martedì 29 gennaio 2013

I giorni della merla.



I cosiddetti giorni della merla sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio (29, 30 e 31). Sempre secondo la tradizione sarebbero i tre giorni più freddi dell'anno (anche se alcune leggende e tradizioni ne specificano come variante gli ultimi 2 giorni di gennaio e il primo di febbraio).

Secondo una leggenda una merla, con uno splendido candido piumaggio, era regolarmente strapazzata da Gennaio, mese freddo e ombroso, che si divertiva ad aspettare che la merla uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni la merla un anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana, al riparo, per tutto il mese di gennaio, che allora aveva solo 28 giorni. L'ultimo giorno del mese, la merla pensando di aver ingannato il cattivo gennaio, uscì dal nascondiglio e si mise a cantare per sbeffeggiarlo. Gennaio si risentì talmente tanto che chiese in prestito tre giorni a Febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla si rifugiò alla chetichella in un camino e lì restò al riparo per tre giorni. Quando la merla uscì, era sì salva, ma il suo bel piumaggio si era annerito a causa del fumo e così rimase per sempre con le piume nere.
Come in tutte le leggende si nasconde un fondo di verità, anche in questa versione possiamo trovarne un po', infatti nel calendario romano il mese di gennaio aveva solo 29 giorni, che probabilmente con il passare degli anni e del tramandarsi oralmente si tramutarono in 31. Sempre secondo la leggenda, se i giorni della Merla sono freddi, la primavera sarà bella, se sono caldi la primavera arriverà in ritardo."


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Il posto fisso.




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Lo scandalo MPS e le domande che non vengono poste. Come mai? - Sergio Di Cori Modigliani



Potrebbe (e a mio avviso dovrebbe) essere “la mamma di tutte le immondizie italiane”.

Parliamo qui, ancora, della vicenda relativa  a Monte dei Paschi di Siena.


Stanno già facendo tutto per annacquare la vicenda, camuffarla, nasconderla, occultarla e infine insabbiarla.


Tireranno fuori le notizie più strane, in questi rimanenti giorni di campagna elettorale, per distrarre l’attenzione e fare in modo che l’opinione pubblica non si interroghi e che la gente non pretenda di voler sapere.


Dipende da noi tutti agitare le acque in modo tale da inondare il territorio mediatico (quantomeno sul web) di una valanga di domande alle quali è nostro diritto esigere delle risposte immediate e pertinenti.


Senz’altro avremmo saputo qualcosa da Corradino Mineo su rai news 24. Non è più possibile: è candidato capolista per il PD in Sicilia.Qualcosa di davvero intelligente (perché l’uomo lo è senz’altro e molto, oltre ad essere molto pertinente essendo uno dei più grossi esperti italiani dei meandri del potere del nostro sistema bancario) avremmo potuto sapere leggendo sul Corriere della sera gli entusiasmanti editoriali finanziari di Massimo Muchetti ma non sarà possibile perché è candidato capolista a Milano nelle fila del PD.


Avremmo (forse) potuto sapere qualcosa da altri 25, ma sono tutti candidati. Quindi staranno tutti zitti.


E’ per questo li hanno candidati(?)


Ed è per questo che sulla stampa mainstream non leggeremo e non sapremo nulla.Basterebbe fare le domande giuste.


Perché nel campo specifico della professione giornalistica, ciò che conta per davvero consiste nella “qualità delle domande che si pongono”. E’ soltanto questa la differenza tra un bravo giornalista che onora la professione e i nostri impiegati della cupola mediatica.Sono le domande, quelle che contano.Domande che inchiodano, che obbligano a delle risposte che non possono essere evase.Ecco le tre domande che andrebbero poste all’on. Silvio Berlusconi, presidente del PDL.


1) “Ci risulta, come confermato dagli atti ufficiali, che la società di intermediazione finanziaria statunitense Goldman Sachs abbia affidato al giornalista Gianni Letta, ai tempi deputato eletto nelle sue liste, la mansione di gestire, sovrintendere e chiudere la compravendita tra Monte dei Paschi di Siena e Banca Antonveneta. Come mai, non essendo l’on. Gianni Letta né un esperto di sistemi bancari, né un esperto in tecnica bancaria, né un banchiere, né ufficialmente parte in causa, è stato scelto per tale delicato lavoro che presuppone una corposa e specifica competenza tecnica?”


