venerdì 4 gennaio 2013

I "DUE MARO'": QUELLO CHE I MEDIA (E I POLITICI) ITALIANI NON VI HANNO DETTO. - Matteo Miavaldi



[Una delle più farsesche "narrazioni tossiche" degli ultimi tempi è senz'altro quella dei "due Marò" accusati di duplice omicidio in India. Fin dall'inizio della trista vicenda, le destre politiche e mediatiche di questo Paese si sono adoperate a seminare frottole e irrigare il campo con la solita miscela di vittimismo nazionale, provincialismo arrogante e luoghi comuni razzisti.
Il giornalista Matteo Miavaldi è uno dei pochissimi che nei mesi scorsi hanno fatto informazione vera sulla storiaccia. Miavaldi vive in Bengala ed è caporedattore per l'India del sito China Files, specializzato in notizie dal continente asiatico.

A ben vedere, non ha fatto nulla di sovrumano: ha seguito gli sviluppi del caso leggendo in parallelo i resoconti giornalistici italiani e indiani, verificando e approfondendo ogni volta che notava forti discrepanze, cioè sempre. C'è da chiedersi perché quasi nessun altro l'abbia fatto: in fondo, con Internet, non c'è nemmeno bisogno di vivere in India!
Verso Natale, la narrazione tossica ha oltrepassato la soglia dello stomachevole, col presidente della repubblica intento a onorare due persone che comunque sono imputate di aver ammazzato due poveracci (vabbe', di colore...), ma erano e sono celebrate come... eroi nazionali. "Eroi" per aver fatto cosa, esattamente?
Insomma, abbiamo chiesto a Miavaldi di scrivere per Giap una sintesi ragionata e aggiornata dei suoi interventi. L'articolo che segue - corredato da numerosi link che permettono di risalire alle fonti utilizzate - è il più completo scritto sinora sull'argomento.
Ricordiamo che in calce a ogni post di Giap ci sono due link molto utili: uno apre l'impaginazione ottimizzata per la stampa, l'altro converte il post in formato ePub. Buona lettura, su carta o su qualunque dispositivo.
N.B. Cercate di commentare senza fornire appigli per querele. Se dovete parlar male di un politico, un giornalista, un militare, un presidente di qualcosa, fatelo con intelligenza, grazie.
P.S. Grazie a Christian Raimo per la sporcatura romanaccia, cfr. didascalia su casa pau.]


di Matteo Miavaldi
Il 22 dicembre scorso Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò arrestati in Kerala quasi 11 mesi fa per l’omicidio di due pescatori indiani, erano in volo verso Ciampino grazie ad un permesso speciale accordato dalle autorità indiane. L’aereo non era ancora atterrato su suolo italiano che già i motori della propaganda sciovinista nostrana giravano a pieno regime, in fibrillazione per il ritorno a casa dei «nostri ragazzi”, promossi in meno di un anno al grado di eroi della patria.
La vicenda dell’Enrica Lexie, la petroliera italiana sulla quale i due militari del battaglione San Marco erano in servizio anti-pirateria, ha calcato insistentemente le pagine dei giornali italiani e occupato saltuariamente i telegiornali nazionali.
E a seguirla da qui, in un villaggio a tre ore da Calcutta, la narrazione dell’incidente diplomatico tra Italia e India iniziato a metà febbraio è stata – andiamo di eufemismi – parziale e unilaterale, piegata a una ricostruzione dei fatti distante non solo dalla realtà ma, a tratti, anche dalla verosimiglianza.

In un articolo pubblicato l’11 novembre scorso su China Files ho ricostruito il caso Enrica Lexie sfatando una serie di fandonie che una parte consistente dell’opinione pubblica italiana reputa verità assolute, prove della malafede indiana e tasselli del complotto indiano. Riprendo da lì il sunto dei fatti.
E’ il 15 febbraio 2012 e la petroliera italiana Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati, un rischio concreto lungo la rotta che passa per le acque della Somalia. Poco lontano, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Intorno alle 16:30 locali si verifica l’incidente: l’Enrica Lexie è convinta di essere sotto un attacco pirata, i marò sparano contro la St. Antony ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri dell’equipaggio.
La St. Antony riporta l’incidente alla guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatta via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata. Dall’Enrica Lexie confermano e viene chiesto loro di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano – che è un civile e risponde agli ordini dell’armatore, non dell’Esercito – asseconda invece le richieste delle autorità indiane.
La notte del 15 febbraio, sui corpi delle due vittime viene effettuata l’autopsia. Il 17 mattina vengono entrambi sepolti.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vengono arrestati con l’accusa di omicidio. La Corte di Kollam dispone che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della CISF (Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano dedito alla protezione di infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici) invece che in un normale centro di detenzione.

Questi i fatti nudi e crudi. Da quel momento è partita una vergognosa campagna agiografica fascistoide, portata avanti in particolare da Il Giornale, quotidiano che, citando un’amica, «mi vergognerei di leggere anche se fossi di destra».
Che Il Giornale si sia lanciato in questa missione non stupisce, per almeno due motivi:


1) La fidelizzazione dei suoi (e)lettori passa obbligatoriamente per l’esaltazione acritica delle nostre – stavolta sì, nostre – forze armate, impegnate a «difendere la patria e rappresentare l’Italia nel mondo» anche quando, sotto contratto con armatori privati, prestano i loro servizi a difesa di interessi privati.
Anomalia, quest’ultima, per la quale dobbiamo ringraziare l’ex governo Berlusconi e in particolare l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, che nell’agosto 2011 ha legalizzato la presenza di militari a difesa di imbarcazioni private. In teoria la legge prevede l’uso dell’esercito o di milizie private, senonché le regole di ingaggio di queste ultime sono ancora da ultimare, lasciando il monopolio all’Esercito italiano. Ma questa è – parzialmente – un’altra storia.

2) Il secondo motivo ha a che fare col governo Monti, per il quale il caso dei due marò ha rappresentato il primo grosso banco di prova davanti alla comunità internazionale, escludendo la missione impossibile di cancellare il ricordo dell’abbronzatura di Obama, della culona inchiavabile, letto di Putin, della nipote di Mubarak, dell’harem libico nel centro di Roma e tutto il resto del repertorio degli ultimi 20 anni.
Troppo presto per togliere l’appoggio a Monti per questioni interne, da marzo in poi Latorre e Girone sono stati l’occasione provvidenziale per attaccare l’esecutivo dei tecnici, mantenendo vivo il rapporto con un elettorato che tra poco sarà di nuovo chiamato alle urne. E’ il tritacarne elettorale preannunciato da Emanuele Giordana al quale i due marò, dopo la visita ufficiale al Quirinale del 22 dicembre, sono riusciti a sottrarsi chiudendosi letteralmente nelle loro case fino al 10 gennaio quando, secondo i patti, torneranno in Kerala in attesa del giudizio della Corte Suprema di Delhi.


