martedì 25 ottobre 2011

Già....



https://www.facebook.com/pages/Ci-pisciano-in-testa-e-ci-dicono-che-piove-Marco-Travaglio/204309896272212

Scippo al Sud – Indagine minuziosa su tutti i fondi rubati al Sud e portati al Nord.

Il porto di Napoli



Decine di miliardi destinati al Mezzogiorno usati per altri scopi. Dai trasporti sul lago di Garda ai debiti del Campidoglio. E persino per coprire il deficit causato dall’addio all’Ici.


Un tesoro da oltre 50 miliardi di euro disponibile solo negli ultimi due anni. Che poteva servire per terminare eterne incompiute come l’autostrada Salerno-Reggio Calabria e che invece è andato a finanziare i trasporti del lago di Garda e i disavanzi delle Ferrovie dello Stato. Una montagna di denaro che avrebbe dovuto rilanciare l’economia del Sud e che è stata utilizzata per risanare gli sperperi e i buchi di bilancio dei comuni di Roma e Catania e per la copertura finanziaria dell’abolizione dell’Ici.
Un fiume di denaro destinato a colmare i ritardi delle zone sottoutilizzate del Paese e che è stato impiegato invece dal governo per pagare le multe delle quote latte degli allevatori settentrionali cari ai leghisti e la privatizzazione della compagnia di navigazione Tirrenia. Sono alcuni brandelli di una storia incredibile, il grande scippo consumato ai danni delle regioni meridionali. La storia delle scorribande sul Fas, il Fondo per le aree sottoutilizzate, manomesso e spremuto negli ultimi anni dal governo Berlusconi per finanziare misure economiche e opere pubbliche che niente hanno a che fare con i suoi obiettivi istituzionali. Un andazzo che, nonostante qualche isolata protesta, è andato sinora avanti indisturbato. Fino alla soglia della provocazione. Come per gli sconti di benzina e gasolio concessi agli automobilisti di Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige, denunciati dal deputato Pd Ludovico Vico.
La Corte dei conti ha provato a stoppare lo sperpero lamentandosi apertamente per l’utilizzo dei soldi del Fas che hanno finito per assumere”l’impropria funzione di fondi di riserva diventando uno dei principali strumenti di copertura degli oneri finanziari” connessi alla politica corrente del governo. Ma con scarsi risultati: qualche riga sui giornali, poi il silenzio. Anche Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, ha chiesto al governo di “smetterla di utilizzare i Fas come un Bancomat”. Così come Dario Franceschini al tempo in cui era segretario del Pd: “Ogni volta che è stato necessario finanziare qualcosa, dall’emergenza terremoto alle multe per le quote latte”, ha affermato, “si è fatto ricorso al Fas togliendogli risorse”. Quante per l’esattezza? Cifre precise non ce ne sono. Interpellata, persino la presidenza del Consiglio getta la spugna dichiarandosi incapace di fornire un rendiconto dettagliato delle spese fatte con i fondi Fas. Secondo una stima de ‘L’espresso’ però i soldi impropriamente sottratti al Sud solo negli ultimi due anni sono circa 37 miliardi. Una cifra ragguardevole confermata dal senatore democratico Giovanni Legnini: “Siamo di fronte ad una dissipazione vergognosa che certifica come il Pdl stia tradendo il Sud”. Giudizio condiviso persino da Giovanni Pistorio, senatore siciliano dell’Mpa, il Movimento politico per le autonomie, parte organica della maggioranza di centrodestra: “Gli impegni verso il Mezzogiorno erano al quinto punto del programma elettorale del Pdl, il governo li ha completamente disattesi”.


