sabato 14 aprile 2012

Malore in campo, muore Morosini si fermano tutti i campionati.

Infarto in campo, muore Morosini del Livorno   Foto  -  Video   Si ferma il calcio: la Figc sospende tutti i campionati


Il 26enne centrocampista del Livorno è deceduto all'ospedale di Pescara in seguito ad un arresto cardiaco. Si era sentito intorno alla mezz'ora del primo tempo della sfida con gli abruzzesi. Inutili i tentativi di rianimarlo. La Figc ordina la sospensione di tutti i tornei in segno di lutto.


PESCARA - Poteva essere un sabato bellissimo (il suo Livorno stava vincendo a Pescara), si è trasformato improvvisamente in una tragedia. Un malore in campo è stato fatale a Piermario Morosini, calciatore non ancora 26enne. Ecco la sequenza di un pomeriggio che rimarrà, purtroppo, impresso a lungo nelle menti.

MOROSINI CROLLA A TERRA IN CAMPO -
 Un'azione offensiva del Pescara, la corsa lontano dal pallone, e poi improvviso il crollo a terra sul vertice della propria area: è la terribile scena a cui si è assistito al 31' del 1° tempo allo stadio Adriatico. Il centrocampista del Livorno è caduto in avanti, faccia a terra, apparentemente in preda a convulsioni, e immediatamente le due panchine e il guardalinee hanno attirato l'attenzione dell'arbitro Baratta che ha fermato il gioco. Morosini è stato soccorso dai sanitari presenti che gli hanno praticato un massaggio cardiaco, usando anche un defibrillatore. Poi il giocatore è stato portato in ambulanza all'Ospedale Civile Santo Spirito di Pescara, mentre i compagni erano in lacrime, rientrando nel tunnel degli spogliatoi con le mani fra i capelli. 

FOTOSEQUENZA: il crollo improvviso in mezzo al campo (VIDEO)
AUDIO: auto vigili intralciava i soccorsi / LE IMMAGINI
VIDEO: urla e pianti dei compagni di squadra in ospedale

VIDEO: disperazione in ospedale

FOTO: la notizia sui siti del mondo


PARTITA SOSPESA, MALORE DI UN TIFOSO -
 Quindi è stata definitivamente sospesa Pescara-Livorno, la partita di serie B fermata alla mezzora per l'improvviso malore di Morosini, crollato in campo quando il pallone era lontano. Mentre il centrocampista veniva soccorso con un defibrillatore e i suoi compagni scoppiavano in lacrime, il pubblico ha cominciato a chiedere a gran voce di sospendere la partita. Sugli spalti un tifoso ha avuto un malore, ed è stato soccorso. Le due squadre sono tornate negli spogliatoi, unico a rimanere in campo Zeman.

AMBULANZA RITARDATA DA VETTURA DAVANTI INGRESSO - 
Morosini è stato portato nella sala del Pronto Soccorso dell'ospedale civile di Pescara, insieme al giocatore e ai sanitari c'era anche il medico sociale del Livorno, Porcellini. Secondo una prima diagnosi il giocatore sarebbe stato colpito da una crisi cardiaca con successivo arresto cardiocircolatorio. 
Quando è stato sollevato in barella dentro l'ambulanza, sul campo dello stadio del Pescara, il calciatore era cosciente. "Mi ha guardato negli occhi quando è entrato nella vettura - ha raccontato a Sky l'ad del Pescara, Danilo Iannascoli - Stiamo vivendo un dramma. L'ambulanza in ritardo? Non so, ma so che l'ingresso in campo era ostruito da una vettura. Morosini è caduto, ha provato a rialzarsi ma è ricaduto. Il nostro massaggiatore si è reso conto del dramma".

TENTATIVI DI RIANIMAZIONE IN OSPEDALE -
 I medici del pronto soccorso dell'ospedale Civile di Pescara hanno effettuato le procedure di rianimazione su Piermario Morosini, arrivato in condizioni gravissime. Al giocatore sono state praticate manovre di ventilazione e rianimazione, poi è stato intubato. A soccorrerlo per primo allo stadio, dove stava seguendo la partita, scendendo dagli spalti e raggiungendo il campo, è stato Leonardo Paloscia, primario di Emodinamica all'ospedale di Pescara, che lo ha assistito fino all'arrivo al pronto soccorso.

LE URLA E I PIANTI DEI COMPAGNI - Urla e pianti a dirotto dei compagni dall'interno del pronto soccorso dove il giocatore del Livorno era arrivato in arresto cardiaco preannunciavano la tragica notizia. I calciatori toscani sono arrivati all'ospedale, e al loro ingresso sono esplosi in lacrime.

