sabato 26 gennaio 2013

Quando Fassina apprezzava le pensioni cilene e i derivati finanziari. - Riccardo Puglisi



Le persone cambiano, specialmente in politica: in un paper del 2001Stefano Fassina, responsabile per l’economia del PD, entusiasta sostenitore di Bersani alle primarie del centro-sinistra ma all’epoca economista presso il Fondo Monetario Internazionale, discuteva le possibili riforme dei sistemi pensionistici delle piccole economie emergenti del Sud America, mostrando apprezzamento per le caratteristiche del sistema pensionistico cileno, e per i benefici forniti dai derivati finanziari nella gestione dei fondi pensione.
Andiamo con ordine: il pezzo, dal titolo “Pension Reform in Small Emerging Economies: Issues and Challenges” è stato scritto da Fassina con Dowers e Pettinato, rispettivamente specialista e consulente presso la Inter-American Development Bank (IADB). Fassina e coautori si occupano delle problematiche particolari della riforma delle pensioni in paesi in via di sviluppo, quindi caratterizzati da sistemi finanziari ancora poco strutturati, e sostanzialmente dipendenti dall'esportazione di pochi beni.
La tesi è che anche in questi paesi le pensioni necessitano di riforme strutturali per il solito motivo, cioè l’invecchiamento della popolazione, che rende troppo costosi i cosiddetti sistemi a ripartizione. Nei sistemi a ripartizione, a cui appartiene anche il sistema italiano, sono i contributi pagati ogni anno dai lavoratori attivi a finanziare le pensioni: tali sistemi diventano finanziariamente insostenibili se il totale dei contributi decresce e il totale delle pensioni da pagare cresce, come per l’appunto accade con l’invecchiamento della popolazione. Qual è la soluzione prospettata nel pezzo? Già a pagina 2 dell’articolo si enfatizza l’idea di innalzare l’età pensionabile(1)
A pagina 4 gli autori notano come vi siano due modelli principali di riforma dei sistemi pensionistici latino-americani: un sistema OCSE basato sul meccanismo della ripartizione, e il modello latino-americano, in cui riveste un ruolo fondamentale il meccanismo alternativo della capitalizzazione. All’interno di questo secondo meccanismo i contributi pagati dai lavoratori confluiscono in un fondo di investimento il quale -al momento del pensionamento- si trasforma nel pagamento di rate mensili o della somma intera.
Non vi sarebbe neanche il bisogno di evidenziarlo, ma gli autori ricordano come il modello latino-americano adotta molti degli elementi caratteristici del sistema pensionistico del Cile, frutto della privatizzazione posta in essere nel 1981 da José Piñera, ministro del lavoro nel governo dittatoriale di Pinochet (si veda un articolo sul tema qui). (2)
Intendiamoci: l’articolo è assolutamente ben scritto e saggiamente argomentato: secondo gli autori il sistema pensionistico a capitalizzazione deve essere adattato rispetto alle caratteristiche specifiche delle piccole economie emergenti come la Bolivia, il Salvador, il Nicaragua e il Paraguay. Ad esempio (pagina 21) –almeno nella fase iniziale- la regolamentazione dei fondi pensione deve essere di tipo “draconiano”, imponendo forti restrizioni sull’acquisto di azioni, a motivo del livello eccessivo di rischio insito in esse. (3) Tuttavia, queste restrizioni hanno senso solo nelle fasi iniziali, e solo nelle situazioni in cui i mercati finanziari sono poco sviluppati (“shallow”).(4)
La gestione dei fondi pensioni deve essere centralizzata a livello statale, ed affidata a società di gestione attraverso aste concorrenziali, che dovrebbero essere in grado di minimizzare le commissioni applicate dai gestori stessi.
