martedì 3 aprile 2012

Corsa in moto. Corsa in bici. - by Dory




Raffiche di vento violento gli solcano i capelli e il volto. I muscoli del viso sono in balia del vento come le onde in un mare in burrasca. Anche le labbra sembrano non stare nemmeno al loro posto.
Non ha preso il casco e neppure i documenti. All’alba era stato preso da un impeto di fuga ed era corso via dal suo monolocale. La sua CBR 900 miracolosamente aveva il pieno, chissà come mai non era a secco come sempre.
Forse perché quella settimana non era uscito a far baldorie per  locali notturni con il solito gruppo di amici. Oppure perché non era andato nè in pizzeria nè al Cine con Vittoria dopo che lei gli aveva restituito l’anello.
“Ho bisogno di una pausa di riflessione” gli aveva detto; ma si sa, quando le donne dicono quella combinazione di parole è perché non vogliono più vederti.
Se solo si fosse morso la lingua quando il responsabile del Call Center lo aveva richiamato.
E invece no, Massimo doveva dire sempre la sua, non se ne teneva neppure una, a torto o a ragione. Sua madre diceva che era l’irruenza dei suoi ventidue anni
Adesso scorazzava per la statale 129 come chi non aveva più nulla, più nulla da perdere. Il contratto d’affitto scaduto e tre mensilità da pagare, ma come faceva a pagare adesso che non aveva più un lavoro?
Andare da sua madre, neppure a parlarne, un’umiliazione troppo grande. Vittoria lo aveva mollato. Gli amici del giro se non hai soldi da spendere non ti vengono a cercare, e allora?
Allora corri Massimo, corri! Come diceva suo padre, quando da bambino gli insegnava ad andare in bicicletta. Corri Massimo, corri!
Per andare dove? Non aveva nessuno che l’aspettava in quel monolocale ammuffito e impolverato. Nessuno che lo pensasse, tranne l’anziana madre nelle sue preghiere.
E se girasse ancora quella manopola? Se superasse i 190 chilometri orari? Magari tirando dritto alla prossima curva? Se fosse stato così semplice farla finita alla sua età?

Da lontano i lampeggianti della Polizia stradale. Che fare, fermarsi così come uno scemo?
Senza neppure il brivido di fargliela sudare, a quei bastardi, quella sospensione della sua potente? Così Massimo sfreccia veloce davanti la pattuglia, quasi a sbeffeggiare quegli uomini in divisa.
Ma l’inseguimento non durerà all’infinito, lo sa bene. Un casello, o un posto di blocco alla fine lo fermeranno. E allora che fare?
Forse è meglio cominciare a decelerare e prendere atto di quelle infrazioni. Oppure di qualche reato.
Adesso il gas è sceso al minimo, la moto quasi ferma. Appoggia il piede terra e allunga il cavalletto e attende.
Sono attimi infiniti quelli prima dell’arrivo degli agenti che lo perquisiscono.
“Favorisca patente e libretto” Non ce li ha e non ha nulla con se, neppure i documenti.
Allora cominciano a contestargli innumerevoli infrazioni tra le quali: eccesso di velocità, mancato rispetto dell’ALT, fuga, guida senza casco, guida senza patente, per fortuna è pulito all’etilometro.
“Sospensione della patente per sei mesi, 2.500 euro di multa e sequestro del mezzo”
“No! Sequestro del mezzo no!” Implora con voce compassionevole e aggiunge “ Vi prego non rovinatemi, mi è rimasta solo Lei” riferendosi alla moto come se fosse una persona.
“Sei mesi di servizio civile, sennò ti fai pure il fine settimana in guardiola in se fiati ancora, e la moto te la lasciamo”
“Va bene il servizio civile, va bene!”

