giovedì 6 dicembre 2012

Stato-mafia, la Procura: "Tratteniamo le intercettazioni del Quirinale".




Palazzo di giustizia di Palermo
La Procura di Palermo sta valutando l’esecutività del provvedimento con cui la Corte costituzionale ha sostanzialmente imposto la distruzione delle conversazioni telefoniche, intercettate casualmente, fra il presidente della Repubblica e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Lo ha reso noto il capo della Procura del capoluogo siciliano, Francesco Messineo, dopo che stamattina il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Roberto Tartaglia hanno studiato il caso. Sono stati consultati anche alcuni costituzionalisti.
Due le ipotesi: la prima è quella di attendere le motivazioni della decisione della Consulta, che arriveranno a gennaio, dunque tenendo tutto fermo per un mese ancora. La seconda si basar sul comunicato in cui la stessa Corte ha sintetizzato i contenuti della sentenza. “Il comunicato – obiettano pero’ i componenti del pool – non ha valore giuridico, né efficacia vincolante”.
Messineo però resta cauto: “Se dovessimo accertare che questa nota è immediatamente esecutiva, dovremmo attivare la procedura subito e mandare tutto al gip. Il problema è squisitamente giuridico”.
Le intercettazioni però, allo stato attuale, non sono state distrutte e si trovano ancora in Procura. Una volta che passeranno al Gip, sarà quest’ultimo a decidere.
Non pochi dubbi e perplessità su una situazione che non ha eguali e su cui, come dice Messineo, “stiamo cercando, se ce ne sono, eventuali precedenti”.
Costituzionalmente ragionando è possibile ignorare la decisione della Consulta poichè la Magistratura è un organo di Governo istituzionale indipendente. Resta solo da stabilire se la Consulta ha potere decisionale sulla Magistratura, cosa che mi sembra improbabile.
Art. 101. della Costituzione
La giustizia è amministrata in nome del popolo.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge.
cetta.

CRISI DI GOVERNO ? NO PROBLEM. - Federico Zamboni



Le truppe del PdL silurano il dl Sviluppo, ma è un attacco suicida. Che fa comodo sia a Berlusconi che a Monti. 

Chi dà retta agli editorialisti del Corriere o di Repubblica la chiami pure dietrologia, e si conceda l’ennesimo sorrisino di sufficienza. Allo stesso modo, continui a credere che Berlusconi è un mattoide fuori controllo. E che tra i diversi partiti non ci sono stati accordi sottobanco per assecondare l’avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi. 
Per loro il “sistema” non esiste e quelli che pensano di sì sono dei poveri sciocchi, più o meno complottisti. Ma se invece si è aperti a un ragionamento fuori dagli schemi, ecco un’interpretazione alternativa a quella che si sta leggendo altrove e che riduce tutto a una ripicca per le dichiarazioni di Passera che in Tv, ad Agorà, aveva definito «controproducente» per l’Italia l’eventuale ritorno in campo di Berlusconi.


Mettiamo insieme un po’ di tessere del mosaico, allora. E cominciamo da una domanda: arrivati dove siamo adesso, ovvero a ridosso della fine della legislatura, chi sarebbe danneggiato da una crisi di governo e da un ritorno accelerato alle urne? La risposta è molteplice, ma va nella medesima direzione. Che è quella di favorire gli esponenti più alti delle diverse forze in gioco. 

Primo: certamente non ne esce sminuito Monti, che anzi verrebbe fatto passare per la vittima incolpevole di un ammutinamento della masnada PdL, e che quindi avrebbe buon gioco a ribadire la necessità di un governo stabile/blindato, e all’occorrenza di “responsabilità nazionale”, per la prossima legislatura. Secondo: Bersani, che è organico al progetto lib-lab (molto lib e poco lab) impostato da Prodi ed estremizzato da Monti, se ne avvantaggerebbe in quanto leader del partito di maggioranza relativa. Terzo: la definitiva disintegrazione del PdL odierno, che ormai è solo d’intralcio e che sta diventando sempre più inaffidabile a causa delle faide interne, libera Berlusconi dall’ingombrante presenza dei cortigiani del passato, facilitandolo nell’atteggiarsi a demiurgo di un soggetto nuovo. Per il quale, nella congiuntura politica attuale, una sconfitta elettorale sarebbe così annunciata da non costituire una tragedia, ossia una delegittimazione completa e irreversibile. 

