lunedì 3 ottobre 2011

Quei pentiti che fanno paura. - di Lirio Abbate




Le rivelazioni di diversi collaboratori di giustizia convergono sull'ipotesi che dopo l'arresto di Riina i boss abbiano puntato su Forza Italia e Silvio Berlusconi.


E' la vigilia di Natale del 1992, Totò Riina è euforico, eccitato, si sente come fosse il padrone del mondo. In una casa alla periferia di Palermo ha radunato i boss più fidati per gli auguri e per comunicare che lo Stato si è fatto avanti. I picciotti sono impressionati per come il capo dei capi sia così felice. Tanto che quando Giovanni Brusca entra in casa, Totò ù curtu, seduto davanti al tavolo della stanza da pranzo, lo accoglie con un grande sorriso e restando sulla sedia gli dice: "Eh! Finalmente si sono fatti sotto". Riina è tutto contento e tiene stretta in mano una penna: "Ah, ci ho fatto un papello così..." e con le mani indica un foglio di notevoli dimensioni. E aggiunge che in quel pezzo di carta aveva messo, oltre alle richieste sulla legge Gozzini e altri temi di ordine generale, la revisione del maxi processo a Cosa nostra e l'aggiustamento del processo ad alcuni mafiosi fra cui quello a Pippo Calò per la strage del treno 904. Le parole con le quali Riina introduce questo discorso del 'papello' Brusca le ricorda così: "Si sono fatti sotto. Ho avuto un messaggio. Viene da Mancino".


L'uomo che uccise Giovanni Falcone - di cui 'L'espresso' anticipa il contenuto dei verbali inediti - sostiene che sarebbe Nicola Mancino, attuale vice presidente del Csm che nel 1992 era ministro dell'Interno, il politico che avrebbe 'coperto' inizialmente la trattativa fra mafia e Stato. Il tramite sarebbe stato l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, attraverso l'allora colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno. L'ex responsabile del Viminale ha sempre smentito: "Per quanto riguarda la mia responsabilità di ministro dell'Interno confermo che nessuno mi parlò di possibili trattative".


Il contatto politico Riina lo rivela a Natale. Mediata da Bernardo Provenzano attraverso Ciancimino, arriva la risposta al 'papello', le cui richieste iniziali allo Stato erano apparse pretese impossibili anche allo zio Binu. Ora le dichiarazioni inedite di Brusca formano come un capitolo iniziale che viene chiuso dalle rivelazioni recenti del neo pentito Gaspare Spatuzza. Spatuzza indica ai pm di Firenze e Palermo il collegamento fra alcuni boss e Marcello dell'Utri (il senatore del Pdl, condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa), che si sarebbe fatto carico di creare una connessione con Forza Italia e con il suo amico Silvio Berlusconi. 


Ma nel dicembre '92 nella casa alla periferia di Palermo, Riina è felice che la trattativa, aperta dopo la morte di Falcone, si fosse mossa perché "Mancino aveva preso questa posizione". E quella è la prima e l'ultima volta nella quale Brusca ha sentito pronunziare il nome di Mancino da Riina. Altri non lo hanno mai indicato, anche se Brusca è sicuro che ne fossero a conoscenza anche alcuni boss, come Salvatore Biondino (detenuto dal giorno dell'arresto di Riina), il latitante Matteo Messina Denaro, il mafioso trapanese Vincenzo Sinacori, Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella.


Le risposte a quelle pretese tardavano però ad arrivare. Il pentito ricorda che nei primi di gennaio 1993 il capo di Cosa nostra era preoccupato. Non temeva di essere ucciso, ma di finire in carcere. Il nervosismo lo si notava in tutte le riunioni, tanto da fargli deliberare altri omicidi "facili facili", come l'uccisione di magistrati senza tutela. Un modo per riscaldare la trattativa. La mattina del 15 gennaio 1993, mentre Riina e Biondino si stanno recando alla riunione durante la quale Totò ù curtu avrebbe voluto informare i suoi fedelissimi di ulteriori retroscena sui contatti con gli uomini delle istituzioni, il capo dei capi viene arrestato dai carabinieri. 


Brusca è convinto che in quell'incontro il padrino avrebbe messo a nudo i suoi segreti, per condividerli con gli altri nell'eventualità che a lui fosse accaduto qualcosa.


Il nome dell'allora ministro era stato riferito a Riina attraverso Ciancimino. E qui Brusca sottolinea che il problema da porsi - e che lui stesso si era posto fin da quando aveva appreso la vicenda del 'papello' - è se a Riina fosse stata o meno riferita la verità: "Se le cose stanno così nessun problema per Ciancimino; se invece Ciancimino ha fatto qualche millanteria, ovvero ha 'bluffato' con Riina e questi se ne è reso conto, l'ex sindaco allora si è messo in una situazione di grave pericolo che può estendersi anche ai suoi familiari e che può durare a tempo indeterminato".


In quel periodo c'erano strani movimenti e Brusca apprende che Mancino sta blindando la sua casa romana con porte e finestre antiproiettile: "Ma perché mai si sta blindando, che motivo ha?". "Non hai nulla da temere perché hai stabilito con noi un accordo", commenta Brusca come in un dialogo a distanza con Mancino: "O se hai da temere ti spaventi perché hai tradito, hai bluffato o hai fatto qualche altra cosa".


Brusca, però, non ha dubbi sul fatto che l'ex sindaco abbia riportato ciò che gli era stato detto sul politico. Tanto che avrebbe avuto dei riscontri sul nome di Mancino. In particolare uno. Nell'incontro di Natale '92 Biondino prese una cartelletta di plastica che conteneva un verbale di interrogatorio di Gaspare Mutolo, un mafioso pentito. E commentò quasi ironicamente le sue dichiarazioni: "Ma guarda un po': quando un bugiardo dice la verità non gli credono". La frase aveva questo significato: Mutolo aveva detto in passato delle sciocchezze ma aveva anche parlato di Mancino, con particolare riferimento a un incontro di quest'ultimo con Borsellino, in seguito al quale il magistrato aveva manifestato uno stato di tensione, tanto da fumare contemporaneamente due sigarette. Per Biondino sulla circostanza che riguardava Mancino, Mutolo non aveva detto il falso. Ma l'ex ministro oggi dichiara di non ricordare l'incontro al Viminale con Borsellino.


Questi retroscena Brusca li racconta per la prima volta al pm fiorentino Gabriele Chelazzi che indagava sui mandanti occulti delle stragi. Adesso riscontrerebbero le affermazioni di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, che collabora con i magistrati di Palermo e Caltanissetta svelando retroscena sul negoziato mafia-Stato. Un patto scellerato che avrebbe avuto inizio nel giugno '92, dopo la strage di Capaci, aperto dagli incontri fra il capitano De Donno e Ciancimino. E in questo mercanteggiare, secondo Brusca, Riina avrebbe ucciso Borsellino "per un suo capriccio". Solo per riscaldare la trattativa. 


