mercoledì 9 novembre 2011

“Sì, grazie a Ledda, Scajola arrivò a Berlusconi”. - di Marco Lillo

Mario Valducci, presidente della commissione trasporti della Camera, uno dei fondatori di Forza Italia dice: "Fu l'ex latitante a portarlo dentro Forza Italia". Il 'garante' era un pluricondannato (anche stupro) con il quale il premier parlava spesso: trovate 20 chiamate.

Non aveva tutti i torti Mario Ledda quando, dagli arresti domiciliari, scriveva nel 2001 lettere piene di risentimento all’allora ministro dell’interno che si era dimenticato di lui. Il Fatto ha raccontato domenica scorsa la storia dell’estorsione subita da Claudio Scajola nel 2001, quando era al Viminale, da parte di un pregiudicato agli arresti per violenza carnale che aveva avuto un ruolo nel 1995-6 nell’ascesa di Scajola.

LEDDA non mentiva quando diceva di conoscere Silvio Berlusconi. Questo sardo trapiantato a Milano nonostante il suo curriculum criminale di tutto rispetto ha chiamato i numeri riservati del Cavaliere una ventina di volte nell’arco di pochi mesi a cavallo tra il 1995 e il 1996. Scajola, nell’intervista al Fatto pubblicata domenica scorsa lo ha negato con tutte le sue forze, ma sono in tanti a ricordare il ruolo chiave li Ledda nell’ingresso trionfale dell’ex sindaco Dc di Imperia nel partito. Il Fatto ha sentito un testimone d’eccezione: Mario Valducci, 52 anni, presidente della commissione trasporti della Camera, uno dei fondatori di Forza Italia insieme a Silvio Berlusconi, al generale Luigi Caligaris e a pochi altri. Alla fine del 1995 quando Scajola entra in Forza Italia, Valducci è vicecoordinatore nazionale di Fi. “Sì ricordo che la segnalazione per l’ingresso di Scajola in Forza Italia arrivò da Mario Ledda”, dice Valducci senza imbarazzo, “Berlusconi mi chiamò e mi presentò Ledda per segnalarmi la possibile di favorire tramite Ledda l’entrata di Scajola in Forza Italia. Sul territorio però c’era qualche difficoltà ad accettarlo e quindi”, continua Valducci, “andai a Imperia e lì incontrai Scajola con Ledda e con il suo amico Pietro Isnardi e con l’altro imprenditore della città, Carli”. Anche Pietro Isnardi, imprenditore dell’olio e amico fraterno di Scajola, ricorda il ruolo di Ledda: “il mio responsabile commerciale aveva conosciuto in montagna questo Ledda. Mi disse che voleva che gli presentassi Scajola per favorire il suo ingresso in Forza Italia. Era un tipo bizzarro, girava con un’Alfa Romeo 164 e aveva 5 telefonini, si dava molte arie. Ma poi abbiamo scoperto che raccontava un sacco di balle e l’ho fatto anche arrestare per un’estorsione in Francia”.

IN REALTÀ, nei tabulati dei vecchi procedimenti siciliani sono depositate le tracce di una ventina di conversazioni tra Ledda e Berlusconi in quel periodo. Tra settembre del 1995 e il gennaio del 1996, risultano ben 15 telefonate dal telefono fisso milanese di Ledda alle utenze di Silvio Berlusconi a Roma nel palazzo di via dell’Anima. In un caso Ledda, il 25 novembre del 1995 contatta il Cavaliere sul suo numero personale di Macherio. Sono numerose anche le chiamate tra il cellulare di Ledda e i numeri delle ville del Cavaliere. Insomma non bisogna stupirsi se Ledda, quando in carcere legge sul libro di Bruno Vespa e sull’Espresso che sarebbe stato l’industriale Carli l’artefice dell’incontro Berlusconi-Scajola si infuria e prende carta e penna. Il 2 maggio del 2001 scrive a Scajola: “Claudio non dimenticare mai che Berlusconi – solo mio tramite e con molto sacrificio, tu e il presidente lo sapete bene, – ha trovato in te l’asso (…) non ho proprio gradito le falsità riportate nel libro di Bruno Vespa – Scontro Finale – e quelle sull’intervista apparsa su L’esrpesso n. 10 firmata Guido Quaranta… farò un chiarimento pubblico sulla verità reale di come è avvenuto il tuo ingresso in Forza Italia e chi ti ha portato sul piatto d’oro Berlusconi. Ciò per fare chiarezza una volta per sempre sui nostri rapporti. Se però vuoi darmi tu chiarimenti su queste false notizie, ma in tempi molto ragionevoli, si potranno evitare – lavando in casa i… (panni ndr) – azioni che per me non hanno lo scopo di creare disturbo”.