Inizia ad essere chiaro, il disegno? Chi avesse dei dubbi sulla disponibilità del Cavaliere a piegarsi alle strategie altrui, è invitato a ricordarsi che il precedente c’è già. Ed è tanto smaccato da risultare indiscutibile. Basta riandare a un anno fa, quando lui si fece da parte, con sorprendente arrendevolezza, spianando la strada a Monti. Questa levata di scudi al Senato, inoltre, mira a restituire un pizzico di (finta) autonomia al PdL, per provare a blandire il suo elettorato delusissimo e spingerlo a un rinnovato consenso, evitando che si rivolga altrove e in particolare al M5S. 

Insomma: far cadere il governo sarebbe il canto del cigno – o piuttosto l’estremo starnazzare del pollo – del vecchio PdL. Una rissa finale che si risolve in un massacro suicida. Come è logico in una guerra che non ha più bisogno di quella compagnia di ventura mal assortita, zeppa di ex An a fine carriera e di ex Forza Italia a contratto scaduto, dal momento che ormai può contare su un esercito di gran lunga più disciplinato. 


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11178

Fassino perde le staffe e attacca la consigliera Appendino dandole della Giovanna D'Arco




Pubblicato in data 05/dic/2012
dal minuto 2:54 Fassino alza i toni.
dal minuto 4:37 la controreplica della Appendino.
qui il riassunto della vicenda:http://www.movimentotorino.it/2012/12/davide-contro-golia.html

Breve premessa: nel bilancio del Comune erano previsti 4,5 milioni di euro in entrata da sponsorizzazioni che non verranno accertati poichè, su decisione autonoma del Sindaco e dell'assessore alla cultura, sono stati dirottati ad un soggetto terzo - fondazione FAM.
La prova sono delle lettere firmate da entrambi i soggetti con l'esplicita richiesta agli sponsor di bonificare le cifre direttamente sul conto della FAM.
Dopo un primo intervento in aula in cui chiedevamo spiegazioni in merito (http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=qzl2IL-IDKc), non avendo ricevuto risposte soddifacenti, abbiamo presentato un'interpellanza generale che si è discussa nel consiglio di lunedì 3/12/12 (qui il testo:http://www.comune.torino.it/consiglio/documenti1/atti/testi/2012_06258.pdf). Dopo una risposta non soddisfacente dell'assessore e una dura contro-risposta della Consigliera Appendino, è intervenuto il Sindaco che, invece di dare risposte di merito, ha prima dichiarato "erroneamente" che le risorse non erano previste a bilancio, poi ha attaccato sul piano personale la consigliera.
In conclusione la consigliera, appoggiata dal Consiglio, riprende la parola e ribadisce la sua posizione.
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qui il video con gli interventi completi:http://www.youtube.com/watch?v=r5YuqBeCYXw




Tendere un velo pietoso sul COMMEDIANTE Fassino..(Falce, Martello ed OMERTA'...)e sue FONDAZIONI con le quali commette affaracci alla NASO AQUILINO..
Il suo millantare di essere di SINISTRA..??? (valori della Resistenza che non incarna) di sinistro c'e' solo la sua OSTINATA ISTERIA da **politico** asservito a tutto ed a tutti (anche al COTA..ed elezioni fasulle...vedasi affare con sentenza a proposito del PARTITO dei PENSIONATI per COTA, Piemonte)
Un video mostra in azione il CABARETTISTA PIERO, omertoso sui CONFLITTI di INTERESSE) ed amante dei Musicals a Broadway (Stati Uniti) dove si sa', i metalmeccanici del Paese, Taranto inclusa, vanno spesso, come lui, a RILASSARSI....
(Giovanni Giovannelli)

Da Presidente a Monarca. - Franco Cordero




Qualche telefonata di troppo. Una procura dall’orecchio attento. L’ordine di distruggere i nastri. Magistrati accusati di ordire un colpo di Stato. Sofismi e argomenti tautologici e infondati. Uno scontro tra magistratura e capo dello Stato senza precedenti nella storia della Repubblica. Una vicenda (e una sentenza) che stravolge la nostra democrazia, nell’analisi lucida e imparziale di uno dei più grandi giuristi.