Le rivelazioni del collaboratore di giustizia si spingono fino alle bombe di Roma, Milano e Firenze. Iniziano con l'attentato a Maurizio Costanzo il 14 maggio '93 e hanno termine a distanza di 11 mesi con l'ordigno contro il pentito Totuccio Contorno. Il tritolo di quegli anni sembra non aver portato nulla di concreto per Cosa nostra. Brusca ricorda che dopo l'arresto di Riina parla con il latitante Matteo Messina Denaro e con il boss Giuseppe Graviano. Chiede se ci sono novità sullo stato della trattativa, ma entrambi dicono: "Siamo a mare", per indicare che non hanno nulla. E da qui che Brusca, Graviano e Bagarella iniziano a percorrere nuove strade per riattivare i contatti istituzionali.


I corleonesi volevano dare una lezione ai carabinieri sospettati (il colonnello Mori e il capitano De Donno) di aver "fatto il bidone". E forse per questo motivo che il 31 ottobre 1993 tentano di uccidere un plotone intero di carabinieri che lasciava lo stadio Olimpico a bordo di un pullman. L'attentato fallisce, come ha spiegato il neo pentito Gaspare Spatuzza, perché il telecomando dei detonatori non funziona. Il piano di morte viene accantonato.


In questa fase si possono inserire le nuove confessioni fatte pochi mesi fa ai pubblici ministeri di Firenze e Palermo dall'ex sicario palermitano Spatuzza. Il neo pentito rivela un nuovo intreccio politico che alcuni boss avviano alla fine del '93. Giuseppe Graviano, secondo Spatuzza, avrebbe allacciato contatti con Marcello Dell'Utri. Ai magistrati Spatuzza dice che la stagione delle bombe non ha portato a nulla di buono per Cosa nostra, tranne il fatto che "venne agganciato", nella metà degli anni Novanta "il nuovo referente politico: Forza Italia e quindi Silvio Berlusconi".


Il tentativo di allacciare un contatto con il Cavaliere dopo le stragi era stato fatto anche da Brusca e Bagarella. Rivela Brusca: "Parlando con Leoluca Bagarella quando cercavamo di mandare segnali a Silvio Berlusconi che si accingeva a diventare presidente del Consiglio nel '94, gli mandammo a dire 'Guardi che la sinistra o i servizi segreti sanno', non so se rendo l'idea...". Spiega sempre il pentito: "Cioè sanno quanto era successo già nel '92-93, le stragi di Borsellino e Falcone, il proiettile di artiglieria fatto trovare al Giardino di Boboli a Firenze, e gli attentati del '93". I mafiosi intendevano mandare un messaggio al "nuovo ceto politico", facendo capire che "Cosa nostra voleva continuare a trattare".


Perché era stata scelta Forza Italia? Perché "c'erano pezzi delle vecchie 'democrazie cristiane', del Partito socialista, erano tutti pezzi politici un po' conservatori cioè sempre contro la sinistra per mentalità nostra. Quindi volevamo dare un'arma ai nuovi 'presunti alleati politici', per poi noi trarne un vantaggio, un beneficio".


Le due procure stanno già valutando queste dichiarazioni per decidere se riaprire o meno il procedimento contro Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, archiviato nel 1998. Adesso ci sono nuovi verbali che potrebbero rimettere tutto in discussione e riscrivere la storia recente del nostro Paese. 


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/tra-mafia-e-stato/2116006/

'Corruzione, B. è un bluff. 'di Stefania Maurizi






Un nuovo file di WikiLeaks rivela che nel 2008 il governo Usa cercò di capire cosa stesse facendo il premier italiano per combattere le tangenti. E la risposta fu: niente, anzi ha smantellato l'unico organismo che c'era.


La lotta alla corruzione? Silvio Berlusconi non ha deluso soltanto gli italiani, ma anche il suo migliore alleato: l'America di George W. Bush. Che esamina con sgomento come sia stato smantellato persino il timido tentativo di un organismo anti-mazzette.
Al posto dell'Alto Commissario il Cavaliere ha improvvisato un ufficio senza arte ne parte: meno efficace della struttura già debole che ha rimpiazzato. Dipendente da un ministro dello stesso governo su cui deve sorvegliare. Con un mandato così ristretto da non potersi occupare nemmeno delle corruttele dei membri del parlamento italiano.
Una bocciatura netta, senza appello, che porta la firma di Ronald Spogli, l'ambasciatore romano di Bush.
Il file segreto ottenuto da WikiLeaks, che "l'Espresso" pubblica in esclusiva, mostra quanto sia bassa la credibilità dell'esecutivo sulle questioni morali.
L'argomento del rapporto mandato a Washington è il SaeT, acronimo che sta per "Servizio anticorruzione e Trasparenza". E' stato creato nel 2008 dal governo Berlusconi che, appena tornato al potere, aveva abolito l'Alto Commissariato anticorruzione, sostituendolo con il SaeT.
L'eliminazione del Commissariato era stata criticata da più parti in Italia e nel mondo. L'Ocse, che subito aveva chiesto chiarimenti a Roma. Ma gli americani non si fidano delle parole e per abitudine vanno a controllare di persona.
Così nel novembre 2008, l'ambasciatore Ronald Spogli visita gli uffici del nuovo ente e trasmette le sue conclusioni al Dipartimento di Stato: «Ci ha deluso. Crediamo probabile che il SaeT giocherà un ruolo meno efficace dell'organizzazione che ha rimpiazzato».
La critica si basa su un lungo elenco di dati. «Le attività del SaeT arrivano solo fino al governo», un mandato che quindi non gli consente di occuparsi della corruzione nelle aziende private, ma addirittura neppure di quella dei membri del parlamento, «a meno che questi ultimi sono svolgano un ruolo pubblico in istituzioni governative». 


La nuova struttura anti-mazzette ha un staff «di appena 15 esperti e due direttori» mentre «l'Alto Commissariato aveva 60 persone». Inoltre il Saet non ha «alcun potere di supervisione: opererà come "hub di coordinamento" che spera di "delegare" molto del suo lavoro ad altre istituzioni (carabinieri, dogane, Banca d'Italia e altri)».
E anche se l'Alto Commissariato «non è mai stato veramente efficace, perlomeno sembrava avere un minimo di indipendenza», perché finanziato e dipendente dal Parlamento, «il SaeT, al contrario, è stato messo sotto un ministro del governo» e «non ha fondi indipendenti». Dipende, infatti, dal ministero della Pubblica amministrazione di Renato Brunetta.
Spogli chiude con un commento negativo. «Nel nostro lavoro con l'Alto Commissariato avevamo capito che si trattava era un'organizzazione piena di buone intenzioni, ma largamente inefficace. Siamo andati a visitare il SaeT sperando di vedere il debutto di un ente capace di affrontare seriamente il problema della corruzione dilagante in Italia».
E il diplomatico spiega che ad alimentare la speranza era anche la stima per Brunetta, ritenuto nel 2008 «il più energico dei riformatori del governo italiano». E invece no, il Saet si rivela un bluff: «La nostra visita ci ha deluso». E in Italia ne è stata dimenticata persino l'esistenza.


