martedì 21 agosto 2012

Fisco, niente accordo tra Italia e Svizzera. Intanto gli evasori scappano. - Vittorio Malagutti


Eveline Widmer Schlumpf monti interna nuova


Nel Paese elvetico cresce l’opposizione popolare all'operato del governo di Berna. Così, mentre Regno Unito e Germania hanno portato a casa delle "intese lampo" (non oltre 6 mesi), Monti continua a promettere lotta senza quartiere a chi non paga le tasse, ma non trova risultati oltre le Alpi.

Tedeschi e inglesi ce l’hanno fatta in sei mesi o poco più. Negoziati lampo e poi l’annuncio: Londra e Berlino hanno siglato un accordo con la Svizzera per recuperare i soldi degli evasori fiscali nascosti nelle banche della Confederazione. Correva l’anno 2011, mesi di settembre e ottobre. In Italia invece andiamo avanti a chiacchiere e promesse. Passati i tempi del ministro Giulio Tremonti, inventore dei condoni quasi tombali per i furboni delle tasse ma ferocemente contrario a ogni accordo con la Confederazione, i cosiddetti tecnici guidati da Mario Monti hanno fin qui prodotto una montagna di parole. Inutili. Anzi, peggio, dannose per le casse dello Stato. Perché la strategia degli annunci a cui non seguono i fatti finisce per mettere sull’avviso gli evasori nostrani che hanno tutto il tempo, con la volonterosa collaborazione delle banche elvetiche, per trasferire i loro tesoretti in paradisi offshore al riparo del fisco nostrano. Posti fuori mano, ma molto efficienti, tipo Singapore o Dubai.
“Quasi ci siamo”. “L’accordo è vicino”. “Negoziato alla stretta finale”. Titoli come questi accompagnano da mesi i faticosi negoziati tra l’Italia e la Svizzera, mentre gli evasori e i loro commercialisti studiano strategie alternative. Ultimo esempio di una lunga serie di parole a vanvera sono quelle pronunciate dal premier nella sua intervista al settimanale ciellino Tempi, un’intervista destinata a fare da apripista all’intervento di oggi dello stesso Monti all’apertura dell’annuale Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. “Stato di guerra contro l’evasione”, ha scandito il capo del governo, che due giorni fa ha anche incontrato la presidente svizzera Eveline Widmer Schlumpf. Il rendez vous serviva a fare il punto sullo stato dei negoziato tra Roma e Berna.
La cornice dell’incontro, come si dice in questi casi, pare altamente simbolica. Le splendide vallate dell’Engadina, luoghi a tolleranza zero per chi butta un mozzicone per terra o lascia l’auto in divieto di sosta, sono costellate di ville e appartamenti frutto dell’evasione fiscale italiana. Un’evasione a sei zeri, non quella del pizzicagnolo della porta accanto che magari si affida a spalloni di fortuna. A Sankt Moritz, Silvaplana, Sils approdano banchieri, finanzieri e grandi professionisti. Chissà se Monti, che da decenni ama villeggiare da quelle parti si è mai fatto qualche domanda in proposito.
Intanto il capo del governo di Roma e la collega svizzera sono stati costretti a prendere atto che la strada verso l’intesa in materia fiscale è molto lunga e ancora più ripida dei vicini tornanti del passo del Maloja. L’esecutivo di Berna deve tenere a bada le proteste dei partiti nazionalisti (Udc e Lega dei Ticinesi) che gridano alla svendita del segreto bancario, alla resa di fronte allo straniero, perfino di fronte agli italiani. E per dare il colpo di grazia a ogni possibile intesa sono già sulla rampa di lancio almeno un paio di referendum popolari che in Svizzera, come noto, sono uno strumento di democrazia diretta usato con grande frequenza.
