martedì 17 gennaio 2012

Il ragazzo che è diventato un ponte umano sulla Costa Concordia.

Un  diciannovenne  ha aiutato molti passeggeri a fuggire facendoli passare sul suo corpo
Un ballerino inglese ha aiutato alcuni passeggeri a sbarcare dalla Costa Concordia trasformandosi in un “rampicante umano”. Ne parla il Daily Mail.
PONTE UMANO - James Thomas, 19enne impiegato sulla nave, si è disteso sfruttando la sua altezza per collegare due ponti. A quel punto dozzine di passeggeri si sono arrampicati su di lui per raggiungere le scialuppe di salvataggio. “Non potevamo raggiungere le scialuppe e queste erano bloccate su un lato della nave. A quel punto ho tenuto con un braccio una scialuppa e con l’altro il ponte superiore. A quel punto ho fatto arrampicare la gente sulle mie spalle e lungo il mio corpo. Le ultime persone che ho aiutato erano un francese e sua moglie, disabile”.
ALLARME DATO IN RITARDO – James Thomas ha anche criticato le procedure di evacuazione della nave da crociera “l’ordine di abbandonare la nave doveva essere dato almeno un’ora prima, se non di più. Abbiamo iniziato ad inclinarci a babordo, e la situazione peggiorava con il passare dei minuti. Si è capito subito che la nave si stava inclinando in maniera innaturale. A quel punto dal sistema di altoparlanti è arrivato il messaggio ai passeggeri di stare calmi e che il tutto era dovuto solo a un piccolo problema tecnico”.
IMBARCAVAMO ACQUA – “Purtroppo – ha aggiunto il giovane – sono stati trasmessi una serie di codici sonori che son stati recepiti dall’equipaggio come l’avviso di una perdita. A quel punto qualcuno ha detto ai passeggeri di indossare i giubbotti di salvataggio anche se stava continuando l’avviso secondo il quale l’emergenza era dovuta a un piccolo problema tecnico. Quando poi abbiamo cominciato ad inclinarci, a quel punto ho avuto la conferma che qualcosa non andava”.
CONFUSIONE – L’allarme -continua il giovane- è stato dato in ritardo, al punto che ormai a causa dell’inclinazione non era più possibile sfruttare le scialuppe a babordo, per cui siamo dovuti andare sul lato di dritta. Alcuni andavano da una parte, altri seguivano diversi percorsi. La gente cadeva in acqua, e il tutto perché nessuno ha dato l’allarme quando andava dato, ovvero almeno un’ora prima rispetto a quanto successo”.
Panico a bordo durante l’evacuazione

Concordia, comandante nega l’avaria e fugge. E a lanciare il mayday è una passeggera.



La Procura di Grosseto accusa Francesco Schettino, capitano della Concordia, di avere abbandonato la nave molto prima che i passeggeri fossero tratti in salvo. Ilfattoquotidiano.it è in grado di ricostruire i movimenti e i contatti del comandante in fuga: "Lo chiamò la Capitaneria intimandogli di tornare a bordo, ma non ne volle sapere".


Il comandante Francesco Schettino
Si porterà per sempre appresso due nomi la tragedia dell’isola del Giglio: uno è Concordia, il nome della nave, l’altro è Schettino, nome di battesimo Francesco, campano, l’uomo fermato dai magistrati e ritenuto il responsabile numero uno di quanto accaduto venerdì notte: è stato lui, secondo la Procura, a dirottare la nave verso la costa, lui che si è avvicinato troppo, lui che ha abbandonato i passeggeri e l’equipaggio al loro destino.

Il fattoquotidiano.it è in grado di ricostruire tutto quanto avvenuto quella maledetta sera che, fino a oggi, ha restituito cinque cadaveri e un milione di incertezze.

Il mayday mai dato. “Costa Concordia, tutto ok?”. “Sì, Compamare Livorno, solo un guasto tecnico”. “Costa Concordia, siete sicuri che è un guasto tecnico. Sappiamo che a bordo ci sono i passeggeri con i giubbotti salvagente”. “Compamare, confermiamo: è un guasto tecnico”. E’ andata più o meno così, secondo le testimonianze raccolte dal Fatto.it e secondo le prime ricostruzioni della Guardia costiera, la conversazione tra la plancia di comando della Costa Concordia e la sala operativa della Capitaneria. Anzi, bisogna dire piuttosto tra la Capitaneria e la Concordia, visto che sono stati i militari della guardia costiera a chiamare la nave. Chissà quanto avrebbero atteso ancora a chiedere aiuto, se non fosse stato per una signora pratese a bordo.

L’allarme? Lanciato dalla passaggera. Atterrita, ha chiamato la figlia a casa, dicendo di trovarsi all’interno della nave, che si stava già inclinando, in un locale in cui era buio pesto e con addosso il giubbotto salvagente. La figlia ha chiamato la Capitaneria di Savona perché la madre aveva detto che era nel tratto tra Civitavecchia e il porto ligure, ma la sala operativa non sapeva niente. Così la telefonata successiva è stata ai carabinieri di Prato che hanno contattato i colleghi di Livorno. E hanno coinvolto la Capitaneria di Livorno che si è messa “a caccia” della nave Costa grazie al cosiddetto ‘Ais’ (Automatic Identification System), il sistema tecnologico di identificazione navale.