2). “Ci risulta, come provato da atti ufficiali, che, strada facendo, sia stata accorpata anche la società di intermediazione finanziaria statunitense J. P. Morgan, attraverso, pare, la partecipazione attiva e personale del direttore responsabile marketing per le operazioni europee, Mr. Monti jr. Come mai? Perché sarebbero state scelte queste due società straniere essendo l’Italia piena di eccellenti società di intermediazione finanziaria ad alti livelli sia di merito che di competenza tecnica garantita?”


3) “Come mai, essendo il Monte dei Paschi di Siena una banca di interesse nazionale, considerata “strategica” all’interno del mondo finanziario-economico italiano, l’on. Gianni Letta, venendo meno ai suoi obblighi di Legge, non ha riferito, punto per punto, l’intero percorso operativo al presidente della Consob, alla ABI (Associazione Bancaria Italiana) a Bankitalia, al Ministero del Tesoro, e –essendo coinvolte società non italiane in un ambito di rilevanza strategica- anche al Ministero della Difesa?”.


In seguito alla dichiarazione pubblica, rilasciata sabato 26 gennaio da Pier Luigi Bersani, che ha detto: “Se c’è qualcuno che osa sostenere che il PD c’entra in un qualunque modo in questa vicenda, ebbene, noi lo sbraniamo vivo” bisognerebbe porre le seguenti domande al Presidente del PD, on Rosy Bindi e quindi mettersi nelle condizioni di essere sbranato vivo:


1) “Sulla base di atti provati e già in possesso sia delle autorità finanziarie che della magistratura che sta indagando sulle dubbie operazioni finanziarie del Monte dei Paschi di Siena, risulterebbero le seguenti emissioni di bonifico bancario a favore del partito da lei presieduto: da parte di Giuseppe Mussari, presidente della banca, versamento di 246.000 euro; da parte del vice-presidente della banca Monte dei Paschi di Siena, Ernesto Rabizzi 125.000 euro. Da parte del presidente della società denominata “Monte dei Paschi di Siena Capital Service” la cifra di 176.063 euro destinata –nello specifico- alla federazione del Partito Democratico di Siena. Da parte di Riccardo Margheriti, presidente di “Monte dei Paschi di Siena Banca Verde” la cifra di 132.890 euro con la specifica destinazione per investimenti nel settore della green economy a fronte dei quali non esiste nessuna fattura emessa. Infine, da parte di Alessandro Piazzi, consigliere della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, la cifra di 161.400 euro. Le domanda sono le seguenti: come mai sono stati versati questi soldi al PD? A quale titolo? A fronte di quali specifiche mansioni? Come mai risultano inviate ma non sono state immesse in bilancio? Come mai risultano incassate ma non sono state immesse nel bilancio del PD?”.


2) “Risulta agli atti che il presidente del Monte dei Paschi di Siena abbia provveduto a far avere al gruppo politico DS nell’arco di dieci anni, dal 1999 al 2009, la cifra complessiva di 682.000 euro. Come mai? In base a quale mansione specifica? Come mai non risulta iscritta in bilancio né in uscita presso la banca né in entrata presso il gruppo DS –tuttora esistente nonostante sia estinto- Tale gruppo estinto è confluito nel partito da lei presieduto, lei che cosa ha da dire al riguardo? Risulta, inoltre, che il presidente della fondazione bancaria abbia “personalmente” versato la cifra di 703.000 euro alla federazione del PD di Siena. A quale titolo? Come mai non sono stati conteggiati”.


Queste sono le domande (parliamo qui davvero di quisquilie e di robbetta) che andrebbero poste.


Non si tratta soltanto di curiosità.


Queste sono le attività di una banca nazionale strategica che è posseduta al 39,6% da una fondazione che è stata identificata e definita da atti parlamentari ufficiali come “ente benefico” e di conseguenza gode del diritto di non subire alcuna forma di tassazione.


Da cui se ne ricava la seguente situazione: l’Italia è una nazione –“ ed è ufficiale”- nella quale le banche possono non pagare le tasse se fanno beneficenza; tale beneficenza si manifesta nell’inviare dei bonifici bancari alle federazioni dei partiti direttamente da parte del management direttivo che considera tale pratica come norma consuetudinaria. Poiché non sono sottoposti ad alcun controllo, ritengono di non dover risponderne alla cittadinanza.


