mercoledì 15 agosto 2012

Acqua azzurra. - Massimo Gramellini



Sloggiati a forza dalle calette proibite della Maddalena, i possidenti di megayacht reagiscono con accenti che mescolano lo stupore all’arroganza, minacciando di non tornare mai più in Sardegna. Sono oligarchi russi, principi tedeschi, evasori italiani. Vorrei li accompagnasse il mio personale augurio di buon viaggio. Vadano a inquinare le coste croate, francesi o lillipuziane: qui da qualche tempo si cerca di diventare un Paese povero ma serio. È il risvolto ironico di questa estate deprimente. Finché eravamo la patria dei finti divieti e degli scontrini fantasma, il mondo degli ultraricchi ci frequentava disprezzandoci. Adesso che cominciamo a pretendere il rispetto delle regole, i moralisti di ieri si indignano per l’inaudito capovolgimento del luogo comune che ci vuole accomodanti e servili. E usano l’unica arma a loro disposizione, i soldi. Così ogni slancio di pulizia viene sottoposto al ricatto economico, che purtroppo la crisi rende particolarmente efficace.

In effetti avremmo potuto scegliere un momento più propizio per redimerci, ma abbiamo accumulato ritardi ventennali e, come tutti i ritardatari, ci tocca fare i compiti all’ultimo minuto. Siamo a metà del guado: non abbiamo più i vantaggi che garantiva l’illegalità e non intravediamo ancora quelli che verranno dall’onestà. Ora, delle due l’una. O torniamo indietro e ci perdiamo per sempre. Oppure andiamo avanti, fino a quando cominceremo ad assomigliare a quello che da sempre dovremmo essere: un paradiso da contemplare e non da usare.


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1239

Satira feroce...



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Il Pd ha già spartito i posti al governo: Bersani premier, D’Alema e Letta ministri. - Sara Nicoli


letta bersani bindi interna nuova

I democratici si sentono già al governo e hanno già spartito le poltrone: il segretario si terrà anche l'Economia. Veltroni verso la presidenza della Camera. Il partito? Lo guiderà (di nuovo) Franceschini.

