sabato 31 marzo 2012

Vittorio Corradino - Giornalista



Conosco Vittorio da una vita, di lui mi fido ciecamente.



E Mediaset disse a Fede: “Bocca cucita su B.”



Il Biscione propose all'ex direttore del Tg4 un accordo di buonauscita che non è andato a buon fine: silenzio sulle vicende dell'ex presidente del Consiglio. Bunga bunga compreso.


L'ex direttore del Tg4 Emilio Fede
C’era pure una clausola di riservatezza tutta particolare nell’accordo saltato tra Mediaset ed Emilio Fede. L’ormai ex direttore del Tg4 avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa non solo sui particolari dell’organizzazione e dei bilanci del gruppo del Biscione. Ma anche su informazioni di “qualsiasi altro genere” riguardanti gli azionisti della società. Berlusconi compreso, quindi. Il segreto più assoluto sarebbe calato persino sulle serate di Arcore a base di bunga bunga. Quelle al centro dei due processi Ruby che hanno come imputati – in dibattimenti distinti – sia il Cavaliere che il giornalista. Vicende giudiziarie che si aggiungono all’inchiesta in cui Fede è indagato per concorso in bancarotta fraudolenta dalla Procura di Milano, che proprio ieri gli ha inoltrato un invito a comparire: i magistrati lunedì cercheranno di capire se il suo presunto viaggio a Lugano è stato fatto per depositare denaro sottratto alla LM Management, la società di Lele Mora dichiarata fallita.

L’ACCORDO tra Fede e RTI, società del gruppo Mediaset, era quasi pronto. Per la buonuscita si è parlato di cifre tra i 5 e i 10 milioni di euro. Somme non confermate, che non erano ancora state inserite nella bozza d’intesa di cui il Fatto Quotidiano è venuto in possesso. Nel documento, che risale a metà febbraio, a parte i soldi, sono già chiari tutti gli altri aspetti. La data di cessazione del rapporto di lavoro: quel 30 giugno 2012 messo nero su bianco, mentre Fede avrebbe voluto spostarla più in là. E la clausola di riservatezza: “Il giornalista non divulgherà né rivelerà ad alcuno qualunque rilevante informazione produttiva, organizzativa, finanziaria, fiscale o economica relativa al datore di lavoro”. E fin qui niente di strano. Segue però l’impegno a non divulgare “ogni altra informazione riservata o privata relativa agli affari o alle attività giornalistiche, editoriali o di qualsiasi altro genere” riguardante il gruppo Mediaset. E i suoi “azionisti”, tra cui c’è pure il Cavaliere. Tre parole (“qualsiasi altro genere”) per blindare ogni “segreto”: così vengono definiti nella bozza dati e informazioni da non diffondere. Chissà se Fede ne avrebbe tenuto conto davanti ai pm che lo accusano di favoreggiamento e induzione alla prostituzione per le feste a villa San Martino. Del resto, da imputato, non rischia conseguenze penali se non dice la verità.

Anche alle vicende giudiziarie si faceva riferimento nell’accordo: il giornalista “si impegna espressamente a non trattare personalmente in video sino alla data di cessazione nel corso del Tg4 vicende connesse a procedimenti penali che lo riguardino direttamente o indirettamente”. E connesse “a vicende personali comunque collegate o collegabili con società del gruppo Mediaset o relativi rappresentanti”. Davanti alle telecamere del Tg4, quindi, nessuna parola sui guai giudiziari del Cavaliere. Ne avevano facoltà solo gli altri giornalisti del tg. Sbigottiti per la cacciata. Ieri, con una nota, hanno giudicato negativamente la chiusura della rubrica di spettacolo Sipario, la prima decisione del loro nuovo direttore Giovanni Toti. Che ha mandato via la conduttrice, la favorita di Fede, Raffaella Zardo.

QUELLO VECCHIO l’hanno mandato via prima che firmasse l’accordo, con una nota che ha fatto riferimento alla trattativa “non approdata a buon fine”. È finita diversamente da quanto previsto: la notizia della risoluzione del rapporto di lavoro, secondo la bozza d’intesa, doveva essere data con un comunicato stampa concordato tra le parti. Blindatissime le informazioni da divulgare sulla trattativa: ogni ulteriore dichiarazione avrebbe dovuto essere coerente con il comunicato stampa e le parti si sarebbero impegnate a “precisare o smentire ogni diversa ricostruzione che dovesse essere diffusa da qualsiasi mezzo o fonte”. L’accordo hanno provato a farglielo firmare qualche giorno prima che la storia della valigetta con i 2,5 milioni di euro facesse precipitare la situazione, fino al licenziamento. Era già definito anche il futuro ruolo che Fede avrebbe avuto all’interno del gruppo: direttore editoriale informazione a partire dall’ 1 luglio 2012 per tre anni, più un’opzione a favore di Rti per il rinnovo di altri due. E, in più, “la conduzione di un programma di approfondimento giornalistico, simile e analogo a Password”.

