lunedì 16 aprile 2012

Schiavi del voto di scambio. - Giuseppe Pipitone




Dopo gli slogan sparati, le gazzarre da cortile, gli inciuci palesi e quelli sotto banco, alla fine anche questa campagna elettorale per le amministrative di maggio andrà in archivio come tutte le altre. Un attimo dopo lo spoglio i commentatori specializzati saranno impegnatissimi a contare schieramenti e percentuali,  arringare la folla su exploit e débacle, fantasticare sulle conseguenze del famoso “dato elettorale”. Nessuno, però, si fermerà un attimo ad analizzare su quali voti saranno costruite quelle vittorie.

L’utilizzo distorto che la maggioranza degli elettori è ormai abituata (leggi: costretta) a fare del proprio diritto di voto è infatti uno dei motivi principali che rende la democrazia italiana una democrazia incompiuta, di carta pesta, monca, con governi che ufficialmente nessuno vota e leggi cucite su misura sugli interessi di lobby più o meno criminali. Non si fa uno scoop se si dice che le elezioni in Italia – tutta l’Italia ma soprattutto il Sud – sono storico ostaggio del voto di scambio.

Voto di Scambio. Si legge e si sente spesso: in Sicilia è il reato più comune in cui incappano i politici insieme all’abuso d’ufficio e al concorso esterno in associazione mafiosa. Voto di scambio è il reato per il quale è stato condannato in primo grado Antonello Antinoro, eurodeputato dei Popolari d’Italia Domani (il partito dell’ex Ministro imputato per mafia Saverio Romano), sorpreso a “scambiare” pacchetti di voti dei boss di Resuttana con pacchetti di euro. Voto di scambio. E’ il reato per il quale è imputato il massimo amministratore della Sicilia, il governatore Raffaele Lombardo, che secondo i magistrati avrebbe preso soldi e voti da Cosa Nostra a Catania. Ma non c’è solo il voto di scambio delle indagini giudiziarie, dei titoli sui giornali e dei servizi ai tg.

Il voto di scambio non è soltanto un reato disciplinato dall’articolo 416 – ter del codice penale. Esiste infatti un altro tipo di voto di scambio, molto più comune e diffuso del primo: quello legale. Un fenomeno molto più sfumato, dilaniante e pericoloso perché è difficilmente identificabile e quasi impossibile da perseguire. Voto di scambio. È l’attimo in cui il cittadino medio rinuncia alla suo unico momento di amministrazione di potere, mette da parte idee e ideologie e svende il suo diritto di cittadinanza. Un meccanismo perverso che inquina costantemente l’esito delle consultazioni elettorali.

Il fatto è che dopo 65 anni di “libere” elezioni chi cerca voti capisce dall’ inizio qual è il prezzo potenziale dell’elettore che ha di fronte. E si muove di conseguenza.

C’è un voto, un voto evanescente e difficile da rintracciare, che è quello che ha un prezzo monetarioben preciso: per le elezioni amministrative si va dai 20 ai 50 euro. Gli elettori potenziali saranno spesso neo diciottenni che non sanno che farsene della tessera elettorale o persone che vivono sotto la soglia di povertà. “Nel mio quartiere sono tornati a circolare i pacchi di pasta” sussurrava ad un comizio elettorale un palermitano di Cruillas. “Vengo per quella cosa, ho fatto come diceva lei” disse un’anziana signora ad un candidato al consiglio comunale, il giorno dopo le ultime elezioni. Pretendeva una banconota da 50 euro in cambio del suo voto ma aveva sbagliato candidato per questioni di omonimia.

Il voto di scambio più inetto però non è quello monetario, palese e meschino tanto da sfiorare l’ingenuità. Il voto di scambio peggiore, che crea danni ingenti e irrecuperabili negli anni, è quello che fa leva sul ricatto occupazionale.

Ci sono comuni in Sicilia che vengono definiti da anni “il regno del lavoro interinale”. Cosa vuol dire? Che spesso in quei posti il lavoro è sinonimo di una sigla:  Asu (attività socialmente utile), Lsu (lavoratore socialmente utile), Puc (progetto  utilità collettiva), ex articolo 23 (detti anche articolisti). Varie forme di lavoro, diffuse e scambiate al mercato del voto, che consistono alla fine in 540 euro al mese se si è Lsu, 670  per i part time, 900 per chi arriva a 32 ore settimanali. Negli anni ’90 lo Stato aveva bloccato le assunzioni pubbliche. I padroncini della politica locale però dovevano continuare a far fronte alla campagna elettorale ad ogni elezione.
Con qualche legge regionale entrare in quell’esercito di precari votanti era quindi diventato semplicissimo: bastava presentare una domandina all’ufficio di collocamento e con l’appoggio giusto si veniva chiamati. In cambio del voto ovviamente.