Quante promesse
E già, chi non ricorda le sparate a favore del Meridione con le quali il Cavaliere giurava che stava “lavorando con tutti i ministri per mettere a punto un piano innovativo per il Sud, la cui modernizzazione e il cui sviluppo ci stanno da sempre a cuore”? O quelle del sottosegretario Gianfranco Micciché che, sebbene da quasi dieci anni come viceministro o sottosegretario gestisca i fondi per il Meridione, più volte ha minacciato la fondazione di un partito del Sud se Berlusconi non avesse “sbloccato i fondi Fas e reso i parlamentari meridionali protagonisti della elaborazione delle strategie”? Parole al vento.
La storia del Fas e dei suoi maneggiamenti comincia nel 2003 con il secondo governo Berlusconi quando tutte le risorse destinate alle aree sottoutilizzate vengono concentrate e messe sotto il cappello del ministero per lo Sviluppo economico. Il compito di ripartire le risorse viene invece affidato al Cipe con il vincolo di destinarne l’85 per cento al Sud e il 15 al Centro e al Nord. Intenti lodevoli, ma si parte subito con il piede sbagliato. Nel solco della peggiore tradizione della Cassa per il Mezzogiorno, i fondi finiscono per essere in gran parte utilizzati per quella politica delle mance tanto cara ai ras locali di tutti i partiti e alle loro fameliche clientele. Il 2003 è un anno destinato a rimanere negli annali degli sperperi. A colpi di milioni di euro si realizzano fondamentali infrastrutture come il museo del cervo a Castelnuovo Volturno e quello dei Misteri a Campobasso; il visitor center a Scapoli; si valorizza la palazzina Liberty di Venafro; si implementa il sito Web della Regione Molise; si restaurano conventi, chiese e cappelle a decine come a Montelongo, Castropignano e Gambatesa; si acquistano teatri come a Guglionesi; si consolida il santuario di Montenero di Bisacce. Per carità, si fanno pure le reti fognarie nei paesi e strade interpoderali sempre utili alle popolazioni; si recuperano siti turistici e pure aree naturalistiche, ma a fare epoca sono sicuramente il fiume di regalie come quelle legate al recupero e la valorizzazione della collezione Brunetti e agli studi sulle valenze naturalistiche dell’aerea di Oratino, al museo ornitologico di Montorio dei Frentani, per non parlare della realizzazione dell’enoteca regionale del Molise.


Progetti inutili
Insomma, una insaziabile vocazione a spendere. Che continua a prosciugare il Fas anche negli anni successivi, pure quando a Palazzo Chigi torna Prodi. Tra il 2006 e 2007, accanto a tanti impeccabili interventi per il Sud, come il finanziamento ai programmi per l’autoimprenditorialità e autoimpiego gestiti da Sviluppo Italia (90 milioni) o agli interventi per il risanamento delle zone di Sarno e Priolo, appaiono una miriade di contributi a progetti che con il Sud hanno poco a che vedere: 180 milioni vanno per esempio al progetto ‘Valle del Po’; 268 al ministero dell’Università per i distretti tecnologici; 119 al ministero per le Riforme per l’attuazione di programmi nazionali in materia di società dell’informazione; altri 36 milioni al ministero dell’Ambiente per finanziare tra l’altro il ‘Progetto cartografico’. E non è finita: un milione finisce al ministero per le Politiche giovanili e le attività sportive per vaghe attività di assistenza; un altro milione al Consorzio nazionale per la valorizzazione delle risorse e dei prodotti forestali con sede in Frontone nella meridionalissima provincia di Pesaro e Urbino; 4 milioni al completamento dei lavori di ristrutturazione di Villa Raffo a Palermo, sede per le attività di alta formazione europea; 2 milioni alla regione Campania per la realizzazione del museo archeologico nel complesso della Reggia di Quisisana; 20 milioni al Cnipa per l’iniziativa telematica ‘competenza in cambio di esperienza: i giovani sanno navigare, gli anziani sanno dove andare’; quasi 4 al ministero degli Esteri per il sostegno delle ‘relazioni dei territori regionali con la Cina’.
Sarebbe già abbastanza per gridare allo scandalo. Ma non è finita: da conteggiare ci sono pure i trasferimenti di risorse Fas ai vari ministeri e che si sono tradotti tra l’altro in uscite di 25 milioni a favore della presidenza del Consiglio per coprire le spese della rilevazione informatizzata delle elezioni 2006; 12 per finanziare le attività di ricerca e formazione degli Istituti di studi storici e filosofici di Napoli; 5 milioni al comando dei carabinieri per la tutela ambientale Regione siciliana per interventi di bonifica; 52 per coprire i crediti di imposta di chi utilizza agevolazioni per investimenti in campagne pubblicitarie locali; 106 milioni per l’acquisto di un sistema di telecomunicazione in standard Tetra per le forze di polizia. E vai a capire perché.