Qualche esempio di strumentalizzazione?
Margherita Boniver, senatrice Pdl, il 19 dicembre riesce finalmente a fare notizia offrendosi come ostaggio per permettere a Latorre e Girone di tornare in Italia per Natale.
Ignazio La Russa, Pdl, il 21 dicembre annuncia di voler candidare i due marò nelle liste del suo nuovo partito Fratelli d’Italia (sic!).
L’escamotage, che serve a blindare i due militari entro i confini italiani, è rimandato al mittente dagli stessi Latorre e Girone, irremovibili nel mantenere la parola data alle autorità indiane.


LA QUERELLE SULLA POSIZIONE DELLA NAVE E UNA CURIOSA “CONTROPERIZIA”
La prima tesi portata avanti maldestramente dalla diplomazia italiana, puntellata dagli organi d’informazione, sosteneva che l’Enrica Lexie si trovasse in acque internazionali e, di conseguenza, la giurisdizione dovesse essere italiana. Ma le cose pare siano andate diversamente.
Il governo italiano ha sostenuto che l’Enrica Lexie si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, ovvero in acque internazionali, il che avrebbe dato diritto ai due marò ad un processo in Italia. La tesi è stata sviluppata basandosi sulle dichiarazioni dei marò e su non meglio specificate «rilevazioni satellitari”.
Secondo l’accusa indiana l’incidente si era invece verificato entro il limite delle acque nazionali: Girone e Latorre dovevano essere processati in India.

Nonostante la confusione causata dal campanilismo della stampa indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie non è più un mistero ed è ufficialmente da considerare valida la perizia indiana.
La squadra d’investigazione speciale che si è occupata del caso lo scorso 18 maggio ha depositato presso il tribunale di Kollam l’elenco dei dati a sostegno dell’accusa di omicidio, citando i risultati dell’esame balistico e la posizione della petroliera italiana durante la sparatoria.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta «zona contigua».
Il diritto marittimo internazionale considera «zona contigua» il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.


Sti fasci de casa pau giocano a ffà 'a guera coll'india. Più tardi aggredischeno la Kamciacca. - Seh, poi finisce che se fanno 'e tre de notte e domattina so' cazzi, svejasse pe' andà a scola! Tipo che a forza de ffà sega, qui ce tocca ripete' a prima media... - Pure quest'anno?!

A contrastare la versione ufficiale delle autorità indiane – che, ricordiamo, è stata accettata anche dai legali dei due marò e sarà la base sulla quale la Corte suprema indiana si pronuncerà – è apparsa in rete la ricca controperizia dell’ingegner Luigi di Stefano, già perito di parte civile per l’incidente di Ustica.
Di Stefano presenta una serie di dati ed analisi tecniche a supporto dell’innocenza dei due marò. Chi scrive non è esperto di balistica né perito legale – non è il mio mestiere – e davanti alla mole di dati sciorinati da Di Stefano rimane abbastanza impassibile. Tuttavia, è importante precisare che Di Stefano basa gran parte della sua controperizia su una porzione minima dei dati, quelli cioè divulgati alla stampa a poche settimane dall’incidente. Dati che, sappiamo ora, sono stati totalmente sbugiardati dalle rilevazioni satellitari del Maritime Rescue Center di Mumbai e dall’esame balistico effettuato dai periti indiani.
Nella perizia troviamo stralci di interviste tratti dal settimanale Oggi, fotogrammi ripresi da Youtube, fermi immagine di documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2 (sui quali Di Stefano costruisce la sua teoria della falsificazione dei dati da parte della Marina indiana), altre foto estrapolate da un video della Bbc e una serie di complicatissimi calcoli vettoriali e simulazioni 3d.
Non si menziona mai, in tutta la perizia, nessuna fonte ufficiale dei tecnici indiani che, come abbiamo visto, hanno depositato in tribunale l’esito delle loro indagini il 18 maggio. Di Stefano aveva addirittura presentato il suo lavoro durante un convegno alla Camera dei deputati il 16 aprile, un mese prima che fossero disponibili i risultati delle perizie indiane!
In quell’occasione i Radicali hanno avanzato un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri Terzi, chiedendo sostanzialmente: «Ma se abbiamo mandato i nostri tecnici in India e loro non hanno detto nulla, perché dobbiamo stare a sentire Di Stefano?»
Il lavoro di Di Stefano, in definitiva, è viziato sin dal principio dall’analisi di dati clamorosamente incompleti, costruito su dichiarazioni inattendibili e animato dal buon vecchio sentimento di superiorità occidentale nei confronti del cosiddetto Terzo mondo.
Se qualcuno ancora oggi ritiene che una simile perizia artigianale sia più attendibile di quella ufficiale indiana, cercare di spiegare perché non lo è potrebbe essere un inutile dispendio di energie.


UNGHIE SUI VETRI: «NON SONO STATI LORO A SPARARE!»
Altra tesi particolarmente in voga: non sono stati i marò a sparare, c’era un’altra nave di pirati nelle vicinanze, sono stati loro.
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai membri dell’equipaggio dell’Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane (entrambi i Paesi hanno aperto un’inchiesta) si specifica che Latorre e Girone hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che l’imbarcazione sospetta si avvicinava all’Enrica Lexie. Gli indiani sostengono invece che i colpi erano stati esplosi con l’intenzione di uccidere, come si vede dai 16 fori di proiettile sulla St. Antony.
Il 28 febbraio il governo italiano chiede che al momento dell’analisi delle armi da fuoco siano presenti anche degli esperti italiani. La Corte di Kollam respinge la richiesta, accordando però che un team di italiani possa presenziare agli esami balistici condotti da tecnici indiani.
Gli esami confermano che a sparare contro la St. Antony furono due fucili Beretta in dotazione ai marò, fatto supportato anche dalle dichiarazioni degli altri militari italiani e dei membri dell’equipaggio a bordo sia dell’Enrica Lexie che della St. Antony.


Staffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri italiano, il 18 maggio ha dichiarato alla stampa indiana: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».
I più cocciuti, pur davanti all’ammissione di colpa di De Mistura, citano ora il mistero della Olympic Flair, una nave mercantile greca attaccata dai pirati il 15 febbraio, sempre al largo delle coste del Kerala. La notizia, curiosamente, è stata pubblicata esclusivamente dalla stampa italiana, citando un comunicato della Camera di commercio internazionale inviato alla Marina militare italiana. Il 21 febbraio la Marina mercantile greca ha categoricamente escluso qualsiasi attacco subito dalla Olympic Flair.


A questo punto possiamo tranquillamente sostenere che:
1) l’Enrica Lexie non si trovava in acque internazionali;
2) i due marò hanno sparato
.
Sono due fatti supportati da prove consistenti e accettati anche dalla difesa italiana, che ora attende la sentenza della Corte suprema circa la giurisdizione.

Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell’Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano (la petroliera batteva bandiera italiana) e dovrebbero godere quindi dell’immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali.
A livello internazionale vige la Convention for the Suppression of Unlawful Acts Against the Safety of Maritime Navigation (SUA Convention), adottata dall’International Maritime Organization (Imo) nel 1988, che a seconda delle interpretazioni, indicano gli esperti, potrebbe dare ragione sia all’Italia sia all’India.
La sentenza della Corte Suprema di New Delhi, prevista per l’8 novembre ma rimandata nuovamente a data da destinarsi, dovrebbe appunto regolare questa ambiguità, segnando un precedente legale per tutti i casi analoghi che dovessero verificarsi in futuro.
Il caso dei due marò, che dal mese di giugno sono in regime di libertà condizionata e non possono lasciare il Paese prima della sentenza, sarà una pietra miliare del diritto marittimo internazionale.


IMPRECISIONI, DIMENTICANZE, SAGRESTIE E ROMBI DI MOTORI
In oltre 10 mesi di copertura mediatica, la cronaca a macchie di leopardo di gran parte della stampa nazionale ha omesso dettagli significativi sul regime di detenzione dei marò, si è persa per strada alcuni passaggi della diplomazia italiana in India e ha glissato su una serie di comportamenti “al limite della legalità” che hanno contraddistinto gli sforzi ufficiali per «riportare a casa i nostri marò». In un altro articolo pubblicato su China Files il 7 novembre, avevo collezionato le mancanze più eclatanti. Riprendo qui quell’esposizione.
Descritti come «prigionieri di guerra in terra straniera» o militari italiani «dietro le sbarre», Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in realtà non hanno speso un solo giorno nelle famigerate carceri indiane.
I due militari del Reggimento San Marco, in libertà condizionata dal mese di giugno, come scrive Paolo Cagnan su L’Espresso, in India sono trattati col massimo riguardo e, in oltre otto mesi, non hanno passato un solo giorno nelle famigerate celle indiane, alloggiando sempre in guesthouse o hotel di lusso con tanto di tv satellitare e cibo italiano in tavola. Tecnicamente, «dietro le sbarre» non ci sono stati mai.
Un trattamento di lusso accordato fin dall’inizio dalle autorità indiane che, come ricordava Carola Lorea su China Files il 23 febbraio, si sono assicurate che il soggiorno dei marò fosse il meno doloroso possibile:

«I due marò del Battaglione San Marco sospettati di aver erroneamente sparato a due pescatori disarmati al largo delle coste del Kerala, sono alloggiati presso il confortevole CISF Guest House di Cochin per meglio godere delle bellezze cittadine.
Secondo l’intervista rilasciata da un alto funzionario della polizia indiana al Times of India, i due sfortunati membri della marina militare italiana sarebbero trattati con grande rispetto e con tutti gli onori di casa, seppure accusati di omicidio.
La diplomazia italiana avrebbe infatti fornito alla polizia locale una lista di pietanze italiane da recapitare all’hotel per il periodo di fermo: pizza, pane, cappuccino e succhi di frutta fanno parte del menu finanziato dalla polizia regionale. Il danno e la beffa.»
Intanto, l’Italia cercava in ogni modo di evitare la sentenza dei giudici indiani, ricorrendo anche all’intercessione della Chiesa. Alcune iniziative discutibili portate avanti dalla diplomazia italiana, o da chi ne ha fatto tristemente le veci, hanno innervosito molto l’opinione pubblica indiana. Due di queste sono direttamente imputabili alle istituzioni italiane.
In primis, aver coinvolto il prelato cattolico locale nella mediazione con le famiglie delle due vittime, entrambe di fede cattolica. Il sottosegretario agli Esteri De Mistura si è più volte consultato con cardinali ed arcivescovi della Chiesa cattolica siro-malabarese, nel tentativo di aprire anche un canale “spirituale” con i parenti di Ajesh Pinky e Selestian Valentine, i due pescatori morti il pomeriggio del 15 febbraio.
L’ingerenza della Chiesa di Roma non è stata apprezzata dalla comunità locale che, secondo il quotidianoTehelka, ha accusato i ministri della fede di «immischiarsi in un caso penale», convincendoli a dismettere il loro ruolo di mediatori.

Il 24 aprile, inoltre, il governo italiano e i legali dei parenti delle vittime hanno raggiunto un accordo economico extra-giudiziario. O meglio, secondo il ministro della Difesa Di Paola si è trattato di «una donazione», di «un atto di generosità slegato dal processo».
Alle due famiglie, col consenso dell’Alta Corte del Kerala, vanno 10 milioni di rupie ciascuna, in totale quasi 300mila euro. Dopo la firma, entrambe le famiglie hanno ritirato la propria denuncia contro Latorre e Girone, lasciando solo lo Stato del Kerala dalla parte dell’accusa.
Raccontata dalla stampa italiana come un’azione caritatevole, la transazione economica è stata interpretata in India non solo come un’implicita ammissione di colpa, ma come un tentativo, nemmeno troppo velato, di comprarsi il silenzio delle famiglie dei pescatori.
Tanto che il 30 aprile la Corte Suprema di Delhi ha criticato la scelta del tribunale del Kerala di avallare un simile accordo tra le parti, dichiarando che la vicenda «va contro il sistema legale indiano, è inammissibile.»



Immagine tratta dal sito di Libero. Il giornale ha toni incazzati, ma i lettori sembrano di buon umore.
Ma il vero capolavoro di sciovinismo è arrivato lo scorso mese di ottobre durante il Gran Premio di Formula 1 in India. In un’inedita liaison governo-Il Giornale-Ferrari, in poco più di una settimana l’Italia è riuscita a far tornare in prima pagina il non-caso dei marò che in India, dopo 8 mesi dall’incidente, era stato ampiamente relegato nel dimenticatoio mediatico.
Rispondendo all’appello de Il Giornale ed alle «migliaia di lettere» che i lettori hanno inviato alla redazione del direttore Sallusti, la Ferrari ha accettato di correre il gran premio indiano di Greater Noida mostrando in bella vista sulle monoposto la bandiera della Marina Militare Italiana. Il primo comunicato ufficiale di Maranello recitava:

«[…] La Ferrari vuole così rendere omaggio a una delle migliori eccellenze del nostro Paese auspicando anche che le autorità indiane e italiane trovino presto una soluzione per la vicenda che vede coinvolti i due militari della Marina Italiana.»
La replica seccata del Ministero degli Esteri indiano non si fa attendere: «Utilizzare eventi sportivi per promuovere cause che non sono di quella natura significa non essere coerenti con lo spirito sportivo.»
Pur avendo incassato il plauso del ministro degli Esteri Terzi, che su Twitter ha gioito dell’iniziativa che «testimonia il sostegno di tutto il Paese ai nostri marò», la Scuderia Ferrari opta per un secondo comunicato. Sfidando ogni logica e l’intelligenza di italiani ed indiani, l’ufficio stampa della casa automobilistica specifica che esporre la bandiera della Marina «non ha e non vuole avere alcuna valenza politica.»
In mezzo al tira e molla di una strategia diplomatica improvvisata, così impegnata a non scontentare l’Italia più sciovinista al punto da appoggiare la pessima operazione d’immagine del duo Maranello-Il Giornale, accolta in India da polemiche ampiamente giustificabili, il racconto dei marò – precedentemente «dietro le sbarre» - è continuato imperterrito con toni a metà tra un romanzo di Dickens e una sagra di paese.
Il Giornale, ad esempio, esaltando la vittoria morale dell’endorsement Ferrari, confida ai propri lettori che «i famigliari di Massimiliano Latorre, tutti con una piccola coccarda di colore giallo e il simbolo della Marina Militare al centro appuntata sugli abiti, hanno pensato di portare a Massimiliano e a Salvatore alcuni tipici prodotti locali della Puglia: dalle focacce ai dolci d’Altamura per proseguire poi con le orecchiette, le friselle di grano duro.»