Caso Ruby, a giudizio Fede, Mora e Minetti. No alla sospensione del processo Berlusconi.




Il gup Domanico conferma le accuse di induzione e favoreggiamento della prostituzione per il reclutamento di ragazze per le notti di Arcore. Al dibattimento "gemello" i giudici respingono la sospensione chiesta dalla difesa in attesa della pronuncia delle Corte costituzionale.

Emilio FedeNicole Minetti e Lele Mora sono stati rinviati a giudizio per il caso Ruby. Tutti e tre sono accusati di induzione e favoreggiamento della prostituzione. Lo ha deciso il gup di MilanoMaria Grazia Domanico, al termine dell’udienza preliminare.

Il processo comincerà il 21 settembre e si terrà nel capoluogo lombardo, perché il gup ha anche respinto l’eccezione presentata dalle difese, che avevano chiesto il trasferimento del procedimento a Messina, dove è avvenuto il primo contatto tra Ruby e Fede. Ma il presunto reato, obietta il Gup Domanico, è avvenuto a Milano. I tre sono accusati di aver reclutato ragazze per i festini a luci rosse organizzati dal presidente del consiglio nelle sue residenze.

La consigliera regionale Minetti si è presentata in aula con jeans scuri e giacca nera, e durante una pausa ha confidato ai cronisti: “Non ho dormito per l’agitazione, sono molto stanca, a pezzi”. Poi però si anche dichiarata “tranquilla e fiduciosa”, e ha spiegato la ragione della sua presenza in aula: “Era mio dovere esserci,volevo che il giudice mi vedesse”, ha dichiarato. Ma davanti al gup sono arrivate anche Imane Fadil, Chiara Danese e Ambra Battilana, tre delle tante ragazze che avrebbero partecipato ai festini nelle ville del premier. La Fadil, 27 anni, modella marocchina, ha dichiarato ai cronisti che starebbe valutando l’opportunità di costituirsi come parte civile nel caso in cui i tre fossero rinviati a giudizio. «Sono qua perché mi ritengo parte offesa e per guardare in faccia chi mi ha dato della bugiarda», ha spiegato la ragazza, che nel mese di agosto si presentò spontaneamente in procura raccontando molti particolari sulle feste di villa San Martino.

Gli avvocati del direttore del Tg4, Gaetano Pecorella e Nadia Alecci, hanno chiesto che vengano trascritte tutte le telefonate, anche quelle che non sono mai state trascritte come alcune intercettazioni che riguardano Silvio Berlusconi e l’europarlamentare Licia Ronzulli, per una questione di completezza del quadro processuale. Il pm Antonio Sangermano e l’aggiunto Pietro Forno si sono opposti spiegando che quelle intercettazioni non sono mai state trascritte e utilizzate in quanto “vanno garantite le prerogative dei parlamentari”. In tarda mattinata il gup ha respinto la richiesta degli avvocati di Emilio Fede.

Lele Mora non ha presenziato all’udienza: l’agente televisivo è ricoverato in ospedale dopo un malore che lo ha colto in carcere, dov’è detenuto per un’altra accusa, bancarotta fraudolenta.

Sempre sul caso Ruby, al processo già in corso contro Silvio Berlusconi, dopo cinque ore di camera di consiglio i giudici del Tribunale di Milano hanno respinto la richiesta dei legali del premier di sospendere il dibattimento fino alla pronuncia della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Le ipotesi di sospensione del processo, affermano i giudici, “sono tassativamente previsti dalla legge”, e il Tribunale “è soggetto solo alla legge e non può operare al di fuori”.

La Consulta si esprimerà sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Parlamento il prossimo 7 febbraio. Sulla stessa eccezione si era già pronunciato il Tribunale, rigettando la competenza funzionale del Tribunale dei Ministri e anche quella territoriale di Monza.

Gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo avevano annunciato che, nel caso in cui la Corte non avesse concesso la sospensione, solleveranno una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta. E ciò perché, ha spiegato Longo, non si può “lasciare all’arbitrio dei giudici una decisione di sospensione mentre un altro potere dello Stato non avrebbe alcuna tutela riguardo alla sue prerogative”.

Sulla richiesta si era espresso il procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, la quale, definendola “infondata”, ha spiegato che il codice di procedura penale “non prevede l’obbligatorietà della sospensione in casi come questi” . La sospensione è infatti più che altro una forma di cortesia istituzionale .”Bisogna valutare se vi siano ragioni di opportunità, come già fu fatto nel caso Abu Omar quando i giudici ritennero in una circostanza di sospendere il processo per lasciare alla Consulta il tempo di decidere sul segreto di Stato, ma in un altro momento lo fecero proseguire, nonostante le richieste di sospensione da parte delle difese”, ha detto ancora la Boccassini, secondo la quale però la questione è “residuale” anche perché , ha spiegato, “in un’aula di tribunale non deve passare il concetto di opportunità politica, è un argomento che non può essere sfiorato”.

Questa mattina, alla prima udienza del processo che l’avvocato del premier Niccolò Ghediniaveva definito “perfetto”, ironizzando sul fatto che si tratterebbe di una “tenaglia” nei suoi confronti, il presidente del Consiglio non c’era.


Scoperto un buco dell’ozono nell’Artico pari a quello in Antartide.



Per la prima volta sull'Artico si è formato un buco dell'ozono simile per dimensioni a quello attivo da decenni in Antartide. Lo rivela un team di climatologi del Jet Propulsion Laboratory della Nasa.


Scoperto un buco nell'ozono pari a quello in Antartide
Non cessa l’allarme per il livello di ozono nell’Artico. Dopo quanto segnalato dal climatologo, Vincenzo Ferrara, responsabile della rivista scientifica on line "Eai" dell'Enea sul peggioramento del livello, calato del 40% rimbalza ora una nuova notizia allarmante: per la prima volta sull'Artico si è formato un buco dell'ozono simile per dimensioni a quello attivo da decenni in Antartide. A rivelarlo è un team di climatologi del Jet Propulsion Laboratory della Nasa. Secondo i loro studi a 20 chilometri di altezza sul Polo Nord l'80% dell'ozono (che ci protegge dai raggi ultravioletti Uvb, che causano il cancro della pelle) è scomparso a causa di un inusualmente lungo periodo freddo ad alta quota. Condizione che rende le sostanze a base di cloro che distruggono l'ozono ancora piu' efficaci. Gli studiosi hanno spiegato che la perdita di ozono non è dovuta all'intensità del freddo ma alla durata anormale della stagione fredda sull'Artico, che è durata “da dicembre ad aprile, un evento mai registrato prima”. (a.b.) 