Con l’aggiunta della consueta pantomima elettorale mediatica, costruita per i gonzi, a firma del re degli imbonitori, il nostro Berluska, il quale –immagino- dinanzi al panico dei suoi amici e soci in affari (dal PD all’Udc, passando per tutti, nessuno escluso) deve averli tranquillizzati sostenendo il suo emblematico “ghe pensi mì”. E così, tira fuori una idiota gaffe da operetta a proposito del fascismo, con la cupola mediatica complice che si butta appresso riempiendo i giornali di opinioni, discussioni, distinguo, chiarimenti. Di tutto.


La mia serena opinione è che per tutti i grossi pescecani partitici, oggi, ciò che conta, è sviare l’attenzione dall’affaire Monte dei Paschi di Siena, “la mamma di tutte le immonde schifezze italiane”. Qualunque cosa purchè se ne parli sempre di meno. Qualunque diversivo, gossip, menzogna, fantasia. Va bene tutto. Basta che la gente non cominci a pretendere la verità su ciò che, ora dopo ora, comincia a delinearsi sempre di più come la autentica cassaforte del club dei club: il tavolo italiano dove la massoneria reazionaria, il vaticano, i partiti italiani e i colossi finanziari anglo-statunitensi, si sono sempre incontrati per decidere chi governa, come governa, chi deve contare, chi non lo deve. E soprattutto a chi è necessario dare soldi e quanti e quando e dove.


Perché, per loro, ciò che conta, in questa campagna elettorale è soltanto questo: il profitto netto che i partiti-azienda sono in grado di assicurarsi grazie al voto di chi crede in loro.Questa è la realtà dei fatti, oggi.


Questa è la stessa banca che, nell’arco del solo 2012,  ha provveduto a negare crediti a circa 15.000 piccole imprese nel territorio della regione Toscana e in Emilia Romagna, le quali sono andate in liquidazione e sono fallite.


Una banca che ha prodotto dissesto e disoccupazione, in nome della beneficenza.Abbiamo il diritto di esigere e pretendere il default immediato di questa classe politica indecente, perché se non vanno in default loro, ci andiamo noi.


Ultima domanda a tutti: “Come mai un ente benefico rifiuta il credito alle imprese che danno lavoro e occupazione ma regala dei soldi a un partito?”.


Il titolo di MPS va al rialzo e la borsa gongola.Si sono fatti i loro conti.Non sarebbe splendido, il 26 febbraio, poter dire: ”Signori, avevate fatto i conti senza l’oste”


Noi, siamo l’oste.


Non dimentichiamolo.Buona settimana a tutti.


http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/01/lo-scandalo-mps-e-le-domande-che-non.html

Bucce d'arancia candite e immerse nel cioccolato caldo.




Ingredienti
Arance non trattate
Zucchero semolato
acqua
cioccolato fondente
ProcedimentoSbucciare le arance tagliando la parte del picciolo e quella inferiore cercando di incidere il meno possibile la parte bianca. Tagliarle a strisce, in senso verticale e poi ricavare altre strisce larghe circa un centimetro e comunque non troppo strette. Metterle in acqua per tre giorni, avendo cura di cambiare frequentemente l’acqua.
Sgocciolarle, asciugarle bene e pesarle.
Mettere sul fuoco un tegame con lo zucchero (di egual peso di quello  delle bucce d’arancia sgocciolate e asciugate) e poca acqua necessaria (deve ricoprire lo zucchero) per fare lo sciroppo. Appena lo zucchero sarà completamente sciolto unire le bucce e farle cuocere nello sciroppo, a fiamma moderata, fin quando avranno assorbito tutto lo zucchero e facendo molta attenzione a non farle caramellare. Toglierle dal tegame, adagiarle su carta da forno e farle ben asciugare.
Mettere un pentolino a bagnomaria (o nel forno a microonde) con il cioccolato fondente e farlo sciogliere e, aiutandovi con una pinza da cucina, intingere le bucce d’arancia candite nel cioccolato. Adagiarle su carta da forno dopo averle fatte ben sgocciolare e metterle a riposare fin quando il coccolato sarà indurito.
Una volta ben asciutte si possono conservare in barattoli di vetro ben chiusi.