L’operazione, qui in India, ha raggiunto esclusivamente un obiettivo: far inviperire ancora di più le schiere di fanatici nazionalisti indiani sparse in tutto il Paese.
Ma è lecito pensare che la mossa mediatica, ancora una volta, non sia stata messa a punto per il bene di Latorre e Girone, bensì per strizzare l’occhiolino a quell’Italia abbruttita dalla provincialità imposta dai propri politici di riferimento, maltrattata da un’informazione colpevolmente parziale che da tempo ha smesso di “informare” preferendo istruire, depistare, ammansire e rintuzzare gli istinti peggiori di una popolazione alla quale si rifiuta di dare gli strumenti e i dati per provare a capire e pensare con la propria testa.


PARLARE A CHI SI TAPPA LE ORECCHIE
In questi mesi, quando provavamo a raccontare la storia dei marò facendo due passi indietro e includendo doverosamente anche le fonti indiane, ci sono piovuti addosso decine di insulti. Quando citavamo fonti dai giornali indiani, ci accusavano di essere «come un fogliaccio del Kerala»; quando abbiamo provato a spiegare il problema della giurisdizione, ci hanno risposto «L’India è un paese di pezzenti appena meno pezzenti di prima che cerca di accreditarsi come potenza, ma sempre pezzenti restano. E un pezzente con soldi diventa arrogante. Da nuclearizzare!»; quando abbiamo cercato di smentire le falsità pubblicate in Italia (come la memorabile bufala di Latorre che salva un fotografo fermando una macchina con le mani e si guadagna le copertine indiane come “Eroe”) ci hanno dato degli anti-italiani, augurandoci di andare a vivere in India e vedere se là stavamo meglio. Ignorando il fatto che, a differenza di molti, noi in India ci abitiamo davvero.

I beduini del Kerala... Fottuti bastardi...
Quando tutta questa vicenda verrà archiviata e i marò saranno sottoposti a un giusto processo – in Italia o in India, speriamo che sia giusto – sarà bene ricordarci come non fare del cattivo giornalismo, come non condurre un confronto diplomatico con una potenza mondiale e, soprattutto, come non strumentalizzare le nostre forze armate per fini politici. Una cosa della quale, anche se fossi di destra, mi sarei vergognato.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11293

SISMICITA’ INDOTTA E PETROLIO: IN ITALIA PARLARNE E’ TABU’. - Maria Rita D'Orsogna



In Italia è quasi tabù parlare di sismicità indotta, specie se da attività petrolifera.

Ci sono invece eventi sismici in tutto il mondo di entità più o meno grave causati dall’attività umana - dighe, estrazione di acqua e di idrocarburi, reiniezione di materiale ad alta pressione nel sottosuolo – che succedono in California, in Uzbekistan, in Oman, in Francia, in Colorado. E questo lo dicono vari articoli compilati da scienziati di Harvard fino all’USGS, che si sono succeduti nel corso dei decenni.
E in Italia?

Possibile che il nostro paese sia immune da qualsiasi problema, che da noi la prevenzione non debba esserci, che da noi è tutto sotto il tappeto, che le persone non debbano sapere che questo rischio esiste ?

Caviaga, 15-16 Maggio 1951. 10 chilometri a sud est di Lodi.
Non so se queste date, questi luoghi possano dire qualcosa ai lettori, ma in quel posto, in quel tempo, ci fu un terremoto, di magintudine 5.5 Richter indotto dalle estrazioni di metano dell’Agip.
E’ una notizia ben seppellita.
Ad esempio,  sulla pagina di Wikipedia di Caviaga si parla dei giacimenti e delle estrazioni Agip ma non si dice niente del terremoto associato. Idem per la città di  Cavenago d’Adda, Comune di cui Caviaga è frazione, in provincia di Lodi. 
Anche in questa lista di Wikipedia, su tutti i terremoti d’Italia, il terremoto di Caviaga del 1951 non compare, sebbene ce ne siano altri di intensità minore. Chissà perché.
E invece se un scava, nella letteratura e nelle memorie del tempo, trova un articolo scritto nel 1954 da Caloi, De Panfilis, De Filippo, Marcelli, e Spadea, in modo semplice, dettagliato e preciso per conto dell’Istituto Nazionale di Geofisica e poi pubblicato nella rivista Annali Geofisica, volume 9, numero 1, pagine 63-105 nel 1956. 
E’ un articolo di 58 anni fa e fa anche un po’ tenerezza, con le figure fatte a mano, la scala Mercalli invece che Richter, e in alcuni punti l’Italiano di altri tempi.
Quello che però dice l’articolo e’ attualissimo, ed è anzi questo uno dei pochi testi da parte dell’Istituto Nazionale di Geofisica che parla di sismicità indotta da estrazioni metanifere in Italia.
Caloi e colleghi iniziano con il ricordare che tutta la zona del Lodigiano è a sismicità bassa, e a tutt’oggi la provincia di Lodi, inclusa Cavenago d’Adda,  viene classificata a rischio 4, la più bassa. Secondo Wikipedia Lodi è  rischio  sismico irrilevante e distribuito in modo uniforme sul territorio, come confermato dalla  Protezione Civile d’Italia.
E allora come si spiega il terremoto di intensità 5.5 Richter?
Caloi e colleghi azzardano che la colpa sia proprio dell’estrazione di ingenti quantità di metano nella zona e della conseguente decompressione del territorio che portò a squilibri e alla ricerca di “nuove posizioni di equilibrio”.
Dicono: 
Osserviamo che l’epicentro cade precisamente nei pressi di Caviaga. In questa località esistono pozzi metaniferi, da cui si estraggono giornalmente notevoli quantità di gas metano che vanno dai 10.000 metri cubi ai 300.000 metri cubi.
Tale estrazione dura da anni ormai: la decompressione in atto nella zona attiva è quindi notevole.
La singolarità del meccanismo secondo cui la scossa si è determinata, il fatto che la zona interessata è notoriamente asismica e che in essa, da parecchi anni, è in corso un’abbondante estrazione di gas metano, ha fatto ritenere non del tutto improbabile che le scosse in esame siano comunque collegate all’enorme decompressione in atto negli strati profondi, di dove il gas scaturisce con pressioni superiori ai 100 kg/cm2.
La conferma di questo fatto viene dal libro Economic Geology: Principles and Practise, di Walter L. Pohl, professore di Geologia. Il libro è del 2011 e a pagina 577 si dice in modo semplice:  The first and one of the largest gas-production related earthquakes to date occurred in 1951 at the Caviaga field – Northern Italy, with a magnitude of 5.5.
La connessione trivelle-terremoto viene ripetuta da molti articoli, anche scritti per conto dell’industria del petrolio, come questo pubblicato dalla Society of Petroleum Engineers:  In Italy, the production of gas from the Caviaga field caused an earthquake of magnitude 5.5 in 1951.
Addirittura in un articolo del  Geophysical Research del 1998 si include Caviaga in una lista di terremoti indotti dalle estrazioni di idrocarburi, proprio assieme a Coalinga, Kettleman, Montebello (California) e Gasli (Uzbekistan, ex URSS) di cui abbiamo parlato tante volte.
E’ tutto molto chiaro e non c’è proprio possibilità di mala comprensione o di ambiguità. 
Caloi e colleghi ricordavano anche gli scoppi di pozzi metaniferi a Basiasco, in provincia di Lodi, il 5 marzo del 1949 e all’eruzione incontrollata di gas che durò per vari giorni, e che causò: 
oltre al crollo della torre di sondaggio, una serie di spaccature nel terreno circostante al soffione, lunghe molti metri, larghe una diecina di centimetri e con un sensibile dislivello fra gli orli di esso.
La popolazione di Basiasco fu costretta, per il pericolo di crolli, ad abbandonare temporaneamente le cose.
Guarda caso, anche in quell’occasione ci fu un terremoto, seguito da altre 30 scosse di assestamento durante i mesi successivi.
Tali scosse possono essere senz’altro collegate alla violenta eruzione di gas di cui è detto sopra.
Ovviamente non vi è traccia alcuna nemmeno del terremoto di Basiasco, provincia di Lodi, del 1949.
Ecco.
Due sono le mie riflessioni.
Un terremoto indotto da estrazioni di metano di intensità 5.5 a Caviaga, in un territorio non sismico. E se fosse stato un territorio sismico cosa sarebbe successo?
Ma soprattutto: non è detto che tutte le altre località trivellate e trivellande d’Italia per forza andranno incontro agli stessi problemi e che ovunque uno trivelli ci debbano essere terremoti.
La verità è che nessuno può dire con assoluta certezza se un terremoto ci sarà o non ci sarà, e può darsi che non succederà niente.
Scatenare terremoti è però una possibilità, remota certo, ma è una possibilità dalle conseguenze gravi, e io credo che i cittadini queste cose debbano saperle, in modo da poter valutare bene l’opportunità o meno di eseguire trivellamenti, stoccaggi ed altre opere invasive nei propri territori, e in modo da poter incalzare con dati e fatti tutti gli eleganti signori del petrolio che continueranno a bussare alle nostre porte con promesse di gas facile, soldi, benessere e gioia per tutti. 
Non è vero che “da noi non succede”.
Da noi è più facile fare finta che non succede.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11294