Cavaliere all’attacco
Insomma, un autentico pozzo senza fondo al quale si attinge per le esigenze più disparate rendendo vane le richieste di un disegno organico per il rilancio dell’economia meridionale. Sarà anche per questo che tra il 2007 e il 2008 arriva una mezza rivoluzione per il Fas. L’intento sembra quello di fare ordine e voltare pagina, in concreto si gettano le premesse per l’ultimo grande scippo. Cominciamo dai soldi. Il governo Prodi riprogramma le risorse per il Meridione e con la Finanziaria 2007 stanzia a carico del Fas 64 miliardi 379 milioni, un autentico tesoro. Con tanti soldi a disposizione e l’esperienza negativa dei decenni di intervento straordinario a favore del Mezzogiorno, sembra l’inizio di una nuova era: il Sud deve solo pensare a spendere con raziocinio. Invece all’inizio del 2008 esce di scena Prodi e rientra in gioco Berlusconi. Che, per coprire le spese dei pochi interventi di politica economica che riesce a varare, ricomincia a saccheggiare proprio il Fas, una delle poche voci di bilancio davvero carica di soldi. Non è un caso perciò se a fine 2008 il Fondo si vede sottrarre altri 12 miliardi 963 milioni per finanziare una serie di provvedimenti tra cui quelli che foraggiano le aziende viticole siciliane carissime al sottosegretario Micciché (150 milioni); l’acquisto di velivoli antincendio (altri 150); la viabilità di Sicilia e Calabria (1 miliardo) e la proroga della rottamazione dei frigoriferi (935 milioni); l’emergenza rifiuti in Campania (450); i disavanzi dei comuni di Roma (500) e Catania (140); la copertura degli oneri del servizio sanitario (1 miliardo 309 milioni); le agevolazioni per i terremotati di Umbria e Marche (55 milioni) e perfino la copertura degli oneri per l’assunzione dei ricercatori universitari (63).


Tagli dolorosi
E siamo solo all’assaggio. Un altro taglio da un miliardo e mezzo arriva per una serie di spese tra cui quelle per il G8 in Sardegna (100 milioni) marchiato dagli scandali; per l’alluvione in Piemonte e Valle d’Aosta (50 milioni); la copertura degli oneri del decreto anticrisi 2008 e gli accantonamenti della legge finanziaria; gli interventi per la banda larga e per il finanziamento dell’abolizione dell’Ici (50 milioni).
Il secondo elemento della ‘rivoluzione’ del 2008 è costituito dalla trovata di Berlusconi e Tremonti di riprogrammare e concentrare le risorse del Fas (ridotto nel frattempo a 52 miliardi 400 milioni) su obiettivi considerati “prioritari per il rilancio dell’economia nazionale”. Come? Anzitutto, attraverso la suddivisione dei soldi tra amministrazioni centrali (25 miliardi 409 milioni) e Regioni (27 miliardi). Poi con la costituzione di tre fondi settoriali: uno per l’occupazione e la formazione; un altro a sostegno dell’economia reale istituito presso la presidenza del Consiglio; un terzo denominato Infrastrutture e che dovrebbe curare il potenziamento della rete infrastrutturale a livello nazionale, comprese le reti di telecomunicazioni e energetiche, la messa in sicurezza delle scuole, le infrastrutture museali, archeologiche e carcerarie. Denominazioni pompose ma che in realtà nascondono un unico disegno: dare il via al saccheggio finale.
Al Fondo per l’occupazione e la formazione vengono per esempio assegnati 4 miliardi che trovano i primi impieghi per finanziare la cassa integrazione e i programmi di formazione per i lavoratori destinatari di ammortizzatori sociali. Quanto al fondo per il sostegno all’economia reale finanziato con 9 miliardi va a coprire le uscite per il termovalorizzatore di Acerra (355 milioni); gli altri sperperi per il G8 alla Maddalena (50), mentre 80 milioni se ne vanno ancora per la rete Tetra delle forze di polizia in Sardegna; un miliardo per il finanziamento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese; 400 milioni per incrementare il fondo ‘conti dormienti’ destinato all’indennizzo dei risparmiatori vittime delle frodi finanziarie; circa 4 miliardi per il terremoto in Abruzzo; 150 milioni per gli interventi dell’Istituto di sviluppo agroalimentare amministrato dal leghista Nicola Cecconato; 50 milioni per gli interventi nelle zone franche urbane; 100 per interventi di risanamento ambientale; 220 di contributo alla fondazione siciliana Rimed per la ricerca biotecnologica e biomedica.