“Solo un guasto”. Dalla sala operativa livornese hanno dunque chiamato a bordo del Concordia. “Problemi?”, hanno chiesto. Dall’altra parte hanno risposto che era solo un guasto tecnico (e siamo già alle 22 passate, almeno un quarto d’ora dopo la collisione contro gli scogli secondo gli orari della Procura). Ma il militare della Capitaneria è vispo, sente che qualcosa non torna: un guasto tecnico e i passeggeri hanno il salvagente? Meglio chiarire: scusate, Concordia, ma allora perché i passeggeri hanno il giubbetto? Dall’altra parte, di nuovo la stessa risposta: confermiamo, guasto tecnico. Una risposta che hanno sentito anche i finanzieri della prima motovedetta arrivata in assoluto sul posto, appartenente al Reparto aeronavale delle fiamme gialle di Livorno. “All’inizio dalla nave hanno detto che si trattava di un guasto tecnico, senza specificare la natura – racconta il tenente colonnello Italo Spalvieri, comandante del reparto – Successivamente hanno chiesto all’equipaggio della motovedetta di poter agganciare un cavo in modo da essere trainati, ma era come chiedere a una formica di spostare un elefante”. Dopo circa 20 minuti, spiega Spalvieri, hanno dato l’ ‘abbandono nave’, il segnale per l’evacuazione.

La fuga. Schettino è tra i primi ad arrivare al Giglio, sulle banchine del porto. Lui e moltissimi membri dell’equipaggio. A bordo resta praticamente solo il primo commissario di bordo quello che, al contrario degli altri, farà il suo lavoro, verrà trasformato in eroe. Lui resta e aiuta i passeggeri a trasferirsi sulle scialuppe, ma gran parte del resto dell’equipaggio è già sulla terra ferma, in salvo. Il bar, l’unico del porto, il Caffè Ferraro, riapre la saracinesca per aiutare i naufraghi.

Schettino sale su un taxi. Tra le persone gigliesi, così si chiamano gli abitanti dell’isola, arriva sul molo anche un tassista. E’ a lui che il comandante, in abito bianco pronto per la cena di gala, si rivolge. “Mi porti lontano da qui”. “Comandante”, risponde il tassista, “io la posso portare a casa mia, questa d’inverno è un’isola deserta”. Così il tassista porta a casa il capitano e gli prepara un caffè.

Le telefonate dalla Capitaneria di porto di Livorno. Schettino, che è frastornato, ma non sotto choc, riceve tre telefonate in serie. E’ sempre la Capitaneria di porto di Livorno che lo chiama. L”ufficiale in servizio alla sala operativa non riesce a capire. “Come capitano, lei non è sulla nave?”. “No, non sono sulla nave e non ci torno”. Un’altra telefonata. “Capitano”, dice il funzionario di turno, “ordini superiori mi riferiscono di dire che lei deve tornare sulla sua nave”. “Non ci torno”. La terza telefonata, racconta il tassista, è concitata. Urlano da Livorno, urla Schettino. Sempre con le stesse ragioni. Il comandante a quel punto si fa accompagnare sulla banchina, ma sale sulla prima barca che lo porta a Porto Santo Stefano. Sulla nave non ci tornerà.

L’inchiesta e la disperata difesa. Il giorno successivo al naufragio, Schettino viene trattenuto nella caserma dei carabinieri di Orbetello. Quando il Procuratore riesce a ricostruire quello che è accaduto, senza neppure interrogarlo, ordina lo stato di fermo. Schettino viene trasferito nel carcere di Grosseto. Schettino (dopo la fuga appare improprio chiamarlo ancora comandante) continua a ripetere che la sua manovra è stata regolare, che gli scogli non erano segnalati da nessuna carta, che lui doveva passare da lì, a 100 metri dall’Isola del Giglio, distanza di sicurezza a malapena consentita per un pedalò.

Naufragio colposo, omicidio plurimo colposo, abbandono della nave. Ma secondo le fonti inquirenti, non è neppure la bontà delle sue intenzioni dal timone, anche se l’ordine di avvicinarsi all’isola lo ha dato lui in persona, per il consueto saluto di sirene: il punto è che Schettino ha abbandonato la nave a un’ora dall’incidente, lasciando a bordo i passeggeri e i suoi membri dell’equipaggio, in balia di un’organizzazione che alla fine, infatti, non c’è stata. Doveva essere lui – secondo il codice della navigazione e quello penale – a coordinare le operazioni di soccorso. Non poteva sparire nel nulla, pensare a salvarsi e lasciarsi alle spalle quel bestione di 282 metri che la compagnia di navigazione gli aveva affidato.