LO SPREAD IN CAMPAGNA ELETTORALE. - Eugenio Orso




Forse c’è qualcuno che trova alquanto strana la discesa dello spread del btp con il bund, fino a 284 punti, centrando l’obiettivo dichiarato da Monti, proprio nel momento in cui Mario Monti scende nell’arena elettorale, “salendo” in politica per lordarsi le mani. Gli onnipossenti mercati finanziari hanno cessato il fuoco contro l’Italia? I fantomatici investitori (ma non troppo fantomatici …) che hanno imposto tredici mesi di direttorio Monti-Napolitano – il primo dimesso e il secondo in scadenza – hanno deciso improvvisamente di lasciar in pace questo disgraziato paese? Possiamo dubitarne, perché i globalisti non mollano facilmente la presa. Anzi, avvicinandosi le elezioni politiche anticipate, la loro presa dovrà essere ancor più stretta, per pilotarle a dovere nel senso voluto. E il senso voluto è nient'altro che la continuazione della famigerata e socialmente sanguinosa “agenda Monti”, aggregatore di cartelli elettorali centristi, sedicenti moderati, e perciò al servizio del peggior neoliberismo economico. 

Mentre migliora lo spread, che fino a qualche tempo fa sembrava una malattia incurabile che avrebbe ucciso il paese, crollano le vendite di automobili, in Italia e in Europa, riportando la situazione italiana, se è vero ciò che si dice, al lontano 1979. Particolarmente in ambasce la fiat marchionnista e montiana del dopo-Melfi, che sconta un calo delle immatricolazioni in Italia, nel 2012, di quasi il 20%, con una punta negativa del 20,2% nel solo mese di dicembre. Questi sono i concreti, tangibili effetti del marchionnismo e del montismo, che nel settore auto nostrano agiscono congiuntamente. 

La demotorizzazione del paese è dunque un obiettivo (prudentemente non dichiarato) sia della fiat “americana” di Marchionne, che concentra i suoi principali interessi oltreoceano, sia dell’austero Quisling in loden con la voce monocorde, riunitisi a Melfi in pieno sboom come Totò e Peppino, prima divisi e poi uniti a Berlino, negli anni remoti del boom economico? 

Ragionando un po’ sulla situazione, e sulla palese contraddizione del calo dello spread fino e oltre l’obiettivo indicato da Monti che si accompagna al crollo delle immatricolazioni delle auto nuove, è fin troppo facile concludere che lo spread è manovrato dai “soliti ignoti” in posizione dominante sui mercati, i quali lo stanno usando per supportare il centro filomontiano – e le linee programmatiche dell’”agenda Monti” – in piena campagna elettorale. Come dire: “Avete visto? Le politiche governative montiane, applicate per tredici, lunghi mesi di crisi, a suon di sacrifici e voti di fiducia in parlamento, stanno producendo finalmente effetti positivi. E allora è necessario che vi sia continuità programmatica, nei prossimi esecutivi, altrimenti il temutissimo spread riprende a salire. E chi, meglio di Monti che ha salvato l’Italia dallo spread, centrando l’obiettivo dichiarato sotto i 300 punti di differenziale, può garantire questa continuità e continuare con le riforme, sempre più strutturali e liberalizzanti?” Del resto è la stessa cosa che Napolitano va dicendo da qualche tempo, in odor di elezioni, come “consiglio paterno” e come monito concreto.

Il gioco è chiaro. I Mercati & Investitori, cioè le Aristocrazie finanziarie neocapitalistiche che ci controllano dall’alto, irrompono a modo loro nella campagna elettorale italiana, subito dopo l’”endorsement” a favore di Monti delle alte gerarchie vaticane. Questo appoggio, misurato dalla discesa dello spread, è più importante di quello della chiesa, degli alti prelati e del santo padre, per come si configura e funziona il neocapitalismo. Così, lo spread entra in campagna elettorale, questa volta non tanto quale strumento di ricatto, e di minaccia, ma per indurre quei poveri imbecilli di elettori a votare più convinti e numerosi – oltre il misero 12% attribuito dai sondaggisti – per le liste dell’”agenda Monti”. Si potrebbe ironizzare sulla situazione (per quanto ci sia ben poco da ridere) dicendo che lo spread in salita corrisponde a un bombardamento in piena regola, come quello areo della nato il Libia, e quindi rappresenta il bastone, mentre lo spread in discesa di questi giorni corrisponde alla lusinga, e quindi rappresenta la carota. Una carota, in funzione elettorale, agitata dalle Aristocrazie finanziarie per indurre a votare numerosi il centro filomontiano, i suoi partitelli, le sue liste, listine e listoni. Siate pur certi di una cosa: se la lusinga dello spread in discesa non funzionerà, e Monti con tanto di agenda sarà messo da parte, lo spread ricomincerà a salire, toccando nuovi record negativi, e il bombardamento speculativo riprenderà più furioso e distruttivo che prima.