Per ingraziarsi gli oppositori la Widmer Schlumpf, descritta dalla lobby bancaria come una pericolosa estremista, si vedrà costretta a chiedere contropartite forti a Roma. Per esempio in tema di ristorni fiscali sulle tasse prelevate alla fonte in Svizzera dagli stipendi dei frontalieri italiani. Soldi che tengono in vita decine di comuni di confine. Altro tema caldo è quello della black list. La Confederazione è considerata “Stato non collaborativo” in materia fiscale e questo espone le aziende elvetiche che lavorano in Italia a una lunga serie di adempimenti burocratici.
L’ipotesi di intesa tra l’Italia dovrebbe ricalcare a grandi linee gli accordi già raggiunti con Regno Unito e Germania. In pratica, gli evasori nostrani verrebbero tassati con un prelievo una tantum sui loro depositi svizzeri. Un prelievo particolarmente elevato, che nel caso dell’accordo tedesco, per esempio, è stato fissato al 34 per cento. E per il futuro i redditi dei capitali così emersi sarebbero tassati con aliquote stabilite tra i due stati. Per la Germania è previsto il 26,3 per cento, mente nel caso inglese si arriva al 48 per cento.
Le critiche a questo schema si fondano in primo luogo sul fatto che gli evasori lascerebbero i loro soldi in Svizzera mantenendo comunque l’anonimato. Inoltre non ci sarebbero sufficienti garanzie che le banche elvetiche collaborino fino in fondo denunciando per intero i capitali nei loro forzieri. Questi rilievi sembrano in parte fondati, ma nessuno tra i critici (tra cui non mancano ex collaboratori di Tremonti e sostenitori del suo condono agli evasori) ha fin qui segnalato come si possa far rientrare altrimenti una massa importante di capitali nascosti in Svizzera seguendo le regole dello stato di diritto. Soldi, si parla di una trentina di miliardi di possibile gettito, che farebbero gran comodo alle casse esauste del nostro Stato.
Certo, ci sarebbe il metodo americano. Nei mesi scorsi il governo di Washington è passato a vie di fatto per costringere Berna a siglare un accordo sul fisco. Ecco, in breve, la ricetta Usa: arresto di banchieri svizzeri sul territorio degli Stati Uniti, minaccia di boicottaggio commerciale e di blocco delle attività svizzere sul suolo statunitense. Sembra improbabile che Roma avrà il coraggio di imitare l’alleato americano.
Del resto anche il cancelliere Angela Merkel ha i suoi problemi per fare digerire l’intesa con Berna ai cittadini tedeschi. La sinistra (socialdemocratici e verdi) si oppone all’accordo perché lo considerano troppo blando nei confronti degli evasori e con il loro voto contrario sono in grandi di bloccare la ratifica delle nuove norme al Bundesrat, la cosiddetta camera delle regioni dove l’opposizione ha la maggioranza. Come se non bastasse, il land del Nord Reno Westfalia (dove si trovano città importanti come Dusseldorf e Colonia) si è procurato (forse a pagamento) un cd contenente un elenco di clienti tedeschi di alcune banche svizzere. Berna protesta per quello che considera furto di dati. Il governo federale di Berlino è imbarazzato, ma non può far niente contro le autonome decisioni di un land. E così, alla fine, perfino la Merkel potrebbe essere costretta ad alzare bandiera bianca. E allora niente più intesa con la Svizzera. Con grande soddisfazione degli evasori tedeschi.
Da Il Fatto Quotidiano del 19 agosto 2012