NELLE LETTERE recapitate a Scajola e ai suoi collaboratori da Ledda, dalla compagna Maria Diliberto e dall’avvocato Giuseppe Arcadu (tutti morti) ci sono larvate minacce ben più gravi di quella di rivelare la verità sull’ingresso in Forza Italia. Si parla dell’aiuto dato da Scajola a Ledda durante la sua latitanza in Francia. Circostanze negate da Scajola, che al Fatto ha detto di ricordare a malapena il nome del pregiudicato “ma si chiamava Ledda o Leddu?”, ci ha risposto l’ex ministro. Talvolta è meglio rimuovere: Ledda (non Leddu) aveva un curriculum criminale negli archivi di polizia lungo due pagine. La condanna definitiva per violenza carnale gli costò il mandato di cattura nel giugno 1997, al quale sfuggì riparando in Francia. Ma la sua storia inizia nel 1969 con la prima condanna per ricorso abusivo al credito. Nel 1977 finisce in carcere e viene condannato per truffa. Nel 1982 è condannato per atti di libidine violenta ed è segnalato per appropriazione indebita, nel 1991 è arrestato ancora per violenza privata e per la violenza carnale. Nel marzo 1994 commette una truffa e un millantato credito che gli costano una condanna a 2 anni e nove mesi nel 2000. Nel frattempo parlava con Berlusconi e preparava l’ascesa di Scajola. Forza Italia.

BENIGNI COMMENTA LE DIMISSIONI DI BERLUSCONI AL PARLAMENTO EUROPEO.




Bruxelles, 9 nov. (TMNews) - "Purtroppo, mi è venuta addosso in Italia una persona che ha deciso di fare un passo indietro; mi avevano detto: 'non ti preoccupare non si muove', e invece, proprio quando c'ero dietro...". Così Roberto Benigni, con gesso alla caviglia e stampelle a seguito di un incidente, ha esordito, questa sera a Bruxelles, il suo intervento alle celebrazioni per il 150.mo anniversario dell'Unità d'Italia al Parlamento europeo, culminato con la lettura del XXVI Canto dell'Inferno di Dante.

Continuando a scherzare sul proprio incidente Benigni ha continuato: "E' un periodo di cadute, in Italia cadono molte persone".Poi, dopo aver fatto riferimento alle presenze di sottosegretari, ministri, europarlamentari ed accademici nell'Emiciclo del Parlamento europeo dove si svolgeva la manifestazione, l'artista ha aggiunto: "Non vedo il presidente del Consiglio: l'ultima cosa che ho sentito dire prima di venire qui è che la maggioranza è solida, non è che è successo qualcosa?". Quindi, con un riferimento alla situazione politica belga, ha aggiunto: "Siamo senza governo, è il modello belga: 15 mesi senza governo, e tutto è andato su, ma guarda, hanno tutte le fortune".

Benigni ha fatto anche altri due riferimenti al Belgio: la prima al piatto nazionale, cozze e patatine fritte, la seconda al piccolo monumento del bambino che fa pipì, il Manneken-Pis. Ho mangiato cozze e patatine fritte, meno male, da un po' di tempo mangiavo solo scatolette di tonno: nei ristoranti in Italia non si può entrare, sono pienissimi". Quindi, guardandosi in giro, Benigni ha chiesto: "C'è la maggioranza? Non è che ci sono traditori fra di voi, qualcuno che è andato in bagno, un Manneken-Pis?".

Infine, poco prima di attaccare con la 'lectura Dantis', l'attore si è lanciato in un vertiginoso excursus storico delle glorie della cultura e della storia italiana, dopo aver affermato, con riferimento all'attuale gravissima crisi economica: "E' un momento straordinario per l'Italia, ma non di speranza, è un paese che non ha neanche bisogno di speranza perché è un paese straordinariamente sano, il paese del miracolo permanente, da secoli". Fra le altre cose, Benigni ha ricordato che è l'Italia ad aver "inventato le banche", che sono ora al centro della crisi finanziaria, "ma chi va a chiedere ora i soldi (prestati dalle banche italiane, ndr) a Edoardo I d'Inghilterra, che non ce li ha mai ridati?".


http://www.youtube.com/watch?v=NHKJm_k7hdo

Dell'Utri: non paghi? Ti mando i boss. - di Monica Centofante



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Ma per i giudici non e' una minaccia.

