giovedì 19 dicembre 2013

L’IMPOSSIBILE E STERILE RIVOLUZIONE CONTRO LA CASTA. - Marco Della Luna



I correnti moti di ribellione dal basso, che si aggiungono agli attacchi sul piano politico e della legittimità costituzionale portati dai partiti di opposizione, pongono la questione se un’eventuale rivoluzione violenta diretta ad abbattere il sistema di potere italiano sarebbe legittima oppure illegittima. 

La recente sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità della legge elettorale vigente (quindi del parlamento, del capo dello Stato e dei giudici costituzionali da esso eletti, e delle leggi da esso varate) ha riconosciuto esplicitamente e formalizzato irreversibilmente la già palese illegittimità complessiva del regime (uso questa parola nel senso neutro di apparato dominante) rispetto alla Carta Costituzionale, che esso ha ampiamente e molteplicemente tradito.

Il colmo è Napolitano, che si ostina a difendere questo parlamento illegittimo e incostituzionale da chi ne reclama lo scioglimento. Ma sciogliere il parlamento e cambiare la legge elettorale non basterebbe a ricostituire la legittimità: se il sistema è illegittimo nel suo insieme, solo l’azione diretta del popolo può costituire, ex novo, un nuovo sistema costituzionale e legittimo.

Le continue scoperte giudiziarie che politici e pubblici amministratori, se appena si va a indagare, sono generalmente e spudoratamente dediti al peculato, evidenziano che in Italia generalmente si fa politica per rubare, e che la cultura dei partiti, dei loro apparati, è questa e non altra. Oramai sembra diffondersi la consapevolezza che non è possibile salvare il Paese senza eliminare la casta politica, storicamente e trasversalmente incompetente e corrotta, assieme alla casta burocratica, ancora più corrotta, inetta, potente e irresponsabile, proprio perché non elettiva e maggiormente autoreferenziale. Caste indifferenti alla sofferenza della popolazione. Caste che succhiano il sangue del lavoro, del risparmio e dell’industria, mentre sprecano gran parte delle sempre più pesanti tasse che spremono al Paese. 

 La gente manifesta crescente sfiducia nell’establishment, mentre movimenti come i grillini e i forconi richiedono sempre più fermamente ed estesamente che la casta se ne vada.

La casta però – è ovvio – non se ne andrà mai volontariamente, anzi si aggrappa ai propri privilegi, e minaccia, dall’alto delle istituzioni che essa occupa, di esercitare una dura repressione contro le ribellioni, mentre vende il Paese agli interessi stranieri per ricevere sostegno esterno al proprio regime. Inoltre controlla gli spazi e canali elettorali dello Stato, oltre alle forze dell’ordine e alle forze giudiziarie, quindi impedisce il cambiamento per le vie interne all’ordinamento dello Stato, cioè attraverso le elezioni politiche e amministrative, nonché i referendum. Conseguentemente, per abbattere la casta e salvare il Paese, ai cittadini resta solo l’opzione rivoluzionaria, il ricorso alla forza. 

Ogni sistema di potere, ogni regime statuale (uso questa parola in senso neutro, non denigratorio), dichiara di essere sempre e assolutamente legittimo, qualsiasi cosa faccia e per quanto sia corrotto. Perciò il fatto che si dichiari tale anche quello italiano, minacciando repressione dura dall’alto delle istituzioni che esso occupa, non significa nulla, non prova che sia legittimo.

Per stabilire se e in quali situazioni possa essere giusta e legittima una rivoluzione violenta che abbatta un regime statuale formalmente legittimo e riconosciuto dall’ordinamento internazionale, come è il regime italiano, occorre rifarsi alla sensibilità culturale diffusamente maturata e ai principi fondamentali del diritto come oggi riconosciuti perlomeno in ambito occidentale, ossia ai diritti dell’uomo e della società, civili e politici. In effetti, il nostro milieu culturale sente e giudica giuste e legittime le rivoluzioni violente che mirano ad abbattere regimi che sono illegittimi perché stabilmente violano i diritti fondamentali dell’uomo o i principi di democrazia e legalità. I regimi in carica giudicano infatti come giuste e legittime, appoggiandole talvolta, rivoluzioni quali quelle della primavera araba, o, per il passato, quella francese contro l’Ancien Régime, o quella americana contro il Regno Unito. Il regime italiano attuale fonda la propria esistenza non sulla continuità, bensì sulla discontinuità col precedente regime (il Regno d’Italia, o la Repubblica di Salò), anzi sulla sua radicale negazione, anzi sulla sua eliminazione fisica mediante la violenza delle armi. 

