martedì 14 agosto 2012

L’assedio alla procura di Palermo sotto il “Generale Agosto”. - Giorgio Bongiovanni


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“Un’iniziativa senza precedenti, un unicum assoluto, una vicenda inquietante e sinistra”. Le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, arrivano a seguito della notizia dell’apertura di un fascicolo preliminare da parte del pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, contro il sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, e contro  il procuratore capo, Francesco Messineo. La possibilità che il procuratore generale della Cassazione mandi alla sezione disciplinare del Csm un atto di incolpazione a carico del pm Di Matteo per violazione del riserbo sulle indagini, e del procuratore Messineo, per non aver autorizzato il suo sostituto a rilasciare un'intervista è alquanto realistica.
E altrettanto oscena. Questo ennesimo assedio alla procura di Palermo avviene immancabilmente sotto il “Generale Agosto”, clima ideale per attuare strategie criminali ordite ad alti vertici istituzionali nel silenzio assordante di un’opinione pubblica distratta da ferie ed olimpiadi. Sul fronte giudiziario palermitano il prossimo autunno si preannuncia decisamente “caldo”. Il processo Mori-Obinu per la mancata cattura di Provenzano si avvia verso la fase conclusiva. L’inchiesta sulla “trattativa” Stato-mafia approderà all’udienza preliminare che potrà sfociare in un rinvio a giudizio. Tra gli imputati “eccellenti” vi sono mafiosi del calibro di Totò Riina e Bernardo Provenzano, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e i senatori Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino. Come è noto tra i magistrati del pool che investigano sulla “trattativa” vi sono Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Gli attacchi scomposti nei loro confronti, ai quali abbiamo assistito in questi mesi, si sono acuiti ulteriormente proprio in prossimità dell’autunno giudiziario che si avvicina. Con la temporanea uscita di scena di Antonio Ingroia (dovuta alla sua trasferta in Guatemala per ricoprire l’incarico affidatogli dalle Nazioni Unite) l’obiettivo da colpire con ogni mezzo resta quindi il pm Di Matteo e a seguire gli altri componenti del pool: Lia Sava, Francesco Del Bene, Paolo Guido, così come quei magistrati che a vario titolo stanno investigando su delicate inchieste di mafia e politica. L’ingerenza del Quirinale nei confronti della procura di Palermo (attraverso la sollevazione del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta in merito alle intercettazioni tra Napolitano e Mancino) ha rappresentato la punta massima di un attacco violento, mirato e del tutto preventivo nei confronti di determinati magistrati. Così come ha ricordato lo stesso Ingroia un pugno di magistrati è entrato nella “stanza della verità”. All’interno si cominciano ad intravedere le sagome dei corresponsabili di quelle stragi sulle quali lo Stato-mafia non intende fare luce. Gli attacchi istituzionali nei confronti di Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia e Nino Di Matteo segnano il punto di non ritorno di un Paese colpevole e senza più dignità, attraversato da una classe politica che, salvo rarissime eccezioni, si rende consapevolmente strumento di un potere criminale per delegittimare, isolare e sovraesporre chi persegue unicamente la verità per rendere giustizia a tutti i martiri della violenza politico-mafiosa. 
Più di dieci anni fa il padre del pool antimafia, Antonino Caponnetto, si era rivolto a centinaia di ragazzi e adulti intervenuti ad un convegno riprendendo l’appello lanciato poco tempo prima da Antonio Ingroia: “Uomini e donne di buona volontà se ci siete battete un colpo!”. A quella “chiamata” ognuno di noi ha il dovere morale di continuare a rispondere. Ora.
Non saranno certamente i “sepolcri imbiancati” delle istituzioni a dare la solidarietà ai magistrati sotto assedio, né tantomeno quella magistratura pavida pronta solo a commemorare i propri colleghi uccisi, o quegli esponenti politici collusi con i peggiori criminali. Mai come oggi la responsabilità di stringersi attorno a questi magistrati è di quella parte della società che si definisce “civile”.
Ci eravamo sbagliati quando avevamo scritto che il Csm oggi è tornato ad essere il Sinedrio che perseguita i propri eroi (basta citare l’esempio del trattamento riservato a Falcone e Borsellino). Sì, ci siamo sbagliati perché al Sinedrio dobbiamo associare una parte del vertice della Procura Generale della Cassazione che può essere tranquillamente definita la procura di Erode al servizio del potere del Governatore politico Ponzio Pilato.