Ahinoi, si fatica a ritrovare qui lo Stefano Fassina che oggi si scaglia contro il “pensiero unico neo-liberale”: come accennavo sopra, i tre autori mostrano di apprezzare il grado di finanziarizzazione dell’economia cilena (pag. 12), così come misurata dal rapporto tra capitalizzazione di borsa e PIL, e sottolineano come questo livello di sviluppo finanziario sia anche dovuto al sistema pensionistico a capitalizzazione creato nel 1981. (5)
L’apprezzamento per mercati finanziari sviluppati dipende da argomentazioni alquanto ortodosse: con mercati ben sviluppati è più facile diversificare il rischio, cioè ottenere lo stesso rendimento con un rischio più basso.
A tale proposito, questo Fassina quasi sconosciuto al dibattito italiano loda anche la diversificazione geografica degli investimenti fatti dai fondi pensione. Non solo: se vincoli ai movimenti di capitale nelle piccole economie in questione non permettono l’acquisto diretto di titoli esteri (pag. 18), ecco che si possono ottenere risultati simili utilizzando derivati finanziari come gli asset swap e procedure di cartolarizzazione (securitisation). (6)
Fassina 2001 e Fassina 2012: ma Bersani lo sa?
1) “[…] Innalzare l’età pensionabile oppure il numero minimo di anni di contribuzione diminuisce il rapporto di dipendenza.[…]” (traduzione mia) Nota bene: Il rapporto di dipendenza (dependency ratio) è il rapporto tra il numero di pensionati e il numero di individui che pagano contributi.
2) “[…] Il Cile ha implementato una riforma globale del suo sistema pensionistico nel 1981. Molti paesi appartenenti alla regione hanno da allora adottato elementi del modello cileno, dando luogo a quello che si può definire il modello latino americano. […]” (traduzione mia, pagina 4)
3) “[…] Alcuni analisti sono del parere che l’approccio ideale alla regolamentazione per un paese piccolo con un sistema finanziario poco sviluppato è di tipo draconiano, cioè caratterizzato da regole stringenti rispetto alla gestione dei fondi pensione e in generale delle attività finanziarie. […]” (traduzione mia)
4) “[…] Gli elementi regolamentativi diretti sono maggiormente specifici di un sistema (ndr: pensionistico) in particolare (vedi Shah, 1996). L’elemento principale consiste nell’esclusione di certe classi di attività finanziarie (tipicamente le azioni) quando il sistema è ancora immaturo. Tale restrizione dovrebbe essere limitata al periodo iniziale, e solo nei casi in cui i mercati finanziari sono molto sottili (vedi Vittas, 1998).[…]" (traduzione mia, pagina 20)
5) “[…] Un altro aspetto che emerge è lo straordinario grado di profondità del mercato raggiunta in Cile, dove i livelli di capitalizzazione sono paragonabili a quelli di molti paesi OCSE. L’introduzione di un sistema pensionistico obbligatorio a capitalizzazione è verosimilmente una delle determinanti della maturità finanziaria in questo paese latino americano. […]” (traduzione mia, pagine 12 e 13)
6) “[…] Come notato quando abbiamo definito la struttura delle SEE (ndt: piccole economie emergenti), la scarsa o nulla flessibilità del conto capitale (ndt: della bilancia dei pagamenti) è uno dei fattori che induce le piccole economie emergenti a non permettere ai gestori dei fondi pensione di avere una proporzione maggiore di investimenti internazionali nei loro portafogli. Tuttavia, le moderne tecniche di investimento, come ad esempio gli asset o stock index swap, le obbligazioni indicizzate all’inflazione e la cartolarizzazione, possono fornire strategie di investimento alternative a vantaggio di paesi caratterizzati da vincoli al movimento di capitali. […]” (traduzione mia, pagina 18)