Per una volta, la notizia non è il fatto in sè, quanto la sua conferma. Nel Pd c’è chi si è già spartito i posti del governo (e del potere) che verrà. Senza pensieri a compromessi con le parti più critiche del partito e senza neppure passare per le primarie. Dove, a quel che si apprende, i maggiorenti democratici farebbero pure a meno di passare. E parecchio a meno. Esiste, insomma, una sorta di “patto di sindacato” tra chi conta (e ha sempre contato) dentro il partito per dividersi quelli che saranno gli incarichi di maggior rilievo nella prossima legislatura. Al Foglio questo patto l’ha svelato una gola profonda interna al Pd, ma ilfattoquotidiano.it ha voluto vederci chiaro. E, soprendentemente, è arrivata la conferma. Sempre anonima, perché in questa fase nessuno ha voglia di scoprire le carte (le proprie), mentre invece sembra prepotente la voglia di rompere il gioco dei “soliti noti” prima che la vergogna – ma soprattutto l’ira della base democratica – travolga il Nazareno facendo implodere il partito senza la necessità rendere le primarie una guerra di successione o scomodare rottamatori di prima o seconda fascia.
Ecco, succede che dentro il Partito Democratico sono proprio sicuri di vincere le prossime elezioni. E’ vero che, complice il Pdl, ma anche l’Udc, si stanno ritagliando una legge elettorale dove nessuno esca davvero sconfitto, ma il gotha del partito è davvero convinto che stavolta conquisterà il potere e lo conserverà a lungo. “I sondaggi – ci dice la nostra fonte, che dalla prima linea dei “rottamatori” ha tutto l’interesse a svelare gli altarini dei “padri nobili” – non lasciano spazio a dubbi; se andassimo a votare domani, il Pd sarebbe il primo partito con una percentuale bulgara di oltre il 30% dei consensi”. Ma non si va a votare domani e, a meno di improvvisi strappi, le urne si apriranno solo ad aprile 2013. “Infatti il calcolo che fanno ‘i capi’ – prosegue la nostra fonte – è quello di una grossa coalizione dove, però, i democratici abbiamo un ruolo prioritario; i centri nevralgici del nuovo assetto politico li dovranno avere loro”.
Come? Eccoci a quello che Il Foglio ha ribattezzato “il papello del Pd” e a dire il vero ne ha tutta l’aria, anche per il senso evocativo del patto che rappresenta. L’elenco è breve, ma intenso: Bersani (Chigi-Economia). Secondo: Veltroni (Camera). Terzo: D’Alema (Esteri, Commissario Europeo). Quarto: Bindi (Vicepremier). Quinto: Letta (Sviluppo). Sesto: Franceschini (Segretario). Quelli che si leggono sono i nomi che compongono il “patto di sindacato del Pd”, e quelli che invece si leggono tra parentesi sono gli incarichi offerti o richiesti in vista del 2013: presidenza della Camera; ministro degli Esteri, o Commissario europeo; vicepresidenza del Consiglio; ministero dello Sviluppo; segreteria del partito. In alcuni casi si tratta di promesse esplicite, in altri casi di semplici richieste, in altri casi ancora di singole offerte. E per capire quello che sta succedendo nel partito in questi ultimi mesi, non si potrebbe prescindere da questo “papello”, almeno a detta delle fonti interne.
Quello a cui si sta lavorando nelle segrete stanze del Nazareno, insomma, è esattamente quello che esplicita ogni giorno Casini che ha avuto un ruolo non secondario nel disegno di questa strategia per il dopo Monti. Ovvero? Rieccola: la Grosse Koalition. Che implica, per quanto riguarda gli assetti interni al Pd “di governo”, che dietro la stessa barricata ci siano storici nemici giurati come Bindi e Franceschini o come D’Alema e Veltroni e che al momento, almeno così si racconta, si ritrova impegnata su alcuni fronti tutti a loro modo importanti: garantire al segretario un appoggio solido in una fase delicata come quella che sta attraversando l’Italia; tenere insieme sotto un unico tetto le anime in movimento del Pd (montiani, anti montiani, camussiani e anti camussiani, liberisti e anti liberisti); muoversi con cautela per non compromettere nel 2013 l’alleanza con il centro di Casini; fare di conseguenza di tutto per non accelerare troppo il percorso che dovrebbe portare da qui alle prossime elezioni alle primarie.
Ma, soprattutto, difendere con tutte le forze possibili il nucleo storico del partito dagli attacchi degli “sfascisti del Pd” (insomma, Renzi e compagnia) preservando così quel centro dei “grandi azionisti”, unico consesso – a loro dire, ovviamente – che può essere in grado (per esperienza e competenza, sa va sans dire) di traghettare il partito lungo questa fase storica non adatta a “inesperti giovinastri in carriera”. In poche parole: dentro il Nazareno si stanno attrezzando per far finta di cambiare tutto perché nulla cambi ma, soprattutto, per mantenere intatte (e, casomai, esaltarle ancora di più) quelle rendite di posizione che hanno impedito fino ad oggi qualsivoglia ricambio interno, anche quello più flebile e meno minaccioso per i volti di sempre della (ex) sinistra italiana.
“Sembra di vivere all’interno di una specie di ‘congresso di Vienna’ in servizio permanente effettivo – ha raccontato al Foglio la fonte primaria – un congresso cioè in cui la regola, come nel primo dopoguerra, sembra essere quella di agire sullo spirito del ‘Conservare progredendo’ e in cui ovviamente i ‘big’, in questo contesto, hanno interesse a mantenere certi equilibri e a non mettere in discussione alcune rendite di posizione”. La nostra fonte, di certo più ruspante, ma non meno avvezza alla frequentazione di quelli che contano, la vede invece così: “La conservazione di alcune posizioni è senza dubbio la priorità di alcuni – sostiene – ma il vero motivo di questo movimento centripeto (tutto verso il ‘cuore’ del sistema, ndr) è che si deve ergere un muro granitico intorno alla segreteria per evitare con ogni mezzo le primarie; qualcuno dei ‘big’ l’ha già detto da tempo, che con il segretario in lizza, le primarie diventano sostanzialmente inutili. Nessuno lo ammetterà mai, ma Renzi fa paura e Vendola è certamente in grado di scompaginare, forse in modo definitivo, gli equilibri, già precari, del partito. Perché poi, se si fanno le primarie e si rompe il giocattolo, allora potrebbero alzare la voce anche i popolari che dall’alleanza con Casini pensano di guadagnare più di un posto al sole, figurarsi..”.
Appunto, i “centristi” del Pd. Nessuno ha pensato di escluderli, anzi di ritagliare per loro qualche ruolo di “cerniera” tra l’esecutivo (prossimo), l’Udc e – perché no – l’ala moderata del Pdl, lontana dagli ex An. Ai Fioroni e ai Carra, per dirla tutta, potrebbe essere riservato qualche sottosegretariato di spicco da dove dirigere giochi, equilibri e strategie della prossima spartizione di potere. Il tutto, ovviamente, nel nome della tenuta del “sistema Paese” e del garantire all’Italia quelle riforme “che servono allo sviluppo”. “E’ comunque un ‘papello’ scritto sulla carta velina – ragiona in conclusione la nostra fonte – anche perché bisognerà vedere quel che farà Monti nei prossimi mesi. Se davvero, cioè, sarà in grado di arrivare alla fine della legislatura portando a casa qualche risultato concreto sul fronte dello sviluppo, altrimenti questi assetti potrebbero essere rivisti: per loro, comunque (il “gotha” democratico, ndr) l’unica vera priorità è restare dove stanno e contare di più. Non disturbare il manovratore, insomma…”. Che pare proprio diventata la moda del momento. A tutti i livelli.