I pm milanesi: “Con i derivati si arricchivano i dirigenti Mps”. - Manuela D’Alessandro

Rocca Salimbeni, sede di Mps

ESCLUSIVO. I pm milanesi Francesco Greco e Giordano Baggio si erano accorti a fine 2012 delle anomalie nell’operazione Alexandria - Mps, soprattutto sulle «creste fatte da funzionari sui derivati con arricchimento di personaggi di spicco della banca». Ma la competenza territoriale è della Procura di Siena. 

Parte da Milano la tempesta giudiziaria che si è abbattutta su Monte dei Paschi. I primi ad accorgersi delle anomalie dell'operazione Alexandria, il derivato siglato dal Monte con la banca giapponese Nomura, erano stati i pm milanesi Francesco Greco e Giordano Baggio. Ma non hanno potuto approfondire l'intricata vicenda perchè la competenza gli è subito apparsa, senza alcun dubbio, della Procura di Siena, città dove ha sede la banca.

Siamo alla fine del 2012 quando, riferisce una fonte investigativa, i pubblici ministeri di Milano hanno tra le mani un'indagine bollente che riguarda "creste fatte da funzionari sui derivati con arricchimento di personaggi di spicco della banca e con un notevole giro di denaro". I reati ipotizzati dai pm erano truffa e appropriazione indebita. L'indagine però è rimasta allo stadio embrionale: dopo i primi accertamenti Greco e Baggio hanno chiamato i colleghi della città del Palio a Milano e, dopo un incontro cordiale, si è deciso di spedire tutti gli atti a Siena.
Il contratto Mps -Nomura avrebbe imposto una correzione nel bilancio di Mps di 220 milioni di euro. L’operazione Alexandria sarebbe servita a Rocca Salimbeni per abbellire i conti del 2009 scaricando su Nomura le perdite di un derivato basato su rischiosi mutui ipotecari che poi i giapponesi avrebbero riversato sul Monte attraverso un contratto ‘segreto’ a lungo termine, non trasmesso dall’allora vertice di Mps, guidato da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, ai revisori dei conti Kpmg e a Bankitalia.
Stando a quanto riportato oggi dal Fatto quotidiano, l'ad di Mps Fabrizio Viola ha scritto nella relazione al cda della banca senese che per l'operazione Alexandria è ancora in corso una trattativa con Nomura per trovare un accordo. "Con riferimento ai profili più gestionali relativi all'eventuale chiusura anticipata delle operazioni in questione - si legge nella relazione - si informa codesto Consiglio che vi sono stati contatti con Nomura, ma che i valori fino ad ora da essa proposti non sono ritenuti soddisfacenti dalle strutture della Banca''.

Crisi, l’esercito delle imprese “zombie” che aggravano la stagnazione. - Matteo Cavallitto


Unione Europea


Secondo il Financial Times il Vecchio Continente pullula di aziende clinicamente morte che impediscono la ripresa. I mercati sembrano aver ritrovato entusiasmo, ma la realtà è molto più cupa di quanto lascino intendere le borse.