Formigoni indagato per i soldi di don Verzé. - Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella


Altri 7 milioni nel forziere con cui Daccò pagava benefit e regali per il governatore della Lombardia.

MILANO - Non più solo per la Maugeri, ma anche per il San Raffaele: il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, sinora inquisito nel filone sulla Fondazione pavese, è adesso indagato assieme al mediatore Pierangelo Daccò per l'ipotesi di corruzione anche in rapporto ai consistenti finanziamenti pubblici erogati negli anni dal Pirellone all'ospedale San Raffaele nella vecchia gestione, l'istituto fondato da don Verzé e guidato sino al suicidio il 18 luglio 2011 dal vicepresidente Mario Cal. Formigoni aveva sempre ripetuto come a suo avviso questa fosse «una vicenda che riguarda alcuni privati, la Regione Lombardia è del tutto estranea, come tutti sanno anche se fanno finta di non sapere»; e più volte aveva rimarcato che sull'istituto di don Luigi Verzé «la magistratura ha indagato per 16 mesi e nessun addebito è stato sollevato nei confronti della Regione: né del presidente, né di assessori, dirigenti o funzionari». Ora non è più così.
I contanti del suicida
Dal 2012 Formigoni era indagato per le ipotesi di corruzione e illecito finanziamento già in relazione ai favori (viaggi, uso esclusivo di yacht, sconto sul prezzo di una villa di lusso venduta al coinquilino Perego, un contributo elettorale) stimati di valore complessivo attorno ai 7,5 milioni, ed elargitigli negli anni dal «portafoglio» dell'amico Daccò, intermediario che dalla Fondazione Maugeri di Pavia era contemporaneamente stato gratificato con ben 60 milioni in 10 anni per «aprire porte» in Regione e propiziare indebiti rimborsi o sbloccare incagli. Adesso la novità è che la Procura ritiene di poter sostenere che i benefit ipotizzati come tangenti a Formigoni sarebbero arrivati da un «portafoglio-Daccò» alimentato dalla confluenza non solo dei 60 milioni di compensi illeciti versati all'estero al mediatore dalla Fondazione Maugeri, ma anche da 7/8 milioni arrivati invece a Daccò dal San Raffaele: un po' più di 2 milioni con bonifici a Daccò, e oltre 5 milioni in contanti che il vicepresidente dell'istituto di don Verzé, dopo averli creati dalle sovrafatturazioni con alcuni fornitori, aveva consegnato a Daccò. Il quale per questi soldi, sotto il profilo della distrazione dal patrimonio dell'istituto e quindi del concorso in bancarotta del San Raffaele ammesso al concordato preventivo, è stato già condannato in primo grado il 3 ottobre scorso a 10 anni in abbreviato dal giudice Cristina Mannocci.
I testi e la perizia
A spingere il nuovo passo della Procura sono due indicatori. Il primo sono gli interrogatori di almeno due dirigenti regionali, che dall'interno avrebbero fornito delucidazioni tecniche utili a «smontare» il rompicapo dei complicatissimi atti esecutivi delle delibere regionali in tema di «remunerazione delle funzioni non coperte da tariffe predefinite». Cioè dei bonus che Regione Lombardia, in aggiunta ai fondi già versati per rimborsare le cure mediche prestate agli ammalati, distribuisce agli ospedali come riconoscimento di attività d'eccellenza, in base a 30 parametri che per definizione lasciano ampia discrezionalità.
Il secondo elemento è la relazione preliminare del consulente tecnico dei pm (un architetto incaricato già altre volte dalla Procura come esperto amministrativista) sulle delibere dei finanziamenti regionali nell'era Formigoni 1995-2010. Non tanto per la contabilità dei soldi pubblici erogati a questo titolo a San Raffaele (oltre 400 milioni) e Maugeri (più di 200 milioni), quanto per i profili di anomalia amministrativa nei provvedimenti secondo il consulente Maurizio Bracchi.
Criteri oscuri
Nelle delibere di molti degli anni esaminati, infatti, il consulente dei pm Greco-Pedio-Pastore-Ruta addita come, «per tutti gli atti deliberativi concernenti il riparto dei compensi per le funzioni non tariffate, l'attività istruttoria» della Regione «appare non congruamente formalizzata. La conseguenza è che allo stato è impossibile ricostruire ex-post il percorso logico di formazione della volontà dell'organo deliberante, soprattutto quando si enunciano principi e metodi di assegnazione di finanziamenti pubblici senza che venga poi dato puntuale conto dell'attuazione di quanto enunciato».
In teoria un criterio indicato era ad esempio «la numerosità della casistica» propria di ciascuna struttura, «utilizzata per la formazione dell'ipotetica graduatoria fra gli operatori pubblici e privati e, nell'ambito di questa graduatoria, per l'effettuazione della scelta del 20% delle strutture beneficiarie del finanziamento». Ma, in pratica, quale fosse questa «numerosità della casistica» è «un elemento oggi ignoto: ciò non può che minare alla base quegli essenziali requisiti di trasparenza e di imparzialità su cui si dovrebbe fondare la correttezza e la stessa legittimità dell'atto amministrativo adottato».
«Evidente squilibrio»
Il consulente della Procura aggiunge di non poter «tacere il fatto che i criteri e gli indicatori stessi, in base ai quali operare il riparto del fondo stanziato, vengono proposti alla Giunta e deliberati dalla Giunta quando l'assetto funzionale e le capacità produttive dei reparti potenzialmente assegnatari dei finanziamenti erano ben noti agli uffici regionali. Circostanza che non depone certamente a favore dell'imparzialità dell'azione amministrativa, soprattutto se l'esito della procedura presenta l'evidente squilibrio in favore di uno degli operatori, nella fattispecie l'Ospedale San Raffaele, presenti sul mercato regionale delle prestazioni chirurgiche».
Uno dei problemi, ad esempio nel 2003, è che «l'assegnazione di questi ultimi finanziamenti, in larghissima misura finiti nelle casse dell'Ospedale San Raffaele, viene dalla Giunta regionale deliberata sulla scorta di criteri puntualmente enunciati nella propria deliberazione, ma della cui applicazione concreta ai fini della designazione dei beneficiari non viene dato conto». Infatti «ciò che gli uffici regionali hanno ritenuto essere "materiale istruttorio funzione di eccellenza per le attività per acuti" non è altro che la stampa di un insieme di fogli di calcolo caratterizzati dalla loro assoluta inconsistenza in termini di capacità illustrativa del processo logico di applicazione dei criteri prefissati e di individuazione dei beneficiari». Del resto, quando la polizia giudiziaria il 9 luglio ha acquisito in Regione gli atti istruttori e preparatori delle delibere sulle funzioni non tariffabili, «si è appreso come siano rappresentati, secondo quanto riferito da funzionari e dirigenti, dalla mera estemporanea stampa di tabelle e fogli di calcolo, peraltro privi dell'indicazione del redattore e/o del responsabile della correttezza dei dati e della loro elaborazione, e privi anche di indicazioni esplicative che ne possano consentire l'interpretazione».