Senza fondo
Ma la vera sagra della dissipazione si consuma all’interno del fondo Infrastrutture (12 miliardi 356 milioni di dotazione iniziale) dove il Sud vede poco o niente. Le sue dotazioni se ne vanno per mille rivoli a coprire i più svariati provvedimenti governativi: 900 milioni per l’adeguamento dei prezzi del materiale da costruzione (cemento e ferro) necessario per riequilibrare i rapporti contrattuali tra stazioni appaltanti e imprese esecutrici dopo i pesanti aumenti dei costi; 390 per la privatizzazione della società Tirrenia; 960 per finanziare gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato; un altro miliardo 440 milioni per i contratti di servizio di Trenitalia; 15 milioni per gli interventi in favore delle fiere di Bari, Verona, Foggia, Padova.
Ancora: 330 milioni vanno a garantire la media-lunga percorrenza di Trenitalia; 200 l’edilizia carceraria (penitenziari in Emilia Romagna, Veneto e Liguria) e per mettere in sicurezza quella scolastica; 12 milioni al trasporto nei laghi Maggiore, Garda e Como. Pesano poi sul fondo Infrastrutture l’alta velocità Milano-Verona e Milano-Genova; la metro di Bologna; il tunnel del Frejus e la Pedemontana Lecco-Bergamo. E poi le opere dell’Expo 2015 che comprendono il prolungamento di due linee della metropolitana milanese per 451 milioni; i 58 milioni della linea C di quella di Roma; i 50 per la laguna di Venezia; l’adeguamento degli edifici dei carabinieri di Parma (5); quello dei sistemi metropolitani di Parma, Brescia, Bologna e Torino (110); la metrotranvia di Bologna (54 milioni); 408 milioni per la ricostruzione all’Aquila; un miliardo 300 milioni a favore della società Stretto di Messina. E non per le spese di costruzione della grande opera più discussa degli ultimi 20 anni, ma solo per consentire alla società di cominciare a funzionare.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/scippo-al-sud/2126696//0

Sulle pensioni.



Invece di portare l'età pensionabile a 67 anni basterebbe eliminare i vitalizi per i parlamentari e porre un tetto massimo alle pensioni d'oro. 


Elimineremmo due problemi: non saremmo più tenuti sotto scacco da parlamentari che non vogliono mollare per raggiungere l'obiettivo del vitalizio e risparmieremmo una barca di soldi.

Ai parlamentari basterebbe riconoscere una somma equivalente al periodo del servizio prestato in parlamento da ricongiungere ai contributi versati durante la vita lavorativa, agli altri mega manager una pensione adeguata ai risultati conseguiti durante la vita lavorativa che non superi un certo importo quantificato in 7.000 euro. 

Parentopoli Ama, nei computer le prove delle assunzioni irregolari.



Franco Panzironi



di Giulio De Santis
ROMA - La prova finale della Parentopoli all’Ama è arrivata sulle scrivanie degli inquirenti nel fine settimana. E’ la perizia sui computer dei dieci indagati, disposta lo scorso giugno dal procuratore aggiunto Alberto Caperna e dal sostituto procuratore Corrado Fasanelli.

Una consulenza che racconta attraverso e-mail e file word come si sarebbero compiute le sospette 841 assunzioni avvenute tra il 2008 ed il 2009, finite nel mirino degli inquirenti lo scorso febbraio. In particolare il consulente informatico Massimo Bernaschi, scelto dalla Procura, avrebbe trovato l’istruttoria attraverso la quale sarebbero state aggirate le procedure di assunzione per 41 impiegati con chiamata diretta. Una procedura predatata per aggirare la legge Brunetta, che impone il possesso di determinati requisiti per gli assunti a partire dal 20 ottobre del 2008.

Sono quarantuno le persone, prive dei requisiti e impiegate dopo quella data, come proverebbe il file adesso in mano alla Procura. L’istruttoria, rinvenuta dal consulente, proverebbe che le date sarebbero state falsificate facendo risultare i contratti siglati precedenti al 20 ottobre del 2008, mentre in realtà colloqui e firme sui contratti sarebbero avvenuti successivamente. Prove cosi convincenti che il pubblico ministero Fasanelli si appresta a chiudere l’indagine nei confronti dei dieci indagati accusati, a seconda delle diverse posizioni, di abuso d’ufficio, falso e violazione della legge Biagi.

Dopo la lettura della consulenza gli inquirenti ritengono che non sia necessario procedere ad ulteriori accertamenti probatori poiché sarebbe ormai chiaro il complesso mosaico della Parentopoli avvenuta all’Ama. Pochi giorni e l’inchiesta nei confronti dell’allora ad Franco Panzironi, di Sergio Bruno, presidente del Consorzio Elis, di Luciano Cedrone, responsabile del personale, Gianfrancesco Regard, ex responsabile legale di Ama, e Ivano Spadoni, dirigente Ama, sarà formalmente conclusa. Insieme a loro rischiano la chiusura indagine anche Lorenzo Allegrucci, Giovanni D’Onofrio, Alessandra De Luca, Davide Ambrogi e il consulente Bruno Frigerio, dirigenti Ama indagati dalla procura di Roma all’inizio dello scorso maggio.

Nel mirino degli investigatori sono finite due modalità di assunzione compiute percorrendo un doppio binario. Una prima quota riguarderebbe le 41 assunzioni a chiamata diretta che riguardano persone definite «gente di fiducia» dall’allora ad Panzironi. In questo caso la perizia dell’accusa aggiungerebbe l’istruttoria rispetto agli elementi già raccolti nel corso della prima parte dell’indagine.