Un ragno conficcato in un orecchio, choc in Cina. - Elmar Burchia


La foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia
La foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia

Solo un'operazione delicata ha consentito ai medici di estrarlo senza che pungesse la vittima.

MILANO - Una terribile leggenda metropolitana è diventata realtà in Cina. Una donna si è recata nei giorni scorsi all'ospedale di Changsha, nella provincia di Hunan, lamentandosi per un fastidioso prurito all'interno dell'orecchio sinistro. Dopo un primo esame, ecco la diagnosi dei medici, tanto incredibile quanto spaventosa: un ragnetto si era infilato nel condotto uditivo. L'animale, potenzialmente pericoloso, era lì da cinque giorni.
RAGNO CURIOSO - Per chi soffre di aracnofobia non c’è incubo peggiore: un ragno vivo conficcato nell'orecchio, a tua insaputa. Un incubo diventato realtà per una signora cinese identificata solo col nome di «Lee». La vicenda, raccontata dai quotidiani locali, ha subito fatto il giro del mondo. Soprattutto la foto che mostra il dettaglio dell’animaletto ripreso attraverso un’endoscopia furoreggia su Internet. I medici sono stati in grado di rimuovere l’aracnide con una procedura non invasiva: hanno riempito l'orecchio della paziente con una soluzione salina per stimolarne l'uscita. E così è stato. Quando il ragno è venuto fuori la donna «è quasi scoppiata in lacrime», riferiscono i media cinesi. Anche perchè si è trattato di un intervento relativamente delicato: i dottori dovevano infatti far attenzione che il ragno non mordesse la donna o che si conficcasse ancora più profondamente nel condotto uditivo.
CAUSE - Resta la domanda: come ci è finito lí? Potrebbe essere uscito fuori durante i lavori di ristrutturazione della casa in cui la donna vive ed entrato nell’orecchio mentre questa dormiva, suppongono i medici. In quest’estate 2012, il numero di ragni e insetti è esploso in molte regioni del pianeta, riferiscono gli esperti, innanzitutto a causa delle alte temperature e della siccità perdurante. Negli ultimi mesi si sono registrate temperature record anche in diverse regioni della Cina.

In Italia 120 punti di mare inquinati "Colpa di fiumi e fogne non in regola"




Legambiente: ogni 62 chilometri di costa ci sono acque fuori legge.

Un punto inquinato ogni 62 chilometri di costa, con una maggiore concentrazione di acque inquinate in Calabria, Campania e quest’anno a sorpresa anche in Liguria, mentre Sardegna e Toscana sono le regine del mare pulito italiano. Nemici numero uno delle acque marine sono torrenti, fiumi, canali, con un allarme inquinamento legato soprattutto alle foci dei corsi d’acqua.

Sono i risultati finali del tour 2012 di Goletta Verde, la campagna di Legambiente che per due mesi ha circumnavigato lo Stivale monitorandone lo stato di salute del mare. Un bilancio, presentato oggi a Roma, che quest’anno riserva almeno una sorpresa nelle pagelle per le regioni italiane, negativa per giunta. È il caso della Liguria che balza al secondo posto in classifica per il mare più inquinato e si fregia della maglia nera con 15 prelievi risultati oltre i limiti di legge, dietro alla Calabria con 19 punti inquinati e quasi a pari merito con la Campania dove ne sono stati registrati 14. Quarto posto da "bollino nero" per il Lazio. Dati contestati dalla Regione Liguria che ribatte a Legambiente sostenendo che i punti di balneazione conformi sono pari al 97% (364 su 373).

Regioni col mare più pulito si confermano Sardegna e Toscana, rispettivamente con un campione inquinato ogni 433 e 200 chilometri di costa. Bene anche l’Emilia Romagna. Il monitoraggio scientifico quest’anno è stato ancora più capillare grazie alle segnalazioni di cittadini e bagnanti tramite SOS Goletta, contribuendo a quasi metà dei campionamenti effettuati in tutta Italia. Su un totale di 205 analisi microbiologiche effettuate in mare dal laboratorio itinerante di Goletta Verde, col contributo del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati e la partecipazione di Corepla, Novamont e Nau!, i campioni risultati «fuori legge» sono 120, di cui 100 quelli «fortemente inquinati», cioè con concentrazioni di batteri di origine fecale pari ad almeno il doppio dei limiti di legge. Per la maggior parte, l’86%, questi punti si concentrano in corrispondenza di foci di corsi d’acqua.