Sì è vero: Marcello Dell’Utri ha “mobilitato due mafiosi” del calibro di Michele Buffa e Vincenzo Virga, capo del mandamento di Trapani, per “convincere” l’imprenditore e medico Vincenzo Garraffa, all’epoca dei fatti presidente della Pallacanestro Trapani, a restituire dei soldi in contanti e in nero nell’ambito di una sponsorizzazione ottenuta grazie a Publitalia.
Ma che il senatore abbia inviato i due boss per “incutere timore” al Garraffa e indurlo a versare una somma che non era tenuto a pagare questo no, non è provato. Più plausibile, certo, che i due esponenti di Cosa Nostra, indossati per l’occorrenza i panni degli agenti di recupero crediti, avessero tentato un’”interposizione mediatoria… effettivamente volta … ad aggarbare la vertenza insorta tra la persona offesa e Publitalia”. Perché i due personaggi furono scelti da Dell’Utri, come mediatori, “non tanto o solo in ragione della loro mafiosità”, ci mancherebbe, quanto “per la loro intensa precedente e coeva frequentazione ‘amicale’ con il Garraffa”.
Verrebbe da sorridere se i virgolettati non fossero stralci delle motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano, lo scorso 20 maggio, ha assolto il senatore del Pdl e il boss Vincenzo Virga dall’accusa di tentata estorsione con l’aggravante mafiosa. Una sentenza che giunge al termine di un travagliato iter giudiziario (quattro processi tra primo e secondo grado e due annullamenti in Cassazione) e contro la quale la procura generale di Milano ha già annunciato che si appellerà alla Suprema Corte. E lo farà certamente la parte civile, Vincenzo Garraffa, assistito dall'avvocato Giuseppe Culicchia.
La vicenda in questione risale al 1991 quando Garraffa ottiene, attraverso Publitalia, guidata all’epoca da Dell’Utri, una sponsorizzazione per la società di pallacanestro da parte della “Birra Messina”, appartenente al gruppo “Dreher-Heineken”. Il contratto, secondo la ricostruzione dell’accusa, prevede un versamento di 1.500 milioni di vecchie lire in favore della squadra sportiva, ma, dopo la firma, al presidente della Pallacanestro Trapani viene chiesto di restituire, a titolo di intermediazione, 750 milioni, la metà dell’intero importo mentre gli viene negata la sua richiesta di ricevere regolare fattura. La pretesa è illecita e Garraffa si oppone, ma Marcello Dell’Utri lo manda a chiamare: “I siciliani prima pagano e poi discutono” gli dice, confermandogli che non avrebbe mai rilasciato fatture a fronte della provvigione richiesta. E in seguito all’ennesimo diniego del Garraffa aggiunge: “Ci pensi, perché abbiamo uomini e mezzi per convincerla a pagare”. Qualche mese più tardi presso il nosocomio di Trapani dove svolgeva l’attività di primario, Garraffa riceve la visita di Vincenzo Virga e Michele Buffa. Ed è il primo, mandato da “amici” a chiedergli la possibilità di porre fine alla questione insorta con Publitalia. Per “amici”, dirà poco dopo rispondendo a una domanda del medico, si intende Marcello Dell’Utri.
A leggerla così sembrerebbe proprio una minaccia, e nemmeno troppo velata. Ma la Corte d’Appello sembra più che sicura: “Il quadro probatorio acquisito (...) non consente di considerare raggiunta la prova, aldilà di ogni ragionevole dubbio, che la visita incriminata fosse finalizzata ed idonea ad incutere timore e a coartare la volontà” dell'imprenditore “per indurlo al pagamento ingiusto”.
Se lo dice lei.

La papi-girl habitué di palazzo Grazioli Ma assenteista alla Provincia di Napoli. - di Vincenzo Iurillo

Francesca Pascale è arrivata al vertice notturno del Pdl a bordo della sua smart. Eletta nel 2009 nelle fila del Pdl, secondo le statistiche ufficiali dell’amministrazione provinciale (aggiornate al maggio 2011), in circa un anno e mezzo, dal gennaio 2010 in poi, ha partecipato a una sola riunione della commissione consiliare di cui fa parte.