L'ANNUNCIO DEL PRIMARIO: "MOROSINI E' MORTO" - A dare ufficialmente la notizia dell'avvenuto decesso del calciatore del Livorno è stato il primario di cardiologia dell'Ospedale Santo Spirito di Pescara, Leonardo Paloscia. "Morosini non ha mai ripreso un battito", ha detto il medico raccontando gli ultimi momenti di vita del giocatore del Livorno -. Da quando sono arrivato io non ha mai dato un cenno di ripresa né di respiro e né di battito. Quando sono arrivato io era tutto fermo. La causa? Non si può dire, penso che tutto sarà rinviato all'esame autoptico. Ritardi? Se si intendono 30 secondi non è quello, il medico del Livorno ha effettuato subito il massaggio cardiaco".

AVEVA PERSO I GENITORI E UN FRATELLO -
 Nato a Bergamo il 5 luglio 1986, Piermario Morosini era cresciuto nel settore giovanile dell'Atalanta, con cui aveva perso nel 2005 la finale del Campionato Primavera contro la Roma. Subito dopo, Morosini, già colpito dal destino essendo rimasto orfano quando non era nemmeno maggiorenne (la mamma Camilla è scomparsa nel 2001, il padre Aldo nel 2003, aveva perso un fratello, viene prelevato dall'Udinese in comproprietà. Nei friulani si divide tra Primavera e prima squadra, colleziona 5 presenze in A (debutta in una partita contro l'Inter) e anche una in Coppa Uefa ma nella stagione 2006-07 viene mandato a farsi le ossa in B, col Bologna. 

AGLI EUROPEI UNDER 21 2009, POI TANTI CLUB IN B -
 L'anno dopo, riscattato dall'Udinese, viene mandato al Vicenza, dove resta fino al 2009. E con i biancorossi si guadagna un posto nell'Under 21 che va a giocare gli Europei in Svezia, prima di proseguire il suo girovagare che lo porta a Reggio Calabria, Padova e ancora Vicenza. La scorsa estate il ritorno a Udine, prima del prestito al Livorno fino al prossimo giugno per rilanciarsi. Morosini era entrato nel giro delle Nazionali azzurre nel 2001 con le prime apparizioni nell'Under 17. Nel biennio 2007-2009 aveva collezionato 18 presenze con l'Under 21 partecipando all'Europeo di categoria.

FIGC: STOP A CAMPIONATI PER MORTE MOROSINI -
 La Figc ha disposto la sospensione della giornata di tutti i campionati di calcio in programma in questo fine settimana e lunedì. Lo ha annunciato il direttore generale della Federcalcio, Antonello Valentini, in segno di lutto per la scomparsa di Morosini. Successivamente verrà indicata la data per il recupero della giornata.
Inizialmente la Federazione aveva deciso un minuto di silenzio prima di tutte le partite in programma questo fine settimana, dalla A alle serie minori.

CONI: MINUTO DI SILENZIO PER TUTTO LO SPORT -
 Il presidente del Coni, Giovanni Petrucci, ha invitato le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate e gli Enti di Promozione Sportiva a far osservare un minuto di silenzio in occasione di tutte le manifestazioni sportive, che si disputeranno in Italia da questo momento e per tutto il weekend, in memoria di Piermario Morosini.

Arrestato a Piacenza ex assessore leghista all’ambiente per corruzione e concussione.



Le accuse riguarderebbero il business del fotovoltaico che gestiva quando era alla Provincia. Due mesi fa Rosi Mauro e Angelo Alessandri in merito all'inchiesta parlarono di "montatura dei giornali".

Rosi Mauro e Angelo Alessandri, due mesi fa, quando partì l’indagine, si precipitarono a Piacenza per difenderlo “dalle montature create ad arte dalla stampa”. Stamani Davide Allegri ex assessore leghista alla Protezione civile e all’Ambiente della Provincia di Piacenza e già assessore all’Urbanistica del Comune di Cortemaggiore, è stato arrestato dai carabinieri del Comando provinciale di Piacenza per corruzione e concussione.

La vicenda gravita attorno ad autorizzazioni a realizzare impianti fotovoltaici. Al termine di indagini cominciate due anni fa, Allegri è stato sottoposto dai militari a un’ordinanza di custodia per concussioni consumate e tentate e per corruzione.