Il lavoro precario è così diventato  la “moneta” migliore per comprare  voti e vincere elezioni: un ciclo che dura da anni, e non sembra, non può, conoscere crisi. Stipendi precari, a tempo, con contratti che spesso scadono poco prima delle elezioni, giusto in tempo per battere un’altra volta cassa in cambio di un nuovo contratto. Sempre a tempo, sempre precario: altro giro, altra corsa. Chi si ribella è fuori. Un’opzione difficile da scegliere quando si hanno più di trent’anni e una carriera decennale da precario. Una condizione di schiavi del voto di scambio che non sembra avere soluzione.

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Prosegue l’inchiesta della Procura di Milano sullo scandalo che ha travolto la Lega Nord e gli agenti della Guardia di Finanza sono nella sede federale di via Bellerio per acquisire documenti.

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Valter Lavitola in Italia, arrestato. Richiesta di custodia per il senatore Sergio De Gregorio.



Il commercialista del parlamentare, sentito come teste dai pm di Napoli, dice che il passaggio al partito di Berlusconi fu opera dell'ex direttore dell'Avanti!. Il faccendiere, rientrato oggi in Italia e trasferito a Poggioreale, è accusato di corruzione internazionale e associazione a delinquere.


Lavitola arrestato all'arrivo in Italia
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I FONDI PER L’EDITORIA E L’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Il primo, seguito dalla Guardia di Finanza, riguarda la distrazione di fondi per l’editoria per un ammontare complessivo di circa 23 milioni di euro. Ed è in questo filone che si inserisce anche il nome del senatore Sergio De Gregorio e di altre quattro persone: Vincenzo Ghionni, Roberto Cristiano, Antonio Bifano e Patrizia Gazzulli, oltre allo stesso Lavitola.

Al senatore del Pdl, già direttore dello stesso Avanti!, un passato nell’Italia dei Valori – eletto nel 2006, cambiò schieramento poco dopo avere ottenuto la presidenza della commissione Difesa con i voti dell’allora Casa della Libertà – e a Lavitola, viene contestato di essere promotori di una associazione a delinquere finalizzata, di fatto, a ottenere contributi per l’editoria poi distratti e impiegati in altre attività. Secondo gli inquirenti, De Gregorio sarebbe responsabile – nel periodo tra il 2005 e la metà del 2007 – di episodi di false fatturazioni, occultamento di atti contabili, corruzione, bancarotta fraudolenta, truffa e appropriazione indebita. In questo contesto, sarebbero state costituite amministrate e poi anche “spogliate” alcune società “che fornivano stabilmente i giustificati documentali relativi a prestazioni inesistenti – scrive il gip – sia per ottenere contributi pubblici per l’editoria (dirottati, poi, verso destinazioni allo stato ignote ed in via di accertamento e comunque nella disponibilità individuale degli indagati e di altri soggetti allo stato non identificati), sia per mascherare attività di spoliazione patrimoniale delle società e di riciclaggio e per occultare i proventi di attività corruttive ovvero le provviste per corrompere”. I soldi “distratti” sarebbero poi stati reinvestiti, secondo l’accusa, all’estero. E principalmente a Panama, in Kurdistan, Kazakistan e Emirati Arabi.


“PASSAGGIO AL PDL DI DE GREGORIO LAUTAMENTE REMUNERATO”Un provvedimento di richiesta di arresti domiciliari è stato trasmesso al Senato per l’autorizzazione all’esecuzione. Interpellato dall’Ansa, il senatore del Pdl ha detto di volersi difendere ”con le unghie e coni denti”. “Non essendomi mai sottratto all’autorità giudiziaria non capisco quale necessità ci sia di questa misura cautelare”, ha aggiunto. De Gregorio dovrà rispondere anche delle accuse che ora arrivano dai testimoni dell’inchiesta sul suo passaggio al Pdl: “Fu lautamente retribuito”. Ad affermarlo è stato Andrea Vetromile, commercialista e collaboratore di De Gregorio, interrogato come teste dai pm di Napoli. Il verbale, con diversi omissis, è riportato nell’ordinanza di custodia notificata oggi. Secondo il testimone, fu Valter Lavitola “che accreditò De Gregorio presso Berlusconi. De Gregorio – ha spiegato Vetromile – è un ex socialista come Lavitola. Egli dunque considerava il suo approdo naturale Forza Italia. Si candidò con Di Pietro in quanto questo partito gli aveva garantito una candidatura come capolista al Senato… Una volta eletto passò nelle fila del centrodestra. Ebbene fu proprio Lavitola che, forte dei suoi rapporti personali con Berlusconi, concretizzò questo accordo. Voglio precisare anche che l’accordo del passaggio di De Gregorio al centrodestra venne così lautamente remunerato…(omissis)”.