La casa famiglia alla quale è assegnato Massimo pullula di ragazze madri, ragazzi e bambini.
Tutti i giorni dalle otto del mattino alle sedici deve presentarsi al responsabile, firmare e svolgere le mansioni indicate.
Alla fine pensa che non è così brutto. Di tanto in tanto porta con se un pallone e fa giocare delle partite di calcetto a quei bambini. Comincia a prenderci gusto e si da il titolo di “allenatore”
Prima d’ogni partita fa correre i bambini sempre attorno al cortile e gli fa fare un po’ di ginnastica, perché come gli spiega  “Ci vuole l’allenamento prima di ogni partita”
Quei ragazzini dai 5 ai 13 anni lo ascoltano, ne hanno fatto il loro leader e si divertono tantissimo.
Ma c’è ne sempre uno isolato che non riesce a coinvolgere.
Una mattina Massimo arriva più presto del solito, ha un fischietto e nomina il più grande dei ragazzi suo vice allenatore. Gli da direttive in merito agli allenamenti e alla partita che come al solido dovranno giocare.
Poi si dirige verso quell’angolo del cortile dove quella vecchia panca arrugginita sembra la casa del bambino che non vuole mai giocare.
E’ un bimbo alto e magro dai capelli rossi, dall’età indecifrabile, forse otto o nove anni.
Massimo gli si avvicina con decisione nel tentativo di invogliarlo e scuoterlo e con voce autoritaria gli dice:
“Ehi tu, sono l’allenatore. Come mai non ti presenti mai agli allenamenti?”
Il bambino alza il capo che di solito tiene reclinato e mostra il suo viso a Massimo, poi gli dice serio: “Io non posso giocare”
“Perché?” Risponde Massimo non comprendendo ancora la gravità della cosa.
“Non si vede?” Dice in ultimo il ragazzino piantando il suo viso in direzione della voce di Massimo.
E’ cieco e Massimo in tutto quel tempo non l’aveva capito. Poi gli dice:
“Come ti chiami?”
“Gano. Come uno dei paladini di Francia, il più cattivo!”
“E la sai tutta la storia?”
“Certo che la so, mia madre me ne racconta un pezzetto ogni sera”
Massimo si siede sulla panchina gli mette la mano sulla spalla e dice:
“Io sono Massimo l’allenatore dei tuoi compagni”
Il bambino sorride e  risponde:
“Tu sei Massimo e sei uno che sta scontando il servizio civile qui alla Casa Arcobaleno, sennò finivi in prigione”
Il bambino è furbo e non si lascia imbrogliare facilmente:
“Ma quante cose che sai, allora me la racconti la storia di Gano?
Il bambino attacca a narrare come se stesse ripetendo una poesia:
“Gano era il padre adottivo di Orlando
perchè aveva sposato Berta
 la figlia di Carlo Magno.
Ma Gano pur essendo un paladino del re
Tradisce il suo regno facendo la spia con i Saraceni.
Gano spiffera ai Saraceni come devono fare
Per cogliere di sorpresa l‘esercito francese che,
Tornando dalla Spagna deve passare per una
Stretta gola: Roncisvalle”.

Da lontano si sente un boato incredibile. Una delle due squadre ha segnato l’ennesimo goal e sta per battere la squadra avversaria. E’ necessaria la presenza dell’allenatore e il gioco viene per un momento interrotto nell’attesa che Massimo li raggiunga.
“Gano, se torno domani, me la finisci di raccontare la storia?”
“Certo! E in cambio tu che mi dai?”
Massimo è disorientato. Cosa poteva dare a quel bambino cieco? Lui non aveva dato mai niente a nessuno. Adesso faceva l’allenatore per quei ragazzini, ma era  per ammazzare il tempo in quelle ore interminabili del servizio civile.
Poi gli viene un’idea. Una cosa che avrebbe fatto piacere a Gano e che infondo, faceva sentir bene anche a lui.
“Domani vedrai” E lo salutò lisciandogli i capelli.
“Dicono tutti cosìi!” Gli strillò dietro gano, mentre rideva.

In serata Massimo corre a casa dalla madre e la prega di dargli le chiavi della cantina perché deve andare a cercare una cosa.
Nella cantina impolverata Massimo cerca la sua vecchia bicicletta, quella con la quale il padre tanti anni prima gli aveva insegnato ad andare in bici.
Eccola lì, la sua bicicletta rosso ferrari. L’ha trovata ed è felice. Gli passa uno straccetto sopra e il rosso ferrari riprese il suo solito splendore.

