mercoledì 25 aprile 2012

Pulizia di Stato. - di Marco Travaglio






Gentile dottor Antonio Manganelli, come capo della Polizia lei avrà senz’altro visto il bellissimo film Diaz di Daniele Vicari che sta riscuotendo un buon successo di pubblico nelle sale.

L’ho visto anch’io assieme a mio figlio che – posso assicurarle – non è stato educato all’odio contro le forze dell’ordine. Anzi, personalmente ho sempre pensato e detto che, fino a prova contraria, le forze dell’ordine sono dalla parte del giusto. Eppure, all’uscita dal cinema, mio figlio che ha 17 anni ha commentato: “Mi è venuta una gran voglia di prendermela con i poliziotti”. Ho cercato di spiegargli che quel che accadde 11 anni fa al G8 di Genova è un unicum, tant’è che ancora se ne parla, al punto da farci un film. Che non tutti i poliziotti sono come quelli ritratti da Vicari. Anzi, la maggior parte prova per quelle scene (purtroppo reali, documentate da testimonianze e filmati e atti processuali) lo stesso orrore che proviamo noi. E ogni giorno migliaia di agenti rischiano la pelle per un miserostipendio, catturando killer della mafia addirittura con le proprie auto, com’è accaduto ancora l’altro giorno in Calabria, visto che le volanti sono spesso senza benzina o arrugginiscono guaste nei garage per i continui tagli al bilancio dell’ordine pubblico. Ma temo di non averlo convinto.
E lo sa perché? Perché alla fine del film una scritta agghiacciante ricorda che decine di quegli agenti e dirigenti violenti e deviati sono stati condannati in primo e secondo grado per le mattanze alla Diaz e a Bolzaneto (a proposito: si spera che la Cassazione si sbrighi a giudicarli, per evitare che la facciano franca per la solita prescrizione), ma nessuno è stato rimosso dal corpo. Qualcuno anzi ha fatto addirittura carriera. Come Vincenzo Canterini che, dopo la condanna in primo grado a 4 anni per la Diaz, divenne questore e ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest. O Michelangelo Fournier, quello che al processo parlò di “macelleria messicana”, che dopo la prima condanna a 4 anni e 2 mesi ascese al vertice della Direzione Centrale Antidroga. O Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un ragazzo di 15 anni, condannato in tribunale a 2 anni e 4 mesi per le sevizie di Bolzaneto e a 2 anni e 3 mesi per arresti illegali, e subito dopo promosso capo della Questura di Genova e poi dirigente di quella di Alessandria. Molti di loro avrebbero subìto sanzioni ancor più pesanti se l’Italia avesse recepito il reato di tortura, cosa che non avvenne per la strenua opposizione del Pdl e della Lega, guardacaso al governo nel 2001 e dunque responsabili politici e morali di quel che accadde. Nemmeno il dirigente che portò nella Diaz due molotov ritrovate altrove per giustificare ex post l’ignobile pestaggio di gente inerme fu cacciato dalla polizia. E nemmeno quello che, come si vede nel film, si ferì da solo per simulare un corpo a corpo con i fantomatici “black bloc” che in quella scuola, quella notte, non esistevano. Molti altri, nascosti sotto l’anonimato del casco, non sono stati identificati, dunque neppure processati.
È difficile non pensare che gli agenti che si sono macchiati di violenze gratuite negli ultimi anni, per esempio in Val di Susa contro i No-Tav, possano essere gli stessi che la passarono liscia per i fatti di Genova, o altri loro emuli, incoraggiati dall’impunità generale. Lei, dottor Manganelli, 11 anni fa non era a Genova e non può essere ritenuto responsabile di quel che accadde. Ma oggi che la verità processuale è sotto gli occhi di tutti, validata dai due gradi di giudizio di merito (la Cassazione deve pronunciarsi solo sulla legittimità delle sentenze) e finalmente immortalata da un film (era già tutto nel documentario Bella ciao di Giusti, Torelli e Freccero, ma la Rai vergognosamente lo censurò), non può chiamarsi fuori. La prego, metta subito alla porta chi si macchiò di quei crimini orrendi. Ci aiuti a credere ancora nella Polizia di Stato.
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Gli studenti e la Liberazione: Salò in Basilicata e la Resistenza contro l’Austria. - di Franco, Paolin e Iurillo