Le dichiarazioni del procuratore. E questo il nodo centrale dell’inchiesta. Il procuratore della Repubblica di Grosseto,  Francesco Verusio dice che “il comandante ha abbandonato la nave quando c’erano ancora molti passeggeri da portare in salvo”, e “le operazioni di soccorso non sono state coordinate dal comandante”, ha detto. Un delitto imperdonabile per chi comanda una nave. “A questo punto  - dice il procuratore capo – vogliamo capire chi si è assunto poi il compito di dirigere le operazioni di salvataggio, perché il comandante ha abbandonato la nave molte ore prima che si concludessero”. Sul numero di vittime il procuratore inizia a essere pessimista: “I morti per ora accertati sono cinque a questo punto, due turisti francesi e un membro dell’equipaggio peruviano oltre ai due anziani individuati nel pomeriggio”, ma “abbiamo gravi sospetti per altre cinque o sei persone. All’appello ne mancano una trentina – ha aggiunto – stiamo spuntando i loro nomi uno per uno dagli elenchi”, ma “non è facile dire con precisione quanti manchino all’appello”. Indiscrezioni, provenienti da fonti della Prefettura di Grosseto parlerebbero di 36 persone, delle quali 10 membri dell’equipaggio di nazionalità cinese e filippina, e 26 passeggeri. Ma anche questo dato è parziali. Fonti della Capitaneria ripetono che la lista definitiva non esiste. Esiste una lista, ma non è possibile sapere fino a questo momento quante fossero i membri dell’equipaggio, quelli che svolgono i lavori più umili, la lavanderia e la pulizia delle cucine e della nave. Filippini, molti, e cinesi.

La compagnia Costa dice che non ci sono lavori appaltati ad aziende esterne, fonti vicine agli inquirenti continuano a ripetere che invece è una possibilità che viene valutata.

Perché avvicinarsi all’isola? Il magistrato è riuscito a capirlo, alla fine. Schettino si è avvicinato al Giglio perché voleva salutare l’isola. Un codice campano, procidese per essere precisi, che impone l’inchino quando si passa dalle parti di un’isola. Una consuetudine, forse neppure così strana. Ma Schettino, venerdì, ha sbagliato i calcoli o fose si è abbandonato alla distrazione.

L’ordine di negare. Nei momenti successivi all’incidente l’ordine di Schettino è negare. Negare con i passeggeri e, come abbiamo visto, con la Capitaneria di porto: “Nessun incidente, solo un guasto tecnico”.

Le scatole nere. Ciò che è successo tra la comunicazione del presunto guasto tecnico e l’annuncio dell’abbandono nave verrà accertato con l’analisi delle scatole nere, già in Procura a Grosseto, che per le navi si chiamano ‘Voyage data recorder’ (che registra tutto cio’ che ‘fa’ la nave, compresi i movimenti prima e dopo l’impatto con lo scoglio) e ‘Voyage voice recorder’, che oltre a registrare le comunicazioni radio recupera anche le conversazioni all’interno della plancia di comando, una sorta di intercettazioni ambientali. “E qui – sorride un investigatore – se ne sentiranno delle belle”.

L’assicurazione sulla nave. Cinquecento milioni di dollari, secondo un broker genovese, è probabilmente il valore assicurativo di Costa Concordia. L’assicuratore è il gruppo statunitense Aon, leader mondiale nel settore del risk management e nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa. Ma i 500 milioni di dollari riguardano soltanto la copertura della nave, scafo e macchina. Per la copertura assicurativa delle responsabilità dell’armatore, che comprendono risarcimenti ai passeggeri e all’equipaggio, eventuali danni all’ambiente, e rimozione del relitto, interviene il club inglese Protection&Indemnity Club, nel mondo dello shipping comunemente indicato come P&I.  Nel caso di Costa Concordia interverrà la Standard. La nave, secondo gli esperti del settore, è totalmente irrecuperabile. Costa Crociere dovrà quindi fare eseguire la rimozione del relitto. Per asportare il carburante è stata ingaggiato l’olandese Smit International Group che, in Italia, lavora con l’azienda Neri di Livorno. I rappresentanti dei due gruppi sono già al Giglio in attesa di disposizioni della magistratura per poter operare. Non si sa quando. “Sicuramente”, spiegano, “sarà una corsa contro il tempo. Un cambiamento climatico e la nave, che ora è appoggiata su un fondale basso, potrebbe inabissarsi”. A pochi metri, infatti, il fondale scende fino a 70 metri: se dovesse alzarsi il venti di scirocco, come le previsioni dicono, la situazione potrebbe diventare irrecuperabile. E il danno ambientale di proporzioni senza precedenti.

di Emiliano Liuzzi, Diego Pretini e Antonio Massari

Abusi sessuali ad Abu Ghraib, ecco le foto stoppate da Obama.