Francesca Pascale con Silvio Berlusconi
E ora tutti a commentare maliziosamente l’ingresso a mezzanotte inoltrata della Smart di Francesca Pascale a Palazzo Grazioli, la residenza del premier Berlusconi, durante l’ennesimo vertice Pdl sulla crisi del governo. La vera notizia, rara come quella dell’uomo che morde il cane, sarebbe trovare quell’utilitaria trendy parcheggiata sotto l’ingresso del Palazzo della Provincia di NapoliMai vista. Né l’auto né, naturalmente, la sua avvenente proprietaria, una Papi-girl della primissima ora indicata in passato come la presunta fidanzata di Berlusconi.

La Pascale, 26 anni, pochi e dimenticabili trascorsi nello spettacolo come valletta di programmi di cabaret delle tv locali, è stata eletta nel 2009 consigliera provinciale di Napoli nelle fila del Pdl nel collegio Posillipo-Bagnoli. E secondo le statistiche ufficiali dell’amministrazione provinciale (aggiornate al maggio 2011), in circa un anno e mezzo, dal gennaio 2010 in poi, ha partecipato a una sola riunione della commissione consiliare di cui fa parte, la commissione Lavoro, Educazione e Solidarietà. Per capire il dato dell’assenteismo, va spiegato che le commissioni consiliari provinciali si riuniscono circa 20-25 volte al mese. Fatti due calcoli, ecco il risultato: la Pascale ha partecipato a una sola riunione di commissione delle circa 350 convocate. Diverso e meno imbarazzante è il dato delle presenze in consiglio provinciale, convocato in media dalle tre alle quattro volte al mese. La Pascale ha risposto all’appello dodici volte. Dodici presenze spalmate su diciassette mesi, con buco di zero presenze in cinque mesi, dall’ottobre 2010 al febbraio 2011. Il minimo sforzo per non essere dichiarata decaduta dalla carica elettiva (avviene in caso di tre assenze consecutive ingiustificate).
Francesca pascale dati in provincia 2011“Nessuno di noi dell’opposizione conosce la sua voce – commenta il consigliere provinciale del Pd Livio Falcone – quelle poche volte che è venuta in consiglio provinciale non è mai intervenuta. Certo, capisco anche il perché di tante assenze. I suoi impegni principali sono altrove, e in questo momento bisogna stare vicini al premier che sarà triste per le sue imminenti dimissioni…”.

L’ora è grave: ecco la dichiarazione integrale del Presidente Napolitano.


Ecco la dichiarazione integrale del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, resa nota dal Quirinale.
“Di fronte alla pressione dei mercati finanziari sui titoli del debito pubblico italiano, che ha oggi toccato livelli allarmanti, nella mia qualità di Capo dello Stato tengo a chiarire quanto segue, al fine di fugare ogni equivoco o incomprensione:
1) non esiste alcuna incertezza sulla scelta del Presidente del Consiglio on. Silvio Berlusconi di rassegnare le dimissioni del governo da lui presieduto. Tale decisione diverra’ operativa con l’approvazione in Parlamento della legge di stabilità per il 2012;
2) sulla base di accordi tra i Presidenti del Senato e della Camera e i gruppi parlamentari sia di maggioranza sia di opposizione, la legge sarà approvata nel giro di alcuni giorni;
3) si svolgeranno quindi immediatamente e con la massima rapidità le consultazioni da parte del Presidente della Repubblica per dare soluzione alla crisi di governo conseguente alle dimissioni dell’on. Berlusconi;
4) pertanto, entro breve tempo o si formerà un nuovo governo che possa con la fiducia del Parlamento prendere ogni ulteriore necessaria decisione o si scioglierà il Parlamento per dare subito inizio a una campagna elettorale da svolgere entro i tempi più ristretti.
Sono pertanto del tutto infondati i timori che possa determinarsi in Italia un prolungato periodo di inattività governativa e parlamentare, essendo comunque possibile in ogni momento adottare, se necessario, provvedimenti di urgenza”.(Beh, buona giornata).
copiata da fb.

I finiani: “Vigilare sul Caimano”







Il salvacondotto. L’invito arriva dai finiani de Il Futurista. E si condensa in poche parole: “Al Caimano mai lasciare tempo, spazio e soldi. L’esperienza insegna”. Il quotidiano online diretto da Filippo Rossi – e vicino alle posizioni del presidente della Camera – solleva un interrogativo: “Non è che la legge di stabilità in realtà nasconda il compromesso finale, il famoso salvacondotto per Silvio Berlusconi?”. L’ipotesi è quella di un inserimento “di emendamenti ad personam finalizzati a tutelare il patrimonio di Silvio”. Il conflitto d’interessi, ancora una volta. “Bisogna vigilare: Berlusconi sta trattando la sua resa, ovvero la sua personale tutela”.