Gli inquirenti avevano però in mano diverse prove che le 41 assunzioni sarebbero state retrodatate per aggirare i requisiti di contrattualizzazioni imposti dalla legge Brunetta. La perizia ha confermato le certezze del pm.

La seconda tranche di assunzioni è quella realizzata dalla municipalizzata attraverso il Consorzio Elis. In questo caso, nel mancato rispetto della legge, sarebbero stati assunte altre 800 persone tra autisti, operatori ecologici e interratori. La consulenza in questa caso avrebbe evidenziato un carteggio molto dettagliato, fatto di email e file word, che inchioderebbe i responsabili in modo decisivo. «Non conosco il contenuto della perizia – commenta l’avvocato Giuseppe Di Noto, difensore dell’ex responsabile dell’ufficio legale Ama – ma sono sicuro che il mio assistito abbia svolto il suo compito in modo impeccabile».


Bossi si dice pronto a ripetere il 1994. “Le pensioni non si toccano o tutti a casa”.




Il Carroccio per un giorno ritrova l'unità. Il Senatùr, in un vertice in via Bellerio, detta la linea: Berlusconi vuole andare a elezioni a marzo, la crisi questa volta non rientra e "non possiamo farci trovare impreparati". Quindi "basta con i regali" al Cavaliere. Lo ripete a Palazzo Grazioli e poi durante il Cdm. Che slitta proprio a causa della fermezza del Capo. Una cena è l'ultimo tentativo per trovare il dialogo.
Umberto Bossi è pronto a far cadere il governo. Come nel 1994, quando il Carroccio staccò la spina all’esecutivo Berlusconi. Oggi, come allora, sul tavolo c’è la riforma delle pensioni. Per Bossi non si devono toccare. E se il premier riuscirà a farla approvare in aula con i voti offerti dal Terzo Polo, la Lega presenterà una mozione di sfiducia al Cavaliere. Il Senatùr sembra non avere tentennamenti.

Lo ha detto al mattino nel vertice in via Bellerio a Milano e lo ha ripetuto nel pomeriggio a Palazzo Grazioli durante l’incontro con Silvio Berlusconi prima del Consiglio dei Ministri. Il nodo sono le pensioni che il premier vuole rivedere ormai da prima dell’estate e su cui il leader del Carroccio è sempre stato critico. Ma pochi mesi fa c’era spazio per il dialogo. Oggi non più. Perché il governo è destinato a cadere e il Cavaliere si sta preparando alle elezioni in primavera. Bossi ne è convinto. Chi lo ha sentito parlare in via Bellerio lo descrive con toni entusiastici: “Sembrava l’Umberto di una volta”. A Roberto Calderoli Marco Reguzzoni ha descritto così lo scenario: Berlusconi non può reggere ancora a lungo quindi dovremo andare alle urne e confrontarci con gli elettori, per questo non possiamo fare regali al premier sulle pensioni perché ne pagheremo immediatamente le conseguenze in termini di voti. Questo il ragionamento del leader del Carroccio. In casa Lega è in corso una guerra interna senza precedenti proprio contro il Capo, partita dalla base che inascoltata da mesi invoca al Senatùr di staccare la spina e di non votare più ciò che vuole Berlusconi. I militanti, delusi dall’atteggiamento di Bossi, hanno individuato inRoberto Maroni il naturale successore del Capo. E ora la preoccupazione di una successione forzata in vista di elezioni preoccupa anche il fantomatico cerchio magico.

In primis Rosy Mauro, che terminato l’incontro in via Bellerio, si è scagliata contro il governo minacciando di “scendere in piazza se si toccano le pensioni”. Anche Reguzzoni, altro cerchista, ha sentenziato: “Siamo contrari a intervenire sulle pensioni, abbiamo fatto le nostre proposte alternative ora deciderà il governo”. E’ stata poi la volta del ministro dell’Interno, che prima dell’estate aveva aperto su un’ipotesi di scaloni pensionistici, a bocciare ogni tipo di intervento sulla previdenza: “Abbiamo già dato”, ha detto Maroni. Infine Matteo Salvini, fidato uomo di Bossi, ha sentenziato: “Se il Pdl farà passare l’innalzamento dell’età pensionabile con i voti del Terzo Polo vorrà dire che non c’è più maggioranza e, quindi, non c’è più governo”.