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Milano, Roma, Napoli: in giro per le scuole italiane sulle tracce della Resistenza e di ciò che ne rimane oggi, tra strafalcioni, tentativi azzardati di spiegazione e imbarazzo (poco). “La Liberazione? Mannaggia, questa la sapevo…”.
MILANO – ”Salò si trova in Basilicata”. “No, è vicino al lago di Como”
   Il 25 aprile è l’anniversario della Liberazione, questo gli studenti del liceo classico Parini di Milano lo sanno. Ma da cosa ci si è liberati? “Mi sembra dagli austriaci. O dagli spagnoli”, risponde A., 15 anni. Lo corregge F., suo compagno in quinta ginnasio: “No, dall’occupazione nazista. Era la Seconda guerra mondiale”. Poi però va in crisi sulla Resistenza: “Chiedi troppo – ride seduto sul motorino –. Forse c’entrano i partigiani”. Lo interrompe A.: “I partigiani, quelli che venivano chiamati alle armi, ma si rifiutavano di andare a combattere perché erano contro il fascismo”. Ragazzi, la storia la studiate? “A scuola siamo ai Romani”. Proviamo con i repubblichini. Chi erano? “Penso che c’entrino con la Repubblica di Salò”. Non male, visto che poco dopo da un gruppetto di ragazze di quarta ginnasio esce solo un “mai sentiti”. Fai cenno a Salò e qualcosa torna in mente dai libri di terza media: “Mussolini ha instaurato lì una repubblica quando è stato cacciato dall’Italia”, spiega un po’ confusa C., 14 anni. Il mistero vero ora è dove sia Salò. C. lo colloca nell’Italia centrale, in Basilicata probabilmente. La sua compagna A. non è d’accordo: “Secondo me è al Nord”. Ma ci ripensa: “No, forse è vicino a Roma”. M. ha 17 anni e mette Salò su un lago. Quale? “Quello di Como”. Ahi. In seconda liceo, del resto, sono arrivati fino all’Unità d’Italia: il periodo della Resistenza è ancora lontano. Passa Carlo Arrigo Pedretti, il preside. Professore, senta che risposte. “Abbiamo una classe politica che non va”, si giustifica sotto la lapide che ricorda Giambattista Mancuso, il figlio del custode del Parini che morì a 22 anni mentre combatteva tra i partigiani. E la scuola? “Ne paga le conseguenze”.
ROMA – ”I repubblichini erano quelli che stavano in Africa”
   “La Liberazione? Mannaggia, questa la sapevo, ci ho fatto pure la tesina di terza media…”. Sull’alto muro che circonda lo storico liceo classico Mamiani (classe 1885), il poster dedicato ai ragazzi di Salò è stato appiccicato a bella posta. Negli anni Settanta il movimento studentesco era forte lì dentro. Ieri il poster che inneggia ai repubblichini l’hanno strappato via, ne resta solo un angoletto. Una ragazza ci pensa su: “Ma quali sono quelli di Salò? Quelli che stavano in Africa, mi pare”. La compagna le dà una gomitata: “No, dai, sappiamo della Resistenza, Mussolini e tutto quanto. Solo che il fascismo vero ormai è morto, quelli di adesso sono solo ragazzini che cercano di darsi delle arie”. Un altro conferma: “Essere di destra va di moda, perché il comunista è uno sfigato, il fascio è un figo che va contro la legge. Capito?”. Ma ci sarete al corteo dell’Anpi? Li conoscete i partigiani? “Sì, una volta sono venuti qua. Raccoglievano le firme, volevano i numeri di telefono” dice uno. Intorno ridono: “Macché, quelli erano gli ambientalisti, che c’entra. È che di queste cose non parliamo, tranne un prof dichiaratamente nostalgico. Ci dice: col Duce si stava meglio”. “Mio nonno fu rinchiuso in un campo di concentramento – aggiunge un tipo alto, col sorriso –, perciò so che significa la Liberazione. Se gli altri dicono stupidaggini io mi giro e taccio. Però non so se ci andrò al corteo”. “Io vorrei – risponde una ragazza seduta sul gradino –. Ma dobbiamo studiare un sacco, non ce la faccio proprio”. S’avvicina un’amica, le mette fretta: andiamo, è tardi. E il 25 aprile? “So solo che non si va a scuola, il resto boh. Mi sa che è grave, vero?”.
NAPOLI – ”Cos’è la Resistenza? È l’associazione dei partigiani”
   Almeno nel liceo intitolato a un eroe napoletano della Resistenza, per di più sito in piazza Quattro Giornate, che vanta tra i suoi diplomati il fior fiore di Napoli (anche il sindaco Luigi De Magistris), ti aspetti che gli studenti sappiano il significato del 25 aprile. Non è così. All’uscita dell’Adolfo Pansini, si raccolgono risposte inconsapevoli. Susy, 17 anni, interrogata a un tavolino del Caffè , sembra preparata: “Il 25 aprile è la festa della liberazione dal nazifascismo”. Brava. Peccato che collochi l’evento prima nel 1946, poi nel 1960. “La resistenza? L’associazione dei partigiani…”. E che differenza c’era tra i partigiani e i repubblichini? “Sinceramente non lo so”. La parola repubblichini fa spalancare gli occhi anche alle compagne di classe: “Non la sappiamo proprio”. Salò, questa sconosciuta. Federica, 17 anni, non sa definire la resistenza. “Ma il 25 aprile è una festa importante”. Sicuramente. Lorenzo, 15 anni, ha un concetto di 25 aprile tutto suo: “È la festa di liberazione degli ebrei dai nazisti”. Gli amici ridono, qualcuno inizia a cantare ‘Bella ciao’. Il coetaneo Luciano invece fa un figurone: in pochi secondi riassume la storia delle Quattro Giornate e sottolinea che “Napoli fu l’unica città a liberarsi da sola”. Alle 13.30 escono gli studenti dell’ultimo anno. La maturanda Annachiara, ci pensa un po’ poi spara: “Il 25 aprile è la festa di liberazione dai nazisti”? Col punto interrogativo. Ci sei arrivata per caso? “No, la stiamo studiando”. Ma alla domanda sul significato di “repubblichino” sorride e rimane muta. Il liceo all’ingresso espone questa targa: “‘Ad Adolfo Pansini’, giovane eroe delle Quattro Giornate di Napoli, caduto il 30 settembre 1943 – Per non dimenticare”.
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Monti compra 400 auto blu. Mauro Munafò



