lunedì 31 dicembre 2012

Buon 2013.

Foto: Buon anno nuovo a tutti!

(Sono esclusi: Napolitano, Berlusconi, Monti, Casini, Bersani, etc., etc....)

Anch'io!



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Un anno se ne va, un altro arriva...



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Insetto stecco Black Beauty (Peruphasma schultei)



La natura e le sue meraviglie.

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Freedom...



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AGENDA MONTI ? PIU’ INTERESSANTE LA SUA RUBRICA. - Giuseppe Germinario



Alcuni amici mi hanno sconsigliato di indugiare sul promemoria di Montihttp://www.ilpost.it/2012/12/24/agenda-monti/agenda-monti-01/ Una perdita di tempo per un documento dal sapore preelettorale. Quanto all’ecumenismo, ha poco da invidiare alla letteratura che ha infestato le precedenti e infesterà l’attuale campagna. Già a poche ore di distanza dalla pubblicazione, la cruda realtà degli eventi comincia a beffarsi, però, delle intenzioni pie e ipocrite impresse a futura memoria. A pagina 12, il documento recita “Per aiutare la crescita sostenibile del settore agroalimentare italiano occorre fermare la cementificazione e limitare il consumo di superficie agricola come proposto nel disegno di legge per la valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo del suolo”; a poche ore di distanza lo stesso Monti, sostenuto dai buoni uffici di Corrado Passera, autorizza, oltre all’aumento del 70% della tariffa riscossa per ogni passeggero, il raddoppio delle piste dell’aeroporto di Fiumicino con il conseguente esproprio, a prezzi di mercato e relativo sovrapprezzo legato all’esercizio di attività, della quasi totalità dell’area agricola Maccarese, uno dei terreni agricoli più fertili esistenti in Italia e la probabile urbanizzazione della parte restante. Un’opera in gran parte superflua solo con un semplice processo di ottimizzazione delle attuali strutture aeroportuali.

Il particolare intrigante risiede nei Benetton, proprietari dell’azienda agricola, acquistata a suo tempo a prezzi politici dallo Stato e contemporaneamente importanti azionisti di Adr, gestore dell’aeroporto http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/27/aeroporti-di-roma-lultimo-regalo-di-monti-a-benetton/456079/ 

Probabile che l’accavallarsi degli impegni in “Agenda”, porti a qualche incongruenza, qualche distrazione se non allo sdoppiamento della personalità del nostro Primo Ministro “tecnico”. Come vedremo, non si tratta, però, di un episodio isolato. Lo stesso Monti deve, in qualche maniera, essere cosciente della sua eccessiva propensione ad aderire a realtà antitetiche tra loro e temere che qualcosa sfugga al controllo se non alla sua coerenza di immagine; il suo vezzo di prendere appunti e rinviare di qualche tempo le decisioni, tra le altre cose, deve servire a riordinare le scadenze e gli argomenti; qualche particolare può sempre sfuggire.

Una qualsiasi espressione dell’uomo rivela sempre, per quanto mimetizzati, una rappresentazione, un “non detto”, un “mondo vitale”; l’Agenda, a suo modo, ne rivela tante del nostro Professore sino a farlo scendere sempre più dall’Olimpo alle beghe e furberie del conflitto politico quotidiano. 