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Un sito cinese pubblica le foto dello scandalo, le presentiamo qui, debitamente offuscate, in esclusiva.
Barack Obama non volle che fossero pubblicate, probabilmente proprio a causa del contenuto agghiacciante delle immagini.
La conferma venne da parte del generale Usa, in congedo dal 2007, Antonio Taguba il quale però si disse d’accordo con lo stop richiesto da Obama: «Queste foto mostrano torture, abusi, stupri ed ogni tipo di atti indecenti. Non sono sicuro quale scopo avrebbe la loro pubblicazione, se non quello puramente legale. E la conseguenza sarebbe di mettere in pericolo le nostre truppe, gli unici difensori della nostra politica estera, in un momento in cui ne abbiamo grande bisogno, o quella dei britannici che stanno tentando di garantire la sicurezza in Afghanistan».
Ad aprile, il governo di Obama annunciò che avrebbe pubblicato le foto e che non aveva alcun senso ricorrere contro la sentenza a favore della pubblicazione, vinta dall’American Civili Kiberties Union. Poi la marcia indietro: pressato dai vertici militari, Obama ha cambiato idea e ha detto che la pubblicazione potrebbe mettere in pericolo la sicurezza delle truppe statunitensi. Secondo Obama, comunque i protagonisti di questi atti «sono stati identificati, e sono state adottate misure contro di loro».

Assunzioni clientelari, 7 arresti in Abruzzo indagato il vicepresidente della Regione. - di Giuseppe Caporale


Gli ordini di custodia cautelare, quattro in carcere, tre ai domiciliari, disposti dalla procura dell'Aquila: "Associazione criminale tesa a condizionare l'affidamento di commesse pubbliche". Coinvolto Castiglione (Pdl).


Assunzioni clientelari, 7 arresti in Abruzzo indagato il vicepresidente della Regione
Alfredo Castiglione Vicepresidente Regione Abruzzo

L'AQUILA  -  "Mi rifiuto di pensare che la mia attività sia soltanto quella di distributore di mazzette!". E poi ancora: "... Noi dobbiamo pagare la tangente...". Suonano come una confessione le parole dell'imprenditore Duilio Gruttaduria  -  arrestato questa mattina per tangenti alla Regione Abruzzo insieme ad altre sei persone - pronunciate al telefono con la moglie durante suoi lunghi e interminabili viaggi in auto. Una confessione che gli uomini della squadra mobile di Pescara (guidati da Pierfrancesco Muriana) per mesi hanno registrato e messo a verbale (e che sono alla base della richiesta di misura cautelare).

"Io passo dalla mattina alla sera a fare cose che sono contro legge...", "Io vivo di cose da galera...". E la moglie Anna Teodoro risponde: "... E non è che rischi la galera e poi andiamo al mare... Le cose vanno fatte... E vanno fatte anche bene...". E ancora Gruttadiuria: "Credimi... il 95 per cento delle cose di cui mi occupo sono reati... sono cose vietate dalla legge... Perché di che mi occupo? Mi occupo di favorire che l'Ecosfera vinca le gare...".

E nelle quasi duecento pagine di ordinanza di custodia cautelare il giudice per le indagini preliminari Marco Billi trascrive il rendiconto dei favori che esponenti della pubblica amministrazione (politici e dirigenti) avrebbero ottenuto dal gruppo Grattaduria. C'è il vice presidente della Regione che cerca di ottenere l'approvazione di un progetto in Albania per favorire la compagna, c'è la dirigente regionale Giovanna Andreola, che ottiene assunzioni, consulenze per il marito. Quest'ultima secondo Grattaduria dimostra "l'arroganza del potere..." e si comporta come Caligola (che nominò senatore un cavallo) chiedendo a loro di far assumere con ruoli importanti persone assolutamente non qualificate e inutili. C'è un avvocato sponsorizzato dall'ex braccio destro del governatore Ottaviano Del Turco che deve essere "preso" per "non fare nulla... proprio nulla...".

Secondo la Procura dell'Aquila, dunque, con la complicità di funzionari dell'ente pubblico regionale era stata messa in piedi "un'associazione criminale tesa a condizionare l'affidamento di commesse pubbliche in cambio di partite economiche consistenti in contratti di consulenza e assunzioni clientelari". Le misure riguardano l'imprenditore siciliano  Gruttadauria, Annamaria Teodoro (moglie del Gruttadauria), Lamberto Quarta, Giovanna Andreola e poi Michele Galdi (marito dell'Andreola), Corrado Troiano e Mario Gay. Per i Alfredo Rossini e Antonella Picardi, tutti gli indagati sarebbero coinvolti a vario titolo nella fraudolenta aggiudicazione in favore della società Ecosfera di appalti per milioni di euro.

A far scattare le indagini sarebbe stato proprio il coinvolgimento di Lamberto Quarta, assunto come consulente con un contratto da 70 mila euro l'anno, poco dopo che lo stesso aveva terminato gli arresti domiciliari per un'altra vicenda: quella di Sanitopoli, dove finì in carcere insieme all'ex governatore Ottaviano Del Turco. Secondo gli inquirenti la Ecosfera avrebbe offerto a Quarta un paracadute economico forse a fronte di rapporti già in essere. Il nome dei Gruttaduria finì anche nelle carte dell'inchiesta G8, in quanto proprio una delle società del gruppo era pronta ad assumere il figlio trentenne di Angelo Balducci, Filippo.