Il bando è stato già emesso dal ministero dell'economia: lo Stato vuole acquistare nuove 'berline' per una spesa di dieci milioni di euro. Indispensabili: in giro ce ne sono già 60 mila (e altre 800 giacciono inutilizzate nei garage)



A quanto pare alla pubblica amministrazione sessantamila vetture ancora non bastano. Non si potrebbe spiegare altrimenti la necessità di comprare quattrocento nuove auto blu alla modica cifra di circa dieci milioni di euro. E poco importa se nel parco auto di proprietà statale ci sono centinaia di vetture inutilizzate. 

Un bando di gara pubblicato lo scorso gennaio sul sito del Ministero dell'Economia prevede infatti l'acquisto di un massimo di 400 "berline medie" di cilindrata fino a 1.600 cc, per un limite di spesa di poco meno di 10 milioni di euro. 

L'annuncio in questione è stato nei giorni scorsi anche oggetto di un'interrogazione parlamentare da parte del deputato dell'Italia dei Valori Antonio Borghesi, che ha chiesto spiegazioni sulla spesa al viceministro dell'economia Vittorio Grilli

"Chiediamo come sia giustificabile un'asta di questo tipo, quando con provvedimenti successivi è stata prevista la riduzione di vetture: sia con decreti del 2010 entrati in vigore nel 2011, sia con un decreto del 2011 che ha ulteriormente previsto la riduzione dell'uso di auto blu, sia con due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri ", si legge nel testo dell'interrogazione, "Ma come è compatibile una spesa di 10 milioni di euro per acquistare nuove auto blu quando se ne devono dismettere migliaia?". 

La spiegazione da parte del governo non è però arrivata, dato che il viceministro si è limitato a illustrare il funzionamento di un bando pubblico e i suoi riferimenti normativi senza spendere una parola sull'opportunità politica di questo investimento in un momento in cui agli italiani sono chiesti importanti sacrifici. 

Ma la spesa di dieci milioni di euro per le nuove auto blu risulta ancora più incredibile alla luce di due elementi. 
Innanzitutto l'ultimo monitoraggio del Formez sul parco auto della Pubblica Amministrazione,
pubblicato lo scorso febbraio
 ha indicato la presenza di circa 800 vetture non utilizzate, su un numero complessivo di diecimila auto blu (quelle per ministri e alti dirigenti) e altre cinquantamila auto di servizio che costano complessivamente quasi due miliardi di euro l'anno al contribuente. Lo stesso monitoraggio del Formez indicava poi tra i fattori problematici del parco auto statale l'eccessivo numero di vetture di proprietà della pubblica amministrazione. "Il parco auto della PA", si legge nel documento, "risulta ancora eccessivamente sbilanciato sulle auto di proprietà (79%), seguito dal noleggio senza conducente (19%), mentre leasing e comodato sono all'1%". Secondo una stima del Formez a parità di chilometraggio le auto noleggiate garantirebbero infatti un risparmio di spesa tra il 15 e il 18%. 

Non è quindi un caso che anche il ministro per la Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, in un'audizione al Senato dello scorso 25 gennaio, abbia dichiarato l'intenzione di privilegiare in futuro il noleggio a lungo termine per le auto blu. E visto che le promesse non sono retroattive, o forse per un'incredibile coincidenza, il bando per l'acquisto delle vetture è stato pubblicato il 24 gennaio: appena un giorno prima di queste dichiarazioni.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/monti-compra-400-auto-blu/2179240