Lo spread in discesa che irrompe in piena campagna elettorale non è una buona cosa, tutt’altro, ma ci dimostra che il differenziale del btp decennale con il bund tedesco è un gigantesco imbroglio, un’arma di pressione e di ricatto, o una lusinga per orientare il consenso, a seconda delle circostanze. Per una volta ha avuto ragione il tanto vituperato Berlusconi, di ritorno dal limbo, quando ha denunciato pubblicamente l’imbroglio dello spread e ha consigliato di lasciarlo perdere. 


Così è, se vi pare, e anche se non vi pare.


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Come funziona la sigaretta elettronica e quali sostanze contiene? - Admin




"La Sigaretta elettronica fà male ai polmoni!!" L'ha detto il telegiornale, vi hanno dedicato servizi in tele e radio. Porca zozza come fà male mi son detto! Allora indago!!

Da cosa è composta, vediamo un po': - Glicole Propilenico: E' un solvente utilizzato per far sciogliere sostanze nei liquidi, è usato sia in campo farmaceutico che alimentare, non è cancerogeno. - Glicerolo vegetale: E' usato per sciroppi, creme e cosmesi, nonchè come additivo alimentare, non è controindicato nemmeno in gravidanza od allattamento. Acqua: Non aggiungo altro. Aromi alimentari: Anche qui c'è poco da aggiungere.

Ove la si vuole c'è anche la nicotina: La nicotina non è cangerogena, da dipendenza si, ma non si muore di nicotina, a meno non la si metta in circolo in dosi notevoli (ad esempio 40 mg per via endovenosa) Come fà a far male la sigaretta elettronica? Allora continuo ad approfondire. Uno studio effettuato da un team di cardiologi afferma a tutto tondo che non fà male al cuore ne alle vene, di contro, immediatamente dopo, uno studio effettuato da uno staff di pneumologi tuona che la sigaretta elettronica procura danni ai polmoni ed alle vie respiratorie.

Cacchio! Il vapore acqueo è pericoloso! Ecco spiegata allora la moria di bambini dediti alla pratica dell'aereosol. Ecco spiegate le stragi nelle cabine delle saune, per non parlare poi di tutta quella gente collassata sui marciapiedi solo perchè uscita di casa con la nebbia!! Approfondisco ancora. Lo staff degli pneumologi Greci che ha lanciato strali contro il vapore acqueo è guidato da una certa Dottoressa Christina Gratziou. Cavolo ma li stanno alla fame, non hanno soldi per curare la gente ed addirittura finanziano stè ricerche. Controlliamo chi ha finanziato realmente la ricerca...

SORPRESONA DI CAPODANNO...la finanziatrice per intero è la casa farmaceutica Pfizer. Accidenti quella casa che con le sue medicine cura il 90% delle malattie causate dal fumo, e indovinate un pò:...leggete cosa produce anche: Champix, farmaco commercializzato dalla Pfizer che ha per indicazione la disassuefazione dal fumo. Devo aggiungere altro o lo fate voi? Buon anno nuovo a tutti!!!!


http://www.nocensura.com/2013/01/come-funziona-la-sigaretta-elettronica.html

L’Inps massacra l’assegno agli invalidi totali: è l’agenda Monti bellezza. - Alberto Capece Minutolo


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L’Inps vien di notte con le scarpe tutte rotte: la festa fatta sulla pelle dei cittadini di questo Paese non finisce mai e si intensifica  quando si pensa che essi siano distratti. Autority di vario tipo, enti e organizzazioni delegate fanno il lavoro sporco al posto del governo che come si sa è intento alle elezioni e alla propria credibilità Così agli invalidi  totali è arrivata una circolare in cui si spiega che nel 2013 riceveranno l’ assegno di  275 euro mensili solo se il reddito familiare e non più singolo, non supera i 16 mila euro lordi annui.  E’ giusto: se i componenti della famiglia riescono a raggranellare tutti insieme questa ragguardevole cifra che al netto corrisponde a circa 1000 euro al mese, tredicesima compresa, hanno tutto l’agio di poter supportare da soli il proprio congiunto.
Naturalmente il provvedimento che  l’Inps non si è certo inventato in proprio ma sarà stato sobriamente consigliato, ha suscitato l’indignazione delle associazioni che cercano di tutelare i portatori di handicap dentro questo saccheggio sconsiderato che viene chiamato austerity. Pietro Barbieri, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap,sostiene che l’Inps tenta di sostituirsi al Parlamento e prende decisioni politiche. E a queste parole fanno eco i sindacati dei disabili e delle loro famiglie i quali ritengono che le nuove regole dell’Inps non hanno fondamento giuridico e tendono ancora una volta a far cassa sui più deboli, violandone “i diritti costituzionali in nome del pareggio di bilancio”.
Il fatto è che quel pareggio è stato votato dal Parlamento e poi quale sacrificio non si farebbe per pagare i 40 miliardi annuali del fiscal compact che il signor Monti candidato ombra, ha firmato senza fiatare, anzi ringraziando? Quindi chi se ne frega se si deve prendere quel poco anche agli invalidi totali? Tanto più che i media non daranno troppa pubblicità alla notizia: non sarebbe sobrio dire la verità ai cittadini e mostrare il livello di inciviltà che si nasconde dietro le apparenza perbeniste, i piagnistei incarogniti, i conflitti di interesse con discrezione, l’ottundimento generale, la canea dei maggiordomi. In fondo sono invalidi anche loro: mancano di anima e quanto ai cervelli… bé, la materia grigia è tutta finita nel grigiore che sanno esprimere.

http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2013/01/04/linps-massacra-lassegno-agli-invalidi-totali-e-lagenda-monti-bellezza/

Nel sangue dei panda antibiotico 6 volte più potente di quelli attuali.

Panda


Un gruppo di scienziati cinesi è riuscito a trovare una nuova arma per combattere la resistenza agli antibiotici che si trova nel sangue dei panda giganti.