Lettera di una ricercatrice a Corrado Passera.



Maria Rita D'Orsogna, ricercatrice italiana emigrata in California, (nella foto) ha scritto a Passera la lettera che tutti avremmo voluto scrivergli. Diciamole grazie e prendiamoci cinque minuti per leggerla, mezz'ora per meditarla e due mesi di lotta infuocata al rientro per cacciare questa gentaglia a calci in culo e ripristinare la legalità europea violata!!! 

Caro signor Passera,
stavo per an

dare a dormire quando ho letto dei suoi folli deliri per l'Italia petrolizzata.
Ci sarebbe veramente da ridere al suo modo malato di pensare, ai suoi progetti stile anni '60 per aggiustare l'Italia, alla sua visione piccola piccola per il futuro.
Invece qui sono pianti amari, perche' non si tratta di un gioco o di un esperimento o di una scommessa.
Qui si tratta della vita delle persone, e del futuro di una nazione, o dovrei dire del suo regresso.
Lei non e' stato eletto da nessuno e non puo' pensare di "risanare" l'Italia trivellando il bel paese in lungo ed in largo.
Lei parla di questo paese come se qui non ci vivesse nessuno: metanodotti dall'Algeria, corridoio Sud dell'Adriatico, 4 rigassificatori, raddoppio delle estrazioni di idrocarburi.
E la gente dove deve andare a vivere di grazia?Ci dica.
Dove e cosa vuole bucare?Ci dica.
I campi di riso di Carpignano Sesia? I sassi di Matera? I vigneti del Montepulciano d'Abruzzo? Le riserve marine di Pantelleria? I frutteti di Arborea? La laguna di Venezia? Il parco del delta del Po? Gli ospedali? I parchi? La Majella? Le zone terremotate dell'Emilia? Il lago di Bomba? La riviera del Salento? Otranto? Le Tremiti?

Ci dica.

Oppure dobbiamo aspettare un terremoto come in Emilia, o l'esplosione di tumori come all'Ilva per non farle fare certe cose, tentando la sorte e dopo che decine e decine di persone sono morte?

Vorrei tanto sapere dove vive lei.