I Ros di Firenze intercettarono il fratello di Duilio Gruttaduria, Enzo, al telefono con Diego Anemone, mentre chiedeva come regolarsi con il figlio di Balducci e che tipo di contratto deve fare. Il nome degli imprenditori Gruttadauria, all'inizio degli anni '90, fu al centro di un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che aveva trovato due numeri telefonici con l'indicazione "ingegnere Gruttadauria" sopra alcune rubriche sequestrate nell'ambito della maxi indagine sulla spartizione degli appalti pubblici in Sicilia sotto il controllo di Cosa Nostra. Proprio in questa inchiesta, assieme ad altri costruttori finiti in carcere, era stato indagato Dino Anemone (poi prosciolto nel 2004), il padre dei due imprenditori romani Daniele e Diego.

Per amore di Cammarata. - di Giampiero Caldarella.



Il sindaco Diego Cammarata si dimette “per amore della città”. Era il sindaco meno amato dagli italiani, l’ultimo dei mohicani rimasto sul trono dopo l’addio della Jervolino che gli contendeva il primato. Lui, il “meno amato”, si dimette “per amore”. Se ne è uscito cornuto e mazziato dopo 10 anni di storia d’amore. E ora che ci farà con quelle corna? Qualcuno gli suggerisce di usarle come tornio per le narici, nel caso periodicamente occorra rifarle per permettere l’ingresso di pulviscolo bianco e polveri sottili. In ogni caso, adesso avrà molto più tempo per pensare ai cazzi suoi. Del resto, Diego è un bell’uomo, a marzo fa 60 anni e pare ancora un giovanotto. Sempre sorridente, bocca larga, sorriso largo, narici larghe e profonde, tasche larghe. E’ la larghezza di vedute che l’ha fottuto.
L’ho conosciuto nel ’94 quando insegnava “Diritto dell’informazione” all’Università di Palermo. Mi ha dato trenta all’esame. Anzi, ora che ci penso, mi pare che ha dato trenta a tutti, tanto a lui che gli costava? Lasciava tutti contenti, pare che si vedeva che era destinato a fare il sindaco. E poi, noi sapevamo che lui aveva studiato in America, che era presidente dello IACP (Istituto autonomo case popolari) dove le graduatorie per gli alloggi non si sono rinnovate per decenni in nome dell’autonomismo e in culo all’automatismo. Sapevamo che gli piaceva il tennis e tante altre belle cose. Perciò quando non veniva a lezione o si faceva un’ora di ritardo su due magari perché erano andati oltre il terzo set, noi non ci stupivamo. Ce la pigliavamo comoda pure noi. Ci facevamo i fatti nostri. E chi parlava? Eravamo quattro gatti e poi lui non si poneva come il professore, faceva il simpatico, era uno di noi. Uno dei libri che portammo all’esame fu “Giudici e telecamere”. A distanza di anni rivedo quel libro e penso ai guai giudiziari del professore Cammarata, tutti vissuti davanti alle telecamere.
Per amore del mare rinunciava all’uso della sua barca “Molla2” (dicono che il nome della barca sia dedicato alla figlia che non brilla per tonicità muscolare) affittandola in nero a sconosciuti che non lo potessero così ringraziare e per lo stesso principio si serviva di un dipendente comunale che durante le ore di servizio faceva lo skipper.
Per amore del verde pubblico fece pulire la strada privata dove si battezzava la figlia dai dipendenti comunali. Non concepiva il concetto di verde privato. Ha fatto bene. Anche il verde come l’acqua dovrebbe essere pubblico. Ci vorrebbe un referendum per difenderlo, ma siccome si finirebbe per aiutare Cammarata, i comunisti, perché sono loro che raccolgono le firme, non lo faranno mai.
Per amore della professione forense creò la “giurisprudenza Cammarata” che gli permetteva di cumulare gli stipendi da parlamentare e da sindaco. Qualcuno si è chiesto se un uomo può amare più di una poltrona. Sembra che lui abbia risposto: “Tranquilli, vedrete che su nessuna delle due poltrone si accumulerà la polvere. Ho narici larghe, io.”
Per amore della giustizia è stato diffamato da alcuni mafiosi che lo accusavano di averlo visto vomitare su un tavolo dell’esclusivo bar della Cuba, con il boss Rotolo che commentava “E’ una cosa schifosa”.
Per amore di Santa Rosalia ha interrotto la tradizione di salire sul carro della Santuzza e dire “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Sono anni che Diego non si mette più in mostra perché pensa che l’amore per la città vada consumato più intimamente. Le piazzate non gli piacciono.
Per amore di Silvio, accettò più di cento milioni di euro per salvare il comune di Palermo dalla bancarotta. Lui non li voleva, ma Silvio ha insistito: “Prendili, ti prego, Palermo è la città che amo di più dopo Milano. Marcello mi è testimone”. E lui accettò, per amore della città.
Per amore delle tradizioni riempì il foro italico, la passeggiata a mare, di centinaia di birilli in ceramica realizzati da Parrucca. Qualcuno gli avrà detto che i birilli sono la versione riveduta e corretta dei pupi, solo che sono senza fili, moderni, wireless, moderni. Hanno solo un difetto, come i pupi. Cadono. Anche se sono invisibili.



http://www.santalmassiaschienadritta.it/2012/01/per-amore-di-cammarata.html

La telefonata tra il comandante Schettino della Costa Concordia e la Capitaneria di Porto.