Sul banco degli imputati resta la mancata o inadeguata depurazione dei reflui fognari che, stando alle elaborazioni di Legambiente su dati Istat, riguarda 24 milioni di abitanti che scaricano direttamente in mare o indirettamente attraverso canali utilizzati come vere e proprie fognature. «Il mare italiano continua ad essere minacciato da troppi scarichi fognari non depurati - spiega Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente -, nonostante siano trascorsi ben 36 anni dall’approvazione della prima legge sulla trattamento delle acque reflue». «Bisogna investire subito e al meglio risorse adeguate - aggiunge -, a partire da quelle stanziate dalla delibera Cipe dell’aprile scorso che prevede 1,8 miliardi di euro per le regioni del Mezzogiorno». Le regioni ’peggiorì per numero di abitanti senza adeguata depurazione sono Sicilia, Lazio e Lombardia. Un vero e proprio «problema ambientale e sanitario», denuncia Legambiente, «che sta per diventare anche economico vista la condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea arrivata a fine luglio perchè 109 agglomerati urbani medio grandi, distribuiti in 8 regioni, non si sono ancora adeguati alla direttiva europea sul trattamento delle acque reflue».

Fermiamo la svendita del Serengeti.



Pubblicato il: 9 Agosto 2012
Da un momento all'altro un'importante multinazionale della caccia sportiva potrebbe siglare un accordo che porterebbe allo sgombero di fino a 48 mila membri della famosa tribù africana dei Masai dalla loro terra per fare posto a danarosi re e principi del Medio Oriente a caccia di leoni e leopardi. Gli esperti dicono che il via libera all'accordo da parte del Presidente della Tanzania potrebbe essere imminente, ma se agiamo ora possiamo fermare la svendita del Serengeti. 

L'ultima volta che la stessa multinazionale ha costretto i Masai a lasciare le loro terre per fare spazio a ricchi cacciatori, uomini e donne sono stati picchiati dalla polizia, le loro case sono state date alle fiamme e il loro bestiame è morto di fame. Ma non appena la stampa ha cominciato a parlarne in modo critico, il Presidente della Tanzania Kikwete ha cambiato posizione e ha fatto tornare i Masai nella loro terra. Questa volta non c'è stata ancora una grande copertura da parte della stampa, ma possiamo sbloccare la situazione e forzare Kikwete a bloccare l'accordo se da subito mettiamo assieme le nostre voci. 

Se 150 mila di noi firmeranno, i media in Tanzania e in giro per il mondo inizieranno a parlarne e così il Presidente Kikwete riceverà il messaggio e dovrà ripensare a questo accordo mortale. Firma la petizione ora e mandala a tutti. 


I Masai sono gruppi semi-nomadi che hanno vissuto in Tanzania e in Kenya per secoli, giocando un ruolo fondamentale nel preservare il delicato ecosistema. Ma dal punto di vista delle famiglie reali degli Emirati Arabi Uniti, sono ostacoli per i loro lussuriosi party di caccia. Un accordo per sfrattare i Masai per fare posto a ricchi cacciatori stranieri è un male tanto per la fauna protetta quanto per le comunità che verrebbero spazzate via. Mentre il Presidente Kikwete si sta rivolgendo alle elite locali a lui più vicine per convincerle dell'utilità dell'accordo per lo sviluppo, la maggior parte delle persone vorrebbe solo mantenere la terra che sanno il Presidente potrebbe confiscare per decreto. 

Il Presidente Kikwete sa che questo accordo sarebbe contestato dai turisti della Tanzania, una fonte fondamentale di entrate per il paese, e perciò sta cercando di tenere questa operazione lontana dal dibattito pubblico. Nel 2009 un simile esproprio di territorio in quest'area effettuato dalla stessa multinazionale che ci sta provando anche questa volta ha generato una copertura mediatica globale che ha contribuito a convincere Kikwete a fare marcia indietro. Se riusciamo a generare lo stesso livello di attenzione sappiamo che la pressione può funzionare. 

Una petizione firmata da migliaia di persone può fare in modo che tutti i maggiori media globali presenti nell'Africa dell'Est e in Tanzania permettano spazzino via questo accordo controverso. Firma ora per chiedere a Kikwete di stracciare l'accordo

http://www.avaaz.org/it/save_the_maasai/?braSkbb&v=17062 

Alcuni rappresentanti della comunità Masai proprio oggi si sono appellati urgentemente ad Avaaz per dare forza ad un appello globale per salvare la loro terra. Innumerevoli volte l'incredibile risposta di questa fantastica comunità ha fatto diventare cause apparentemente perse in partenza in risultati di enorme valore. Proteggiamo i Masai e salviamo gli animali per quei turisti che li vogliono catturare con le loro macchine fotografiche, invece che con le loro armi letali! 