Vorrei tanto che fosse lei ad avere mercurio in corpo, vorrei tanto che fosse lei a respirare idrogeno solforato dalla mattina alla sera, vorrei tanto che fosse lei ad avere perso la casa nel terremoto, vorrei tanto che fosse sua moglie ad avere partorito bambini deformi, vorrei tanto che fosse lei a dover emigrare perche' la sua regione - quella che ci dara' questo 20% della produzione nazionale - e' la piu' povera d'Italia.

Ma io lo so che dove vive lei tutto questo non c'e'. Dove vive lei ci sono giardini fioriti, piscine, ville eleganti soldi e chissa', amici banchieri, petrolieri e lobbisti di ogni genere.

Lo so che e' facile far cassa sull'ambiente. I delfini e i fenicotteri non votano. Il cancro verra' domani, non oggi. I petrolieri sbavano per bucare, hanno soldi e l'Italia e' corrotta. E' facile, lo so.

Ma qui non parliamo di soldi, tasse e dei tartassamenti iniqui di questo governo, parliamo della vita della gente. Non e' etico, non e' morale pensare di sistemare le cose avvelenando acqua, aria e pace mentale della gente, dopo averli lasciati in mutande perche' non si aveva il coraggio di attaccare il vero marciume dell'Italia.

E no, non e' possibile trivellare in rispetto dell'ambiente. Non e' successo mai. Da nessuna parte del mondo. Mai.

Ma non vede cosa succede a Taranto?

Che dopo 50 anni di industrializzazione selvaggia - all'italiana, senza protezione ambientale, senza controlli, senza multe, senza amore, senza l'idea di lasciare qualcosa di buono alla comunita' - la gente muore, i tumori sono alle stelle, la gente tira fuori piombo nelle urine?

E adesso noialtri dobbiamo pure pagare il ripristino ambientale?

E lei pensa che questo e' il futuro?

Dalla mia adorata California vorrei ridere, invece mi si aggrovigliano le budella.

Qui il limite trivelle e' di 160 km da riva, come ripetuto ad infinitum caro "giornalista" Luca Iezzi. Ed e' dal 1969 che non ce le mettiamo piu' le trivelle in mare perche' non e' questo il futuro. Qui il futuro si chiama high tech, biotech, nanotech, si chiamano Google, Facebook, Intel, Tesla, e una miriade di startup che tappezzano tutta la California.

Il futuro si chiama uno stato di 37 milioni di persone che produce il 20% della sua energia da fonti rinnovabili adesso, ogni giorno, e che gli incentivi non li taglia a beneficio delle lobby dei petrolieri.

Il futuro si chiamano programmi universitari per formare chi lavorera' nell'industria verde, si chiamano 220,000 posti di lavoro verde, si chiama programmi per rendere facile l'uso degli incentivi.

Ma non hanno figli questi? E Clini, che razza di ministro dell'ambiente e'?

E gli italiani cosa faranno?

Non lo so.

So solo che occorre protestare, senza fine, ed esigere, esigere, ma esigere veramente e non su facebook che chiunque seguira' questo scandaloso personaggio e tutta la cricca che pensa che l'Italia sia una landa desolata si renda conto che queste sono le nostre vite e che le nostre vite sono sacre.

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Tv, risarcimento a Europa 7: “grazie” a Berlusconi pagano i cittadini. - Carlo Tecce


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Il Tar del Lazio ha condannato il ministero dello Sviluppo Economico a pagare 1500 euro al giorno per le frequenze negate all'imprenditore Francesco di Stefano finché non riuscirà a trasmettere dove e come promesso.