L’EUROPA di MONTI

Innanzitutto l’Europa, il tema su cui ha costruito la propria immagine, la propria carriera e il consenso generale delle forze politiche, almeno sino a qualche giorno fa. “L’Italia deve battersi per una Europa più comunitaria e meno intergovernativa, più unita e non a più velocità, più democratica e meno distante dai cittadini” “per la costruzione di un’autentica Unione economica e monetaria basata su una più intensa integrazione fiscale, bancaria, economica e politico istituzionale”, con “il prossimo Parlamento europeo munito di mandato costituzionale”. L’obbiettivo è, quindi, l’Unione economica e monetaria con un aggiustamento istituzionale e la partecipazione di tutti. L’eterno apparente primato dell’economia, principio fondante, sin dagli anni ’50, dell’Unione Europea. È la prosecuzione senza sussulti dell’attuale processo eternamente propedeutico all’Unione politica, con l’Europa intesa in realtà come campo di battaglia e di confronto degli stati europei, con un mercato comune fintamente omogeneo che diventa la via di trasmissione di ineguaglianze ed egemonie su base nazionale e che se liberalizzato alle stesse condizioni  non farà che accentuare le gerarchie su quella base; il tutto ancora una volta diretto  e orientato dal giocatore-arbitro d’oltre-atlantico, gli USA  e con un riequilibrio parziale e temporaneo di forze legato ai giochi della superpotenza. Un elemento di chiarezza che ha scatenato le prime critiche dei federalisti duri e puri (BarbaraSpinelli) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/12/27/moderatamente-europeo.html?ref=search, spinto analisti più seri a rivelare sprazzi di verità (Lucio Caracciolo) http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1PKXQS, a far uscire dal guscio e dire senza veli ciò che Monti tenta in realtà di mascherare (Pelanda)http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1PLXZ9 e la ultradecennale retorica europeista ha cercato di nascondere. Rimando sull’argomento ai miei numerosi scritti e a un prossimo libro della redazione. Sulla base di queste premesse l’Italia deve recuperare credibilità confermando “il rispetto delle regole di disciplina delle finanze pubbliche, le priorità strategiche definite in sede europea, le raccomandazioni specifiche che l’Unione Europea rivolge ogni anno come parametri di riferimento per la formulazione della sua politica economica”. L’accettazione di condizioni capestro in cambio di una qualche forma di redistribuzione, di indebitamento europeo sostenuto da una scarsa corrispondente sovranità politica continentale e con politiche industriali attive delegate agli stati nazionali sulla base della loro specifica forza economica e politica, comprese le possibilità di dumping sociale e fiscale consentite dai rispettivi quadri sociali dei paesi. Una credibilità, quindi, frutto della completa accondiscendenza e, tutt’al più, accresciuta dalla capacità di stringere ulteriori rapporti di subordinazione con la potenza dominante. Su questo Monti ha acquisito certamente una sua forza particolare, non dettata dalla potenza del paese che formalmente rappresenta. Tutto quello che sta avvenendo nella gestione della politica estera, nella riorganizzazione della difesa, nella resistenza all’integrazione subordinata delle proprie industrie strategiche a quelle tedesche e nell’accondiscendenza trionfalistica a quelle americane lascia intravedere questa impostazione; come pure l’assordante silenzio su una qualsiasi caratterizzazione dell’Unione Politica europea, una qualsiasi autonomia del continente dalle scelte strategiche degli Stati Uniti, semplicemente perché non esiste una visione geopolitica europea e un progetto politico europeo fondato su basi praticabili. Il manifesto parla, infatti, surrettiziamente di credibilità acquisita dall’Italia confermando la sua vocazione a “sostenere il multilateralismo”, rinsaldando “i legami con gli Stati Uniti promuovendo un più forte legame transatlantico”. Come possa conciliare una vocazione di equilibrio di forze con una cieca sudditanza militare e politica, Monti deve ancora riuscire a spiegarlo; quello che ha in mente è in realtà un mondo tendenzialmente unipolare con aree regionali gestite da potenze periferiche. Una visione che accomuna, purtroppo, tutte le principali forze politiche del paese; chi attraverso una rappresentazione manichea, chi attraverso una visione globalista e sovranazionale e sovrastatale dei rapporti internazionali. Una visione che trova radici in processi ben avviati da tempo, compresi quelli di integrazione industriale e militare, e che cercano una prima istituzionalizzazione nelle trattative attualmente in corso tra Stati Uniti ed Unione Europea sulla creazione di un mercato unico euro-atlantico. Gli ostacoli sono ancora numerosi, ma le intenzioni sono purtroppo serie.