Tutte le proprietà dei Litchi chinensis o.. litchis!



Il litchi ( o litchis) è un frutto esotico originario della Cina e appartenente alla famiglia delle Sapindacee il cui albero può raggiungere l'altezza di 30 metri con foglie lunghe sempreverdi. I frutti del litchi crescono in grappoli e giungono a maturazione nel tardo periodo autunnale; esistono molte varietà di litchi, più di 40 e, a seconda del tipo cambia il colore della buccia e della polpa.
Cina ed India sono attualmente i maggiori produttori mondiali di questo frutto particolare, mentre in Italia, per ora, esistono solo alcune coltivazioni al sud.

Il litchi viene anche chiamato col nome di uva cinese o ciliegio cinese, ha forma ovale ed è ricoperto da una sottile crosta verde quando acerbo e rossa quando matura; all'interno sotto alla polpa bianca, troviamo un grosso nocciolo simile a quello delle nespole.

Le principali sostanze contenute nel litchi sono costituite da minerali come potassio, rame, magnesio, fosforo, e calcio; sono presenti inoltre, proteine, vitamine appartenenti al gruppo B, acido nicotinico, fibre, carboidrati e zuccheri, oltre naturalmente all'acqua. Per quanto riguarda il suo valore calorico, 100 grammi di litchi forniscono circa 60 calorie.

Le principali proprietà terapeutiche del litchi si devono soprattutto all'acido nicotinico in esso contenuto; infatti questa sostanza è in grado di dilatare i vasi sanguigni, facilita la purificazione del sangue e allo stesso tempo è in grado di regolare numerose reazioni ossidative nelle cellule del nostro organismo, rendendosi così importante al fine della prevenzione di patologie come l'aterosclerosi. La presenza di minerali importanti come potassio e magnesio è utile per rafforzare e rendere più tonico il cuore e l'apparato circolatorio. In ultimo il litchi, grazie alle sue proprietà, può anche essere utile per prevenire la gastrite e per diminuire la percentuale di zucchero nel sangue, fattore, questo, molto utile a chi soffre di diabete.


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Grillo: “Nell’ultima settimana di campagna elettorale torno in tv” (video). - Martina Castigliani


Grillo: “Nell’ultima settimana di campagna elettorale torno in tv” (video)


Il leader del Movimento 5 stelle annuncia da Ravenna il rientro sulla tv generalista. Poi accusa Pd e Pdl per i soldi chiesti ai candidati per entrare nelle loro liste, come rivelato dal Fatto Quotidiano. "Monti dice che gli sono simpatico? Lo denuncio per diffamazione al contrario".

“L’ultima settimana della campagna elettorale ci sarà una sorpresa, andrò in tv”. Lo dice Beppe Grillo, all’arrivo dello Tsunami tour in Romagna. Giusto il tempo di parcheggiare il camper in piazza Garibaldi a Ravenna e comincia il bagno di folla per il leader del Movimento Cinque Stelle, lieto di annunciare il ritorno sul tubo catodico abbandonato lustri fa per il web.