La serie Europa 7 contro i governi non finisce mai. Con una premessa: poteva non iniziare, bastava assegnare le frequenze che la televisione di Francesco Di Stefano meritava. E invece, rosario che conosciamo a memoria, c’era Rete 4 e il centrodestra e il proficuo contributo del centrosinistra.
A GOCCIA, che scarnifica, arriva l’ennesimo conto per i cittadini: Tribunale amministrativo del Lazio, sentenza del 31 luglio 2012, il ministero per lo Sviluppo economico dovrà versare 1.500 euro al giorno a Europa 7 fin quando non riesce a trasmettere dove e come promesso. E aspettate, tenete la calcolatrice pronta, entro dicembre saprete il rimborso (milionario) totale per una presa in giro che dura anni. Quando decisero con una mano di accontentare simbolicamente Europa 7, e di fregarla con l’altra, il ministero consegnò a Di Stefano una frequenze in digitale terrestre anziché tre. Una corsia d’emergenza dove non ci passava nemmeno una bicicletta, dunque l’imprenditore abruzzese chiese al governo di ampliare lo spettro di Europa 7 con quelle frequenze definite “integrative”.
IL MINISTRO ad interim che doveva sigillare la procedura si chiamava Silvio Berlusconi, e non vale nemmeno la pena citare che sia lo stesso proprietario di Mediaset, il padrone-politico che aveva soffocato in culla l’impresa di Di Stefano. Al Cavaliere seguì Paolo Romani che, annusando i rischi di un fallimento amministrativo, ordinò di sbloccare la pratica di Europa 7. Ma il ministero è lento, a volte sonnecchia, e nemmeno il Tar e il Consiglio di Stato riuscirono a smuoverlo: entro trenta giorni dovete sistemare la faccenda Europa 7, soltanto parole, non ascoltate. E così Di Stefano si è appellato di nuovo al Tar, e il tribunale laziale ha scritto un dispositivo asciutto e inequivocabile: “Dichiara ineseguita l’ordinanza […] Nomina commissario ad acta per l’esecuzione mediante gli adempimenti e con la decorrenza stabiliti in motivazione, l’attuale direttore dell’Ispettorato territoriale della Liguria del Ministero dello sviluppo economico – dipartimento per le comunicazioni, senza facoltà di sostituzione. […] fissa la penalità di mora in 1.500,00 per ogni giorno di ritardo, a partire dal termine indicato in motivazione”. Non soltanto una multa che ogni anno si ripete e non si ferma mai, anche un commissario al ministero per fare quello che fingevano di non poter fare.
DI STEFANO, però, aspetta il risarcimento che sarà quantificato entro fine anno. Una botta che il governo italiano dovrebbe non dimenticarsi facilmente e che, dice sconsolato l’imprenditore, cadrà sui cittadini vittime inconsapevoli. I cittadini già, che credevano nel ministro Corrado Passera che, azzerando il beauty contest, affastellava qualche miliardo di euro con l’asta per i cinque benedetti multiplex (pacchetti di frequenze). L’asta ad agosto, ora, è più o meno un miraggio.
da Il Fatto Quotidiano del 15 agosto 2012

“Colpevoli di omicidio e ancora al loro posto. Federico, Stefano, Giuseppe e Michele invece un posto non l’avranno più. Caro Lino questa è la nostra giustizia”. Lettera di Ilaria Cucchi al padre di Federico Aldrovandi. - Ilaria Cucchi