I metodi del Caimano. Una trattativa in cui Berlusconi “userà, purtroppo, i metodi che è solito usare”. Si legge: “Anche un anno fa quel tempo supplementare che fu concesso dalle opposizioni proprio per votare la legge finanziaria, permise a Berlusconi l’acquisto dei responsabili”. I timori: “Che si possa ripetere lo stesso modulo? Che davvero il presidente del Consiglio arrivi a rimangiarsi le parole pronunciate dinanzi a Giorgio Napolitano? Che stia preparando una trappola, un ultimo gioco di prestigio? Forse”. Poi l’enigma dei mercati: “Aspetteranno sul serio due settimane?”.

Gli appunti di Mister B. - di Andrea Scanzi



Andrea Scanzi


Le dittature terminano spesso in maniera ridicola. Salazar, per dire, cadde dalla sedia dopo aver vessato il Portogallo per decenni.


Non c’è quindi granché di inedito nel livello di ridicolo che tracima da questi titoli di coda (coda?) del berlusconismo. La scena di Stracquadanio che si asserraglia dietro un blindato dei carabinieri, per sfuggire ai cronisti (ai cronisti: non ai contestatori), racconta da sola tutta la mestizia di questi 17 anni vissuti vigliaccamente.


C’è però una sequenza più rilevante. Non sottovalutatela: è il momento in cui Berlusconi capisce che i voti sono stati solo 308.


Fino a quel momento ha esibito una faccia scura, tirata, impietrita. Nulla di nuovo: giusto un despota che soffre. Piacevole come tutti i despoti che soffrono, ma nulla di nuovo.
Andiamo un po’ avanti. C’è Berlusconi che scrive. Non ascolta Bersani che parla (e fa benissimo, beninteso) ma scrive. Sì, ma cosa? Ha appena scoperto che la maggioranza non esiste più, che forse (forse) è finita davvero. E lui che fa? Prende una penna e scarabocchia qualcosa: le ultime volontà, l’elogio del Tadalafil, la nuova canzone di Apicella? No. I fotografi sono stati bravi a scoprirlo.


E’ questo il dato realmente saliente dell’8 novembre 2011: quel biglietto. In quegli appunti schematici, ma significativi, c’è dentro tutta la psiche di Silvio BerlusconiL‘uomo a cui la maggioranza votante degli italiani ha demandato la concretizzazione delle loro più basse abiezioni e pulsioni.


Sono appunti che vanno a capo: ossessivi, compulsivi. Leggiamoli.


La prima riga è quella del livore. “308 (-8 traditori)“. Nella parentesi c’è tutta la virulenza del soggetto, la gravità degli sgherri che (lo) hanno tradito, il “-” algebrico che sancisce la scomunica.


La seconda riga è quella della paura atavica. “Ribaltone“. Anche nel solipsismo più ansiogeno, Berlusconi non si addebita colpe. Sono gli altri che tramano, che complottano: che lo “ribaltano”. Non teme tanto la sconfitta, quanto la defenestrazione (parola di cui ignora il significato ma conosce l’effetto) e l’idea che altri ne occupino il posto. Infatti non scrive: “sconfitta”. Scrive: “ribaltone”. Non è un caso. Non lo è mai.


La terza riga è quella del desiderio. “Voto“. Constatato il fallimento, Berlusconi lo allontana subito. E’ uno spauracchio disfattista che non ha diritto di albergare nella sua mente. Così, immaginando mondi altri, come del resto ha sempre fatto, ipotizza imminenti e ulteriori trionfi elettorali. La Santanché ha detto: “Berlusconi è nato nelle urne e morirà nelle urne” (disgraziatamente non parlava di un desiderio postumo e legittimo di cremazione).  Il despota cade, ma immagina nuove magnifiche sorti e progressive (anche se non le chiamerebbe così).


La quarta riga è quella della farsa. “Prendo atto (rassegno le dimissioni)”. Eccolo, di nuovo, il grande talento di Berlusconi: declinare l’atto dovuto (la dimissione) a farsa (il prendere atto tardivamente). A bluff, a recita. A sceneggiata attraverso cui ritornare protagonisti: Mi dimetto, ma prima faccio approvare qualcosaPrima prendo – guadagno – tempo. Sperando nel frattempo che l’opposizione (eh?) gli abbia nuovamente sgombrato il campo.