Con speranza e determinazione, 

Sam, Meredith, Luis, Aldine, Diego, Ricken e il resto del team di Avaaz 


http://www.avaaz.org/it/save_the_maasai/?braSkbb&v=17062

Benzina, la Finanza passa al setaccio i distributori: su 2.400 irregolari il 15 per cento.



Fiamme Gialle in azione per evitare "brutte sorprese" agli automobilisti: "verificati l’effettivo quantitativo di carburante erogato, la qualità e la corrispondenza tra i prezzi indicati e quelli applicati".

Roma, 14 agosto 2012 - Distributori di benzina nel mirino delle Fiamme Gialle. Ad agosto la Guardia di Finanza ha effettuato controlli su 2.400 impianti stradali di carburante nei giorni di traffico da "bollino nero" scoprendo 356 irregolarità (15%). Lo ha comunicato la Guardia di Finanza. Centinaia di finanzieri hanno proseguito i controlli, avviati a fine luglio, passando al setaccio le stazioni di servizio per evitare "brutte sorprese" agli automobilisti; "verificati l’effettivo quantitativo di carburante erogato, la qualità e la corrispondenza tra i prezzi indicati e quelli applicati".

I PROVVEDIMENTI - Nei casi più gravi, "23 gestori sono stati denunciati alle Procure della Repubblica territorialmente competenti per frode in commercio; sequestrate 53 tra colonnine e pistole erogatrici. In due casi, a Palermo, il gasolio per autotrazione è risultato annacquato con sostanze chimiche di bassa qualità: olio sintetico pari al 30% del prodotto, in un caso e sostanze non adatte all’autotrazione nell’altro". Ammontano a 21.079 litri i prodotti petroliferi che sono stati sequestrati in Liguria ed in Sicilia unitamente ai distributori, dopo che è stata riscontrata la manomissione dei contatori volumetrici delle colonnine. Negli altri casi sono stati sanzionati: - 114 gestori, per violazione alla disciplina sui prezzi esposti, non corrispondenti a quanto indicato dalle colonnine dopo il rifornimento; - 18 gestori per la rimozione dei sigilli che assicurano il corretto e regolare funzionamento degli impianti.

In 197 casi "è stata avviata - spiega la Gdf - la procedura per la revisione degli erogatori da parte dell’Ufficio Metrico della Camera di Commercio, che dovrà procedere ad una nuova taratura degli impianti. Le frodi sui carburanti colpiscono non solo gli automobilisti, ma anche le casse dello Stato. Infatti, la miscelazione con prodotti petroliferi diversi, non soggetti ad imposte e di minor costo, da un lato fornisce agli utenti un prodotto scadente quando non dannoso per la meccanica, dall’altro consente di creare 'riserve occulte' di carburante venduto separatamente 'in nero'".

Tra i casi più eclatanti scoperti negli ultimi mesi: le fiamme gialle di Sondrio hanno scoperto 56 aziende lombarde e piemontesi che hanno contrabbandato da Livigno quasi 1 milione di litri di gasolio installando serbatoi supplementari nei propri camion. Infatti, la normativa consente di introdurre nel territorio dello Stato, in esenzione dal pagamento di imposte, esclusivamente il carburante contenuto nel serbatoio installato "di serie" dalla casa costruttrice; a Palermo, due pregiudicati avevano aperto una pompa di benzina completamente abusiva in un’area recintata, videosorvegliata e chiusa da un cancello elettrico comandato a distanza cui potevano accedere soltanto gli autotrasportatori conosciuti. Il gasolio era contenuto in cisterne nascoste in container o autocarri parcheggiati nel piazzale.

Bollette, treni, autostrade: dieci anni di aumenti Boom tariffe pubbliche: "L'euro non c'entra".



A fronte di un incremento del costo della vita pari al 24%, le bollette dell`acqua sono cresciute del 69,8%, quelle del gas del 56,7%, quelle della raccolta rifiuti del 54,5%. Rincari oltre l'inflazione anche per i biglietti ferroviari e i pedaggi autostradali.

Roma, 14 agosto 2012  - Bollette bollenti per gli italiani. L'inflazione cresce, le tariffe pubbliche di più. I dati giungono da un'analisi condotta dalla Cgia di Mestre sull'andamento dei prezzi  negli ultimi dieci anni (2002-2012). Treni, autostrade, energia: gli aumenti sono a dir poco vertiginosi. Non mancano le soprese e la Cgia assicura: "L'euro c'entra relativamente poco".