LA CRESCITA DI MONTI 

In questo contesto, Mario Monti traccia la “strada per la crescita” andandola a cercare “dove essa è veramente, nelle innovazioni, nella maggiore produttività, nella eliminazione di sprechi. La crescita si può costruire solo su finanze pubbliche sane.” Cosa intenda il Professore per “finanze pubbliche sane” è presto detto: il rispetto di quanto concordato con l’Unione Europea, la Germania e gli organismi sovranazionali a controllo americano prima ancora che una riorganizzazione della spesa pubblica sui cui principi ispiratori ci sarebbe, comunque, molto da discutere. Un paese privo di fondamentali strumenti sovrani, inserito in una Unione senza forma statuale precisa e autentico colabrodo nella rete internazionale, non ha del resto tante altre valide alternative. Continua, quindi, la rappresentazione del deficit pubblico come male assoluto, piuttosto che un pesante handicap in un contesto scelto più o meno consapevolmente dalle classi dirigenti nazionali sinora susseguitesi. In un contesto, quindi, di pareggio di bilancio e di riduzione annuale, per circa dieci anni, del 5% dello stock di debito il nostro tenta di spiccare il volo prospettando la riduzione e il riequilibrio dei carichi fiscali perseguiti “anche trasferendo il carico corrispondente su grandi patrimoni e consumi che non impattano sui più deboli e sul ceto medio”. Sfioriamo la fantafinanza, combinata con il ribaltamento della politica fiscale adottata dallo stesso Monti e condizionata dalla ricerca di “meccanismi di misurazione della ricchezza oggettivi e tali da non causare fughe di capitali”. Cosa sia stata l’attuale politica di accertamenti fiscali e la presunta riorganizzazione dell’amministrazione finanziaria lascia poche speranze per il futuro e poggia su una presunzione di liquidità dei patrimoni che in realtà si sta riducendo implacabilmente con l’avanzare della crisihttp://www.conflittiestrategie.it/evasori-e-gabellieri> http://www.conflittiestrategie.it/evasori-e-gabellieri. Uno degli strumenti fondamentali di risparmio e riqualificazione è la spending review. Un principio rivoluzionario per i sistemi di gestione amministrativa dello Stato italiano che presuppone un cambiamento dei criteri di formazione del bilancio, dei progetti di spesa, della quantità e delle modalità dei livelli di controllo  e una uniformità dei criteri di organizzazione delle pubbliche amministrazioni secondo due/tre moduli organizzativi legati alle finalità delle strutture. Un impegno notevole in un contesto, determinato soprattutto dalla istituzione delle regioni, che ha invece consentito la creazione di amministrazioni dai compiti similari ma secondo principi organizzativi divergenti, con scarsa gerarchia di sovranità e conseguenti conflitti di competenze e con il sorgere di un nuovo polo di attrazione, la burocrazia europea, che ha inevitabilmente indebolito ulteriormente il controllo centrale delle amministrazioni periferiche, in particolare regionali. L’eliminazione di alcune agenzie, ad esempio la Cassa per il Mezzogiorno, ha accentuato ulteriormente questo sfilacciamento e la formazione di centri di potere frammentati e relativamente autonomi, collegati direttamente, spesso, con analoghi centri esteri. Sono processi maturati attraverso decenni; le loro mancanze non possono essere, quindi addebitati, ai tredici mesi di Governo Monti, anche se Monti è stato senza dubbio uno degli artefici, non certo tra i più importanti, di queste dinamiche. Quello che va addebitato a tutta la compagine governativa, è la relativa “sorpresa” con cui hanno scoperto l’entità del problema studiosi, accademici e manager impegnati da una vita su queste tematiche e catapultati nel Governo; la stessa “sorpresa” che li ha colti nello scoprire che per avviare una riforma ed una riorganizzazione non è sufficiente la Legge, con questo glissando bellamente su decenni di esperienza e di elaborazioni sociologiche a partire da Weber e da Merton. Un dilemma esistenziale che pare solo sfiorare  i nostri tecnici se è vero che parlano di “armonizzare i bilanci pubblici” e di “monitoraggio e valutazione della legislazione” senza altri riferimenti precisi tesi a ricreare centri di potere sostitutivi; una “sorpresa” legata al passato di questi personaggi, ai loro legami storici e alla loro impostazione elitaristica.

Una impostazione del genere non poteva che portare a delle conferme e proposte fumose , velleitarie le quali, dietro una parvenza di eguaglianza  e di condizioni paritarie di opportunità, pongono le premesse di una precarizzazione e di un degrado ulteriore, questa volta legalizzato, del tessuto sociale, una riduzione del dualismo storicamente presente nel paese attraverso l’abbassamento dei livelli di diritto e un declassamento della sua condizione produttiva e industriale. 

In assenza di un reale mercato comune europeo e di forti soggetti industriali nazionali efficienti, anzi spingendo alla frammentazione dei pochi attualmente presenti, propugna la liberalizzazione unilaterale delle attuali grandi reti di servizio, consegnandoli alla mercé degli investitori stranieri sino a teorizzarne, secondo il candore apparente propugnato dall’Istituto Leoni, l’assoluta neutralità rispetto alle strategie e ai giochi politici dei vari stati nazionali.