GROSSETO - Il comandante Francesco Schettino ha risposto alle domande del gip durante l'udienza di convalida del fermo in corso al Tribunale di Grosseto. La procura ha chiesto che la misura cautelare venga confermata. Secondo i pm, insomma, il comandante della Costa Concordia deve restare in carcere. La decisione ora spetta al giudice per le indagini preliminari Valeria Montesarchio.


«Ero io al comando della nave» al momento dell'impatto, ha dichiarato il comandante durante l'interrogatorio, durato circa tre ore. L'affermazione di Schettino coinciderebbe dunque con uno dei primi accertamenti investigativi, secondo i quali fu il comandante a decidere la rotta da seguire nei pressi dell'Isola del Giglio.


Indagato. «Per ora gli indagati sono due, il comandante della nave Francesco Schettino, che è in stato di fermo, e il primo ufficiale in plancia Ciro Ambrosio, denunciato in stato di libertà. Valuteremo eventualmente le posizioni di altre persone dopo l'udienza di convalida prevista per Schettino», ha dichiarato ieri il procuratore capo di Grosseto, Francesco Verusio. Schettino, ha aggiunto, «rischia fino a 15 anni di carcere», e «al momento le accuse sono omicidio colposo plurimo, naufragio e abbandono di nave».


Le guardie del carcere di Grosseto hanno l'ordine di controllare spesso come sta Schettino. Non ha manifestato intenzioni sucide, ma è considerato un detenuto a rischio. Il comandante della nave fa i conti con il carico di accuse che gli sono piovute addosso: la responsabilità della sciagura, di quei morti che con l'andare delle ore diventano sempre di più. Il suo avvocato lo ha visto «affranto, costernato, addolorato» e «fortemente turbato».


Schettino è in cella con altri due detenuti. Per lui non è stato disposto il massimo livello di sorveglianza - quello "a vista", con una guardia che 24 ore su 24 lo tiene sotto controllo - ma quello appena un gradino sotto. E ha già ricevuto le visite dello psicologo. Dal penitenziario spiegano che quel tipo di assistenza è una prassi per i neofiti del carcere. Per Schettino, però, «è necessaria una particolare attenzione - ha sottolineato il provveditore toscano all'Amministrazione carceraria, Maria Pia Giuffrida - perchè sta ovviamente attraversando un periodo delicatissimo».


«Tranquillo». Chi ha avuto modo di vedere in carcere il comandante - che ancora non ha avuto colloqui con i familiari - dice che all'apparenza è tranquillo, che non si lascia andare alla disperazione, alle imprecazioni, al pianto. Secondo il suo legale, l'avvocato Bruno Leporatti, «è confortato dalla consapevolezza di aver mantenuto, in quei frangenti, la lucidità necessaria per attuare una difficile manovra di emergenza che, conducendo la nave su un basso fondale, ha di fatto salvato la vita di tante persone». Manovra che in base alle indagini della Capitaneria di porto sarebbe stata invece frutto del caso. Secondo gli investigatori, infatti, la nave, una volta speronato lo scoglio, ha imbarcato acqua diventando ingovernabile. 


«Cosa vuole fare, vuole andare a casa?». Lo domanda con voce alterata l'ufficiale della Guardia costiera di Livorno Gregorio De Falco, al telefono con il comandante Francesco Schettino. La chiamata, il cui audio è stato diffuso dal Corriere Fiorentino, è dell'1,46 di sabato mattina ed è una delle chiamate sequestrate dalla Procura, con il comandante che si lascia scappare anche un «abbiamo abbandonato la nave», prima di ritrattare. E quando la Capitaneria dice che ci sono «già dei cadaveri» Schettino a quel punto chiede «Quanti?». E l'ufficiale: «Deve dirmelo lei!». 


«Sono stato catapultato in acqua». In un altro passaggio dell'audio della conversazione registrata la sera del naufragio tra l'ufficiale della Guardia Costiera e Schettino, quest'ultimo risponde al primo che lo accusava di aver abbandonato la nave: «Non ho abbandonato nessuna nave, siamo stati catapultati in acqua». L'ufficiale risponde: «Va bene, verificheremo successivamente come sono andate le cose...».