Ma Fede ha tirato troppo la corda. In passato appassionato di gioco d’azzardo, ha rilanciato un’altra volta. “Sono stato capriccioso, testardo”, ha ammesso. Consapevole che ora gli resta un’ultima trattativa da affrontare, perché la sua uscita da Mediaset sia davvero un arrivederci e non un addio. Anche per questo, forse, ha preso tempo con i pm. Fede ha chiesto di essere ascoltato e si presenterà dai magistrati lunedì. I pm erano pronti a interrogarlo già ieri, ma i suoi legali hanno chiesto un rinvio. L’ex direttore avrà ancora un weekend. Per giocare tutte le sue carte.

venerdì 30 marzo 2012

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 3

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 2

Ficarra e Picone - Il ponte di messina parte 1

ESM e Fondo Salvastati il doppiogioco della Merkel (Lidia Undiemi)

LA PISTA DEGLI UFO-Marco Travaglio-Il Fatto Q.-30/03/12





Le ultime autodifese di Lusi e Fede segnano una nuova svolta nell’inesauribile repertorio di alibi dei Vip coinvolti negli scandali. Fermo restando che a nessuno passa mai per la testa di dire “sono innocente, quella cosa non l’ho fatta, non è mai esistita”, ecco un breve prontuario di alibi  prêt-à-por ter.


Così fan tutti. Un classico, già sperimentato con insuccesso da Craxi, Mastella e vari epigoni e i cascami di Prima Repubblica, ma anche da Moggi, ma ancora molto in voga per il suo innegabile fascino. 
Funziona così: se ti accusano di un reato, tu non dire mai “non c’entro ”, tanto non ci crede nessuno: di’ che lo fanno anche gli altri. Dunque, se lo fanno in tanti, non è
reato .


A prescindere. È la linea B.. Mai entrare nel merito delle accuse né dei fatti accertati, ma spostare l’attenzione altrove: sull’orario dell’indagine, del processo, della requisitoria, della sentenza (sempre “a orologeria”); o sulle presunte idee o intenzioni o patologie del magistrato (comunista, giustizialista, matto, golpista). Alla peggio si rivendica il diritto di esser “giudicato dai miei pari” (che non esistono), o dopo la cessazione dalle cariche (campa cavallo), o
previa autorizzazione delle Camere (cioè mai), o meglio a non essere giudicati, punto. “Sono un cittadino più uguale degli altri perché ho avuto i voti”  B.), “il premier non è primus inter pares, ma super pares ” (Pecorella), “le annotazioni del premier impongono l’immediata assoluzione” (Bonaiuti), “Io so’ io e voi nun siete un cazzo” (marchese Onofrio del Grillo).


Modica quantità. È la linea Romiti, che tentò di farsi assolvere perché i fondi neri sottratti ai bilanci della sua Fiat – 100 miliardi di lire o giù di lì – erano “irrilevanti” sui risultati di esercizio. Naturalmente fu condannato lo stesso, ma la sentenza fu poi revocata grazie alla legge B. che introdusse la modica quantità per i falsi in bilancio come per la droga: uso personale.