La Lega, per un giorno, sembra tornata unita e compatta. Sarà lo spettro delle elezioni che si avvicina e dei sondaggi che danno il partito a poco più del cinque per cento. Così Bossi punta i piedi anche a Palazzo Grazioli. Dove entra insieme a Giulio Tremonti, Roberto Maroni, Roberto Calderoli, per incontrare Berlusconi e trovare un accordo sulle pensioni e ne esce due ore dopo senza alcun tipo di soluzione. Anzi. Durante il Consiglio dei Ministri, cominciato in ampio ritardo proprio per l’incontro tra i due alleati, le posizioni non sono cambiate. Tanto da sospendere i lavori dopo poco più di un’ora di lavori e andare tutti a cena a palazzo Chigi in cerca di una soluzione. Ma Bossi non ha alcuna intenzione di mollare. “O si trova una soluzione condivisa o tutti a casa”. L’ha detto in via Bellerio. Lo ha ripetuto a Palazzo Grazioli e infine, riferisce chi era presente, al Consiglio dei ministri: il governo è a rischio. Come nel 1994, sulle pensioni.


Dodici condoni nel “decreto sviluppo”. Con legge ad personam post mortem.


Prime indiscrezioni sull'atteso provvedimento. Una nuova disciplina ereditaria permetterebbe al premier di riequilibrare i poteri in Fininvest a scapito dei figli di Veronica Lario. In più sanatorie a tutto campo, dai tributi ai libri contabili al canone Rai, fino ai manifesti abusivi dei partiti. Ma il ministero di Paolo Romani smentisce tutto. Tra le altre possibili novità, vendita di patrimonio pubblico, agevolazioni per le assunzioni "giovani", Iva ridotta per i precari che acquistano casa. I cantieri della Tav diventano zone militari.

Il ministro Paolo Romani con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
Non uno, ma ben 12 diversi condoni sono presenti nella bozza del Decreto sviluppo in discussione al consiglio dei ministri di stasera, secondo le anticipazioni dell’agenzia Ansa, che elenca alcuni di questi provvedimenti. C’è il concordato fiscale e molto altro, ma intanto si apre la polemica su una nuova legge ad personam, questa volta post mortem. La norma destinata a far discutere riguarda la “legittima”, cioè la quota di eredità che spetta ai figli: ferma restando la quota dei due terzi, una metà di questa “dovrà in ogni caso dividersi in parti uguali tra tutti i figli”, anticipa l’Ansa, mentre l’altra metà”potrà essere attribuita dal genitore, con apposita disposizione testamentaria, a uno o più di essi,anche in misura diversa rispetto agli altri”.

La questione è stata già sollevata dall’Italia dei Valori, in relazione alle questioni ereditarie del premier. In ballo c’è il futuro della Fininvest e l’equilibrio dei poteri fra i figli della prima e quelli della seconda moglie, anche in relazione con la causa di divorzio con quest’ultima, Veronica Lario. Attualmente tutti i figli di Silvio Berlusconi possiedono quote in Fininvest pressoché identiche. Con la disciplina fino a oggi in vigore, in caso di successione ereditaria le quote delle holding detenute da Berlusconi sarebbero ripartite in modo uguale. I tre figli di Veronica (Eleonora, Barbara e Luigi) messi insieme avrebbero quindi sopravanzato i due figli di Carla Dall’Oglio(Marina e Pier Silvio) e avrebbero avuto la possibilità di “prendere il potere” in Finivest e, a cascata, nelle aziende controllate. Con la nuova norma, Berlusconi avrebbe invece la possibilità di riequlibrare i pesi azionari a favore di Marina e Pier Silvio.

Oggi la Fininvest è controllata dalla famiglia Berlusconi tramite sette finanziarie, denominate tutte Holding Italiana, ma con diversa numerazione. Il controllo fa capo al premier con il 63% del capitale (tramite la Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava). Marina (presidente di Mondadori) e Piersilvio (vice presidente Mediaset) hanno una quota del 7,65% a testa (rispettivamente attraverso le holding Quarta e Quinta). Nell’estate del 2005 poi, anche i figli di secondo letto, Barbara (consigliere nel Milan), Eleonora e Luigi (che siede nel Cda di Mediolanum), hanno ricevuto una quota del patrimonio e hanno il 21,4% di Fininvest (attraverso la holding Quattordicesima). Resta infine ancora da definire l’eventuale impatto sul patrimonio di famiglia dalla causa di separazione tra Berlusconi e Veronica Lario.

Sullo stesso filone, nel decreto cambierebbero le norme ereditarie anche sulle società: l’assegnatario potrà ricevere i beni anche dopo la morte del titolare, che in tal caso avrà nominato un terzo che designerà il beneficiario tra più persone indicate dallo stesso imprenditore o dal titolare delle quote societarie.