Sono aperte le trattative, nessuna sicurezza ancora, ma non è escluso nessuno canale televisivo, neppure la Rai. Sono passati quasi vent’anni dall’ultima apparizione tv in Rai e ora gli studi di Cinecittà potrebbero accoglierlo di nuovo. Era il 2 dicembre 1993, venne trasmesso Beppe Grillo Show su Rai1 dal Teatro delle Vittorie di Roma. Risultato? 15 miloni di telespettatori.
Dopo la Rai ci furono  le apparizioni sulle paytv: Tele + e infine il messaggio di fine anno su Sky. Ora, invece, il grande ritorno sulle ammiraglie generaliste. A dirlo a margine dell’incontro in piazza è stato lo stesso Grillo, sorpreso di un ritorno dopo tanto tempo in una terra non sempre senza polemiche e che lo accoglie a braccia aperte. Sole alto e temperatura gelida non hanno impedito l’arrivo di molti sostenitori 5 Stelle e la curiosità ora è tutta per quello che succederà l’ultima settimana, con la presenza in televisione: “Del resto non posso non andarci”.
In piazza i candidati emiliani, prima fra tutti Giulia Sarti, capolista alla camera per l’Emilia Romagna. Ma anche tanti personaggi chiave per il Movimento in Romagna: Pietro Vandini, Fabrizio Martelli, Piero Buosi, Fabrizio Landi e Andrea Palli. Ad accogliere Grillo un risciò che lo accompagna per una sfilata tra i sostenitori della piazza fino sul palco del comizio. La foga del leader va subito contro il Pd e Pdl che, dopo l’inchiesta del Fatto Quotidiano, hanno rivelato come consuetudine quella di versare tra i 20 mila euro e i 35 mila euro come contributo per la campagna elettorale e per essere inseriti in lista. “Se mi fate una domanda così, io cosa posso dire?”, comincia il leader. – Che siete matti? È una follia, queste persone, questi candidati meritano di andarsene tutti a casa. I nostri candidati hanno versato zero euro per entrare in lista. Noi ci autofinanziamo con collette e finanziamenti. Altro che 35 mila euro. A Ravenna hanno speso 2000 euro. Le donazioni sono tutte 50\100 euro, ma ci sono anche donatori grossi”. Ma c’è n’è per tutti a Ravenna, Beppe Grillo si scaglia infatti contro Monti che nelle ultime apparizioni ha avuto parole di simpatia per lo stesso leader Cinque stelle: “Mi vogliono rovinare capite? Io li denuncio per diffamazione al contrario. Non posso essere nemmeno associato all’ex primo ministro”.
Sereno nonostante le tappe continue del tour che lo sta portando in tutta Italia, Grillo stringe mani e chiacchiera con i sostenitori che lo cercano per raccontare piccoli problemi di vita quotidiana dove, gridano a gran voce, “non se ne può più”. Il lavoro è il tema più gettonato e Grillo ci tiene a tornare sulla questione: “Qui siamo nel regno di quelli che hanno promesso il lavoro. Ma ora questa parola è diventata orrenda”.
E ad ogni parola di troppo, Grillo ferma i sostenitori e fa gridare in coro “populista, megalomane,demagogo”. Prende le accuse più frequenti e le sbeffeggia. Una timida protesta dal balcone che si affaccia su piazza del Popolo a Ravenna: “Grillo il nuovo alleato dei sionisti”. A cui il leader risponde: “Perché mi fate vedere queste cose? Lasciateli stare, è la democrazia. Tutti possono esprimere la loro opinione”. Un saluto prima di riprendere il camper e partire per la tappa di Cesena, poi Rimini. Una corsa contro il tempo tra una meta e l’altra, anche se in mattinata voci indiscrete dicono ci sia stato un incontro con i dissidenti di Forlì. Quest’ultima tappa non rientra nel percorso romagnolo, ma il leader non vuole saperne di dietrologie: “Se per questo non siamo nemmeno andati in tanti altri paesi della Romagna. A Forlì hanno fatto un loro movimento, io gli ho dato una mano per farsi eleggere. Fine della discussione”.

POLITICHE SICILIA/ A colpi di sanità l’inciucio tra Pdl e Pd: coinvolto il marito della Finocchiaro. - Viviana Pizzi



È nella Sicilia dove Pd e Udc vanno a braccetto per eleggere Rosario Crocetta alla presidenza della Regione che il partito di Bersani in passato ha intessuto rapporti con rappresentanti del Pdl. Uno scandalo che viene fuori adesso perché risultano coinvolti, seppur indirettamente, due candidati che ora fanno parte di schieramenti avversi. Si tratta del capogruppo Pd al senato, Anna Finocchiaro e del candidato al Senato nelle liste siciliane del Pdl Antonio Scavone.
Anna Finocchiaro non è tra gli impresentabili: non ha procedimenti in corso, nonostante la sua decennale permanenza in Parlamento e la sua candidatura di servizio nel 2008 alla presidenza della Regione Siciliana. Ora corre in Puglia per un posto in Senato.
Antonio Scavone invece è tra gli impresentabili delle liste pidielline: nel curriculum ha una condanna a 400 mila euro di risarcimento inflitta dalla Corte dei Conti per la gestione della Asp 3 di Catania.
Ma spulciando bene emerge anche “un rinvio a giudizio per abuso d’ufficio e truffa aggravata”: l’accusa dei magistrati è quella di aver affidato, senza gara, un appalto da due milioni di euro all’imprenditore Melchiorre Fidelbo anch’egli finito nel calderone giudiziario.
 Detta così sembrerebbe un’imputazione come un’altra. Peccato però che proprio Fidelbo rappresenti il trait d’union tra Pd e Pdl: è infatti il marito della Finocchiaro nonché presunto beneficiario di un appalto targato Pdl.