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Mio fratello presumibilmente non ha rispettato la legge… per questo è morto… Per mio fratello si sono attivate due volanti dei carabinieri quella maledetta notte, non male con tutte le emergenze che ci sono ogni notte in una città come Roma.  E la mattina seguente la macchina della giustizia si è mossa rapidamente, così rapidamente da non dare il tempo ad un giudice ed un pubblico ministero  di accorgersi che il ragazzo che avevano di fronte non era un albanese senza fissa dimora, bensì un pestato visibilmente sofferente… Anche per questo è morto mio fratello. Se come spesso si dice ‘le responsabilità sono ancora da accertare’, una cosa  però è certa. Diversamente da quello che sostiene il nostro pubblico ministero, quel ragazzo seduto per venti minuti dolorante in un’aula di tribunale, sotto gli occhi di tutti, non era in fin di vita prima di essere scaraventato negli ingranaggi della nostra giustizia e delle nostre carceri. Dove è stato massacrato quasi immediatamente, senza una ragione valida. E senza una ragione valida isolato e lasciato morire. Sei giorni… un lasso di tempo brevissimo, dove però in tanti (e ognuno a  suo modo rappresentante delle istituzioni) hanno assistito al suo calvario, voltandosi dall’altra parte, ‘prendendo le distanze’ come uno di loro ha  dichiarato, in una consuetudine che fa rabbrividire.
Mio fratello è morto anche per questo. Stefano è morto perché la giustizia non è uguale per tutti… Ed oggi la giustizia per la sua morte, che avevo creduto fosse scontata e  automatica, ci sta richiedendo una battaglia dolorosa ed impari. E in tutto questo non una delle istituzioni coinvolte si è premurata di  ammettere che, come è ormai evidente, qualcosa al proprio interno non ha  funzionato e quel qualcosa ha interrotto una vita umana. E’ doveroso e fa onore applicare le leggi ed i regolamenti interni sugli sbagli personali di un singolo… guai a non farlo, ma è facile. Molto diverso è quando ci sono vittime di soprusi delle forze dell’ordine.  Perché vuol dire mettere in discussione un intero sistema. Ed evidentemente  i  nostri morti non ne valgono la pena. Così succede che cinque agenti di polizia, dichiarati in tutte le sedi  colpevoli di omicidio di un ragazzino appena diciottenne che non aveva fatto  niente di male, sono ancora lì a ‘rappresentarci’… mantengono il loro  posto  di lavoro. Mentre Federico, Stefano, Giuseppe, Michele e tutti gli altri un ‘posto di  lavoro’ non potranno averlo mai più… Questa, caro Lino, è la nostra giustizia.

Vatileaks, a giudizio il maggiordomo. Trovato un assegno intestato al Papa.


Paolo Gabriele

All'ex aiutante di camera di Benedetto XVI Paolo Gabriele sono stati trovati i documenti sottratti dall’appartamento papale, ma anche un assegno di 100mila euro intestato a Ratzinger, una pepita d’oro e una edizione dell’Eneide del 1581. Nella sentenza e nella requisitoria compaiono altri personaggi che potrebbero essere inquisiti in seguito indicati con semplici sigle. Il maggiordomo ha raccontato gli incontri con il giornalista Gianluigi Nuzzi.