1. La storia comincia da una gaffe. Teme gl’indaganti l’ex ministro N.M., testimone su affari oscuri tra Stato e mafia: quindi spera che il procedimento passi in sedi meno ostiche; e volendo anche schivare un antipatico confronto, manda appelli al Quirinale. La risposta corretta sarebbe: «nihil de hoc». Il presidente non è organo censorio d’atti giudiziari, quali erano i monarchi francesi, forti del residuo d’un originario carisma giurisdizionale («justice retenue»), estinto nel collasso dell’ancien régime. Nemmeno Sua Maestà Carlo Alberto, sovrano bigotto costretto alla riforma costituzionale (5 febbraio 1848), oserebbe mettere becco nei processi brandendo una formula statutaria (art. 68: «La giustizia emana dal re»), ma 164 anni dopo, da Monte Cavallo spirano arie rétro. Anziché declinare l’improponibile argomento, il consigliere all’altro capo del filo sta al gioco: corrono dialoghi solidali; e siccome N.M. era sottoposto a controllo telefonico, ogni sillaba va nei nastri. Otto colloqui, dal 25 novembre 2011 al 5 aprile 2012. Spigoliamo qualche punto. L’altissima persona «s’è presa la questione a cuore» (24 febbraio). «Non vediamo molti spazi, purtroppo», e quanto al temibile confronto, affiora l’idea d’una versione concertata (12 marzo). «È orientato a fare qualcosa» (3 aprile). L’assillante manda una memoria, trasmessa dal Quirinale al procuratore generale della Cassazione affinché gli uffici lavorino «coordinati»: «Lui sa tutto»; «voglio che» quella «lettera sia inviata… con la mia condivisione» (5 aprile»). La procura palermitana era in regola, sicché le indagini proseguono lì, chiuse dalla richiesta d’un rinvio a giudizio: l’ex ministro vi compare ai margini quale falso testimone; l’udienza preliminare dirà se esista materia d’accusa e relativo dibattimento. Nastri e testi degli otto colloqui stanno agli atti. Segreti, invece, i quattro in cui parla l’Homo in fabula, irrilevanti, secondo il pubblico ministero, quindi obliterabili, nel senso d’una distruzione fisica: disporla spetta al giudice che ha ordinato la misura investigativa; ed è materia soggetta al contraddittorio (art. 269, c. 2), incluso il ricorso in Cassazione. No, afferma il presidente: l’ascolto ledeva una sua prerogativa; l’empio materiale sia subito distrutto; nessuno lo veda o ascolti. Gli fanno eco varie platee (intrusione «eversiva», s’è persino detto). Tali i petita davanti alla Consulta.

2. Niente da obiettare sugli otto dialoghi in cui interloquiva il consigliere; ed è particolare curioso: se l’immunità esistesse, vi sarebbe incluso l’intero staff, rispetto agli atti d’ufficio. L.D’A. svelava dei retroscena, in chiave veridica, stando alla lettera 19 luglio direttagli dal presidente (sette giorni dopo, il destinatario muore), resa pubblica nell’arringa 15 ottobre alla scuola dei magistrati. Che quel soccorso esorbitasse dalle funzioni, è rilievo ovvio ma la domanda proposta alla Corte sarebbe infondata quando anche allargassimo il concetto della funzione a tali scambi verbali (ipotesi temeraria). Nessuna delle due norme invocate dal ricorrente risulta applicabile alla fattispecie. Art. 90 cost.: Il Presidente non risponde degli atti compiuti en titre, esclusi alto tradimento e attentato alla Costituzione; ebbene? Nessuno gli muove accuse. Stiamo discutendo l’uso processuale del dialogo con persone sottoposte a controllo telefonico: argomenti diversi; confonderli è il sofisma che i dottori chiamavano «ignoratio elenchi», ossia «prouver autre chose que ce qui est en question» (Logique de Port-Royal, 1683, Parte III, Cap. I, § 1), espediente consueto nelle dispute viziose (vedi gli stratagemmi 1-3 dei trentotto esposti nella schopenhaueriana Arte d’ottenere ragione). Dove sta scritto che siano adoperabili in sede investigativa o istruttoria le sole parole implicanti una responsabilità? Né interessa l’art. 7, c. 3, l. 5 giugno 1989 n. 219: l’intercettazione può essere disposta solo quando versi in stato d’accusa, votato dal parlamento, e la Corte l’abbia sospeso dalla carica; nihil sequitur perché l’intercettato era N.M. L’inquirente sorveglia i canali attraverso cui comunica l’imputato virtuale o effettivo: i collocutori sono incogniti nel momento in cui il provvedimento è emesso, più o meno identificabili poi; nessuno immaginava che nel fiume vocale captato (9.295 pièces) quattro volte risuonasse l’augusta voce; ed è assurdo pretendere operatori fulminei nell’interrompere l’ascolto, quasi fosse nefas. Roba da fiaba o rituali primitivi (ormai lavorano le macchine, senza intervento umano). Col permesso del giudice l’indagante controlla gli apparecchi d’un tale: il sèguito è futuribile; forse restano muti o vi passano mille voci; quali, quante, se utili o no, consterà post auditum.