 IL PROGETTO PER LA CASA DELLA SALUTE DI GIARRE E LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI
 Melchiorre Fidelbo, in qualità di amministratore della Solsamb Srl, vince l’appalto per la costruzione della casa della Salute di Giarre, in provincia di Catania. L’opera viene inaugurata il 15 novembre 2010, dopo un iter progettuale partito a luglio del 2007,quando sulla Gazzetta Ufficiale vengono pubblicate le linee guida ministeriali per i progetti del Piano Sanitario Nazionale voluto da Livia Turco, all’epoca Ministro della sanità in quota Pd.
 Nel mese di agosto viene presentato dal consorzio Sanità Digitale un progetto di 1,2 milioni di euro, che serviva alla Costruzione della casa della Salute di Giarre. All’interno del consorzio, come riportato anche dal Fatto Quotidiano, le quote risultano così suddivise: un 5% al dipartimento di Anatomia dell’Università di Catania guidato dal Prof. Salvatore Sciacca, e altrettanto all’Azienda Sanitaria 3 di Catania “guidata ai tempi dal manager Mpa Antonio Scavone; la Tnet Srl con il 40% e la Solsamb Srl amministrata dal marito di Anna Finocchiaro che detiene il 50%.”
anna-finocchiaro_inciucio_siciliaUn anno dopo però al Governo della Sicilia arriva Raffaele Lombardo, dopo la caduta di Totò Cuffaro. Anna Finocchiaro intanto si candida alla presidenza dell’Assemblea Regionale siciliana per cercare di far tornare il Centrosinistra alla Regione, operazione che non riesce perchè Lombardo stravince con oltre il 60% dei consensi.
Proprio Lombardo decide di dire addio alle Case della Salute per scegliere i “Presidi Territoriali di Assistenza”, andando incontro a una rimodulazione del progetto con una lievitazione di costo per oltre 500 mila euro e un passaggio di consegne nel quale nel quale si stabilisce che la Solsamb di Melchiorre Fidelbo, marito della Finocchiaro, raccoglierà tutti i proventi del progetto.
L’affaire viene però monitorato dalla Guardia di Finanza di Catania perché – ecco il punto chiave - per l’assegnazione dell’appalto non era stato indetto alcun bando di gara. Ed ecco che scatta l’imputazione per abuso d’ufficio e truffa aggravata nei confronti dell’oggi candidato Pdl Antonio Scavone e del Fidelbo stesso.

 LA CONVENZIONE, LA GIUNTA LOMBARDO (COL PD) E IL TAGLIO DEL NASTRO 
 Siamo al 30 luglio 2010 quando l’azienda sanitaria, guidata dal nuovo manager Giuseppe Calaciura, molto vicino all’Mpa di Lombardo, sigla la convenzione con la Solsamb.
 Avviene qualche mese più tardi che il Pd entra in Giunta proprio col sostegno di Anna Finocchiaro, due anni prima avversaria di Lombardo.
 Era infatti il 21 settembre 2010, quando tra ribaltoni e scontenti Lombardo vara la sua quarta giunta. Quattro gli esponenti dell’Mpa Massimo Russo e Caterina Chinnici, l'avvocato Gaetano Armao e il docente universitario Elio D'Antrassi. Marco Venturi, Pier Carmelo Russo e Mario Centorrino, anche loro riconfermati, sono attribuibili al Pd, che avrebbe indicato anche il prefetto Giosuè Marino, new entry nella squadra di Lombardo.
 In quota Udc c'è il professor Andrea Piraino. Vicino all'Api di Rutelli viene indicato Sebastiano Messineo.
 Il 15 novembre così, giorno dell’inaugurazione del centro, si trovano sul posto sia gli ex oppositori del Pd sia gli assessori dell’Mpa. Finiscono sulla rete i filmati dei cittadini di Giarre che protestano perché qualche settimana prima a Giarre era stato chiuso l’ospedale pubblico.

L’INVIO DEGLI ISPETTORI E L’INDAGINE
 Fu l’assessore Massimo Russo a scoperchiare la pentola del presunto malaffare. Gli ispettori da lui sollecitati scrissero una dettagliata relazione di dieci pagine che finì in Commissione Sanità.
Secondo quanto accertato, l’appalto alla Solsamb sarebbe stato affidato in violazione della legge sulla libera concorrenza perché si trattava di mettere a disposizione somme di rilevanza comunitaria. Sulla base della documentazione acquisita e delle analisi svolte Russo annunciò la revoca dell’appalto. Fu allora che Melchiorre Fidelbo chiese un’audizione alla Commissione Sanità dell’Ars per spiegare quale fosse il rilievo scientifico del progetto sperimentale “Casa della Salute”
 Fidelbo presenta anche un ricorso al Tar dichiarando che la gara d’appalto non era necessaria perché si trattava di “opere dell’ingegno”: l’imprenditore sostenne anche che non esisteva  alcuna connessione tra la vicenda e il ruolo politico della moglie presente all’inaugurazione. 