Altro punto controverso, i condoni fiscali. L’Ansa ne elenca una lunga serie: riapertura dei termini per gli anni pregressi; regolarizzazione delle scritture contabili; accertamento con adesione per i periodi di imposta pregressi; definizione dei ritardati od omessi versamenti; definizione degli atti di accertamento e di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione; definizione delle liti pendenti; definizione dei tributi locali; definizione agevolata ai fini delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni (proroga di termini); definizione degli importi non versati; regolarizzazione di inadempienze di natura fiscale; proroga di termini per risolvere la violazione dell’obbligo della dichiarazione Iva; cumulabilità delle definizione agevolate.

Un elenco dettagliato, ma il ministero dello sviluppo economico, guidato da Paolo Romani, smentisce tutto: “Nelle anticipazioni stampa vi sono norme non contenute nel provvedimento di sviluppo su cui sta lavorando il ministero dello Sviluppo Economico. In particolare, notizie riguardanti l’esistenza nel testo di ’12 condoni’ o di sanatorie sono del tutto infondate”. Ma proprio mentre arriva la smentita, comincia a circolare la bozza del decreto (QUI LA VERSIONE INTEGRALE), che invece contiene le norme anticipate dall’Ansa. Bozza che prevede, tra l’altro, che i condoni siano cumulabili tra loro.

Nella vasta casistica fiscale illustrata dalla bozza sono compresi il mancato pagamento del canone Rai e le multe per le affissioni abusive di manifesti elettorali. L’evasione del canone Rai, fino all’ultima scadenza del 31 gennaio 2011, potrà essere sanata con 50 euro per ogni anno evaso. I partiti politici  potranno invece cancellare le multe per i “manifesti selvaggi” delle campagne elettorali con 750 euro l’anno per affissioni fino al 2010. Una norma il cui collegamento con lo sviluppo economico è tutto da decifrare. “Le violazioni ripetute e continuate delle norme in materia di affissioni e pubblicità commesse fino al 31 dicembre 2010 mediante affissioni di manifesti politici”, si legge nella bozza, sempre secondo l’Ansa, “possono essere sanate in qualunque ordine e grado di giudizio nonché in sede di riscossione delle somme eventualmente iscritte a titolo sanzionatorio, mediante il versamento, a carico del committente responsabile, di un’imposta pari, per il complesso delle violazioni commesse e ripetute, a 750 euro per anno e per provincia”.

Una novità è rappresentata dalla possibilità, negli accordi aziendali, di “prevedere che il datore di lavoro e il lavoratore si accordino su una retribuzione inferiore a quella dovuta, in cambio diservizi messi a disposizione dal datore di lavoro, quali asili nido, servizi alla persona ovvero misure per la mobilità”.

Sul fronte delle privatizzazioni, sul tavolo ci sarebbe la vendita del patrimonio residenziale pubblico agli inquilini. Si prevedono misure in materia di razionalizzazione delle strutture periferiche delle amministrazioni centrali dello Stato, dismissioni del patrimonio residenziale pubblico, semplificazione dei permessi di costruire e di locazione di immobili urbani a uso diverso da quello di abitazione. In particolare, nell’ambito del processo di razionalizzazione, “le amministrazioni devono ridurre, in misura non inferiore al 10 per cento per ognuno degli anni 2012 e 2013, l’uso della superficie quadrata degli immobili demaniali destinati agli uffici pubblici o la spesa complessiva per il canone di locazione in caso di sottoscrizione di nuovi contratti. I risparmi contribuiscono al 50 per cento al miglioramento dei saldi di finanza pubblica e al 50 per cento sono destinati alla contrattazione integrativa”.

Rientrerebbe nel “decreto sviluppo” anche il divieto d’accesso ai cantieri della Tav in Val Susa. Le aree interessate ai lavori per la Torino-Lione, infatti, diventano “aree di interesse strategico nazionale”, quindi chiunque si introdurrà nelle aree di interesse strategico ovvero impedirà l’accesso autorizzato alle aree sarà punito a norma dell’articolo 682 del codice penale (ingresso arbitrario in luoghi ove l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato).

In arrivo anche incentivi per i datori di lavoro che assumono nel 2012-2013 giovani sotto i 25 anni, disoccupati da almeno 6 mesi, o sotto i 35 anni, disoccupati da almeno 12 mesi. Per i datori di lavoro la quota di contribuzione, per i primi 35 mesi, è quella prevista per gli apprendisti. Incentivi anche per l’assunzione in apprendistato: per i contratti iniziati negli anni 2012-2013, la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è azzerata fino alla fine del periodo di apprendistato.

Per quanto riguarda le donne disoccupate con figli  a carico, il governo penserebbe a una riduzione delle aliquote contributive e Irpef per i nuovi contratti part-time. La riduzione è pari a: 5 punti percentuali, in presenza di 1 figlio; 10 punti percentuali, in presenza di 2 figli; 15 punti percentuali, in presenza di 3 figli; 20 punti percentuali, in presenza di 4 figli. Inoltre i redditi derivanti dai contratti suddetti sarebbero soggetti ad aliquote Irpef  ridotte delle stesse percentuali.