Passera: clamoroso errore umano. Il naufragio della Costa Concordia è «un caso drammatico clamoroso errore umano o quantomeno di non rispetto di policy e regole», ha detto il ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture e Trasporti, Corrado Passera, in audizione del Senato, commentando la tragedia.


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Precisazioni.



Noi prostitute teniamo a precisare che i politici non sono figli nostri.


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Vignette.



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CLASS ACTION CONTRO BERLUSCONI, LUNGHE CODE PER FIRMARE.


Gli Italiani chiedono i danni all'ex Premier.



Milano – Alle 15 di oggi si sono aperti i banchetti per la raccolta di firme. Lo scopo di tale raccolta è una class action contro Silvio Berlusconi, ritenuto responsabile di aver danneggiato l’Italia. A lanciare l’iniziativa Radio popolare e la rivista Valori, con il sostegno di Federconsumatori. Le accuse mosse al Cavaliere sono: l’assenza di una politica economica, la mancanza di credibilità sulla scena internazionale e l’aver anteposto gli interessi personali a quelli della Nazione. Traffico bloccato dal Vigorelli, dalla Stazione Centrale e dall’universita’ Bocconi, lunghe code ai banchetti per apporre la propria firma. Gli Italiani hanno deciso di chiedere i danni all’ex Premier e con gli interessi.