Non sappiamo se  questa possa essere definita una buona o una cattiva notizia per i panda.  Recentemente infatti è stato scoperto che il sangue di panda contiene un composto antibiotico che è molto più potente (6 volte) di qualsiasi farmaco antibiotico che abbiamo in questo momento.
I ricercatori del Dipartimento di scienze della vita dell’Università Agraria di Nanchino, il capoluogo della provincia di Jiangsu in Cina, hanno estratto un composto chiamato catelicidina-AM dal sangue dei panda giganti.
Originari della Cina centrale, i Panda giganti sono veri e propri orsi, appartenenti a pieno titolo alla famiglia degli Ursidi. La specie di orsi ad essi più vicina è quella dell’orso dagli occhiali del Sud America.
Questo tenero mammifero bianco e nero, si nutre quasi esclusivamente di bambù (circa 38 kg di germogli al giorno, pari al 45% del peso corporeo).
La catelicidina è una proteina prodotta da granulociti neutrofili ed epiteli sulla base del segnale mediato dalle citochine infiammatorie che ne stimolano la sintesi e la catelicidina-AM è un peptide antimicrobico codificato dal gene, un antibiotico naturale che è prodotto dalle cellule del sistema immunitario dei panda. I test hanno dimostrato che la catelicidina-AM è in grado di uccidere anche i ceppi di batteri e funghi resistenti ai farmaci, e può farlo quasi senza provocare la stessa resistenza e solo in un’ora rispetto agli antibiotici convenzionali che riescono faticosamente a distruggere i batteri in sei ore.
La catelicidina-AM potrebbe essere trasformata in un farmaco o in un prodotto disinfettante. I ricercatori hanno spiegato che la ricerca sui panda in questo campo è solo all’inizio e che quindi è molto probabile che si possano trovare altri farmaci molto potenti.
La resistenza agli antibiotici che deriva dal trasferimento delle caratteristiche di resistenza genetica tra batteri della stessa specie o di specie diverse, è un fenomeno per cui un batterio risulta resistente all’attività di un farmaco antimicrobico.
Il risultato di uno studio che si è concentrato sull’evoluzione di tre agenti infettivi particolarmente diffusi, lo Stafilococco aureo, l’enterobatterio Escherichia coli, l’enterobatterio Klebsiella pneumoniae  ed è stato pubblicato recentemente dal Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie (Ecdc) dimostra che nel corso degli ultimi anni si è registrato in tutta Europa un aumento della resistenza e della multiresistenza agli antibiotici di questi batteri.

http://gaianews.it/salute/farmaci-salute/nel-sangue-dei-panda-antibiotico-6-volte-piu-potente-di-quelli-attuali-33589.html#.UOdN1eScNTJ

Brindisi coi palermitani




Piemonte, la Regione privatizza la sanità. Ma la fa funzionare con soldi pubblici. - Angela Corica


Piemonte, la Regione privatizza la sanità. Ma la fa funzionare con soldi pubblici


Conti in rosso, svendita degli immobili, nuovi provvedimenti in arrivo. Cota mette piede all'acceleratore e con le "federazioni sanitarie" bypasserà Asl e aziende ospedaliere. Ma di certo per ora ci sono solo i costi: almeno un milione di euro per gli amministratori.

Conti drammaticamente in rossosvendita degli immobili e nuovi provvedimenti in ambito sanitario. La Regione Piemonte mette piede all’acceleratore e va avanti spedita verso la privatizzazione del pubblico. Con la costituzione delle federazioni sanitarie (prodotto della legge regionale numero 3 del 2012) è di fatto possibile bypassare le Asl e Aziende ospedaliere per controllare la sanità anche per fini politici. Come? Il presidente Cota e l’assessore Monferino avevano dichiarato più volte che per ridurre la spesa sanitaria bisognava intervenire drasticamente razionalizzando e accorpando. L’ex manager Iveco Monferino, diventato assessore, non perdeva occasione per dichiarare che voleva trasferire la sua esperienza nella sanità, accorpando gli acquisti e magazzini per perseguire economie di scala.
E così, con la legge regionale in Piemonte si creano sei nuove società consortili private, le Federazioni sanitarie. Ogni Federazione ha a capo un amministratore unico e aggrega un certo numero di aziende sanitarie o ospedaliere che diventano soci della Federazione e ad essa devono cedere tutte le funzioni amministrative gestionali e tecnico logistiche. Una innovazione che sembra basarsi sul modello manageriale privato, efficiente. C’è lo Statuto della Società consortile, c’è l’assemblea consortile dove amministratore della Federazione e soci prendono le decisioni, ci sono i revisori dei conti. Nei fatti c’è la creazione di altre sei strutture stabili, con amministratori ben pagati con contratto triennale, organizzate secondo un criterio di appartenenza politica, che riferiscono direttamente a Monferino e hanno il mandato di estrarre rapidamente dagli ospedali tutte le funzioni non strettamente sanitarie per poterle governare direttamente e più facilmente, gli acquisti per primi.
Di sicuro abbiamo nuovi costi certi: gli stipendi dei sei amministratori privati, pari a quelli di un direttore generale di azienda, si viaggia sui 130mila euro annui a testa, aggiungiamoci i costi di rogito delle Federazioni, che sono società private, quindi si va dal notaio e si paga, altri soldi. In tempi di spending review e di crisi profonda per la Regione, almeno un milione di euro l’anno. Soldi pubblici.
Le federazioni private però si attribuiscono funzioni ma non hanno personale proprio: chi svolge il lavoro? Il personale delle aziende sanitarie o ospedaliere del servizio sanitario regionale. Dunque dipendenti pubblici, quelli che già svolgevano le stesse funzioni in ospedali e Asl, già collegati in rete da anni a fare acquisti in comune. Già, perché ben prima dell’epoca di Cota e Monferino ospedali e Asl si erano uniti in “sovrazone” per aggregare i propri fabbisogni di beni e servizi e fare gare d’appalto insieme, onde ottenere economie di scala.
Con uno strano meccanismo il personale del sistema sanitario nazionale sarà “assegnato funzionalmente” alle federazioni pur rimanendo contemporaneamente in carico e pagato dal sistema sanitario nazionale, almeno stando al testo della legge regionale, e ai primi accordi che vanno stipulandosi tra direttori degli ospedali ed amministratori delle federazioni. Questa “assegnazione funzionale” pare preoccupare i dipendenti coinvolti; sono dipendenti pubblici e tuttavia lavoreranno per società consortili private, quali sono le federazioni; il loro rapporto di lavoro è regolato dettagliatamente dal contratto collettivo nazionale, dove questa “assegnazione funzionale” non esiste.
Pare che l’assegnazione duri almeno un anno, senza possibilità di tornare indietro prima, non è chiaro poi indietro dove e a fare cosa. In un periodo storico in cui appare obbligatorio il contenimento della spesa pubblica, la Regione Piemonte, a rischio fallimento (Monferino stesso ha dato l’allarme default) si mette a creare nuove strutture, private, che duplicano funzioni già di competenza di enti pubblici creati con legge nazionale.
L’assessorato alla Sanità, già interrogato dai sindacati, chiarisce che è tutto in regola e le federazioni sono di diritto pubblico “poiché i soci sono esclusivamente le aziende sanitarie regionali afferenti all’area sovrazonale coincidente con ciascuna federazione”. Ma quello che sta accadendo in questi giorni dentro aziende sanitarie e ospedaliere non è così normale come si tenta di far credere. Nell’ultima settimana ci sono stati numerosi accordi fra amministratori delle federazioni e i vari direttori, con una notevole accelerazione del trasferimento delle competenze e del personale alle Federazioni. Spostamenti in realtà temporanei, in attesa di concentrare più funzioni possibili intorno alle Federazioni. Mentre per il personale si parla sempre più spesso di esuberi e di mobilità. Un bagno di sangue annunciato. Intanto, mentre prosegue il trasferimento delle funzioni, il 30 gennaio il Tar dovrà pronunciarsi sulle Federazioni a seguito di un ricorso presentato da Fedir Sanità, che ha sollevato, fra le altre cose, il dubbio di incostituzionalità delle stesse. 