COME PENELOPE, PEGGIO DI PENELOPE 

Come Penelope, molto peggio di Penelope, vittima della retorica del fai da te, cerca di incentivare parzialmente la formazione di “start up”, nuove aziende legate alla creatività imprenditoriale individuale specie in settori di avanguardia, di favorire una maggiore dimensione delle aziende distruggendo, liquidando o dismettendo, però, contestualmente le residue grosse piattaforme industriali necessarie a sostenere le sperimentazioni imprenditoriali. Nella recente intervista sull’Olivetti http://www.conflittiestrategie.it/lolivetti-vista-da-un-suo-protagonista-giorgio-panattoni-2> http://www.conflittiestrategie.it/lolivetti-vista-da-un-suo-protagonista-giorgio-panattoni-2, abbiamo evidenziato molto bene, invece, quali siano le principali dinamiche necessarie a creare realtà industriali di avanguardia, compresa quella tanto mitizzata ma disconosciuta, nel concreto evolversi, della Silicon Valley. Analogamente, con la stessa approssimazione e demagogia, Monti, Fornero, Passera & Company sembrano attribuire una funzione salvifica all’attribuzione uniforme di una integrazione di reddito di diciotto mesi ai disoccupati, con contestuali corsi di qualificazione, di per sé sufficiente a garantire la rioccupazione. L’occupazione, in realtà, dipende in piccola parte da quello che ha da offrire la forza lavoro, in gran parte da quello che ha da offrire la realtà industriale e produttiva del paese; tanto è vero che segmenti importanti di personale qualificato e scolarizzato del paese stesso sono costretti a cercare lavoro all’estero o ad accettare condizioni precarie di lavoro o assistenza familiare o pubblica a casa propria.
Così obbiettivi di uniformità di prestazioni assistenziali e di riduzione conclamata di precariato si trasformano in strumenti di pauperismo e disoccupazione, come la recente vicenda dei contratti non rinnovati dei precari, degli esodati e dei cassintegrati sta dimostrando.

La lotta all’evasione fiscale, l’emersione del sommerso diventano una invocazione e un imperativo morale  piuttosto che una politica concreta legata alla crescita qualitativa e quantitativa del tessuto produttivo e sociale. I nuovi Savonarola propendono, quindi,  verso la caccia all’untore e verso il cinismo più bieco.

A volte particolari spesso secondari rivelano la statura dei personaggi che ci governano meglio di tante analisi complesse. Mesi fa Corrado Passera, alla domanda sulle opportunità da cogliere  da parte dei laureati specializzati, indicò prioritariamente la fuga all’estero; detto da un padre di famiglia è comprensibile, da un ministro responsabile della spesa pubblica di formazione per centinaia di migliaia di euro ad unità formata è rivelatore dell’inesistente legame di questi personaggi con l’interesse nazionale; analogamente il Ministro Grilli, alla domanda di come mai gran parte dei ceti medi professionali non vedessero riconosciuti il corrispettivo delle proprie competenze e fossero vittime dell’appiattimento al ribasso dei redditi, attribuì la responsabilità, in realtà il merito alla crisi.

MONTI, IL TRAGHETTATORE

In realtà Monti ha da percorrere una via decisa da altri ma attraverso corridoi molto stretti. Deve tagliare, ridurre e riorganizzare drasticamente la spesa pubblica e l’amministrazione statale ma possiede scarsa competenza tecnica, vista la sistematica distruzione di classe dirigente avvenuta nel paese in questi ultimi quarant’anni ed è vittima dell’incapacità di creare il necessario blocco sociale nazionale riformatore necessario a dare forza e continuità a questi progetti. Una incapacità aggravata dalle scarse prospettive che può offrire. Da una parte è l’Incaricato a impedire la formazione potenziale di questi blocchi, dall’altra è vittima lui stesso della rappresentazione che lo guida. Blatera del potere dei consumatori nel libero mercato, in realtà alimenta la formazione di lobby parassitarie e la liquidazione dei pochi centri decisionali autonomi di questo paese, con la complicità delle stesse agenzie antitrust e di garanzia; invoca la moralità, le riforme e l’efficienza dei servizi e delle reti, in realtà contribuisce ad alimentare le tentazioni parassitarie dei settori della borghesia nazionale, la complementarietà subordinata delle realtà produttive del paese e le scorribande predatorie, senza o con scarse contropartite, dei vari agenti esteri; copre con una patina egualitaria una politica di ridimensionamento dello stato assistenziale, compresa la larga componente parassitaria e di adeguamento della realtà normativa alla precarietà della struttura economica per rendere presentabile la futura alleanza con la cosiddetta sinistra.

