato al suo avvocato di fiducia anche prima del pagamento ciò che stava accadendo, non vi sarebbe nulla di anomalo poiché in occasioni consimili può accadere di consultarsi con un professionista”. Ma “così non è stato e nulla anticipatamente sapevo dell’asserito pagamento dei 500.000 euro”. Totale estraneità a tutto, insomma.

Nell’ordinanza, il gip Primavera chiede però l’arresto di Lavitola e Tarantini anche per evitare l’inquinamento probatorio, dato che i due “hanno dimostrato di conoscere il modo di eludere le investigazioni, anche con contatti con appartenenti alle forze dell’ordine ed avvocati”. In particolare”, continua, “l’accertato, obbiettivo, ‘coinvolgimento’ dei difensori del Tarantini nonché di quello della persona offesa, avvocato Niccolò Ghedini, derivante dall’essere chiamati in causa dal Tarantini come soggetti a conoscenza dei cospicui, ingiustificati ed illeciti trasferimenti di danaro dal Berlusconi al Tarantini”, rafforza le ragioni dell’arresto. “Non potendo escludersi”, conclude il gip, “il pericolo che i patrocinatori – a prescindere da chi sarà nominato dagli indagati – siano veicolo di manovre inquinanti”. E tra le righe del documento emerge che questo aspetto potrà essere oggetto di “ulteriori investigazioni”,

Mentre Tarantini si trova in carcere a Napoli, Lavitola è latitante a Panama. Lo conferma lui stesso in un’intervista pubblicata oggi da Libero. “Non ho nulla di cui temere e presto rientrerò a casa e mi farò arrestare”, assicura il direttore ed editore dell‘Avanti!. Lavitola parla di accuse infondate: “Le pare che, dati i mie rapporti con Silvio Berlusconi sarebbe stato mio interesse mettere insieme una truffa del genere, ovvero spillargli 500 mila euro per poi dividerli con Tarantini? Le pare che il gioco valesse la candela? Se avessi avuto bisogno di denaro lo avrei chiesto direttamente al Cavaliere. Nessun bisogno e nessun interesse a truffarlo, per poi dimezzare il bottino. Oltretutto”.

Lavitola conferma di aver incassato i soldi, ma di averli girati all’imprenditore pugliese: “A Tarantini ne ho dati 350 mila, più altri 100 mila. Ne ho ricevuti 400, veda un po’. Ce ne ho rimessi per l’esattezza 173 mila. Sono pronto a documentare tutto. Ci sono le prove: io di soldi non ne ho intascati». A quale titolo? Per aiutare Tarantini e la moglie, con cui Lavitola aveva una relazione: “Erano nei guai. Guai veri e un tenore di vita non certo rispondente alle loro possibilità. Spendevano l’impossibile, senza criterio”.

Nel corso della giornata, Valter Lavitola ha anche diffuso una nota in cui annuncia “un memoriale che consegnerò all’autorità giudiziaria tra qualche giorno”. Dopodiché, continua, “rilascerò un’intervista alla stampa nella certezza di chiarire tutto, carte alla mano”. Lavitola non ci sta a passare ”per l’Uomo nero”, cioè” l’unico artefice di una situazione venutasi a creare solo a causa delle serie difficoltà del Tarantini e in cui io, per evidenti motivi di opportunità, mi sono limitato a fare da tramite con il Presidente”. Nella nota, il giornalista-editore con mille affari in Centroamerica tiene molto a precisare di essere legato da diversi anni “da profonda amicizia” con Silvio Berlusconi, ben al di là del caso Tarantini.


Ft: fiasco fiscale dell'Italia, Eurozona a rischio. - di Elysa Fazzino


Il Financial Times boccia la manovra italiana

Il Financial Times boccia la manovra italiana, troppo annacquata e senza riforme strutturali, attacca il sistema politico "incompetente" che ha lasciato l'Italia paralizzata di fronte a mercati sempre più nervosi e vede all'orizzonte un taglio del rating del Belpaese.

La Lex Column del quotidiano britannico lancia l'allarme per l'Italia e per l'intera eurozona. "Fiasco fiscale" è il titolo-stroncatura dell'edizione cartacea; "L'Italia deciderà il fato dell'eurozona" è quello apparentemente più possibilista dell'edizione online.

"L'Italia è il cardine dell'eurozona", esordisce la Lex Column: l'area dei 17 membri dell'euro può sopravvivere a una crisi della Grecia, del Portogallo, dell'Irlanda "e forse anche della Spagna". Ma "se l'Italia s'infetta, l'eurozona non ha le risorse né finanziarie né politiche per andare in soccorso di Roma". L'Italia deve "inocularsi da sola" il vaccino per combattere il virus della crisi del debito sovrano, avverte il Ft. Più volte di recente il Financial Times ha auspicato un cambio di governo a Roma, ma l'appello non viene esplicitato nella Lex Column di oggi, che bastona però la classe politica al timone dell'Italia: "Un sistema politico incompetente l'ha lasciata paralizzata di fronte al brusco repricing del rischio italiano da parte di investitori sempre più nervosi". Un altro po' di temporeggiamento fiscale "questa volta non risolverà il problema dell'Italia".