Antiriciclaggio, stop al bancomat e il Vaticano cambia gli assegni in Germania. - Marco Lillo



Bankitalia nega il permesso di operare con Deutsche Bank e non conferma Giovanni Castaldi alla guida dell'Unità di informazione finanziaria, l'organismo contro il lavaggio di denaro sporco che a Strasburgo non aveva preso posizione sull'iscrizione dello Stato pontificio nella lista dei Paesi canaglia.

La banca del Vaticano è ormai all’angolo. Dopo aver perso la possibilità di negoziare gli assegni in Italia, dopo la chiusura dell’unico conto operativo alla Jp Morgan di Milano, dal primo gennaio non può nemmeno incassare i pagamenti elettronici tramite Pos all’interno delle mura leonine. Alla farmacia e ai musei accettano solo il bancomat dello Ior, quello che si annuncia con la scritta in latino “Inserito scidulam”, mostrata in un servizio di Report. Altro che “problema tecnico” come ieri minimizzava la Sala Stampa della Santa Sede. Lo stop alle carte di credito e ai bancomat per pagare i farmaci e i biglietti è stato imposto dalla Banca d’Italia in conseguenza di un provvedimento che risale al 6 dicembre scorso: la negazione dell’autorizzazione a Deutsche Bank Italia del permesso ad operare con il Pos in Vaticano.
La motivazione è chiara: il Vaticano continua ad applicare una legislazione bancaria a maglie larghe che non prevede un sistema di vigilanza degno dei parametri internazionali degli organismi antiriciclaggio. Il bando della moneta elettronica italiana è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti che stanno restringendo sempre più l’operatività del Vaticano e dell’Istituto per le Opere di Religione. Ormai da tempo le banche italiane, a causa del pressing di Bankitalia, rifiutano di negoziare gli assegni bancari dello Ior. Il Vaticano è costretto così a spedirli fisicamente in Germania dove le autorità tedesche consentono alla casa madre della Deutsche Bank quello che non sarebbe permesso alla sua filiale di Roma. Ora tocca al Pos. La vigilanza della Banca d’Italia già nel 2010 aveva contestato a Deutsche Bank Italia di permettere a uno Stato extracomunitario, quale il Vaticano, di usare i terminali installati nelle mura leonine senza l’autorizzazione prevista dal Testo Unico Bancario. A quel punto Deutsche Bank aveva presentato un’istanza di autorizzazione che somigliava a un condono. Ma a dicembre invece è arrivato il no della vigilanza di Bankitalia.
La banca cara al Papa tedesco e al suo amico, oggi consigliere forte dello Ior e in passato amministratore di Deutsche Bank, Ronaldo Herman Schmitz, ha dovuto cessare le attività in Vaticano dal 31 dicembre. Ormai sono davvero poche le strade del Signore per far girare la vil pecunia. Una via per fare circolare i contanti fuori dalla Città del Vaticano è quella dei conti delle congregazioni, degli istituti e degli enti che dispongono di rapporti bancari in Italia e all’estero. I soldi partono mediante bonifico dal conto italiano a quello tedesco di uno di questi enti e poi – sempre con bonifico – tornano al conto Ior di Deutsche Bank Italia. Talvolta i movimenti sono effettuati con gli assegni circolari intestati a terzi su disposizione dello Ior da una delle poche banche che ancora permettono questa operazione, come la Banca del Fucino.
Insomma sono lontani i tempi in cui lo Ior faceva girare decine di milioni sui conti italiani senza comunicare a nessuno il reale intestatario dei fondi. Il braccio di ferro con l’Autorità di vigilanza bancaria e la magistratura italiana è in corso da quasi tre anni. A settembre del 2010 la Procura di Roma ha sequestrato 23 milioni di euro sul conto Ior del Credito Artigiano contestando la violazione degli obblighi di comunicazione in materia di antiriciclaggio. I due schieramenti che si combattono da allora sono divisi dal fronte della trasparenza ma non rispecchiano i confini tra i due Stati. I pm romani Nello Rossi e Stefano Fava dal 2010 indagano l’allora presidente Ettore Gotti Tedeschi, e il direttore generale Paolo Cipriani. Dopo l’interrogatorio dai pm, i due manager Ior però scelgono strade diverse: Gotti si spende, con l’appoggio del cardinale Attilio Nicora, per convincere il Papa a intraprendere la strada della trasparenza.
Il 30 dicembre del 2010 con la legge 127, Benedetto XVI emana tramite motu proprio le disposizioni per avvicinare il Vaticano alle normative internazionali e istituisce l’Autorità antiriciclaggio interna, l’AIF, guidata da Attilio Nicora. L’AIF dovrebbe dialogare con l’omologo ufficio italiano, l’UIF, diretto dall’ex dirigente di Banca d’Italia, Giovanni Castaldi. Per qualche mese le cose sembrano funzionare. La procura revoca il sequestro sui 23 milioni ma presto arrivano le prime impuntature. Il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, consigliato dall’avvocato Michele Briamonte, partner dello studio Grande Stevens, impone all’AIF e allo Ior di non comunicare nulla sui movimenti precedenti all’aprile 2011, data di entrata in vigore della legge. A febbraio del 2012 arriva la retromarcia: una nuova legge revoca i poteri all’AIF e rimette il pallino nelle mani della Segreteria di Stato. Il Cardinale Nicora è sconfitto e poco dopo, il 24 maggio scorso, salta anche il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi.
A luglio l’organismo antiriciclaggio Moneyval dovrebbe decidere se mettere il Vaticano nella lista nera degli Stati canaglia. I pronostici sono negativi. Teoricamente gli ispettori di Moneyval prima di decidere dovrebbero ascoltare la posizione della delegazione dell’UIF della Banca d’Italia. Invece l’UIf non prende la parola per controbattere alla versione della delegazione spedita a Strasburgodal Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il Ministro dell’economia Vittorio Grilli, notoriamente molto vicino al Vaticano, chiede ai rappresentanti UIF di non prendere la parola. Il direttore dell’organismo antiriciclaggio, Giovanni Castaldi, ritira la delegazione dell’UIF e il Vaticano ottiene una mezza bocciatura che però, date le condizioni iniziali, suona come una promozione. E così si arriva all’epilogo del 2013: nel giorno in cui i bancomat del Vaticano si fermano per mancato rispetto delle regole di Bankitalia, il direttore dell’UIF, Giovanni Castaldi, lascia il suo incarico. Per mano di Bankitalia. Il Governatore Ignazio Visco e il direttorio dell’istituto non lo hanno confermato al termine del suo mandato quinquennale. Amen.