Scalfarendum. - di Marco Travaglio







Noi stimiamo Eugenio Scalfari, anche quando ci chiama “editorialisti qualunquisti, demagoghi” con “un disperato bisogno di ‘audience’ e quindi di avere sempre e comunque un nemico sul quale sparare. Prima avevano Berlusconi, adesso Monti e Napolitano. E anche il Pd”. Gradiremmo sapere da Scalfari quando mai abbiamo “sparato su Monti”, ma lo stimiamo lo stesso. E, proprio perché lo stimiamo, ci ha meravigliato leggere domenica su Repubblica queste sue parole: “I referendum elettorali andrebbero esclusi come lo sono quelli relativi ai trattati internazionali e alle leggi di imposta”. Ohibò, ci siamo detti: vuoi vedere che Scalfari la pensava così già vent’anni fa per gli altri due referendum elettorali, quelli promossi e vinti da Mario Segni il 9 giugno 1991 per la preferenza unica e il 18 aprile 1993 per l’uninominale al Senato? E invece, doppio ohibò: lo Scalfari di allora non andava proprio d’accordo con lo Scalfari di oggi. Anzi li sponsorizzò entrambi con gran trasporto contro l’odiato Caf (Craxi-Andreotti-Forlani). Nel ’91 cominciò attaccando (anzi, sparando su) Craxi che voleva il referendum per il presidenzialismo e sabotava quello elettorale: “Proprio quella parte che reclama a gran voce un referendum non previsto dalla Costituzione fa vibrata campagna contro la celebrazione di un referendum che la Costituzione invece prevede e che la Corte costituzionale ha dichiarato legittimo e ammissibile… Di una cosa c’è urgente bisogno in questo paese: di una nuova legge elettorale che dia alla maggioranza il diritto di governare e all’opposizione la possibilità di subentrarle… Questa è la Riforma. Il resto si chiama demagogia… Per bloccarla si ricorre alla gazzarra, al veto e alla minaccia di elezioni anticipate. E si usano le istituzioni contro le istituzioni” (la Repubblica, 26-5-‘91). Poi il referendum fu vinto e Scalfari, invece di proporne l’abolizione, esultò: “Questo 10 giugno è un giorno di festa della democrazia repubblicana. Il risultato… è stato ottenuto dal popolo, non porta l’etichetta di nessun partito, non è stato fiancheggiato da nessuna delle grandi reti televisive anzi è stato ignorato e trattato come una fastidiosa perdita di tempo. È un grande fatto di democrazia… Il popolo si è riappropriato della politica… Questo è il fatto nuovo, al quale siamo lieti d’aver contribuito… 30 milioni di elettori… e 27 milioni di sì… Non saranno gli Azzeccagarbugli insediati nei vari palazzi a poterne diminuire la valenza politica. C’era un quesito referendario cui rispondere: riguardava la riforma della legge elettorale della quale i partiti discettano da anni senza cavare un ragno dal buco, paralizzandosi con continui veti incrociati. I promotori dei referendum ne avevano presentati tre, ben altrimenti efficaci se fossero stati messi in votazione. Essi avrebbero dato, se approvati, una spinta robusta verso una legge maggioritaria fondata su collegi uninominali, dove è più stretto il rapporto tra elettori ed eletti… La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili due di quei tre referendum e ne ha lasciato in piedi uno solo; ma il popolo ha molta più intelligenza e saggezza di quanto i finti democratici non gli attribuiscano: ha capito la posta in gioco e ha deciso di conseguenza… La grande maggioranza dei cittadini vuole cambiare la legge elettorale in senso maggioritario e uninominale… vuole decidere questi problemi da sola, visto che il Parlamento è paralizzato dalla partitocrazia. Questo è il voto che sale dal popolo sovrano” (11-6-‘91). Ahiahiahi, avete capito bene: Scalfari criticava la Consulta che aveva bocciato due referendum elettorali su tre e diceva che, in materia elettorale, deve decidere il popolo e non il Parlamento. Infatti passava subito a sponsorizzare il referendum fissato per il ‘93. E auspicava che i partiti promotori dessero vita a una Lega Nazionale (“il partito che non c’è”) alle elezioni politiche del ’92.
Questa maggioranza è quella che pochi mesi fa votò il referendum di Segni contro l’espresso parere di Craxi e di Bossi… Ma bisogna che si manifesti e si faccia sentire, che si organizzi e si presenti al corpo elettorale. Bisogna insomma che nasca una Lega nazionale con un programma di riforme” (1-12-‘91). “Una grande forza trasversale, come quella che ha vinto il referendum del 9 giugno e ha già dato un milione di firme per i referendum del ’93” (5-1-‘92). Poi Scalfari avvertì la Consulta di guardarsi bene dal bocciare il referendum: “Può darsi che gli apparati riescano a bloccare la riforma… La scadenza referendaria è ormai alle porte, sempre che la Corte costituzionale non blocchi il referendum. Tutto è ancora possibile, ma sarebbe assai grave perché una dose supplementare di rabbia verrebbe inoculata nella cittadinanza. Speriamo vivamente che il Parlamento deliberi correttamente o che la Corte proclami il referendum. Se entrambe queste ipotesi fossero frustrate, la democrazia avrebbe perso una battaglia campale” (31-12-‘92). Ahiahiahi, par di leggere gli editorialisti demagoghi di oggi: se la Corte boccia il referendum è una sconfitta per la democrazia. “Il referendum del 18 aprile segnerà il punto di svolta e tanto più numerosi saranno i ‘sì’ tanto più netta sarà la condanna e il taglio nel passato. Bisognerà poi fare la legge elettorale per la Camera… ma avremo comunque profondamente riformato il metodo di elezione del Senato e reso manifesta la volontà popolare… Per questo bisogna smascherare le insidiose manovre in corso che tendono… all’affossamento del referendum e alle elezioni anticipate con la vecchia legge proporzionale” (14-3-‘93). Poi l’appello finale: ”Fate attenzione, cittadini elettori: dal referendum di domani nascerà direttamente, dal vostro ’sì’, la nuova legge elettorale per il Senato. Nascerà direttamente dalle urne così come il 2 giugno ‘46 nacque la Repubblica… Avete già delegato troppe volte il vostro potere sovrano, ma questa volta non fatelo poiché sarebbe fatale alle sorti di un paese già molto traballante… Qui non è in gioco la sorte dei partiti; qui è in gioco un sistema che sarà poi la regola dei nostri comportamenti politici per gli anni a venire. Perciò Repubblica raccomanda ai suoi lettori di votare ‘sì’” (17-4-‘93). Il 18 aprile fu un nuovo plebiscito e Scalfari giustamente lo cavalcò con un filino di enfasi, neppure sfiorato dall’idea di abolire i referendum elettorali: “È stata una marcia trionfale… Il paese ha ritrovato in un voto quasi plebiscitario le ragioni della sua unità; il ‘sì’ ha superato tutti gli steccati, geografici, sociali e di fedeltà ai partiti; esso è diventato da ieri l’elemento fondante d’una nuova nazione, la fonte di legittimità d’una democrazia che aveva visto crollare quasi tutti i suoi ancoraggi ideologici e politici. Il popolo è saggio, sa capire e decodificare anche problemi apparentemente astrusi, bada al sodo, semplifica non per superficialità ma per profondità di giudizio… Il popolo voleva voltare pagina sugli ultimi vent’anni di malcostume, degrado, inefficienza, ruberie… Esprimendo questo voto, che configura una vera e propria legge per il Senato e indica nettamente l’orientamento per la Camera, essi hanno votato ancora una volta, come già avevano fatto il 9 giugno ‘91, per la liquidazione della vecchia nomenklatura e del regime partitocratico. L’uninominale maggioritario imporrà nuovi soggetti politici… e un rapporto diretto tra elettori ed eletti. Indicazioni cogenti, che non potranno essere disattese dal Parlamento” (20-4-‘93). Chi l’avrebbe mai detto che 19 anni dopo lo stesso Scalfari avrebbe chiesto di abrogare i referendum elettorali, per appaltare la materia alle nomenklature del regime partitocratico. Qualche malpensante potrebbe insinuare che allora i referendum facessero comodo contro il Caf e Cossiga, mentre oggi disturberebbero Napolitano e Monti. Ma noi che stimiamo Scalfari non vogliamo nemmeno pensarci. Certo non vorremmo che Scalfari-2 sparasse su Scalfari-1 dandogli dell’“editorialista qualunquista e demagogo con un disperato bisogno di ‘audience’ e quindi di un nemico su cui sparare sempre e comunque”. Questo no, sarebbe troppo.
di Marco Travaglio,  IFQ