Il giorno seguente Massimo si reca alla Casa Arcobaleno animato da un nuovo spirito e da buone intenzioni. Quella bicicletta gli ricordava suo padre e a suo padre aveva sempre voluto un bene infinito.
Adesso si siede  sulla panchina vicino Gano e lo saluta:
 “Ciao!”
“Mi ha portato qualcosa?”
“Certo che ti ho portato qualcosa, aspetto la fine della storia però”
Gano attaccò:
“L’esercito francese stava ritornando dalla Spagna.
Era guidato proprio da Orlando, figlio acquisito di Gano di Maganza.
Orlando e il suo esercito è attaccato dai Saraceni.
Orlando dovrebbe chiedere aiuto suonando l’Olifante, che è un corno, ma non lo fa.
Così muoiono tutti.
Ma muore pure Gano perché è un traditore. E’ squartato vivo e i suoi pezzi sono bruciati e sparsi al vento”
“Mii che finale da film dell’orrore” sorride Massimo.
“Questo racconto insegna che non bisogna mai tradire la fiducia. Allora cosa hai portato?” Conclude il bambino con voce decisa.
Massimo gli prende la mano e lo fa alzare e gli fa fare due passi in direzione della bicicletta. Il bambino allunga le mani e si trova tra le mani il sellino. Poi la comincia a toccare tutta. Segue la curvatura del robusto manubrio, né tocca le ruote gonfie e alla fine esclama:
“Una bicicletta, bellissima! Non ne ho mai avuto una!
“E’ rossa fiammante” esplode Massimo euforico.
“ Com’è il rosso, com’è?
 Massimo si è messo proprio in un bel pasticcio, e adesso come glielo spiega il rosso?
Ad un tratto si fruga nelle tasche e trova il suo accendino:
“Dammi la mano che ti faccio sentire com’è il rosso”
Prende la mano del bambino e gli accosta lentamente la fiamma fin tanto che il bambino non la ritrae velocemente cacciando un urlo:
“Ahi! Ma che fai mi bruci?”
“Questo è il rosso, è come il fuoco! E adesso monta su”
“Ma io non ci so andare, ho paura di cadere”
“Ti fidi di me? Ti guido io! Se ti tradisco pago il pegno. Va bene?”
Il bambino, monta in sella titubante. A quell’ora del mattino il cortile è deserto ed è abbastanza grande da girarci con la bici.
Massimo  sorregge Gano da dietro e non lo molla. Il bambino ride contento e segue le direttive: ora gira a destra ora gira a sinistra.
Finché dopo un po’, Massimo, si sente sicuro di lasciarlo. Adesso gli corre vicino e gli dice:
“A destra, a destra, a sinistra , tutto a sinistra!
Il bambino corre a più non posso, si sente libero come non lo è mai stato in vita sua. Si sente sicuro perché Massimo gli corre a fianco senza lasciarlo un istante.
Corrono per almeno un’ora, Gano con la bicicletta rossa fiammante e Massimo di corsa vicino a lui senza staccarsi un solo attimo.
Adesso ci sono tutti gli altri ragazzini a guardarli, nessuno si muove e sono tutti con il fiato sospeso.
Gano va ormai da solo veloce. Il vento gli s’infila tra i capelli, gli si insinua dentro la maglietta come mai gli era successo in vita sua. I muscoli del suo viso sono rilassati e il vento fa attrito solo su quel meraviglioso sorriso che Gano ha stampato in volto.
Una sensazione di infinita libertà lo prende fin da dentro la pancia, ed è una sensazione che non ha mai avuto lui, che ha sempre dovuto ragionare ad ogni passo.
Ad un tratto non sente più correre al suo fianco Massimo, sente solo che gli urla da lontano la direzione da prendere. Gano mette i piedi per terra per fermare la bici. Si ferma in silenzio ad ascoltare e Massimo è a qualche metro dietro di lui. Gano lascia la bici per terra e si dirige verso quel fiato corto e ansimante. Lo raggiunge e gli si siede accanto per terra. Massimo s’inumidisce le labbra con la saliva e ancora con il cuore in gola e il fiato grosso dice al bambino:
“Domani…porto…la moto e…ci andiamo…a fare…un giro in strada!”
E Gano gli posa grato la mano sulla spalla.


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