Eccessiva quantità. È la linea Bertolaso che, accusato di avere preso 50 mila euro da  Anemone, dichiarò al Corriere: “Ma le pare che uno del mio livello si fa comprare per 50 mila euro?”. Non è sbagliata l’accusa, ma la tariffa. 
Anche Pomicino, accusato per 3,5 miliardi di lire da Montedison, corresse Di Pietro, piccato: “Prego, dottore, i miliardi erano 5,5”. Guai a passare per un pezzente che si vende per un piatto di lenticchie. 
Previti, beccato a inquinare le prove di Imi-Sir, si salvò dall’arresto alla Camera non per il fumus  persecutionis, ma per l’arrostus delinquentonis: le prove a carico erano così tante e
gravi che lui, anche volendo, non poteva inquinarle tutte. 
Stessa tecnica usa Dell’Utri, che fa amicizia con tutti i criminali che incontra, si fa intercettare, filmare e fotografare con loro, s’infila in ogni scandalo, compra all’asta i volantini Br, dice che la mafia non esiste. Tutto per poter poi dire, come l’avvocato interpretato da Alberto Sordi: “Il mio cliente ha la faccia da ladro. Ma nessuno, con la sua faccia da ladro, farebbe mai il ladro. Per rubare ci vuole la faccia onesta. Chiedo pertanto l’assoluzione perché la faccia non costituisce reato”. Nel film il cliente di Sordi finisce in galera. In Cassazione Dell’Utri trova un Pg e 5 giudici col “ragionevole dubbio”.


A mia insaputa. Inventato da Scajola per la casa pagatagli da Anemone senza dirgli niente, l’alibi è tosto dilagato da B. (credevo che Ruby fosse la nipote di Mubarak) a Malinconico (ferie pagate dalla cricca a sua insaputa), da Minzolini (usava la carta di credito Rai per cazzi suoi, ma pensava si potesse) a Rutelli (Lusi rubava all’insaputa della Margherita). 
Cioè: non sono un delinquente, sono un idiota. 


Al posto mio. Ed ecco l’ultima, decisiva svolta. 
Lusi, beccato a spendere e spandere milioni tra hotel e ristoranti con la carta di credito della Margherita: “Qualcuno l’ha strisciata al posto mio”. Fede beccato in Svizzera mentre tenta di esportare 2,5 milioni in contanti in una valigetta: “Qualcuno è andato in Svizzera al posto mio per incastrarmi”. 


Prossima mossa: gli Ufo.


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giovedì 29 marzo 2012

Vogliono peggiorare il Porcellum. - di Paolo Flores d'Arcais




Il diavolo sta nei dettagli, e dunque non è detto che una nuova legge elettorale veda la luce in tempo per le prossime politiche. Ma intanto si sono messi d’accordo sulle linee fondamentali, e chiamarlo “inciucio” è perfino riduttivo. Bersani, Casini e – absit iniura verbis – Alfano esibivano l’aria palesemente e giustamente soddisfatta del gatto col sorcio in bocca. Peccato che la loro preda siano in questo caso gli elettori, una volta di più “cornuti e mazziati”. Perché sembrava impossibile, dopo la “Porcata” di calderoliana memoria, confermare il detto popolare che “al peggio non c’è mai fine”, e invece la nostra “banda dei tre” sembra intenzionata a riuscirci. Il modello elettorale delineato riesce a mettere insieme, in fatto di scippo ed espropriazione della volontà dei cittadini, il meglio (cioè il peggio) dei diversi sistemi esistenti. 

Non è chiaro se i collegi elettorali (di ridotte dimensioni) saranno uninominali o meno. Se sì, col turno unico si fanno fuori d’emblée tutti i partiti tranne i due (o tre) più forti, e si sopprime nella culla ogni possibilità di nascita per forze nuove che vengano dalla società civile. Se saranno collegi che eleggono con il metodo D’Hondt 5-7 deputati, il meccanismo cancellerà di fatto liste che non prendano il 10 per cento o anche più. Inoltre, l’obbligo di indicare un candidato premier manterrà la personalizzazione della campagna elettorale, ma la mancanza di ogni vincolo di coalizione consentirà ai gerarchi dei (tre) partiti maggiori di decidere le alleanze dopo le elezioni, secondo opportunità e alla faccia delle promesse agli elettori. Che ovviamente continueranno a contare zero nella scelta dei candidati, e avranno la solita libera alternativa: “O questa minestra o saltare dalla finestra”.


L’aspetto più nauseabondo di questo patto monopolistico della “banda dei tre” è che le formule per consentire insieme sia un’ampia scelta agli elettori (il famoso “riavvicinamento” tra elettori ed eletti, che a ciance tutti predicano e spergiurano) sia la stabilità di governo per l’intera legislatura, ci sono, sono più d’una (sia di stampo proporzionale che maggioritario), sono ben note e sono facili da introdurre. Hanno il solo difetto che toglierebbero agli attuali cacicchi delle tre forze principali l’abnorme potere del Minosse dantesco che “giudica e manda secondo ch’avvinghia”: fare e disfare a proprio piacimento e nella certezza dell’inamovibilità (che poi è anche garanzia di impunità).