3. Discorso chiuso, tra interlocutori fedeli alla sintassi: l’immunità processuale non fiorisce spontaneamente; esiste in quanto una norma la regoli; e non se ne vede il più pallido segno. I soli due testi addotti dicono tutt’altro. Siamo alle prese con una tautologia del tipo: «P non morrà mai»; «dimmi perché», «ovvio, gl’immortali non muoiono». Il ricorso postula un presidente la cui persona sia «sacra e inviolabile», qual era Carlo Alberto (art. 4 dello Statuto), quindi indenne da ogni servitus iustitiae, ma non è più tempo d’arie mistiche e re taumaturghi. Siamo in Italia, anno Domini 2012: vige una Carta votata dalla Costituente lunedì 22 dicembre 1947; perso ogni connotato monarchico, il presidente assume un’identità laica, da commis de l’Etat. Chi osi definirsi «sacro e inviolabile» riscuote lievi sorrisi. Ricordiamo però un incidente, quando Camere servizievoli lavoravano pro domino Berluscone, tirando in ballo ex aequo il capo dello Stato. L’obiettivo era renderli immuni da qualunque processo (salvo i due casi previsti dall’art. 90 cost.), finché durino in carica; e l’Uomo del Colle segnalava «profonde perplessità»: tale regime affievolirebbe uno status del quale afferma d’essere già investito (nota 22 ottobre 2009). Nossignore, non esiste l’asserita prerogativa. Se ne convinca consultando i precedenti, su fino ai lavori preparatori della Costituente: a parte gli atti coperti dalla funzione (spetta al giudice stabilire se ricorra tale caso), è justiciable come lo siamo tutti; e non chiamiamola lacuna rimediabile dall’interprete; i costituenti compivano una scelta d’alto valore etico, imposta dal principio capitale d’eguaglianza davanti alla legge. Quanto pesante anacronismo rintocca nel coro monarcofilo.

4. Ripetiamolo, è incongruo volo nel passato remoto pretendere che, udita la Voce, gl’inquirenti rompano l’ascolto mandando subito in cenere i materiali sacrileghi. A parte ogni questione ideologica, l’assunto ignora norme positive. L’art. 271, c. 3, vieta la distruzione del reperto fonico costituente corpo del reato (ad esempio, parole d’estorsore o mandato a uccidere, magari allusivo: «Chi mi libera da quel maledetto oppositore?; vedi Enrico II Plantageneto contro Thomas Becket, o Mussolini sul conto del pericoloso Giacomo Matteotti). Idem è arguibile quando disco o nastro costituiscano notitia criminis. Infine, l’art. 269 subordina la distruzione dei reperti irrilevanti al vaglio camerale, nel contraddittorio degl’interessati: operata segretamente sarebbe illegale; né sono pensabili varianti contro l’art. 111 cost., cc. 2 e 4. Può darsi che i materiali de quibus siano prove importanti, nel giudizio in atto o altrove, perciò gl’interessati devono potervi interloquire. Ad esempio, Alfred Dreyfus sconta l’ergastolo nell’Isola del Diavolo: l’accusavano d’avere venduto segreti militari; ed emergono cose enormi dal dialogo d’una altissima persona col sottoposto ad ascolto telefonico; il galeotto è innocente; i felloni erano gli autori delle false prove d’accusa. Lasciamo le cose come stavano «a tutela della riservatezza», mandando al diavolo nell’omonima isola verità storica e giustizia? Semmai, l’attuale disciplina appare perfettibile: non è detto che quel giudice sia infallibile; la critica delle decisioni avviene in Appello e Cassazione; gli artt. 268, c. 2, e 271, c. 3, tagliano il contraddittorio escludendo un secondo grado (valgono le norme sui procedimenti camerali); ed eseguita la decisione distruttiva, l’ipotetico errore emerso nel sèguito del processo forse risulta irrimediabile.

5. Tiriamo le somme: il ricorrente postula un’immunità della quale non esiste l’ombra nelle fonti; e vìola l’art. 111 cost. la pretesa d’annientamento occulto della possibile prova, né vista né udita dagl’interessati; bel salto indietro, nella cupa gnoseologia inquisitoria. Viene in mente un quesito teologal-filosofico (in logica novecentesca liquidabile come mal formulato): se l’Onnipotente lo sia al punto d’evocare un triangolo i cui angoli, sommati, non diano 180° (nello spazio euclideo, beninteso: tolto il quinto postulato, niente glielo impedisce). Sì, risponde Cartesio; Spinoza lo nega. Ora, chi dica fondato nelle norme vigenti (Carta inclusa) quel ricorso, postula l’equivalente giuridico d’un triangolo dagli angoli abnormi, fermo restando il quinto postulato: l’incenerimento occulto dei nastri su cui pesa il tabù, presuppone un mondo diverso dall’attuale, dove non viga l’art. 111 cost., cc. 2 e 4; se l’impresa le riesce senza evadere dal sistema qual è, la Corte risulta più potente del Dio pensato da Baruch Spinoza.


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