Escort: Lavitola indagato a Bari.



Valter Lavitola in collegamento con il Tg di La7



BARI - Il faccendiere Valter Lavitola è formalmente indagato dalla Procura di Bari per induzione a rendere false dichiarazioni all'autorità giudiziaria barese. Lo si apprende da fonti giudiziarie. L'inchiesta è quella sui soldi che il premier, Berlusconi, ha elargito a Gianpaolo Tarantini tramite Lavitola.
L'iscrizione del nome di Lavitola nel registro degli indagati è stata fatta dal procuratore aggiunto Pasquale Drago, che coordina l'inchiesta. A quanto si può ipotizzare, si tratterebbe dell'unica iscrizione fatta poiché su Lavitola pende un provvedimento di arresto che perderà efficacia se non sarà rinnovato entro il 16 ottobre. Il pm Drago non ha finora compiuto alcun atto istruttorio (non ha neppure acquisito l'intervista televisiva di Lavitola a La7) né ha delegato le indagini ad alcuna forza di polizia.
I pm dei Tribunali di Bari, Roma, Napoli e Lecce terranno a breve una riunione di coordinamento per fare il punto sulle indagini che ciascun ufficio ha in corso sui rapporti tra il premier, Silvio Berlusconi, Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola. Lo si apprende da fonti giudiziarie baresi.

VASCO ROSSI FA CHIUDERE NONCICLOPEDIA [FOTO]. - di Claudio Messora

Claudio Messora

Il Blasko ha denunciato il sito satirico. Per lui la rete è fica solo se la può usare, gratuitamente, per fare i suoi show in pigiama dalla camera dell'ospedale.

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Vasco Rossi ha denunciato nonciclopedia, l'equivalente satirico di wikipedia, per le informazioni riportate sulla pagina che lo riguardavano. Per quante verità o fantasie potessero esservi scritte sopra, non era sufficiente una telefonata amichevole nella quale si chiedeva agli amministratori del sito di rimuovere quello che "un quindicenne brufoloso" aveva scritto sulla pagina della rockstar multimilionaria (rimozione tra l'altro avvenuta spontaneamente)? D'accordo che il codice penale garantisce questa possibilità, ma è proprio necessario utilizzare tutta la potenza muscolare di cui si dispone per rivalersi su un gruppo di nullatenenti che hanno la sola colpa di non chiamarsi Guzzanti, Luttazzi, Grillo, Crozza e tutti gli altri ricchissimi comici alle cui battute conviene mostrarsi proni, sorridenti e partecipativi, anziché insorgere legalmente?

Per Vasco la rete è fica solo se la può usare, gratuitamente, per fare i suoi show in pigiama dalla camera dell'ospedale (e ve lo dice uno che l'ha fatto molto prima di lui). Solo a lui è consentito lanciare invettive, scagliandosi ad esempio contro Ligabue, definito "un bicchiere di talento in un mare di presunzione". Guai se ad usarla, tirandolo in ballo, sono gli altri. E' lì che si capisce quanto davvero la filosofia di internet, piena espressione del mondo platonico della libertà delle idee, sia stata compresa e non piuttosto strumentalizzata, piegata ai propri fini come un volgare canale televisivo del biscione.

La querela dovrebbe essere consentita solo dopo avere dimostrato il fallimento di ogni inequivocabile tentativo di conciliazione pacifica. Per un sito palesemente satirico poi dovrebbe essere addirittura vietata, oltre che moralmente, anche dal codice penale. Come in Islanda, paese che ha adottato la risoluzione IMMI "Icelandic Modern Media Initiative" (Risoluzione Islandese per i Media Moderni), dove se quereli un sito di informazione la tua querela cade automaticamente e, per di più, vieni a tua volta querelato per legge. Perché in un mondo che sa usare la rete e comprende che in essa non risiedono altro che opinioni personali, da confrontare e confutare, la querela è uno strumento tanto antiquato e barbaro quanto i trapani degli antichi egizi che pretendevano di risolvere il mal di testa perforando le scatole craniche.

Per questo lanciai a suo tempo la pagina Facebook "Per una Italian Modern Media Initiative", che conta quasi 3 mila iscritti. A differenza di Vasco, ad una vita spericolata io continuo a preferire un'informazione libera da ansie e paure. Se qualcuno dice una falsità, si rettifica e si risponde. La querela, se proprio ci dev'essere, dovrebbe essere l'ultima spiaggia, non il primo, facile approdo per ricchi potenti a cui piace vincere facile.

ByoBlu



http://www.cadoinpiedi.it/2011/10/03/vasco_rossi_fa_chiudere_nonciclopedia_foto.html



«Laudato, sii mio Signore». - di Francesco Iagher





Come San Paolo “folgorato sulla via di Damasco” , così il maronita davanti alla milionata abbondante di firme per il referendum contro la legge porcata del suo collega, ha ammesso che è un evento da non sottovalutare, mettendosi all’opera per il suo “legale svolgimento”. Però i bastiancontrarii, davanti a questa manifestazione di volontà popolare, si sono messi subito all’opera, non possono digerire che sia l’elettore a scegliere chi rappresentarlo, bensì vogliono tenere ancora il potere in mano per decidere loro a chi dare la “poltrona”.
Poi quello di risibile, che ai fautori di questi iniziativa, si sono subito aggregati quelli che nicchiavano per metterci il cappello su, i famosi banchetti per le firme erano miraggi in molte regioni, ed i comuni hanno avuto il loro daffare.
Era evidente, che il malessere non è “antipolitica”, bensì la totale perdita di fiducia di una certa classe politica che in un verso o l’altro si è dimostrata incapace, pavida e venduta agli interessi personali di “casta”.
Adesso hanno la loro gatta da pelare, sia il governo che l’opposizione, per bloccare la volontà popolare l’unica strada è quella d’indire le elezioni anticipate, con una fava due piccioni far saltare il referendum ed il cavalier “patonza”.
Già il “pierfurby” sta saltellando come un funambolo per cercare una via mediana tra un forno e l’altro, il Pdl in piena paranoia è troppo preso per le bisogna del suo “padre padrone”, il PD sempre più evanescente e grigiastro come l’effige del Bersani sugli “Sgommati”.
I famosi “responsabili” in piena fibrillazione, ben sapendo che quelle poltrone avute al “mercato”, sarà ben difficile nei prossimi secoli a venire rivederle ; un sogno di mezzo dicembre di spudoratezze servili, e gli elettori non dimenticano.
Ma forse chi sta peggio di tutti sono i “cispadani”, dopo gli schiaffi arrivati a profusione dal colle, adesso anche la base che rumoreggia perché sente di aver perso la sua identità, il vendersi per qualche voto di fiducia gli ha fatto perdere la sua credibilità iniziale di partito.
Sono lontani le prime pagine della Padania che parlava di mafiosi, delle dichiarazioni al vetriolo quando ancora ce l’aveva duro era un leader, di quando gli dava del dittatore,mafioso e piduista ; adesso si fa carezzare amorevolmente il capino da quel personaggio.
Ma il grande problema è quello d’affrontare le riforme per l’economia, ogni altra mozione in agenda che riguardi altra legge ad personam, l’opposizione dovrà avere “gli attributi” per salire sull’Aventino, i famosi movimenti di piazza farsi realmente vedere ma non poche decine ma a milioni nelle piazze italiane.
Credo che ognuno di noi rivoglia indietro la propria democrazia e d’essere libero di scegliere chi deve rappresentarlo, basta con i nani e ballerine ed ancor peggio col nepotismo ; riapriamo le finestre e facciamo uscire fuori dal nostro paese questi miasmi che hanno reso l’Italia un vero letamaio d’interessi, corruzione, inquisiti a vario titolo e postribolo.