Se si sceglie il versante proporzionale, per la stabilità dei governi non c’è necessità di sbarramenti, basta la sfiducia costruttiva e il rischio che in caso di dimissioni senza alternativa il Parlamento va a casa. Il difetto resta però la scarsa rappresentatività dei partiti-macchina, grandi o piccoli che siano. C’è allora un sistema maggioritario che consente di soddisfare a tutte le virtuose richieste sia di rappresentatività che di stabilità: il maggioritario a doppio turno con primarie vincolanti, cioè incorporate nel sistema stesso. Tecnicamente se ne possono dare alcune varianti, la sostanza non muta: fin dal primo turno il cittadino si trova a scegliere fra coalizioni (dunque nessun opportunismo post-elettorale con gran tripudio di voltagabbana), ma lo fa votando uno dei molteplici candidati della coalizione, che saranno i candidati dei singoli partiti, ma anche degli outsider senza partito che abbiano raccolto un numero sufficiente di firme (l’obbligo di raccogliere tot firme dovrebbe valere anche per i candidati sponsorizzati dai partiti, sia chiaro: niente privilegi).


Facciamo un esempio: nella mia circoscrizione per il centrosinistra il Pd candida Bersani, il Sel Vendola, l’Idv Di Pietro, ma per fortuna un gruppo di cittadini con una petizione di grande esito costringe a candidarsi anche Andrea Camilleri, mentre dei “fighetti” rampichini raccolgono firme per Renzi. Finalmente potrei votare senza turarmi il naso, e con me una parte cospicua di quel 45 per cento di elettori che oggi dichiarano esplicitamente che – sic stantibus rebus – a votare non ci andranno più. Al secondo turno passerebbero le due coalizioni più votate, e per ciascuna di esse il più votato all’interno della coalizione.

 
Dato il carattere uninominale del voto, sarebbe altissima la probabilità che in Parlamento una delle coalizioni abbia la maggioranza assoluta. La stabilità del governo potrebbe essere rafforzata dalla clausola della sfiducia costruttiva, ma tale stabilità avverrebbe restituendo potere ai cittadini, non concentrandolo nelle mani di tre leader e dei loro amici e amici degli amici. Sia chiaro, una legge elettorale non produce miracoli. Se non si combatte l’illegalità, la prevaricazione di classe, il crescere a dismisura della diseguaglianza, anche con le primarie a vincere potranno essere i Toni Mafioso e Toni Corrotto di Ascanio Celestini. Un rinnovamento radicale, insomma, può essere figlio solo di tante lotte che mobilitino la società civile in tutti gli ambiti essenziali della vita pubblica.


Ma mentre la proposta di “riforma” elettorale della “banda dei tre” non farebbe che rafforzare il circolo vizioso di monopolio partitocratico – disaffezione dei cittadini – monopolio ancora più corrotto, una legge elettorale che garantisca l’irruzione permanente della società civile nella vita politica fin già dalla scelta dei candidati, aprirebbe degli spazi di rinnovamento e dunque anche di moralizzazione. Che la riduzione radicale dei parlamentari, il limite a due mandati, e altre misure di cui tante volte abbiamo parlato, amplificherebbero ancora.




http://temi.repubblica.it/micromega-online/vogliono-peggiorare-il-porcellum/

In serie A 2,6 miliardi di debiti



Solo 19 i club in attivo tra i professionisti. Il ministro Gnudi: numeri da fallimento.

Roma, 29 mar - Una fotografia impietosa che immortala la voragine del calcio italiano, con l'indebitamento della serie A salito fino a quota 2,6 miliardi di euro nel 2010-2011. Crescono i debiti, aumentano le perdite e cala soprattutto il valore della produzione. Colpa non solo dei trofei che non arrivano, ma soprattutto di un modello di business non piu' sostenibile perche' basato quasi esclusivamente sugli introiti dei diritti tv, che in serie A rappresentano il 55% dei ricavi di esercizio.    

A scattare l'inquietante istantanea sul pallone professionistico italiano e' il "report calcio 2012", presentato nella sede dell'ABI dal centro studi della FIGC, Arel e Pricewaterhousecoopers, con numeri inequivocabili: l'indebitamento complessivo della serie A nel 2010-2011 e' salito del 14%, 2,6 miliardi di euro contro i 2,3 miliardi della stagione precedente.       