Orbene, il regime italiano, come è notorio, viola stabilmente e sistematicamente i diritti dell’uomo in una discreta misura, soprattutto in ambito giudiziario e carcerario, e pure i diritti del lavoro, del risparmio, della sicurezza sociale.

Viola altresì il principio di democrazia, perché occupa lo Stato e i suoi poteri, compresi i meccanismi elettorali, da sottrarsi alla scelta degli elettori, soprattutto per quella parte del potere, che è la più ampia, detenuta da burocrati, da funzionari non eletti e non revocabili dal popolo, quindi ancora più autocratici e incuranti delle regole. Fa addirittura leggi elettorali incostituzionali per togliere all’elettorato la possibilità di scelta politica.

Viola inoltre conclamatamente, stabilmente e sistematicamente il principio di legalità: dovunque si vada a indagare si trovano uomini politici e pubblici amministratori dediti trasversalmente al peculato e ad altri reati, ed è chiaro a tutti ormai che in politica ci si mette per rubare, e che i partiti, cioè quelle cose che sostengono i governi, sono eserciti composti principalmente di ladri. La viola anche perché ha tradito la sua Costituzione, che è la sua carta di legittimazione: la ha tradita sia non attuandone larga parte, che stravolgendone gli stessi principi fondamentali attraverso i trattati internazionali e la cessione della sovranità ad organismi esteri, non responsabili verso il popolo italiano, e che infatti non si curano di esso. 

Il regime statuale italiano è quindi con certezza illegittimo e il rovesciamento di tale regime mediante una rivoluzione di tipo francese sarebbe giusto e legittimo. Inoltre ulteriormente legittimato e necessitato dal fatto che esso da oltre vent’anni sta conducendo la politica economica e la politica europea in modo rovinoso per la nazione e non ha mai corretto tali politiche né pare capace di farlo; e altresì dal fatto, oramai percepito dalla maggioranza della nazione, che esso opera al servizio di interessi stranieri e a danno della nazione, che esso ha privato di quasi ogni ambito di indipendenza.

Tutto quanto sopra vale in teoria. Nella pratica, al contrario, una rivoluzione in Italia non è possibile e sarebbe infruttuosa, sicché non posso che ribadire il mio solito consiglio: emigrate.

Impossibile, a causa della forza poliziesca, militare e giudiziaria del regime, la cui casta comprende anche i vertici delle forze armate, delle forze dell’ordine e della giustizia; nonché del carattere storicamente remissivo, servile e codardo degli italiani, che per giunta sono inclini a dividersi, a tradirsi e a vendersi tra loro.

Infruttuosa, perché in primo luogo la casta e la cultura di regime non sono un corpo estraneo ma sono espressione della mentalità e delle aspettative della popolazione generale; in secondo luogo, perché manca una classe politica e burocratica di ricambio, che sia sana e competente; infine, perché l’Italia è troppo condizionata dall’esterno, non ha sufficiente indipendenza per sviluppare una sua politica, soprattutto in campo economico-finanziaria; quindi una rivoluzione, in essa, cambierebbe poco. Con Maastricht, Lisbona, il Fiscal Compact e il MES, in aggiunta alle circa 130 basi militari USA sul suo territorio, non ha più libertà di quanta ne ha un pezzo di ferro nel mandrino di un tornio.

Da qui la mia solita conclusione: l’Italia è spacciata, non è riformabile, l’unica opzione pratica, per chi è in grado, resta l’emigrazione: la buona, vecchia, pacifica e collaudata emigrazione.


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