giovedì 10 gennaio 2013

Trattativa Stato-mafia, chiesti 11 rinvii a giudizio: “Istituzioni cercarono dialogo”. - Giuseppe Pipitone


Trattativa Stato-mafia, chiesti 11 rinvii a giudizio: “Istituzioni cercarono dialogo”


Gli ex ministri Mancino, accusato di falsa testimonianza, e Mannino hanno chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato, la posizione di Provenzano è stata stralciata per motivi di salute. Contestato l'attentato, con violenza o minaccia, a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, tutto aggravato dall'agevolazione di Cosa nostra.

Una ricostruzione lunga due udienze per chiedere il rinvio a giudizio di tutti gli 11 imputati della trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. È la richiesta che il sostituto procuratore Antonino Di Matteo ha avanzato al giudice Piergiorgio Morosini, che dall’ottobre scorso presiede l’udienza preliminare del patto sotterraneo siglato tra pezzi delle istituzioni e la mafia. Toccherà ora al gup decidere se accogliere le richieste dell’accusa. Sulla stessa vicenda è stata pubblicata anche la relazione conclusiva della commissione antimafia presieduta da Beppe Pisanu.
Il pm ha passato in rassegna tutti gli elementi raccolti nell’indagine condotta dalla procura di Palermo negli ultimi anni: dall’uccisione dell’europarlamentare Salvo Lima, primo atto di guerra di Cosa Nostra allo Stato, fino all’incarico di contattare Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri che l’ex stalliere di Arcore Vittorio Mangano avrebbe ricevuto da Leoluca Bagarella. È a quel punto che, secondo il pm, si sarebbe siglato un nuovo patto tra la mafia e lo Stato. Il passaggio però non è piaciuto al boss corleonese, che ha infatti chiesto la parola per smentire di aver avuto contatti con elementi politici.
Insieme a Bagarella, sono imputati per violenza o minaccia a corpo politico dello Stato anche i boss Totò Riina e Antonino Cinà, considerato il “postino” del papello, il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, autore secondo i pm del primo input per aprire un contatto con Cosa Nostra, il senatore del Pdl Dell’Utri e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato soltanto di falsa testimonianza dopo la sua deposizione al processo Mori-Obinu del febbraio scorso. Sia Mannino che Mancino hanno chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato.
Alla sbarra anche tre alti ufficiali dei carabinieri: i generali Mario Mori e Antonio Subranni e l’ex colonnello Giuseppe De Donno. È invece imputato per calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro uno dei testimoni eccellenti dell’inchiesta: Massimo Ciancimino, “agganciato” da De Donno per organizzare i primi incontri tra il Ros e l’ex sindaco mafioso di Palermo. “Non pensavamo che Ciancimino arrivasse davvero a Riina” ha detto al fattoquotidiano.it lo stesso De Donno. Per i pm i colloqui tra i carabinieri e Vito Ciancimino sono il primo atto formale di “interlocuzione” tra le istituzioni e Cosa Nostra. Un dialogo sotterraneo che, nella ricostruzione della procura, dura dal 1992 fino al 1994, ed ha come oggetto una vera e propria negoziazione tra i pezzi delle istituzioni e la mafia.
Oggetto principale della trattativa sarebbe poi divenuto l’alleggerimento del 41 bis, obiettivo che si sarebbe realizzato nel novembre del 1993, quando l’allora guardasigilli Giovanni Conso non rinnovò oltre 300 provvedimenti di carcere duro a detenuti mafiosi. Ed è proprio per proseguire la trattativa che, secondo il pm, i carabinieri del Ros non arrestarono deliberatamente il boss Nitto Santapaola, “intercettato nella zona di Barcellona Pozzo di Gotto senza che ne venissero informati i magistrati”.
Un importante salvacondotto sarebbe poi stato assicurato al boss Bernardo Provenzano (per la posizione del quale nei giorni scorsi è stato disposto lo stralcio) localizzato nella zona di Mezzojuso nel 1995, e lasciato volontariamente libero dai militari. Il “ragioniere” di Cosa Nostra era in origine tra gli imputati della trattativa, ma il gup Morosini ha stralciato la sua posizione, dopo che i periti neuropsichiatrici hanno sancito la sua incapacità di presenziare alle udienze. Per il mancato arresto del padrino corleonese sono attualmente sotto processo Mori e Obinu: è per questo che Di Matteo ha chiesto d’inserire agli atti dell’inchiesta anche l’intero fascicolo del procedimento che vede i due carabinieri accusati di favoreggiamento a Cosa Nostra.
Tra le decine di documenti dei faldoni che costituiscono l’inchiesta sulla trattativa, il pm ha prodotto anche una vignetta del disegnatore Giorgio Forattini. L’illustrazione, di poco successiva all’omicidio Lima, rappresenta l’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti infilzato alle spalle da una lima. “Un’altra conferma – ha detto in aula Di Matteo – che l’omicidio Lima fu percepito come una minaccia al Governo allora in carica”. La chioma bianca dell’europarlamentare della Dc, rivolta nel sangue di Mondello è il prequel della trattativa Stato-mafia. “Una storia – ha detto sempre Di Matteo – nella quale la parte delle istituzioni che anche in nome di una inconfessabile ragion di Stato ha cercato e ottenuto il dialogo con la mafia”. Quel dialogo sotterraneo cercato da pezzi delle istituzioni avrebbe avuto come reazione “il convincimento negli uomini della mafia che le bombe pagano e determina la scelta della linea terroristica e un parziale cambiamento degli obiettivi da eliminare che non sono più i politici ma coloro i quali sono di ostacolo alla trattativa”. Alla fine della prima udienza anche il pentito Giovanni Brusca aveva chiesto di fare dichiarazioni spontanee. “La sinistra sapeva della trattativa – ha detto il collaboratore di giustizia – ma sono stato io il primo a dirlo: l’aveva detto già Riina in un processo e in quella sede aveva incluso nella Sinistra i comunisti”.

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