Dura l'analisi del ministro dello sport e turismo, Piero Gnudi, che ha parlato di un sistema al collasso, con numeri da fallimento. "Io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di societa' prossime al fallimento. La crisi e' ancora lunga e sara' difficile trovare dei mecenati che investano nel calcio. Si rischia di non avere societa' in grado di iscriversi ai campionati". Lo scorso anno le perdite sono cresciute del 23% a 428 milioni di euro, un risultato che coinvolge tutte le leghe: tra i 107 club analizzati (su 127) solo 19 hanno chiuso i bilanci in utile: 8 in A ( Napoli, Udinese, Lazio, Parma, Catania e Palermo, piu' le retrocesse Bari e Brescia), 7 in B, 4 in Lega Pro. D'altronde il valore della produzione e' calato ancora a 2,5 miliardi (-1,2%): un miliardo arriva dai diritti tv della sola serie A che genera l'82% dei ricavi. La serie B pesa per il 14% (era l'11%) e la Lega Pro il 4% (era il 5%). Il costo della produzione e' pari, invece, a 2,9 miliardi di euro, in aumento dell'1,5% rispetto alla stagione precedente.       

La crisi colpisce anche i presidenti delle squadre di calcio che hanno dato una stretta, timida, ai costi. Nel 2010-2011, infatti, il trend di crescita e' rallentato molto se confrontato con il +6,8% registrato nel 2009-2010 il +6,4% del 2008-2009. Sul fronte fiscale, nel 2009, il calcio italiano ha contribuito allo stato con un miliardo di euro: l'85% (875 milioni) deriva dal contributo fiscale e previdenziale delle societa', mentre i rimanenti 155 milioni sono relativi al gettito erariale derivante dalle scommesse. Con lo strapotere delle televisioni, ma anche a causa dello stato in cui si trova l'impiantistica italiana da oltre 20 anni, il numero complessivo dei tifosi allo stadio e' calato del 4% a quota 13,3 milioni. E cosi' lo scorso anno gli stadi della serie A sono stati riempiti solo al 56%, e la biglietteria ha pesato solo il 10% del totale del valore della produzione dei club. I club stanno spingendo per una nuova normativa in tema di impianti: "che sia una priorita' per il calcio e' indiscutibile - ha aggiunto Gnudi -. sono convinto che si debba andare avanti, anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati, utili alla crescita del paese. C'e' bisogno, pero', che finisca questa crisi, altrimenti anche con la nuova legge, sara' difficile trovare degli investitori".      

Una necessita' condivisa dal presidente della FIGC, Giancarlo Abete: "speriamo che ci sia grande attenzione delle istituzioni per salvaguardare il patrimonio del calcio italiano - ha auspicato -. La legge sugli stadi e' ferma, ma noi dobbiamo restare lucidi, anche perche' l'Uefa ha riaperto le dichiarazioni di interesse per euro 2020, e, se restiamo cosi', noi non giocheremo nemmeno la partita". Il numero 1 del coni, Gianni Petrucci, ha invitato i club a non piangersi addosso. "Ad eccezione dello Juventus Stadium, finora ho visto solo plastici straordinari. Se ci si potesse giocare, sarebbe meglio che al Camp Nou. Mi auguro che ci sia presto un passo avanti, anche perche' non capisco cosa ci sia di cosi' impossibile nell'approvazione della legge".

Regione Sicilia: dal Pd a Fli la giunta “antimafia” terremotata dal caso Lombardo. - di Giuseppe Pipitone



L'imputazione coatta del presidente per concorso esterno mette in imbarazzo la maggioranza appoggiata da diversi esponenti di primo piano nella battaglia contro Cosa nostra, come Beppe Lumia e Fabio Granata. Tra l'ironia del Pdl e le sferzate della sinistra. Il parlamentare democratico: "Toglieremo il sostegno in caso di rinvio a giudizio".

Il parlamentare del Pd Giuseppe Lumia
Una bomba. Così viene definita nei corridoi di Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana, la notizia dell’imputazione coatta di Raffaele Lombardo per concorso esterno a Cosa Nostra e voto di scambio aggravato. Un’accusa pesantissima che è piombata come un fulmine a ciel sereno sulla testa del presidente siciliano, esponente dell’Mpa, e che adesso mette in pesante difficoltà i suoi alleati di governo, soprattutto quelli che hanno fatto della lotta alla mafia la bandiera della loro azione politica.

