lunedì 3 settembre 2012

A proposito di fine vita. - Walter Peruzzi



La morte del cardinal Martini, che ha rifiutato ogni forma di accanimento terapeutico, ripropone le contraddizioni e l'ipocrisia della Chiesa sul fine vita.

La Chiesa cattolica, si legge nel Catechismo del 1992 approvato da Giovanni Paolo II, condanna sia l'eutanasia, che «costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo creatore», sia l'accanimento terapeutico, poiché ritiene che può essere legittima «l'interruzione di procedure mediche dolorose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti [...] Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».

Ma è sempre eutanasia...
In concreto, tuttavia, per la Chiesa non si dà mai il caso in cui si può "interrompere" la cura per evitare l'accanimento. Così, quando Piergiorgio Welby, affetto da una malattia incurabile ormai arrivata allo stadio terminale col rischio di morte per soffocamento, decise nel 2007 il distacco dalle macchine, la Chiesa gli rifiutò il funerale religioso, concesso quasi negli stessi giorni al sanguinario dittatore Pinochet, e sostenne l'accusa (poi archiviata) di omicidio contro il medico che lo aiutò.
Anche per Eluana Englaro, da 16 anni in stato vegetativo permanente, senza possibilità di ripresa, la Chiesa non ritenne "straordinaria" l'alimentazione artificiale che la teneva in vita (se così si può dire) e si oppose con accanimento (manifestazioni e grida) alla sua interruzione. La Chiesa e gli ambienti clericali arrivarono anzi a definire «esecuzione capitale» e «condanna a morte» la sentenza del Tribunale che il 9 luglio 2008 autorizzò il padre di Eluana a sospendere l'alimentazione, come poi avvenne; l'accusa di omicidio, poi archiviata, fu rivolta anche a Peppino Englaro.
La questione fu posta in termini generali, nell'agosto-settembre 2007 dalla Conferenza episcopale statunitense, che chiese: «Se il nutrimento e l'idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in 'stato vegetativo permanente', possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza?» La Congregazione per la Dottrina della Fede, con l'approvazione di Benedetto XVI, rispose: «No. Un paziente in 'stato vegetativo permanente' è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali».

L'ipocrisia di Wojtyla, l'esempio di Martini
Tutto diventa così eutanasia da contrastare - salvo nel caso di papa Wojtyla, che non volle essere ricoverato in ospedale dopo l'ultima ricaduta e verso cui si praticò quindi, con tipica ipocrisia cattolica, una sorta di inconfessata eutanasia "passiva". O salvo il caso del cardinal Martini che, in aperto dissenso con la Chiesa ufficiale, oppose un fermo rifiuto all'accanimento terapeutico e - coerentemente - rifiutò per sé, malato terminale di Parkison, proprio quella somministrazione «per vie artificiali», col sondino, dell'acqua e del cibo che la Chiesa vorrebbe imporre a tutti i cittadini italiani tramite la legge sul testamento biologico proposta da una classe politica genuflessa.
Proprio a questo fine "Avvenire" ha cercato di neutralizzare l'esempio dirompente di Martini e di cambiare le carte in tavola scrivendo che «la sua posizione sull'accanimento terapeutico "era nota". Era di contrarietà. Era quella della morale cattolica. Ed è stata rispettata» (Lorenzo Rosoli, 1 settembre). Bugiardi e ipocriti fino in fondo.

La contraddittoria volontà di Dio
Tornando alla posizione della Chiesa (quella vera, contraddetta da Martini) si possono muovere almeno due obiezioni fondamentali. Prima di tutto, a che titolo la Chiesa può non solo arrogarsi il diritto di interpretare il pensiero di Dio - affermando cioè che secondo lui ci si deve tenere in vita anche a costo di ricorrere a metodi artificiali - ma può pretendere di imporre questa sua interpretazione del volere di Dio a chi in Dio non crede o crede in un Dio differente, facendo dell'opinione cattolica sul fine vita una legge dello stato laico?
In secondo luogo, se davvero Dio ci obbliga a usare la moderna tecnologia per protrarre una vita anche in modo artificiale, perché dovrebbe poi vietarci di usarla per evitare nascite sgradite o pericolose, o per la fecondazione assistita? È fin troppo evidente che dietro tale orientamento bizzoso e contraddittorio "di Dio" si nasconde la volontà della Chiesa, di esercitare il controllo sulla vita e sulla morte delle persone, come estrema forma di potere, e di imporre una concezione della vita come valle di lacrime che a tale potere è funzionale. 


http://cronachelaiche.globalist.it/Detail_News_Display?ID=33505&typeb=0

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