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E' ufficiale, rifanno la Dc. - di Marco Damilano



Prove generali a Todi a metà ottobre, con Bagnasco. Poi sarà un autunno di incontri febbrili. Per costruire il nuovo partito moderato e cattolico, destinato (nelle intenzioni) a prendere il posto del Pdl.


L'Esercito Bianco, lo definisce così uno degli aspiranti generali, avrà una potenza di fuoco che nessuno degli attuali soggetti in campo può uguagliare. Non un nuovo partito: qualcosa di molto più radicato e dirompente. Si organizzerà in ogni regione del Paese. E poi in ogni diocesi. E da lì, giù giù, in ogni territorio parrocchiale, in modo capillare, riproducendo negli angoli più remoti della penisola lo schema nazionale: tutte le associazioni cattoliche, per la prima volta da decenni, riunite su un progetto politico, aperto ad altri. A quegli ambienti finanziari e imprenditoriali, laici e tecnocratici che negli ultimi mesi hanno con crescente durezza criticato il governo Berlusconi e in alcuni casi si sono detti disponibili all'ingresso in politica: Emma Marcegaglia, Corrado Passera, Alessandro Profumo, Luca Cordero di Montezemolo, Mario Monti. Un patto tra i ceti medi, le famiglie, gli strati popolari impauriti dalla crisi e delusi dalle promesse berlusconiane, rappresentati dal mondo cattolico con le sue antenne sensibili sul territorio, e la grande borghesia alla ricerca di uno spazio politico. Una Santa Alleanza tra Popolo e Capitale, officiata dalla Chiesa, per uscire dal berlusconismo.

Un'impresa ambiziosa? Molto. Per questo, all'indomani della prolusione del 26 settembre di fronte al consiglio permanente della Conferenza episcopale, il cardinale Angelo Bagnasco è rimasto stupito dall'interpretazione data dai giornali alle sue parole. "Hanno tutti scritto che i vescovi hanno tolto la delega a Berlusconi", ha confidato, "ma è una non notizia, era già successo un anno fa. Non hanno colto la vera novità". Game over. Per i vertici ecclesiastici la Seconda Repubblica è sepolta da un pezzo, siamo già in pieno post-berlusconismo: l'era in cui bisogna tornare a giocare in prima persona, da protagonisti, tutti uniti. E per farlo è necessario riconquistare la scena politica: schierare le truppe, mobilitare la fanteria, coordinare gli ufficiali, stabilire gli obiettivi. Strategie, organizzazione, leadership, risorse.



Le prove generali si faranno a Todi, il prossimo 17 ottobre, al convegno sull'economia del Forum delle associazioni cattoliche del lavoro, nato due anni fa e già diffuso in molte regioni, dalla Calabria al Friuli. Bagnasco aprirà e concluderà i lavori. Interverranno tutte le sigle del laicato cattolico che in questi anni si sono collocate in schieramenti politici diversi: la Cisl di Raffaele Bonanni e la Compagnia delle Opere legata a Comunione e liberazione con il presidente, il tedesco Bernhard Scholz, la Coldiretti, la Confcooperative, le Acli, la Confartigianato, il Movimento cristiano lavoratori.

E poi l'associazione più diffusa, l'Azione cattolica con il presidente Franco Miano, la Comunità di Sant'Egidio, gli scout dell'Agesci, i focolarini, Rinnovamento nello spirito, il rettore dell'università Cattolica Lorenzo Ornaghi. E alcuni invitati esterni di peso, come l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Passera. A conferma che il progetto va ben al di là dei confini tradizionali.

Prima dell'estate negli ambienti ecclesiali qualcuno si è preoccupato di far valutare a un istituto di sondaggi quanto potesse contare elettoralmente questo mondo. Risultato modesto: il 3,2 per cento. Ma per le gerarchie ecclesiastiche, lo scopo non è dare vita a un partitino centrista che si allea di volta in volta con chi offre di più. Nel centrodestra c'è il tramonto di Berlusconi, drammatico e grottesco. A sinistra il trio Bersani-Vendola-Di Pietro ripropone l'immagine della gioiosa macchina da guerra, sconfitta. E il Terzo polo è un'ipotesi evanescente. Il sogno è diventare il primo polo, sulle macerie degli attuali schieramenti, in una condizione favorevole. Qualcosa di simile alla vecchia Democrazia cristiana, ma in versione moderna e laicizzata. Non più la Balena Bianca che danzava sulle note di Gino Latilla, "Son tutte belle le mamme del mondo", ma una giovane, aggressiva Tecno-Dc.

"I cattolici sono tornati a incontrarsi, come non accadeva da tempo, hanno ripreso a interrogarsi sulle loro responsabilità verso il Paese. E si chiedono cosa potrebbero fare. Stanno costruendo tra loro un'amicizia pensante", spiega il fondatore di Sant'Egidio Andrea Riccardi, uno dei leader riconosciuti dell'associazionismo cattolico ("Anche se non mi interessa fare direttamente politica: sono un eterno apolitico", precisa). "Non si andrà verso un partito dei cattolici, non ci sarà una nuova Dc, né nuovi partiti. Ci sarà, però, un maggiore protagonismo dei laici. Negli ultimi anni il rapporto con la politica è stato affidato alle gerarchie ecclesiastiche. Ora tocca al popolo cristiano raccolto in associazioni, cooperative, sindacati, volontariato, colmare l'abisso che si è spalancato tra il Palazzo e la politica. Un distacco enorme che fino a questo momento è stato occupato solo dall'anti-politica. Mancano culture politiche che possano ispirare una politica pensata e non gridata. Vanno ricreate. C'è una spinta che il cardinale Bagnasco ha registrato. Da qui potranno nascere nuovi incroci, nuovi soggetti. Siamo al momento dell'incubazione".