I DATI - A fronte di un incremento del costo della vita pari al 24%, le bollette dell`acqua sono cresciute del 69,8%,quelle del gas del 56,7%, quelle della raccolta rifiuti del 54,5%, i biglietti ferroviari del 49,8%, i pedaggi autostradali del 47,5%, l`energia elettrica del 38,2% e i servizi postali del 28,7%. Solo la telefonia ha subito un decremento del prezzo: -7,7%.
“A nostro avviso - afferma il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi - l`introduzione dell`euro c'entra relativamente poco. Questa impennata dei prezzi, almeno per alcune delle voci analizzate, va ricondotta al costo sempre più crescente registrato dalle materie prime, in particolar modo dal gas e dal petrolio, dall`incidenza delle tasse e dei cosiddetti oneri impropri, che gonfiano enormemente le nostre bollette, e ai modestissimi risultati ottenuti con le liberalizzazioni. Per le bollette dell`acqua potabile - conclude Bortolussi - è vero che la variazione percentuale è stata la più consistente, ma va anche sottolineato che gli importi medi pagati da ciascuna famiglia italiana sono ancora adesso tra i più bassi d`Europa.”
TRASPORTI - Dal 2000 (anno di liberalizzazione del settore) al 2011, i biglietti dei trasporti ferroviari sono aumentati del 53,2%, contro un aumento del costo della vita pari al 27,1%. Secondo la Cgia, poi, dal 2003 - anno di apertura del mercato del gas - al 2011, il prezzo medio delle bollette è aumentato del 33,5%, mentre l`inflazione è cresciuta del 17,5%.
Se tra il 1999 (anno di apertura del mercato) ed il 2011, il costo delle tariffe dei servizi postali è aumentato del 30,6%, pressoché pari all`incremento dell`inflazione avvenuto sempre nello stesso periodo (+30,3%), per l`energia elettrica la variazione delle tariffe, avvenuta tra il 2007 ed il 2011, è stata sempre positiva (+1,8%), anche se più contenuta rispetto alla crescita dell`inflazione (+8,4%). Solo nei servizi telefonici le liberalizzazioni hanno abbattuto i costi. Tra il 1998 (anno di liberalizzazione) ed il 2011, le tariffe sono diminuite del 15,7%, mentre l`inflazione è aumentata del 32,5%.

Finanziamento ai partiti, dal patron dell’Ilva soldi a Forza Italia e Bersani. - Vittorio Malagutti


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L'imprenditore definito come antipolitico non perde tempo ad aprire il portafoglio per dare una mano ai partiti. Un aiuto cash, in contanti. Tra il 2006 e il 2007 ha staccato un assegno di 245mila euro per il partito di Berlusconi, altri 98mila euro sono andati a finanziare il segretario del Pd.