Per mezzogiorno è annunciata una conferenza stampa alla Procura della Repubblica di Piacenza, alla presenza del pm Antonio Colonna.
L’ex assessore provinciale era già stato iscritto nel registro degli indagati per concussione ed abuso in atto d’ufficio, nell’ambito della gestione delle autorizzazioni su alcuni impianti fotovoltaici. La notizia era stata resa nota dal quotidiano piacentino Libertà il primo marzo 2011 e subito dopo Allegri aveva lasciato l’incarico, che all’epoca ricopriva, di assessore comunale a Cortemaggiore.
Nei giorni precedenti un misterioso plico inviato da un ‘corvo' era pervenuto alla procura della Repubblica. Conteneva, a quanto si era appreso, registrazioni telefoniche fra due esponenti leghisti con tanto di trascrizioni, fotocopie di richieste di rimborso spese e un memoriale riguardante l’installazione di impianti fotovoltaici nel Piacentino.
Allegri si era dimesso da assessore provinciale nel settembre 2010, motivando la propria decisione con “le difficoltà di conciliare gli impegni politici e quelli professionali di architetto e docente universitario”. Sulle sue dimissioni aveva apertamente polemizzato l’opposizione.
Dopo aver appreso, a marzo 2011, di essere stato indagato, Allegri aveva poi diffuso una lunga dichiarazione in cui affermava tra l’altro che gli iter autorizzativi degli impianti fotovoltaici “sono totalmente esterni ed indipendenti dalla volontà politica di chicchessia. Mentre sono del tutto dipendenti da passaggi e da valutazioni di carattere tecnico e normativo, e quindi oggettivi nel loro sviluppo”.
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Piazza della Loggia, in appello tutti assolti i quattro imputati per la strage.



Per il tribunale di Brescia, Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte e il generale dei carabinieri Francesco Delfino non devono andare in carcere. In primo grado, il 16 novembre 2010, i 4 erano stati assolti con formula dubitativa.



E così anche questa volta giustizia non è stata fatta. Nessun colpevole per la strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974, otto morti e oltre cento feriti): trentotto anni dopo, la Corte d’assise d’Appello di Brescia ha assolto Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte (neofascisti di Ordine nuovo) e il generale dei carabinieri Francesco Delfino nel quarto processo per la strage.

Per sovrappiù, la beffa: le parti civili dovranno accollarsi le spese processuali del ricorso contro contro Pino Rauti, ritenuto inammissibile, per il quale la stessa accusa aveva chiesto l’assoluzione.

Non che i parenti delle vittime e i bresciani che hanno seguito con trepidazione il dibattimento in aula si fossero fatte molte illusioni. Una maledizione, o per meglio dire una congiura del silenzio, sembra colpire i processi che riguardano lo stragismo nero, variamente supportato da servizi segreti deviati e apparati dello stato infedeli. Piazza Fontana docet.

Eppure, fin dall’inizio erano state percorse le piste giuste. Nel 1975, per la bomba di Brescia vengono inquisiti i neofascisti Ermanno Buzzi e Angelino Papa, che nel 1979 saranno condannati in primo grado. Ma già 1981 le acque diventano torbide. Poco prima del processo d’Appello, Buzzi, personaggio in bilico fra criminalità comune e neofascismo, viene ammazzato nel supercarcere di Novara dai camerati Mario Tuti e Pierluigi Cocutelli: perché era un “pederasta”, si giustificano i due. Perché intendeva “cantare” nell’imminente processo di secondo grado, il movente più accreditato, come risulterebbe anche da una lettera di Buzzi medesimo.

In ogni caso, al processo d’Appello Papa viene assolto e, a sorpresa, arriva anche l’assoluzione “post mortem” di Buzzi. Fra annullamenti e nuovi appelli, le assoluzioni vengono confermate fino in Cassazione.

Non è l’unica stranezza di questa storia infinita. Nel 1975, a raccogliere la soffiata su Buzzi era stato il capitano dei carabinieri Francesco Delfino il quale, come si scoprirà molti anni dopo, conosceva benissimo Buzzi, che era un suo informatore fin dal 1973: un informatore speciale, che veniva da lui addirittura mandato a colloquio con i detenuti in carcere per carpirne informazioni. Bell’informatore. O meglio: bella coppia di informatore e servitore dello Stato.

Ma facciamo un passo indietro: da uno stralcio della prima istruttoria (“gruppo Buzzi”) era nata un’ “inchiesta bis” imperniata su Ugo Bonati, uno dei principali testimoni dell’accusa, che sosteneva d’aver assistito a tutta la vicenda, dal trasporto dell’esplosivo alla Piazza fino al deposito della bomba. La sua posizione di “testimone inconsapevole” della strage si fa presto insostenibile e viene rinviato a giudizio come componente del gruppo degli attentatori, in concorso con Buzzi e Papa, con conseguente mandato di cattura. Ma nel ’79 fugge da Brescia e da allora non è più stato rintracciato. Il 17 dicembre 1980, comunque, il giudice istruttore dispone l’assoluzione nei suoi confronti, accertando che le sue affermazioni sono false, sul ruolo degli altri imputati come sul proprio.