Quanto potrà durare? E' evidente che i tempi della nascita del nuovo soggetto sono legati alla velocità e alle circostanze con cui il Cavaliere uscirà di scena e sarà ripulita "l'aria appestata", per utilizzare l'immagine di Bagnasco di fronte ai vescovi. "Ma bisogna vedere con quale legge elettorale si tornerà a votare", avverte Riccardi. "Il rischio più grave, con l'attuale sistema, è l'autorigenerazione della situazione precedente. Quando sento parlare di regime che crolla... c'è molto di più. Serve uno spariglio prima di tutto culturale per ricomporre una visione del futuro. E non si promuove il cambiamento solo in una logica di schierarsi pro o contro Berlusconi".

Anzi, in prospettiva, il progetto neo-cattolico è un'Opa lanciata sull'elettorato che finora ha votato per il Cavaliere, è un Pdl senza più Berlusconi, preferibilmente anche senza La Russa e senza Verdini, e liberato da ogni dipendenza dalla Lega di Umberto Bossi. Le "amicizie pensanti" vanno cercate soprattutto tra chi si trova attualmente collocato nel Pdl. C'era anche Giulio Tremonti, che era stato informato dell'incontro di Todi e che aveva coltivato i suoi rapporti con la Cei e con il Vaticano, ma il caso Milanese l'ha bruciato. C'era un altro ministro. Maurizio Sacconi, ma è scivolato sulla barzelletta sulle suore: porte chiuse. Va meglio a Roberto Formigoni, il più esplicito nel dichiarare chiusa la stagione berlusconiana. E piace soprattutto il segretario del Pdl Angelino Alfano, l'ex studente dell'università Cattolica (frequentava i circoli cattolici democratici di "Dialogo e rinnovamento"), oggi legato a Cl.

A lui si chiede la prova più difficile: dimostrare di voler aprire davvero la fase nuova riuscendo a convincere Berlusconi a fare il famoso passo indietro. Se riesce nella missione diventa uno degli uomini chiave dell'operazione. E potrebbe saldarsi con l'Udc di Pier Ferdinando Casini: "Pier è un po' come quel prete che anche se non crede in Dio deve fare finta", si diverte un deputato centrista. "E' un progetto che non lo entusiasma, per tanti anni ha lavorato per ereditare da solo l'Impero berlusconiano, ora che il momento è finalmente arrivato spuntano altri pretendenti. Ma non può permettersi di restarne fuori". Un cattolico come Casini conosce bene la parabola evangelica degli operai arrivati all'ultima ora e pagati come quelli che hanno lavorato tutta la giornata. E non intende perdersi la ricompensa per il suo sforzo: il Quirinale. Sul versante opposto, i cattolici del Pd, c'è l'ex ministro Giuseppe Fioroni, amico di Bonanni, interlocutore ascoltato da Bagnasco e da Bertone (un mezzo miracolo): per ora gli consigliano di restare nello stesso partito di Bersani, ma chissà fino a quando. Come dicono in Curia, estote parati, tenetevi pronti, l'ora è vicina.



Ma la novità più importante è che l'Esercito Bianco ha catturato l'interesse di quei pezzi di establishment in rotta con il governo Berlusconi e desiderosi di rappresentanza politica. Personaggi dell'establishment autorevoli in Italia e in Europa, ma senza un popolo alle spalle. Esattamente il contrario delle armate cattoliche, che possono contare su oltre 5 milioni di aderenti ma che soffrono dell'assenza di leadership visibili.

Le quattro pagine dedicate la scorsa settimana dal "Corriere" alle armate bianche sono state interpretate dalla Cei come un segnale. E i contatti tra i due mondi si sono infittiti. Uno degli uomini di collegamento è il banchiere Roberto Mazzotta, presidente dell'Istituto Luigi Sturzo dove sono conservati gli archivi di quasi tutti i grandi democristiani, che fu vice-segretario della Dc e sostenitore di un'alleanza tra il partito cattolico e i ceti produttivi del Nord, quando sotto il simbolo dello Scudocrociato per il Senato si candidò il laicissimo Guido Carli. Nel 1976-77 c'era anche Mazzotta nella corrente degli Hiltoniani (si vedevano all'hotel Hilton) organizzata da Umberto Agnelli, senatore della Dc, e dal giovane Luca Cordero di Montezemolo. Oggi il presidente della Ferrari insegue senza riserve la benedizione ecclesiastica. Negli ultimi tempi ha incontrato più volte il cardinale Bagnasco, oltre a Ornaghi e a Riccardi. "Montezemolo in questi anni ha posto questioni interessanti, in particolare la formazione delle giovani generazioni, attorno a sé ha costruito un gruppo. E ha cercato di addentare la situazione liberandosi dalla morsa del Berlusconi sì-Berlusconi no", riconosce il professore. "Ma per costruire il futuro serve anche una classe dirigente giovane, non ancora messa alla prova". La classe dirigente, già: la sfida è sempre quella, anche per l'Esercito Bianco che muove alla conquista d'Italia. 



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-ufficiale-rifanno-la-dc/2162424/24/0

Primo cittadino? No, velino. - di Silvia Truzzi



La signora Lario, giustamente schifata, definì ciarpame politico l’idea del suo consorte di candidare al Parlamento europeo – e non a Miss Strasburgo – alcune fanciulle prive di qualunque competenza. Avevamo già il ministro più bello del mondo, con una specializzazione in calendari, poteva bastare. Doveva ancora arrivare la consigliera regionale con la passione per l’abito monacale e le eleganti magliette inno alle proprie tette. Si è fatto un gran parlare del velinismo in politica, qualche sventurata ha perfino provato a replicare alla ex signora Berlusconi, scrivendoci un libro. Magari riusciamo a strappare una nuova legge elettorale che allunghi le minigonne ed estenda la quantità di cervello degli aspiranti amministratori. La questione velinismo, però, non riguarda solo le donne.

“Repubblica” in edicola venerdì riportava le parole di una cittadina di Parma, appena liberata da una giunta travolta dalle inchieste per corruzione. Gianna Montagna spiega: “Un fatto è certo, se n’è andato un sindaco da fotoromanzo, tutta immagine e niente sostanza. Foto qui e foto là, sorrisi e poco altro. Come nei fotoromanzi di quando ero giovane io, dove si raccontavano amori e avventure e il protagonista era lo stesso. Nel nostro caso, il sindaco che inaugura, il sindaco che sorride, il sindaco che promette…”. Pietro Vignali è stato il più giovane sindaco d’Italia, eletto nel 2007 a 39 anni in una lista civica di centrodestra, dimesso tre giorni fa dopo una resistenza che deve avergli ispirato il comportamento del nostro premier. É uno che tutti i sabati faceva una conferenza stampa, anche se non c’era molto da dire. Intanto, un titolo sui giornali lo guadagnava.