LE CARCERI A PANAMA E IL RUOLO DI MARTINELLI
Il secondo filone dell’inchiesta, nelle mani della Digos, riguarda invece presunti episodi di corruzione internazionale per la costruzione di strutture carcerarie a Panama. Un affare da 170 milioni di euro, poi tramontato, di cui altro personaggio chiave è Angelo Capriotti, socio del consorzio Svemark – per i cui beni è stato disposto oggi il sequestro – per la produzione di celle modulari. Capriotti è lo stesso che diede lavoro alla moglie di Tarantini, Nicla De Venuto. Anche lui figura tra i destinatari degli ordini di custodia, insieme a Paolo Passalacqua, Claudio Fagiano e Enzo Valori.

Dalle fonti di prove acquisite dai pubblici ministeri di Napoli Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli riguardo alle attività svolte all’estero da Lavitola, “emerge chiaramente , a livello di gravità indiziaria, il coinvolgimento, oltre del Lavitola nel ruolo di intermediario, del Presidente di Panama Martinelli e di uomini del suo governo nel mercimonio” legato alla realizzazione di carceri modulari nello Stato dell’America centrale. Lo stesso Martinelli avrebbe ricevuto da Lavitola denaro contenuto in una valigetta. Il valore stimato per l’appalto era di 176 milioni di euro per la realizzazione di carceri modulari. Lavitola avrebbe avuto un ruolo di mediatore “accreditato” sia presso il governo di Panama che presso autorità italiane. Il valore dei beni promessi è stimato in circa 28 milioni di euro mentre le somme effettivamente corrisposte sono di 530mila euro e 140mila dollari.

“CINQUE MILIONI DI EURO PER STARE ZITTO”
E secondo i pm, oltre alle attività estere, Valter Lavitola si occupava dei suoi ‘interessi’ in Italia: l’intenzione era di chiedere 5 milioni di euro a Silvio Berlusconi. E se il leader del Pdl non avesse pagato, Lavitola “avrebbe avuto tutte le giustificazioni, anche morali, per dire tutto quello che sapeva su Berlusconi”. A dichiararlo ai pm di Napoli è Maria Lavitola, sorella del direttore dell’Avanti. Maria Lavitola ha prima riferito di una telefonata ricevuta dal fratello in cui questi le chiese di recuperare un contratto di pubblicità da 800mila euro stipulato dall’Avanti con Berlusconi tra il 1998 e il 2002-3. “Mi disse – ha dichiarato – che dovevo prendere questo contratto e portarlo a Berlusconi”. Quando lei domandò il motivo, Valter Lavitola le avrebbe risposto: “Sono cazzi miei”. “Non cercai – ha poi affermato – neanche di trovare questo contratto perché sapevo che mi sarei cacciata in un guaio. A mio fratello dissi una frottola”. La testimone rivela anche di aver incontrato nel novembre scorso una donna, Neire Cassia Pepes Gomez, che a suo dire sarebbe stata inviata in Italia dal fratello. Neire le riferì di avere con sè una lettera di Valter da consegnare ad un avvocato che avrebbe dovuto recarsi da Berlusconi per chiedergli la somma di 5 milioni di euro. Il legale tuttavia le disse che di questa faccenda “non voleva saperne nulla”. “Io chiesi a Neire – ha dichiarato Maria Lavitola – a che titolo Berlusconi dovesse dare questi soldi a mio fratello e lei mi rispose che era una tattica, nel senso che se gli dava questi 5 milioni di euro andava tutto bene, mentre se non li dava Valter, una volta tornato in Italia, avrebbe avuto tutte le giustificazioni anche morali per dire tutto quello che sapeva su Berlusconi. Insomma, a dire di Neire, non bisognava spiegare a Berlusconi il motivo della richiesta”.