Documenti sottratti al Papa, un assegno intestato proprio a Ratzinger e una pepita d’oro. Paolo Gabriele, il maggiordomo del pontefice accusato di essere il “corvo” del Vaticano, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di furto aggravato. L’uomo, arrestato il 23 maggio scorso, avrebbe sottratto documenti dalle stanze di Joseph Ratzinger tra cui anche lettere private. Con lui, a processo, anche un analista programmatore della segreteria vaticana, Claudio Sciarpelletti, che risponde del reato di favoreggiamento. Era stato arrestato in maggio e poi gli era stata concessa la libertà provvisoria.
Gabriele, che rivestiva il ruolo di aiutante di camera di Benedetto XVI, sarà dunque processato. La sentenza di rinvio a giudizio rappresenta una “chiusura parziale” dell’istruttoria su Vatileaks. Nella sentenza e nella requisitoria del promotore di giustizia Nicola Piccardi compaiono altri personaggi che potrebbero essere inquisiti in seguito, ma i due magistrati li indicano con semplici sigle. Frutto delle perquisizioni contro Paolo Gabriele e ora sottoposti a sequestro, ci sono non solo documenti sottratti dall’appartamento papale, ma anche un assegno di 100mila euro intestato al Papa, una pepita d’oro e una edizione dell’Eneide del 1581. Gli oggetti erano regali fatti a Benedetto XVI. Uno dei documenti riservati, pubblicati in esclusiva sul Fatto, riguarda la sicurezza del Papa e la possibilità che potesse essere obiettivo di un complotto mortale. In seguito a quella e altre pubblicazioni, anche di libri, era scattata l’indagine a tutto campo sul corvo.
Gabriele ha precisato ai giudici di aver incontrato l’autore di Vaticano Spa e Sua santità Gianluigi Nuzzi: “Ci siamo incontrati in va Sabotino ed insieme siamo andati all’appartamento che lui aveva a disposizione a viale Angelico. Abbiamo quindi avuto una serie di incontri dapprima a distanza di circa una settimana e poi di due settimane. Questo nei mesi di novembre, dicembre 2011 e gennaio 2012. Successivamente il nostro rapporto è venuto scemando di intensità”.
Il giudice istruttore Piero Bonnet ha contestato al maggiordomo il ritrovamento a casa sua,  insieme ai dossier con i documenti, di tre oggetti a lui non appartenenti e cioè l’assegno bancario intestato a “Santidad Papa Benedicto XVI”, datato 26 marzo 2012, proveniente dall’Universitad Catolica San Antonio di Guadalupe; una pepita presunta d’oro, indirizzata a Sua Santità dal signor Guido del Castillo, direttore dell’ARU di Lima (Perù); una cinquecentina dell’Eneide, traduzione di Annibal Caro stampata a Venezia nel 1581, dono a Sua Santità delle “Famiglie di Pomezia”. Da parte sua, si legge nella requisitoria del promotore di giustizia Nicola Picardi, Paolo Gabriele ha giustificato questa circostanza con il caos nel quale erano le sue cose. “Nella degenerazione del mio disordine è potuto capitare anche questo”, ha detto. Il giudice istruttore gli ha, quindi, domandato se a lui venissero affidati anche i doni presentati al Santo Padre da portare poi in Ufficio. L’imputato ha risposto: “Sì. Ero l’incaricato di portare alcuni doni presso il magazzino e altri in Ufficio. Taluni di questi doni servivano per le pesche di beneficenza del Corpo della Gendarmeria, della Guardia Svizzera Pontificia e per altre beneficenze. Mi spiego ora perché una persona che si era fatta tramite di questo, mi chiese perché non era stato riscosso un assegno donato da alcune suore e ciò fu da me portato a conoscenza di monsignor Alfred Xuereb. Monsignor Gaenswein talvolta mi faceva omaggio di taluni doni fatti al Santo Padre. In particolare questo avveniva per i libri sapendo che io avevo una passione particolare per questi”.
Con il rinvio a giudizio di Gabriele per furto aggravato e Claudio Sciarpelletti per favoreggiamento, i giudici vaticani non concludono le indagini sulla fuga di documenti che continuano. Cioè la chiusura dell’istruttoria è parziale. E’ sempre stata “chiara l’intenzione del Papa di rispettare questo lavoro della magistratura e le sue risultanze” ha detto il portavoce vaticano padre Federico Lombardi e “ciò spiega la non pubblicazione di risultanze della commissione cardinalizia, per non condizionare il lavoro”. Il Papa “ha ricevuto questi documenti, ne ha preso conoscenza, rimane nel poter del Papa di intervenire qualora voglia o ritenga opportuno, ma finora – ha ricordato padre Lombardi – non lo ha fatto e possiamo pensare fondatamente che la linea che segue è questa, è quindi una ipotesi del tutto plausibile il dibattimento” in autunno. La pozione di Sciarpelletti, ha detto il portavoce vaticano, “è meno grave di quella di Gabriele”, non può essere considerato un “complice”, più che altro uno che aveva “rapporti di conoscenza con Paolo Gabriele”. Sciarpelletti ”non è stato considerato un complice dai magistrati – ha sottolineato Lombardi – e non è rinviato per questo”. Le sue testimonianze sono state incoerenti sulla provenienza di una busta, ma nulla dice che fosse corresponsabile. I magistrati vaticani nella requisitoria e sentenza pubblicate oggi “non affermano, ma neppure escludono – ha spiegato Lombardi – la possibilità di continuare le indagini su eventuali complici di Paolo Gabriele” e su “eventuali rogatorie internazionali. Facciamo un passo per volta. L’istruttoria vaticana va avanti, anche con tempi consistenti per la sua meticolosità, difficile fare passi avanti se non hai ancora compiuto quelli iniziati”.