La differenza con il PD è che mentre quest’ultimo risolve il problema dell’occupazione, in particolare di giovani e donne, con una tautologia, semplicemente proponendo assunzioni, presupponendo quindi una richiesta inevasa di personale, Monti affida ai meccanismi di mercato la creazione di opportunità di lavoro.

I reali agenti di questi processi, nella loro navigazione impervia ed incerta, hanno bisogno di esecutori comunque convinti ed in parte inconsapevoli della portata di queste scelte.

Monti, nella sua mediocrità, è senza dubbio uno di questi; ha dalla sua la consapevolezza che “abbiamo due alternative. O cercare di conservare il welfare state com’è, rassegnandoci a tagli e riduzioni di servizi per far fronte ad una spesa sempre crescente. O provare a rendere il sistema  più razionale o aperto all’innovazione” Più in generale la consapevolezza di una visione  dinamica rispetto ad una difesa statica dell’esistente. Ha il vantaggio di avere una controparte paralizzata nella difesa statica degli interessi, anche elementari o popolata da mestatori demagoghi pronti a liquidare al miglior offerente i migliori propositi o a finire vittima della propria stessa demagogia.

Le acrobazie del personaggio, prima garante tecnico, poi attore politico diretto in competizione con gli altri nella campagna elettorale, più che per indole per evidenti pressioni esterne, svelano la fluidità della situazione. Nel bailamme generale, ci sono forze che hanno compreso la posta in gioco. Per costrizione e convinzione hanno assunto la bandiera del cambiamento e l’iniziativa per gestirlo in qualche maniera. Tra questi, la forza principale appare la Chiesa Cattolica, o meglio la sua istituzione e parallelamente ad essa la pletora di imprenditori più subordinata ai centri esteri e più legata alle rendite delle reti di servizio, quella delle nicchie espressamente congeniali agli spazi consentiti dal mercato euro-atlantico e tutti quei centri in qualche maniera legati da sessant’anni di fedeltà all’alleanza atlantica.

La prima, dopo sonore batoste sia nel settore finanziario (vedi il caso Fazio/Banca d’Italia) che in quello delle scelte politiche strategiche (legami con la chiesa ortodossa) e della gestione morale (pedofilia, ect), ha pensato bene di rientrare politicamente nell’ovile e di gestire e ricontrattare le condizioni di accesso alla gestione del welfare alle nuove condizioni imposte, attraverso soprattutto il terzo settore e con l’alleanza e la mobilitazione delle forze collaterali. Si tratta però di forze che non sono in grado di esprimere una reale classe dirigente, espressione di ceti residuali e collaterali,  che abbisognano di personalità in grado di catalizzarle in qualche maniera e che non hanno ancora nemmeno raggiunto un livello sufficiente di compattezza. Il divario tra ambizioni e forze in campo mi pare al momento evidente. Le attuali convulsioni in Comunione e Liberazione, nelle ACLI e nella Coldiretti, con le ricorrenti tentazioni di ritorno agli ovili originari del PDL e del PD, sono rivelatrici delle incertezze del momento. Non a caso Monti ha segnalato che lo scontro reale e la destrutturazione definitiva del quadro politico avverrà dopo le elezioni, sempre che non sia lui a cadere vittima dei conflitti.

Oltre che per il completamento dell’Agenda e il suo arricchimento di contenuti, la sua propensione a prendere appunti  e a temporeggiare sulle decisioni dipende quindi dalla necessità di consultare , documento ancora più importante, la propria rubrica. Di quell’elenco nei prossimi mesi conosceremo la gran parte dei nomi delle figure locali e di secondo rango più esposte; degli ispiratori potremo immaginare la provenienza a meno che, nei posti che contano, comincino a volare gli stracci e si renda necessario un rivolgimento delle scelte. Accade raramente, ma accade.


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