Il ruolo più scomodo tocca probabilmente al senatore Beppe Lumia, già presidente della Commissione parlamentare antimafia e da sempre in prima linea contro Cosa Nostra. Insieme ad Antonello Cracolici, capogruppo democratico all’Ars, è il regista dell’accordo Pd-Mpa: un accordo problematico che nei mesi scorsi aveva scatenato una vera e propria faida tutta interna ai democratici, cominciata con la mozione di sfiducia per il segretario regionale Giuseppe Lupo e culminata nell’implosione del centrosinistra alle primarie palermitane.

“Alla fine ognuno di noi si farà un’idea su Lombardo – aveva detto Lumia pochi giorni fa – Se emergeranno elementi negativi personalmente sarò in testa sulla severità nel giudizio. Ho sempre sostenuto che i contatti, se sono consapevoli, vanno puniti politicamente”. Adesso Lumia si trova a coniugare la sua personale storia di lotta alla mafia con l’appoggio diretto ad un presidente che da Cosa Nostra avrebbe preso voti e finanziamenti. Una posizione scomoda che durerà almeno fino alla prima udienza preliminare. Dopo la riunione straordinaria di maggioranza infatti Cracolici ha cercato di prendere tempo: “Toccherà a un altro giudice pronunciarsi sull’eventuale rinvio a giudizio. Poi di fronte a un rinvio a giudizio per fatti di mafia, interromperemo il sostegno al governo. Ma, ripeto, ci toccherà vedere ancora altre puntate prima che la telenovela finisca”.

Un’istantanea sull’inedita posizione del duo Lumia-Cracolici la regala Orazio Licandro: ”La coperta finora usata da un pezzo del Pd siciliano per coprire questa scandalosa alleanza politica si riduce a meno di un fazzoletto – commenta l’esponente del Pdci – La nouvelle vague antimafia dovrebbe moderare l’arroganza che l’ha contrassegnata negli ultimi tempi”.

Inedita e difficile anche la posizione di Futuro e Libertà. “Il giorno in cui dovesse arrivare una richiesta di rinvio a giudizio per Lombardo, Fli ripenserà all’appoggio che finora gli ha concesso”, aveva annunciato il deputato finiano Fabio Granata, anche lui componente della Commissione antimafia e particolarmente attivo nelle battaglie contro Cosa Nostra. Adesso, dopo la decisione del gip Luigi Barone, la richiesta di rinvio a giudizio per Lombardo è automatica. Anche i finiani però hanno deciso di aspettare che il rinvio si concretizzi: “Conosciamo Raffaele Lombardo e sappiamo che si comporterà anche in questa circostanza con correttezza e coerenza rispetto alla complessa vicenda giudiziaria che lo riguarda, se e quando dovesse perfezionarsi il rinvio a giudizio”.

Un mezzo passo indietro rispetto a quanto annunciato nei giorni scorsi che ha prestato il fianco alle critiche dell’opposizione. “Ho sempre avuto dubbi sullo sbandierato rigore politico di personaggi come Antonello Cracolici, Beppe Lumia, Carmelo Briguglio e Fabio Granata” è l’affondo di Rudy Maira, capogruppo del Pid all’Ars. I partiti dell’opposizione sono andati all’attacco anche di Massimo Russo e Caterina Chinnici, ex magistrati ora assessori di Lombardo:  “Certo, siamo pensierosi della difficile posizione dei magistrati e degli ex prefetti che sono in Giunta di Governo – scrivono in una nota i capigruppo di Pdl, Pid e Udc – A loro non piace respirare aria più pura. Tra le verità di Lombardo e quelle dei loro colleghi magistrati, scelgono in anticipo. Per pregiudizio, anch’esso coatto”.

Adesso per la sopravvivenza del governo regionale diventa dunque fondamentale l’udienza preliminare, che Lombardo spera “sia convocata al più presto possibile”. Il governatore neoimputato per mafia ha respinto con forza l’ipotesi delle dimissioni, anche nella peggiore delle ipotesi, appunto il rinvio a giudizio. “La peggiore delle ipotesi non esiste – ha detto a caldo Lombardo – quello che esiste è la verità. E io su questa vicenda scriverò un memoriale. Con franchezza non mi aspettavo questa decisione del gip, così come non se l’aspettava nessuno. Forse solo qualcuno”. Qualcuno chi? “Qualcuno” ha ribadito sornione.