Per i lavoratori precari sono previsti sgravi nell’acquisto della prima casa: l’aliquota Iva relativa all’acquisto dell’abitazione principale da parte di giovani al di sotto dei 40 anni e titolari di reddito da lavoro parasubordinato è fissata nella misura dell’1%.

La bozza di decreto consente inoltre la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate.


Decreto sviluppo, nulla di fatto dal governo. Berlusconi a mani vuote in Europa.


Finisce senza alcuna decisione il consiglio dei ministri che avrebbe dovuto approvare il provvedimento contro la crisi e per la crescita economica. La Lega si mette per traverso sull'innalzamento dell'età pensionabile. Esecutivo a rischio, si fa avanti Gianni Letta.

Doveva essere il momento della verità, è terminato con un nulla di fatto. Il consiglio dei ministri che avrebbe dovuto varare il “decreto sviluppo”, vale a dire le ricette anticrisi tanto attese di partner europei e dalle parti sociali, si è chiuso senza alcuna decisione in merito. Né è stata comunicata una nuova convocazione per i prossimi giorni.Nella giornata sono state diffuse indiscrezioni e una bozza di decreto, che conteneva tra l’altro ben dodici misure di condono fiscale, subito smentite dal ministero dello Sviluppo. Con tanto di polemica su una legge ad personam in materia ereditaria.
Ma il nodo sembra essere quello delle pensioni. Il presidente del consiglio Silvio Berlusconipensa all’innalzamento dell’età pensionabile, da 65 a 67 anni, come piatto forte del pacchetto. La Lega nord, però, non ci sta, perché “le pensioni non si toccano”, come ha ripetuto Umberto Bossi in questi ultimi mesi. Al termine del Consiglio dei ministri finito in niente, si sono ritrovati a cena il premier, Bossi, Roberto CalderoliRoberto MaroniGiulio Tremonti e Gianni Letta. Per continuare a “ragionare” sul tema, a quanto si apprende.
Bossi pare intenzionato a “non cedere di un millimetro”, e in consiglio dei ministri avrebbe invocato “soluzioni che vadano bene a tutti”, cosa non facile in materia economica. Per chiarire il clima, la Padania ha preparato un titolo di prima pagina piuttosto netto: “Scontro finale sulle pensioni. Oggi il D-day. No all’innalzamento dell’età pensionabile. La Lega non arretra di un passo, coerente con la posizione già espressa con la manovra di agosto”. Corredato da un virgolettato di Rosi Mauro, vicinissima a Bossi e segretario generale del sindacato padano: “Adesso basta. E’ arrivato il momento di smetterla di mettere le mani nelle tasche dei lavoratori e dei pensionati”.
Rischia così di non essere onorato l’ultimatum dei partner europei, Francia e Germania in testa, che dopo il nulla di fatto al vertice di domenica pretendevano da Berlusconi, entro mercoledì prossimo, provvedimenti chiari ed efficaci per affrontare la crisi e imboccare la via della crescita economica. A questo punto il presidente del consiglio rischia di presentarsi di nuovo a mani vuote, o con indicazioni generiche neppure messe sulla carta di un atto approvato dal governo.
Una situazione preoccupante che potrebbe portare alla caduta del governo, secondo fonti parlamentari del Pdl raccolte dalle agenzie di stampa. Se Berlusconi e Bossi non trovassero l’accordo, si farebbe strada un nuovo esecutivo istituzionale o tecnico, guidato da Gianni Letta – che si sarebbe detto disponibile e ne avrebbe già parlato con Berlusconi -, da Renato Schifani o da Mario Monti. In alternativa, il voto anticipato.
Commenti trancianti dall’opposizione: “Se si pensa a un governo che cerca i nostri voti in Parlamento per fare quelle riforme che non sono riusciti a fare con la Lega, se lo scordino”, afferma il presidente del Pd Rosy Bindi. “Noi non andiamo a fare la stampella di nessuno”. La condizione è che Berlusconi faccia un passo indietro e che la maggioranza ammetta i propri errori, dopodiché “siamo disponibili a un governo del presidente della Repubblica che dia un incarico a una personalità che possa sedersi in Europa con prestigio e non ci faccia assistere all’umiliazione di questi giorni. Altrimenti l’unica via d’uscita sono le elezioni”. E per l’Idv, Antonio Di Pietroironizza sul consiglio dei ministri della verità, finito invece “a tarallucci e vino”.