Dall'inizio di luglio, puntualizza il Ft, l'Italia è stata colpita dal crollo delle previsioni di crescita globali e della credibilità della sua politica. I rendimenti sui titoli decennali italiani sono saliti di 65 punti base e di 100 punti base su quelli biennali. Rendimenti che sarebbero ancora più alti se la Banca centrale europea non fosse intervenuta. La manovra da 45 miliardi di euro "è stata annacquata così tanto che rappresenta solo un gioco di prestigio", sottolinea il Ft. E il crollo del mercato dei bond ha devastato le quotazioni delle banche italiane (l'Unicredit è sceso del 42% dal 1.mo luglio) in parte a causa del crollo del valore dei loro portafogli titoli. Il pacchetto d'austerità sul piatto, secondo il Financial Times, probabilmente "danneggerà l'economia italiana piuttosto che accelerare la crescita". E' quanto hanno sperimentato Grecia e Portogallo e "non c'è ragione che sia diverso per l'Italia", soprattutto con i mercati d'esportazione in Europa e in Usa che si avviano verso la recessione.

Il governo italiano, ancora una volta, ha "evitato ogni riforma strutturale che potrebbe aumentare il tasso di crescita", che secondo la Deutsche Bank non supererà lo 0,7% quest'anno e lo 0,4% nel 2012 (al di sotto degli obiettivi ufficiali dell'1,1 e dell'1,3%). Con il declassamento del rating all'orizzonte, il premio di rischio dell'Italia potrebbe salire ulteriormente, avverte il Ft. E conclude: "L'Italia, non la Spagna, deciderà il fato dell'eurozona".

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2011-09-06/fiasco-fiscale-italia-eurozona-131130.shtml?uuid=AarGxz1D


Articolo 18, la geografia delle nuove regole. - di Salvatore Cannavò


Se sarà legge definitiva l’articolo 8 della manovra, quello sul “contratto di prossimità” è destinato a stravolgere l’intero diritto del lavoro italiano. I principali giuristi ne sono convinti e chi si è dedicato alla stesura di norme che regolano da quarant’anni il diritto giuslavoristico italiano, guardano con amarezza a quanto sta accadendo. Di fatto si produce un diritto alla deroga, non solo dal Contratto, ma anche dalla Legge, che realizza una sorta di “federalismo contrattuale” con un potere inedito ai sindacati territoriali e aziendali, compresi i singoli delegati. Il che spiega, ad esempio, l’appoggio di Cisl, Uil e Ugl alla modifica. Sal. Can.

Grandi aziende, modello Fiat per tutti

Per le grandi aziende, dove più frequente è la presenza delle Rsu e del sindacato, la norma varata dal Senato potrebbe avere l’impatto minore. Anche se l’esperienza recente fa pensare il contrario. Del resto, la norma è ritagliata sul modello Fiat. Pomigliano e Mirafiori avrebbero dovuto essere delle eccezioni e invece sono diventate legge. Il diritto di licenziare, aggirando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, è solo una delle possibilità che la manovra consente perché nel comma 2 dell’articolo 8 l’elenco delle materie “derogabili” è ben più lungo è importante: orario di lavoro, mansioni, turnistica, modalità di assunzione fino al controllo mediante apparecchi audiovisivi. Basterà che la maggioranza delle Rsu dei sindacati firmatari dell’accordo (così sembra dalla lettura letterale del testo) dia parere favorevole e “le disposizioni di legge” così come “le regolamentazioni contrattuali” e “contrattuali” vengono modificate e applicate diversamente. La legge incorpora anche l’accordo del 28 giugno a riprova della volontà di coinvolgere i sindacati che, come sostiene il senatore Ichino, dovrebbero tutelare maggiormente. Secondo la Cgil, però, l’accordo è vanificato proprio per il fatto di garantire deroghe alla legge, mentre l’intesa le permetteva solo rispetto al contratto nazionale a sua volta indicato come la fonte primaria degli accordi collettivi. Ora, contratto nazionale e contratto aziendale vengono di fatto parificati con evidente svuotamento del primo da parte del secondo.

Medie, troppo peso ai delegati sindacali

Nelle medie aziende le novità sono analoghe alle grandi. I contratti nazionali e le leggi potranno essere derogate, con accordi aziendali oppure con accordi territoriali per zone omogenee (si pensi al nord-est, ad esempio). Nel loro caso, però, essendo meno presenti le Rsu – per lo più diffuse nelle grandi aziende – sarà particolarmente rilevante il ruolo dei delegati nominati dal sindacato di appartenenza a cui viene conferita una responsabilità pesante. Proprio l’ampiezza delle materie oggetto della norma permette questa analogia perché per molte di queste – mansioni, audiovisivi, orario di lavoro – non c’è distinzione tra grande e piccola impresa.

Piccole, si rischia una giungla

Secondo i giuslavoristi proprio nelle piccole ci sarà la spinta a una maggiore contrattazione in deroga. E se è vero che per quanto riguarda l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non si sentirà alcuna differenza, per quanto riguarda le norme sul mansionamento, sulla disciplina dei contratti a termine, sulle collaborazioni, sugli orari, in cui la disciplina è analoga alle altre imprese, le modifiche possono essere stravolgenti. Per la semplice ragione che, molto spesso, nelle piccole imprese il sindacato non c’è o, se c’è, è rappresentato da uno o due delegati nominati. Per chi si occupa di diritto del lavoro è facile prevedere che su di essi si scaricherà una pressione enorme così come sarà facile avere sindacati di comodo che possono firmare qualunque deroghe alle tutele. I delegati, di fronte alle richieste aziendali e magari di fronte alla minaccia di chiusura o di delocalizzazione, si sentiranno in dovere di firmare qualunque cosa. Il problema potrebbe essere aggirato con la firma di accordi territoriali che coinvolgano le aziende di una determinata zona. Ma la norma non impedisce che di fronte a tali accordi se ne possano siglare altri più limitati a una sola azienda. In tal modo, sostengono gli avvocati del lavoro, la contrattazione non è più controllabile, anche la possibilità di impugnare un licenziamento si fa molto, molto più difficile.