Palermo, azzerata la squadra antimafia. E anche in procura arriva il turnover. - Giuseppe Pipitone


carabinieri


Nel capoluogo siciliano, in autunno, andrà in scena un vero e proprio giro di vite. Come per il maggiore Antonio Coppola, capo del nucleo investigativo, per il quale i pm della Dda hanno chiesto di bloccare il trasferimento. Negli stessi mesi in cui saranno sostituiti i vertici investigativi dell’Arma, anche negli uffici del palazzo di giustizia avverrà una massiccia rotazione.

I cacciatori di mafiosi più esperti sostituiti tutti nello stesso momento e rimpiazzati di punto in bianco da colleghi con minore esperienza sul campo. E nello stesso periodo anche la procura sarà animata da un corposo turn over che coinvolgerà diversi magistrati della direzione distrettuale antimafia: se non è l’anno zero delle indagini su Cosa Nostra, poco ci manca. Quel che è certo è che in autunno, a Palermo, andrà in scena un vero e proprio giro di vite sul fronte antimafia. Nomi importanti che rappresentano la memoria storica dell’Arma nella lotta alla mafia. Come quello del maggiore Antonio Coppola per esempio. Coppola è il comandante del nucleo investigativo dei carabinieri, autore delle principali indagini che hanno portato all’azzeramento dei vertici di Cosa Nostra, la piovra dalle mille teste, che tenta continuamente di riorganizzarsi: durante l’operazione Araba Fenice (coordinata proprio da Coppola), venne filmato il summit dei boss palermitani che avevano deciso di ricostituire la Cupola, prima di finire tutti in manette. Adesso il maggiore dovrà lasciare Palermo, smetterla di occuparsi di mafia per essere probabilmente trasferito al nucleo tutela patrimonio culturale di Roma. Una scelta che non è piaciuta a 35 magistrati dell’antimafia, che hanno scritto al procuratore capo Francesco Messineo per chiedergli di intercedere con i vertici dell’Arma e ritardare il trasferimento di Coppola.
“Non si possono azzerare i vertici degli organi investigativi dell’Arma tutti nello stesso momento: questa è un’iniziativa senza precedenti che credo non si sia mai verificata negli ultimi 30 anni” commenta Vittorio Teresi, procuratore aggiunto di Palermo. Oltre a Coppola, stanno infatti preparando le valigie anche altri uomini di punta nella caccia ai boss mafiosi. Come il colonnello Paolo Piccinelli, per esempio, che alla guida del Reparto Operativo ha smantellato la rete di fiancheggiatori del boss Gianni Nicchi. O come il generale Teo Luzi, coordinatore delle indagini sul misterioso omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, l’ex deputato di An assassinato a colpi di bastone due anni e mezzo fa da un uomo in motocicletta rimasto ancora oggi senza volto. In autunno andranno via anche i colonnelli Giuseppe De Riggi e Pietro Salsano, che guidano i gruppi di militari a Palermo e Monreale. “Il dato allarmante – spiega Teresi – è che i vertici dell’Arma destineranno a quei delicati incarichi ufficiali con quasi nessuna esperienza in fatto di lotta alla mafia: non si può pensare che i nuovi investigatori facciano esperienza sulla pelle delle nostre indagini, sarà quindi naturale per noi magistrati coordinarci maggiormente con le altre forze di polizia giudiziaria che hanno già maturato ampie conoscenze su Cosa Nostra”.
E negli stessi mesi in cui saranno sostituiti i vertici investigativi dell’Arma, anche negli uffici del palazzo di giustizia palermitano avverrà una massiccia rotazione. Se per i militari, però, gli spostamenti vengono decisi dai vertici, il turn over dei magistrati prenderà il via soltanto dopo il volontario trasferimento richiesto dalle stesse toghe. “Ci sarà comunque da riorganizzarsi” rileva sempre Teresi. Da ottobre si libereranno sicuramente due posti da procuratore aggiunto: sono quelli di Ignazio De Francisci, che si trasferirà negli uffici dell’avvocatura generale dopo la votazione unanime del Csm, e di Antonio Ingroia, il coordinatore dell’inchiesta sulla Trattativa Stato – mafia che invece andrà a lavorare per l’Onu in Guatemala. Una terza poltrona da aggiunto potrebbe essere presto lasciata libera da Nino Gatto, che dopo mesi in malattia potrebbe andare in pensione. Palazzo dei Marescialli ha già bandito il concorso per i posti da aggiunto: in lizza per succedere a Ingroia e De Francisci c’è Nico Gozzo, già pm del processo contro Marcello Dell’Utri e attualmente procuratore aggiunto a Caltanissetta. Proveranno a tornare a Palermo anche il sostituto procuratore della Dna Maurizio De Lucia, il procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto Salvo De Luca, il facente funzioni di Reggio Calabria Ottavio Sferlazza e il capo dei pm di Termini Imerese Alfredo Morvillo: una corsa apertissima in cui gli appoggi interni al Csm sono fondamentali.
Se n’è accorto Roberto Scarpinato che rischia di essere tagliato fuori dalla corsa alla procura generale di Palermo dal procedimento disciplinare richiesto dal consigliere del Csm Nicolò Zanon, dopo il suo intervento in via d’Amelio il 19 luglio scorso. Sfidante del procuratore generale nisseno è Francesco Messineo: l’attuale procuratore capo di Palermo era stato indicato per la poltrona di procuratore generale dalla commissione incarichi direttivi del Csm, che avrebbe dovuto votare il nuovo procuratore generale entro fine luglio. La riunione plenaria è stata però spostata a settembre e indiscrezioni lasciano immaginare come Messineo possa alla fine pagare il ciclone istituzionale che si è scatenato dopo che il capo dello Stato è ricorso alla consulta sollevando un conflitto d’attribuzione contro il suo ufficio.
Se il Csm dovesse riaprire i termini, in lizza potrebbe tornare il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte, che non ha mai ritirato la domanda per la procura generale. E a breve potrebbe anche aprirsi la battaglia per la poltrona di procuratore capo: se Messineo dovesse pensare di cedere il passo, in corsa per l’ufficio che fu di Giancarlo Caselli ci sarebbero Sergio Lari e lo stesso Lo Forte.