Nella città del melodramma, come ha scritto Maurizio Chierici della sua Parma, l’inaugurazione della stagione del Teatro Regio è un evento piuttosto importante: lui si presentava al braccio di Sara Tommasi o Manuela Arcuri, notissime appassionate di lirica. Del resto che aspettarsi da uno che da giovane faceva il pierre per le più importanti discoteche della città? A guardarlo nelle foto che in questi giorni sono passate per le agenzie e sui giornali sembra sempre – invidiabile tenuta della messa in piega – fresco di barbiere. In mancanza di mogli e figli sorridenti da esibire, si è accontentato di un animale da compagnia con cui posare: un piccolo cagnolino bianco che a metà campagna elettorale è stato sostituito con un più pubblicitario labrador.

Dagli uffici del Comune di Parma sono passati tutti i professionisti della comunicazione d’Italia. E i professionisti della politica, della gestione della cosa pubblica, dell’amministrazione? Il giorno dopo le dimissioni di Vignali sono arrivati i 70 milioni per la metropolitana. Ora, Parma non è New York e forse la metropolitana non era esattamente la prima opera di cui occuparsi: è un posto che si attraversa tutto in 15 minuti con la bici. Poter inaugurare il cantiere con la prima pietra della metro ha un certo impatto d’immagine. Ma sono solo fotografie: come quelle dei tanti che si sono infilati il caschetto per visitare il centro storico dell’Aquila e poi hanno abbandonato gli abitanti tra le macerie di una città che oggi, due anni dopo il terremoto, è ancora un deserto inabitato.

La religione dell’immagine 
è più perniciosa in politica che altrove: di solito i suoi seguaci sono distratti dall’apparenza, portati alla spettacolarizzazione, superficiali e quindi facilmente manovrabili. Figurine e figuranti (cfr mezzo Parlamento). Se questa è la nuova generazione dei politici, stiamo cotti. Come il famoso prosciutto di casa.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/02/primo-cittadino-no-velino/161512/



Dagospia - Lavitola




1- FERMI TUTTI! ECCO LE FOTO DI VALTERINO A PROCIDA IL 22 AGOSTO -
Carlo Tarallo per Dagospia


Ci sono "foto" e foto: quelle da depositare in banca e quelle che invece mettono un primo punto fermo nel giallo dell'estate. Valterino Lavitola dopo ferragosto svacanzava a Procida beato e tranquillo, in mutanda e "barca". Del resto solo il primo di settembre diventerà prima irreperibile e poi latitante, trafitto da mandato di cattura.
LAVITOLA IN VACANZA A PROCIDA IL 22 AGOSTOLAVITOLA IN VACANZA A PROCIDA IL 22 AGOSTO
Prima di questa data, è accertato definitivamente che ha trascorso una bella settimana di vacanza nella più piccola delle isole del Golfo sotto ‘o Vesuvio. Notato da decine di amici e conoscenti, abitudinario di Procida dove il papà Giuseppe, illustre psichiatra, ha lasciato un ottimo ricordo, Valterino ‘a Forchetta è stato anche "avvistato" da un blog procidano.
LAVITOLA IN VACANZA A PROCIDA IL 22 AGOSTOLAVITOLA IN VACANZA A PROCIDA IL 22 AGOSTO
Non solo: un parlamentare campano di Fli, Luigi Muro, ex sindaco di Procida, ha raccontato a Dagospia: "Sì, l'ho incontrato per caso, ci siamo salutati. Eravamo entrambi a un ristorante la stessa sera. Deve essere stato tra il 15 ed il 20 agosto. Ne sono certo. Ci ho scambiato solo poche parole, giusto il tempo di un saluto, ma mi sembrava sereno. Era con la famiglia".
Le foto di Valterino, sulla barca di amici e al ristorante, confermano tutto e smontano definitivamente la tesi che Lavitola, fosse all'estero già da qualche settimana, avesse annullato la prevista vacanza a Procida e fosse rimasto a Panama dopo aver fiutato qualche grana in arrivo.
Valterino era molto più verosimilmente all'oscuro di tutto e faceva il bagno proprio di fronte alla Torre delle Manette di Lepore & Woodcock, dove si metteva a punto nelle stesse ore il mandato di cattura verso di lui. Poi succede quello che succede, compreso lo scoop di ‘'Panorama'' sull'inchiesta, e arriva la telefonata berluscona del "Resta lì". Lì? E dove?
LAVITOLA IN VACANZA A PROCIDA IL 22 AGOSTOLAVITOLA IN VACANZA A PROCIDA IL 22 AGOSTOBERLUSCONI COL PRESIDENTE DI PANANA. NEL CERCHIO LAVITOLABERLUSCONI COL PRESIDENTE DI PANANA. NEL CERCHIO LAVITOLA
Il fatto che si trovasse a Sofia è testimoniato da Lavitola stesso: lo disse a Berlusconi al telefono e lo ha ripetuto a un Chicco Mentana un po' scettico nell'intervista su La7. Ma le carte dicono altro. Sul brogliaccio delle intercettazioni che sotto ‘o Vesuvio girano di redazione in redazione, subito prima dell'inizio della conversazione c'è questa scritta: "Nome target: LAVITOLA (Panama fisso)" seguita da un numero di telefono il cui prefisso (00507) è proprio quello di Panama.
IL PRESIDENTE DI PANANA, FRATTINI E LAVITOLAIL PRESIDENTE DI PANANA, FRATTINI E LAVITOLA
Un noto penalista vesuviano che di intercettazioni ne ha viste a migliaia non sembra avere dubbi: "Quando c'è scritto fisso è un'utenza fissa ad essere intercettata. Quando non c'è scritto niente di norma è un cellulare". Ma allora Valterino il 24 agosto già stava a Panama? A meno che non ci sia un errore nelle carte, sì. E allora perché racconta una balla al suo amico Silvio? Ah saperlo...
IL PRESIDENTE DI PANANA, FRATTINI E LAVITOLAIL PRESIDENTE DI PANANA, FRATTINI E LAVITOLA
2- ARRIVA IL LEADER DI PANAMA, SPARISCE VALTERINO
Vittorio Malagutti e Antonio Massari per Il Fatto


Ricardo Martinelli? Non pervenuto. Caso strano, stranissimo. Il presidente di Panama - ottimo amico di Valter Lavitola - arriva in Italia il 19 agosto per rimanerci tre giorni. In programma, annuncia un comunicato del governo panamense datato 20 agosto, c'è anche un incontro con Silvio Berlusconi. Ma un portavoce del premier, a cui il Fatto ha chiesto informazioni, ha risposto che "non risulta nessun incontro". Anche l'ambasciata di Panama dice di "non saperne nulla". Delle due l'una: o sbaglia il portavoce di Berlusconi, o sbaglia il governo panamense.