Altre due istruttorie si risolvono in un nulla di fatto: nel 1987 vengono assolti gli estremisti di destra Cesare Ferri Alessandro Stepanoff. Nel 1993 il giudice istruttore Gian Paolo Zorzi non riesce ad accertare le responsabilità penali di un altro gruppo di neofascisti, fra i quali Giancarlo Rognoni. Nell’ordinanza di rinvio a giudizio Zorzi denuncia la protezione di esecutori e mandanti della strage a opera di servizi segreti e apparati dello Stato, evidenziando “l’esistenza e costante operatività di una rete di protezione pronta a scattare in qualunque momento e in qualunque luogo”.

Passano 15 anni prima che vengano rinviati a giudizio, nel 2008, altri esponenti neofascisti (Pino Rauti, Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi, già inquisiti per piazza Fontana) e, questa volta, anche un informatore del Sid e un rappresentante delle istituzioni: il comandante, nel frattempo diventato generale, Francesco Delfino.

L’accusa di strage nei confronti Maggi e Zorzi (quest’ultimo, residente da decenni in Giappone, è accusato di aver confezionato e procurato l’ordigno esploso in piazza della Loggia), si basa sulle veline al Sid di Padova e sulle successive dichiarazioni dell’agente Maurizio Tramonte, nome in codice Tritone, e sulle dichiarazioni del pentito Carlo Digilio, ex agente Cia, armiere di Ordine Nuovo.

Nelle sue veline, l’infiltrato Tramonte-Tritone raccontava in tempo reale (1974) di riunioni svoltesi ad Abano Terme con lo scopo di creare “ … una nuova organizzazione extraparlamentare di destra che comprenderà parte degli ex militanti di Ordine Nuovo. L’organizzazione sarà strutturata in due tronconi. Uno clandestino … opererà con la denominazione Ordine Nero sul terreno dell’eversione violenta contro obiettivi che verranno scelti di volta in volta”. Una dichiarazione d’intenti che non poteva essere presa sottogamba, ma che fu invece ignorata all’epoca dei fatti e considerata ininfluente al processo del 2008, così come non rilevante fu considerata la testimonianza di Digilio, già considerato non credibile come teste nel processo di piazza Fontana e, per estensione, anche in quello di Brescia. Risultato: tutti assolti, sia pure con formula dubitativa.

Le ultime speranze erano riposte nel processo d’Appello, iniziato due mesi fa. Ma le cose sono andate male fin dall’inizio: non sono state accolte le nuove prove prodotte dall’accusa, fra le quali le dichiarazioni di un altro agente del Sid, Fulvio Felli, il quale ammetteva che la velina di Tramonte sulla riunione di Ordine nero in cui si preannunciava la strage era stata posdatata, risultando evidente che, se scritta e letta da chi di dovere prima dei fatti, la strage si sarebbe potuta prevenire.

La ridefinizione del ruolo di Delfino e dei suoi rapporti con Buzzi non sono stati presi in considerazione. E lo stesso si dica per il ritrovamento del casolare, indicato da Digilio, dove Zorzi avrebbe accompagnato il camerata Marcello Soffiati per la consegna della valigetta che conteneva l’ordigno destinato a Brescia.

È stato accettato, soltanto, un approfondimento sulle perizie balistiche: in pratica una discussione astratta su reperti che non esistono (la piazza fu lavata subito dopo l’esplosione) ingaggiata fra i periti dell’epoca, che avevano almeno annusato dal vivo l’odore dell’esplosivo, e quelli di oggi, che hanno lavorato solo sulle carte. Era tritolo, sostengono questi ultimi, no c’era anche gelignite o dinamite, dicono i vecchi, in accordo con quanto dichiarato da Digilio.

Con queste premesse, dicevamo, i parenti delle vittime che da 38 anni conducono la loro caparbia battaglia per la ricerca della verità, non si facevano illusioni. E però la delusione è stata forte. «La verità giudiziaria dal punto di vista delle singole responsabilità non l’abbiamo. Abbiamo invece ormai acquisito una verità storica sui fatti» ha dichiarato Manlio Dilani, presidente dell’Associazione vittime della strage di piazza della Loggia.