IL RINVIO A GIUDIZIO DI MELCHIORRE E SCAVONE
 Nel biennio 2011- 2012 le indagini sono andate avanti. Il 24 ottobre del 2012 è il gup di Catania Marina Rizza a procedere al rinvio a giudizio di quattro persone: oltre a Fidelbo (marito della Finocchiaro) e Antonio Scavone (candidato Pdl al Senato) vengono accusati di abuso d’ufficio e truffa aggravata anche l’ex direttore amministrativo Giuseppe Calaciuta e il direttore amministrativo dell’asp Giovanni Puglisi.
 Viene stabilito invece il non luogo a procedere per la responsabile del procedimento Elisabetta Caponnetto.
 Secondo il Gip e la procura “l’atto avrebbe procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale alla Solsamb consistito nell’affidamento diretto alla società di una prima anticipazione di 175 mila euro”.
Il processo di primo grado non è stato ancora celebrato, però è un dato di fatto l’inciucio amministrativo tra Pd e Pdl. Così com’è un dato di fatto il coinvolgimento diretto del marito della capogruppo Pd al Senato, la cui candidatura è stata confermata, e di un candidato Pdl a Palazzo Madama.
Ma nella regione più gattopardesca d’Italia c’è poco da meravigliarsi. Purtroppo.

Roma, inchiesta sui bus: “Mazzetta destinata alla segreteria di Alemanno”.


Roma, inchiesta sui bus: “Mazzetta destinata alla segreteria di Alemanno”


L'inchiesta su una commessa da 20 milioni per l'acquisto di 45 mezzi pubblici da parte di Roma Metropolitane sfiora il Campidoglio. Un ex manager che era stato arrestato: "Fecero riferimento allo staff del sindaco". Ma il primo cittadino se ne tira fuori: "Escludo tutto". Il Pd: "Si dimetta".

Scuote i piani alti del Campidoglio l’inchiesta del pm romano Paolo Ielo su una commessa da 20 milioni di euro del 2009 per l’acquisto di 45 bus da parte di Roma Metropolitane, società del Comune di Roma. Appalto che sarebbe stato subordinato, secondo la procura, ad una maxi tangente da 600mila euro realizzato tramite il meccanismo delle sovraffatturazioni. I mezzi, mai entrati in circolazione, sono destinati al corridoio della mobilità Laurentina.
I soldi di una tangente erano “destinati alla segreteria di Alemanno” ha detto un manager (arrestato e ora di nuovo libero) durante un interrogatorio. “Ceraudo fece riferimento alla ‘segreteria di Alemanno’ come destinataria delle risorse finanziarie. Non precisò né io chiesi se la segreteria di Alemanno fosse destinataria di tutto o di parte delle risorse” ha affermato nel corso dell’interrogatorio davanti al gip Stefano Aprile, l’8 gennaio scorso, Edoardo D’Incà Levis, imprenditore di 59 anni, originario di Verona ma residente a Praga, indagato nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma sugli appalti per una commessa di 20 milioni di euro per la fornitura di 45 bus destinati al Comune di Roma.
Il sindaco Gianni Alemanno se ne tira fuori: “Escludo nella maniera più categorica che membri della mia segreteria possano essere tra i destinatari di somme in denaro per questo o per qualsiasi altro affare. Non ho idea di chi sia il signor D’Incà Levis e né il sottoscritto né la mia segreteria si sono mai occupati di interferire nelle assegnazioni di appalti di qualsiasi genere, compreso ovviamente quello riguardante l’inchiesta in questione”.
Ma la polemica politica esplode. “Dopo decine e decine di scandali che hanno compito in questi cinque anni gli uomini vicini al sindaco, ora con le tangenti Atac si arriva addirittura alla segreteria dello stesso Alemanno. E’ una questione gravissima il coinvolgimento del sindaco che deve essere immediatamente chiarita. Roma è stufa del malaffare e del malgoverno che da cinque anni regnano sul Campidoglio” dichiara il segretario del Pd romano Marco Miccoli. “La posizione del sindaco Alemanno è ormai insostenibile – rincara Paolo Gentiloni, candidato alle primarie del centrosinistra per le comunali di Roma – Il suo cerchio magico è ogni giorno coinvolto da nuove e sempre più gravi accuse. La magistratura farà chiarezza sulle responsabilità dei singoli, ma è evidente che Gianni Alemanno non può più restare alla guida della città”.
L’inchiesta ha portato all’arresto di Roberto Ceraudo, l’ex amministratore della Breda Menarinibus e alle dimissioni dell’ex amministratore dell’Ente Eur, Riccardo Mancini. “Ceraudo mi disse – dice nel corso dell’interrogatorio D’Incà Levis – che la politica voleva ancora soldi; io, stupito, gli chiesi se era De Santis ed egli disse no, la politica, senza aggiungere nomi o sigle”. “Gli accordi preliminari non scritti con Ceraudo – dice l’imprenditore al gip – erano nel senso che il compenso di tutto il lavoro da me svolto per la fornitura dei 45 filobus ammontava all’1% della fornitura di competenza della Breda Menarini. Poco dopo, sempre nel 2008, Ceraudo mi manifestò la necessita’ di ‘aiutare’ la commessa nel senso che andavano reperite risorse per un milione 200mila euro da destinare a persone della De Santis Costruzioni in grado di influire sull’assegnazione dell’appalto”.
Ed oggi Ceraudo è stato interrogato dal pm Ielo per cinque ore a Regina Coeli. L’atto istruttorio si è tenuto a due giorni di distanza dall’interrogatorio di garanzia, avvenuto a Napoli, durante il quale il manager si era avvalso della facoltà di non rispondere. Oggi Ceraudo, invece, ha risposto, ma sull’esito c’è grande riserbo. Lo stesso Mancini, all’indomani delle dimissioni dalla carica più alta dell’Ente Eur ha parlato oggi della sua gestione e ribadito la piena “fiducia nell’operato della magistratura”. “L’anno 2009 – ha aggiunto – è stato chiuso con una perdita di 12,6 mln di euro; il bilancio dell’anno 2010, di mia piena competenza, è stato chiuso con un utile netto di 8,2 mln di euro; il bilancio dell’anno 2011 riportava un utile netto di 9,4 mln di euro mentre il bilancio del 2012 chiude con un utile previsto che sfiora i 10 mln di euro, con un incremento continuo dei ricavi e soprattutto del Margine Operativo Lordo”.