La quinta riga è quella della psicanalisi. “Presidente della Repubblica“. Berlusconi, con fare si direbbe autistico, ricorda a se stesso i passi elementari da compiere nelle ore immediatamente successive alla Waterloo. Come lo smemorato di Collegno, rammenta gli atti cardine di un’esistenza. Il bigliettino di appunti, visto con lo sguardo di Freud, ma pure di Jung, ma pure di Crepet, è una elencazione psicotica di banalità. Sarebbe come se una persona, da poco svegliatasi, cercasse un foglio e ci scrivesse: “Respirare”, “Minzionare”, “Bere”, “Mangiare”, “Dormire”. (Manca “macho clacson campana” e poi facciamo il Gioca Jouer).


La sesta riga è quella dell’agnizione. “Una soluzione“. Geniale, a suo modo. “Una soluzione“. Berlusconi è nella polvere, è il cattivo ferito a morte, è lo zombie apparentemente sconfitto per sempre: ciò nonostante, cerca “una soluzione”. Esplicitandone l’esigenza. E’ l’attaccante che non segna, ma quando entra al bar dice agli amici (o presunti tali): “Uè raga, oggi ho fatto 3 gol (e due in rovesciata, cribbio”. E’ l’amatore ipotetico che millanta erezioni monumentali, a uso e consumo di geishe che – distratte – neanche se ne sono accorte. E’ uno scrittore di gialli che, non avendo più vena creativa, scrive malinconicamente in fondo alla pagina bianca: “Il libro deve avere una fine”. E che sia una fine indimenticabile: per lui, non per i lettori.


La lista degli appunti poteva andare avanti ancora. Del tipo. Punto sette: “Telefonare a  Ghedini”. Punto otto: “Esprimere fiducia al Presidente della Repubblica (comunista!)”. Punto nove: “Portare a spasso Bondi”. Punto dieci: “Grattarsi gli zebedei (ma dopo aver lavato le mani)“. Punto undici: “Organizzare un bunga bunga (raccontare la barzelletta della mela, funziona)”. Punto dodici: “La patonza (farla girare)”.


Poteva andare avanti. Oppure, già così, basta e avanza come finale sghembo di una pessima tragicommedia.


Di sicuro manca l’ultimo punto. E’ il monito che ricordano a Massimo Troisi. In Non ci resta che piangere faceva ridere, in mezzo a quelle righe vergate nervosamente sarebbe parso l’unica cosa intelligente: ”Ricordati che devi morire (sì sì, mo’ me lo segno)“.


Ps: A chi mi farà notare che sono questi i giorni della liberazione e della gioia, rispondo – pur provando un vago accenno di giubilo – che Mister Wolf, in quella nota massima di Pulp Fiction, resta oltremodo attuale.





http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/09/appunti-mister/169357/

Le dimissioni si danno, non si promettono.




Rotondi va in tondo e non risponde alle domande sui contenuti della legge di stabilità. Naturalmente, nonostante le dimissioni annunciate alle quali sempre in meno crediamo, propone già Alfano al governo con la supervisione di Berlusconi.

Cambierebbe il nome del premier, come in Russia con Putin e Medvedev, ma la regia resterebbe la stessa. 

Del resto era prevedibile che B. non avrebbe mollato, ed è altrettanto evidente che il suo scopo non è quello di sacrificarsi per il bene del paese, ma solo voler prendere tempo per escogitare qualche espediente che lo salvaguardi dai processi che si tira addosso per mancanza totale di morale ed etica.

Che l'Europa non creda nelle sue capacità governative è risaputo, che non creda nelle sue dimissioni lo dimostra il fatto che il differenziale con i bund è oggi al 5.66%, record storico.

Ciò che fa maggiormente rabbia è che vogliano far credere che la colpa di quanto sta accadendo non sia da attribuire a B. che ha rassegnato, anche se solo "prossime-future", le dimissioni. 

Il mercato voleva le dimissioni subito ed una cambio di governo, cosa che non è avvenuta.
Mentono sapendo di mentire o pensano che noi non siamo in grado di capire e leggere tra le righe.

Come se al governo non ci fossero "loro" dal 2008, come se non fosse notorio a tutti che la crisi è stata sottovalutata, ignorata dalla loro dabbenaggine ed incompetenza.

Per quanto tempo ancora e quanto ci costerà lo stallo in cui ci ha sprofondato un gruppetto sparuto di incoscienti, incompetenti, corrotti, e chi più ne ha più ne metta, al soldo di un cafone privo di ogni morale, etica e coscienza?

By cettina de giosa