AVVISO DI FAMIGLIA 
Sarebbe un giallo fine a se stesso se non fosse che - proprio in quei giorni - si decide il destino di Valter Lavitola che - per sua stessa ammissione - avrebbe poi trovato rifugio proprio a Panama. Il 24 agosto infatti un'anticipazione d'agenzia annuncia uno scoop di Panorama - il settimanale della Mondadori controllata da Berlusconi. L'articolo svela l'inchiesta napoletana che vede Lavitola tra gli indagati per estorsione al premier .
LAVITOLA BY VINCINOLAVITOLA BY VINCINOLAVITOLA BY VINCINOLAVITOLA BY VINCINO
Panorama annuncia che esistono delle "richieste", avanzate dai pm napoletani, sul tavolo della gip Amelia Primavera, che deve prendere delle decisioni. In effetti, delle richieste ci sono: quelle di arrestare, oltre i coniugi Tarantini, anche l'amico di Berlusconi e Martinelli, cioè Lavitola.
L'anticipazione è del 24 agosto. Il numero in questione viene chiuso il 23, il numero precedente è stato chiuso il 16, quindi la redazione ha potuto lavorare sullo scoop tra il 17 e il 23: esattamente i giorni in cui Martinelli si appresta a venire in Italia. Lavitola non ha scelto Panama a caso per la sua latitanza.
LAVITOLA E MENTANALAVITOLA E MENTANA
Infatti conosce bene Martinelli, il quale a sua volta si vanta di essere amico del presidente del Consiglio, e sono indimenticabili le immagini, pubblicate dal Fatto, del premier in visita di Stato a Panama nel giugno 2010 con Valterino al seguito. Con l'inchiesta di Napoli le cose cambiano. Da consulente d'affari di grandi aziende italiane, del calibro di Finmeccanica, l'ex direttore dell'Avanti! diventa il latitante più famoso d'Italia. Un tipo che non si fa problemi ad andare in tv per due ore a lanciare messaggi e proclami come ha fatto mercoledì scorso nel programma condotto da Enrico Mentana.

FERRAGOSTO A PROCIDA 
Le circostanze della fuga di Lavitola, però, restano in gran parte misteriose. Quando è partito dall'Italia? Il 24 agosto - quando Panorama pubblica l'anticipazione del suo scoop - Lavitola sente al telefono Berlusconi e gli dice di trovarsi all'estero. Il premier lo consiglia di "restare lì". Domanda: da quanto tempo l'amico di Berlusconi e del presidente Martinelli aveva abbandonato l'Italia?
BERLUSCONI E LAVITOLA IN BRASILE - A DESTRA FEDERICA GAGLIARDIBERLUSCONI E LAVITOLA IN BRASILE - A DESTRA FEDERICA GAGLIARDI
Impossibile, al momento, dare una risposta precisa. Nei giorni immediatamente successivi a Ferragosto, Valterino si godeva il mare di Procida, se è esatta la segnalazione dei testimoni citati dal sito Dagospia. E quindi: nel giro d'una settimana accade quanto segue.
Primo: si alza il velo sull'indagine napoletana grazie all'articolo di Panorama (della berlusconiana Mondadori).
Secondo: Martinelli sbarca in Italia per incontrare Berlusconi.
LAVITOLA BY VINCINOLAVITOLA BY VINCINO
Terzo: Lavitola prende il largo. Semplici coincidenze? O c'è un nesso tra questi avvenimenti?
LAVITOLA BY VINCINOLAVITOLA BY VINCINO
Le circostanze in cui matura e si svolge la visita del presidente di Panama autorizzano dei sospetti. Quel viaggio infatti doveva restare segreto. L'ufficio stampa della presidenza ne parla solo il 20 agosto, quando Martinelli ha già lasciato il Paese da ventiquattr'ore, poche righe per confermare le indiscrezioni sulla partenza del presidente, pubblicate da quotidiano La Prensa. Neppure del programmato incontro tra Martinelli e Berlusconi resta una traccia ufficiale. I portavoce del premier non ne sanno nulla. Idem l'ambasciata di Panama.

LE COINCIDENZE DELL'AMORE 
Situazione piuttosto singolare. Il capo di stato di un Paese straniero arriva in Italia per incontrare, tra gli altri, il presidente del Consiglio, ma l'avvenimento sparisce dai radar. Viene invece pubblicizzato un altro incontro: Martinelli - sbarcato a Roma il 19 agosto - domenica 21 agosto firma un memorandum d'intesa con Poste italiane per la "modernizzazione del sistema postale panamense". La notizia è confermata da un comunicato del gruppo italiano guidato da Massimo Sarmi. Era una domenica d'agosto e i vertici delle Poste, come buona parte degli italiani, erano in ferie.

IL GRANDE GIOCO 
L'operazione viene iniziata da Maria Claudia Ioannucci, ex deputata di Forza Italia, che siede nel consiglio di amministrazione delle Poste. "Nel memorandum d'intesa siglato tra Poste italiane e Poste Panama, Lavitola, non ha giocato alcun ruolo", precisa Ioannucci, che racconta al Fatto Quotidiano la chiusura di quell'intesa:
LAVITOLA SUL TRENO DEL VIAGGIO UFFICIALE DI BERLUSCONI A PANAMALAVITOLA SUL TRENO DEL VIAGGIO UFFICIALE DI BERLUSCONI A PANAMALAVITOLA E BERLUSCONI INSIEME A PANAMALAVITOLA E BERLUSCONI INSIEME A PANAMA
"Sapevo che il presidente Martinelli era in Italia e ne ho approfittato per chiedergli se poteva ricevermi in aeroporto. In quell'incontro abbiamo deciso di rivederci, il giorno dopo, in un albergo, dove gli ho passato al telefono il nostro amministratore delegato e poi è stata stipulata l'intesa".
La consigliera delle poste che gestisce l'accordo con Panama, peraltro, conosce molto bene Lavitola, del quale è stata avvocato ma non ricorda di averlo visto o sentito in quei giorni. Per "discrezione" nei riguardi del presidente panamense, Ioannucci non dice in quale città l'abbia incontrato, e le chiediamo: Martinelli era qui per l'accordo con Poste Italiane? "No, sapevo che era qui e ne ho approfittato per incontrarlo". Ma allora, se non era qui per l'accordo con Poste chi doveva incontrare il presidente panamense in Italia? Di certo c'è solo un fatto: il 24 agosto Martinelli, dopo una tappa in Germania, torna a Panama. La stessa destinazione di Valter. Da latitante.