Le biografie ufficiali e anche decine di articoli di giornale lo descrivono come un imprenditore tutto casa e fabbrica. Un tipo che punta dritto all’obiettivo e quando c’è da menar le mani, in senso figurato, non rinuncia allo scontro. Insomma, Emilio Riva, non si ferma davanti a niente e a nessuno. E mezzo secolo di carriera costellata da processi per comportamento antisindacale o per violazioni della normativa ambientale suonano come la conferma migliore di questo ritratto da duro e puro. In realtà, chi lo ha frequentato a lungo, ci restituisce un’immagine un po’ diversa da quella del macho che lo stesso Riva, classe 1926, cerca da sempre di accreditare.
Il patron dell’Ilva, come spiegano manager e colleghi imprenditori, ha sempre dimostrato una straordinaria abilità da pokerista. E come tale sa alzare la posta quando è il caso, ama bluffare oppure lasciare il tavolo per poi intavolare trattative nella stanza accanto alla ricerca di nuovi alleati. Per esempio, la sua esibita estraneità alla politica, ai partiti e allo statalismo in genere è diventata una specie di fiore all’occhiello per un imprenditore come Riva che afferma di essersi fatto tutto da sé. Le cose cambiano se si fa il conto delle centinaia di migliaia di ore di cassa integrazione a spese del bilancio pubblico che negli anni difficili hanno tenuto in piedi i suoi stabilimenti, a Taranto come a Genova. Di più: quando il gioco si fa duro, Riva l’antipolitico non perde tempo ad aprire il portafoglio per dare una mano ai partiti. Un aiuto cash, in contanti. E così consultando i resoconti sui contributi privati alle formazioni politiche, si scopre che tra il 2006 (anno di elezioni politiche) e il 2007 il patron dell’Ilva ha staccato un assegno di 245mila euro per Forza Italia, mentre altri 98mila euro sono andati a finanziare personalmente Pier Luigi Bersani. Tutto regolare, per carità. Tutto denunciato dai beneficiari delle donazioni così come prevede la legge in materia. L’episodio però la dice lunga sul metodo Riva: una mancia destra e una a sinistra, tanto per dimostrarsi equidistante, o forse sarebbe meglio dire equivicino, alle opposte sponde politiche.
L’industriale siderurgico, da sempre descritto come un falco liberista, non si è fatto problemi a versare un obolo anche all’esponente del Pd destinato a diventare nel 2006 il ministro dello Sviluppo economico del governo Prodi. Una scelta azzeccata. A suo tempo Riva ha infatti finanziato anche il massimo responsabile della politica industriale del Paese, un ministro che, ovviamente, è chiamato a occuparsi anche di un settore strategico come l’acciaio. Nel 2008 cambia il vento. Silvio Berlusconi torna a palazzo Chigi e il gran capo dell’Ilva si fa trovare pronto. Eccolo in prima linea nella cordata per salvare quel che resta di Alitalia, un intervento, come noto, sollecitato dal capo del Pdl in persona. Riva mette sul piatto 120 milioni e, intervistato dal Sole 24 Ore nel 2009, non ha problemi ad ammettere che “sappiano bene che non ci guadagneremo”, ma un grande Paese come l’Italia “non può non avere una compagnia di bandiera”. Insomma, ecco a voi Riva il patriota. Mutazione sorprendente per un imprenditore che, oltre a controllare il suo gruppo attraverso holding in Lussemburgo e Olanda per minimizzare il carico fiscale, ha sempre affermato di badare sempre e solo agli affari suoi. I maligni, che però spesso ci azzeccano, fanno notare che tra il 2008 e il 2009 si apre la crisi economica senza precedenti di cui ancora stiamo subendo le conseguenze. E il capo dell’Ilva sa bene che un settore ciclico come la siderurgia è il primo a risentire degli effetti di un rallentamento economico. Del resto basta dare un’occhiata agli ultimi bilanci del gruppo. Nel 2007, prima del crollo, i profitti erano arrivati a quota 877 milioni su circa 10 miliardi di giro d’affari. Poi la musica cambia, eccome. Nel 2009 (rosso di 411 milioni) e nel 2010 (meno 71 milioni), l’impero di Riva ha perso soldi a rotta di collo e, nonostante una timida ripresa, nel 2011 i conti hanno chiuso in utile di 88 milioni grazie a poste straordinarie e fiscali per quasi 400 milioni. E allora l’industriale tutto d’un pezzo, un lumbard che si descrive orgogliosamente come “milanese di piazza San Marco” (in pieno centro città), tenta di riprendere quota con l’Alitalia mentre le sue aziende perdono soldi.
Il caso ha poi voluto che Riva abbia ritrovato come ministro dell’Industria proprio Corrado Passera, cioè l’ex banchiere che come capo di Intesa si distinse come il grande sponsor del salvataggio della disastrata compagnia aerea. Tra tanti amici al governo, però, il capo dell’Ilva ha finito per trovarsi un nemico in casa. Già, perchè Riva non è l’unico proprietario del gruppo siderurgico, di cui pure controlla il 90 per cento. A libro soci con una quota del 10 per circa trova gli Amenduni, un’altra famiglia di imprenditori siderurgici che nel 1995 partecipò alla privatizzazione dell’Ilva. Ebbene, due mesi fa il rappresentante degli Amenduni ha votato contro il bilancio del gruppo chiedendo informazioni su alcuni affari che hanno trasferito denaro dal colosso siderurgico ad alcune finanziarie personali dei Riva. Tra gli addetti ai lavori c’è chi spiega questo atteggiamento battagliero come un’azione di disturbo con l’unico scopo di convincere i Riva a ricomprare le azioni Ilva di cui i soci di minoranza vorrebbero disfarsi. Michele Amenduni, contattato al telefono si schermisce. “Mi trovo all’estero – racconta – e non so che cosa stia succedendo a Taranto”. Davvero, ha detto proprio così. Forse è una battuta, ma non fa ridere.
Da Il Fatto Quotidiano del 14 agosto 2012