Tg1, “Non reintegrò la Ferrario”: Minzolini indagato e convocato dai pm. - Valeria Pacelli


Tg1, “Non reintegrò la Ferrario”: Minzolini indagato e convocato dai pm


L’ex direttore dovrà presentarsi davanti al pm Colaiocco titolare del fascicolo aperto nel settembre 2011 a seguito alla denuncia della giornalista rimossa dal suo ruolo di conduttrice e inviata speciale per gli esteri perché non "fedele" alla nuova linea editoriale dell'ex cronista della Stampa e ora candidato del Pdl.

Dovrà tornare in Procura, l’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini. Il pm titolare dell’indagine aperta a seguito alla denuncia della giornalista Tiziana Ferrario, convocherà il “direttorissimo” in qualità di indagato con l’accusa di abuso d’ufficio e mancata applicazione della sentenza di reintegro del tribunale del Lavoro. La data dell’interrogatorio è ancora da stabilire, ma il pm Colaiocco è convinto di chiudere quanto prima l’indagine, soprattutto dopo aver ricevuto l’ultimainformativa della guardia di finanzia. Le fiamme gialle, infatti, hanno ricostruito l’intera vicenda e hanno sottolineato la continuità temporale tra le scelte della Ferrario all’interno dell’azienda Rai e i provvedimenti presi da Minzolini nei suoi confronti. Tiziana Ferrario infatti fu rimossa dal suo ruolodi conduttrice e inviata speciale per gli esteri perché non ‘fedele’ alla nuova linea editoriale dell’ex giornalista della Stampa.
Dopo il suo allontanamento, però la donna ha denunciato il suo direttore sia penalmente che civilmente. In questo caso, ci sono già state due ordinanze del giudice del Lavoro che hanno riconosciuto le ragioni politiche della rimozione della giornalista: “Si ravvisa una grave lesionedella sua professionalità per motivi di discriminazione politica a seguito dell’opposizione della stessa giornalista alla linea editoriale del direttore Augusto Minzolini”, scriveva nella prima sentenza il giudice Marocco. Secondo il magistrato, “i provvedimenti che hanno riguardato la Ferrario sono stati adottati in contiguità temporale con la manifestazione, da parte della lavoratrice, del dissenso alla linea editoriale impressa al telegiornale dal nuovo direttore. Con l’adesione da parte sua alla protesta sollevata dal Cdr e diretta a far applicare nel tg i principi di completezza e pluralismo nell’informazione. E, infine, con la mancata sottoscrizione da parte della stessa del documento di censura al Cdr il 4 marzo scorso”. Questi provvedimenti “sono stati antitetici rispetto a quelli adottati nei confronti dei colleghi di redazione che non avevano posto in essere le suddette condotte”. In particolare, “in merito alla rimozione dell’incarico di conduzione del Tg1, dichiaratamente collegata dal direttore del telegiornale all’intento di ringiovanire i volti del tg, risulta in atti che identica decisione non ha coinvolto due giornalisti in sostanza coetanei della ricorrente (Petruni e Romita), i quali, di contro, avevano sottoscritto il documento 4 marzo 2010 di sostegno alla linea editoriale”.
Successivamente, c’è stata anche una seconda denuncia da parte della giornalista, questa volta presso il tribunale penale di Roma, per la mancata applicazione di quella sentenza. Minzolini è iscritto nel registro degli indagati anche epr questo secondo reato, tuttavia, secondo l’ultima informativa della Gdf, il reato non può essere applicato, per questioni giuridiche, a questo caso specifico. Differentemente confermano il reato di abuso d’ufficio, soprattutto perché i provvedimenti di Minzolini nei confronti della Ferrario riguardavano dei veri e propri ridimensionamenti di ruoli.