L’allarme lo ha lanciato alcuni giorni fa il Financial Times. In Europa, ha scritto il quotidiano britannico, si aggirerebbe un esercito silenzioso di imprese clinicamente morte e inevitabilmente improduttive. Veri e propri “zombie” del sistema economico, soggetti che la crisi ha travolto da tempo ma che, tuttavia, sono riusciti a sopravvivere grazie ad una combinazione di politiche monetarie “ultra permissive”, generosi aiuti del governo e discutibili strategie creditizie a cominciare dalla “riluttanza delle banche a svalutare cattivi prestiti (nel senso di non performanti o a rischio insolvenza, ndr) dallo scoppio della crisi a oggi”. In sintesi, una massa di soggetti che vive per sopravvivere, utilizza l’intera liquidità disponibile per ripagare i debiti, non investe e sottrae, inevitabilmente, tutte le risorse utili alla crescita. Contribuendo così alla stagnazione del continente.
I numeri, lascia intendere il FT, sono impietosi. Negli anni Novanta, una fase di recessione caratterizzata da una contrazione del Pil Ue inferiore all’1% si risolse con un’epidemia di default che coinvolse il 67% dei debiti al di sotto del grado di investimento (ovvero con una valutazione al di sotto di BBB-). Nel 2009, con una crescita negativa del 4%, il tasso di default è stato pari al 9%. Oggi siamo scesi al 2,3%. Come a dire che i fallimenti sono sempre più rari sebbene la realtà sia tutt’altro che incoraggiante. Circa 160mila aziende britanniche (il 10% del totale), ricorda il quotidiano, non sono in grado di ridurre i propri debiti. Al tempo stesso 70mila imprese rischiano addirittura di vederli crescere di fronte all’incapacità di ripagare gli interessi. Nel corso del 2011, ha sottolineato Creditreform, il tasso di fallimento delle imprese in Italia, Grecia e Spagna è stato inferiore al 3 per 1000. Nei tre Paesi che più di ogni altro hanno patito la contrazione economica, in altre parole, si è registrata la percentuale di default più bassa d’Europa.
Per il Financial Times, insomma, la questione è relativamente semplice. Una strategia che premia l’inefficienza tenendo artificialmente in vita imprese tecnicamente fallite finisce per danneggiare l’intero sistema. Il pensiero, per il quotidiano britannico, corre al Giappone degli anni Novanta con i suoi “bassi tassi di interesse, la sua politica permissiva e l’incapacità delle grandi banche di far chiudere le imprese altamente indebitate e improduttive che avrebbero contribuito a due decenni di crescita debole”. Un parallelo piuttosto inquietante per l’Europa, visto che da queste parti l’incubo ha da tempo assunto proprio la forma di una prospettiva di ripresa troppo lenta per curare le persistenti ferite della crisi.
La tesi del quotidiano londinese, comunque discutibile per la sua “spietatezza” (un contesto economico già martoriato dalla recessione potrebbe sopportare un’ondata di fallimenti?), si ferma qui. Ma il ragionamento, verrebbe da aggiungere, potrebbe proseguire. Perché i numeri delle imprese “zombie”, in ogni caso, sono per lo meno utili per evidenziare quello che ultimamente appare come un contrasto sempre più clamoroso e sorprendente: il crescente divario tra la ripresa dei mercati finanziari e la perenne sofferenza dell’economia vera e propria.
Nel corso del 2012, ha ricordato di recente il capo economista di Deutsche Bank David Folkerts-Landau, l’indice della borsa di Francoforte, il Dax, ha guadagnato il 28%, quello della borsa di Atene addirittura il 33%. Piazza Affari, da parte sua, viaggia ormai stabilmente sopra quota 17mila punti, un livello che non si vedeva dall’estate 2011. Gli hedge funds che avevano puntato sul calo degli indici americani ed europei, ha evidenziato nelle scorse settimane Bloomberg, hanno chiuso il 2012 con perdite significative. Chi ha scelto l’ottimismo, al contrario, ha vinto a mani basse. L’anno scorso, il gestore di Third Point Offshore FundDaniel Loeb, ha deciso di puntare su quella che all’epoca appariva a chiunque come la peggior spazzatura finanziaria possibile: i titoli di Stato greci. Ad oggi il suo fondo ha guadagnato oltre il 20% (mezzo miliardo di dollari) grazie alla clamorosa rivalutazione del debito ellenico.
L’interpretazione è scontata. L’onda lunga delle svalutazioni di borsa e della speculazione sui debiti ha reso il mercato talmente ribassato da diventare attraente per la corsa al rialzo. Il più classico dei rimbalzi. Ma il paradosso, come si diceva, è dietro l’angolo. Perché il superamento dell’emergenza finanziaria, per ora, non ha avuto ricadute sul sistema e l’ottimismo dei mercati finisce per contrastare con l’allarme disoccupazione (secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Eurozona ha raggiunto il record storico dell’11,8%). Come a dire un divario crescente tra il mercato finanziario e la ripresa. L’ultimo e più inquietante degli spread.

Rehn: "Berlusconi bloccò la crescita Non mantenne gli impegni con l'Ue".


Rehn: "Berlusconi bloccò la crescita Non mantenne gli impegni con l'Ue"

Il commissario Ue agli Affari economici ha parlato al Parlamento europeo chiedendo agli Stati membri di non abbassare la guardia e sttolineando i passi avanti fatti da Italia, Spagna e Grecia. Attacco all'ex premier: "Fece perdere la fiducia nel Paese".


MILANO - L'Italia come paradigma dell'effetto "fiducia" sui mercati. E ancora l'Italia come caso di scuola per uscire dalla crisi: dal governo Berlusconi che "bloccò la crescita" all'esecutivo Monti capace di "stabilizzare la situazione". L'analisi arriva dal commissario europeo agli Affari economici, Olli Rehn intervenuto al Parlamento Ue rievocando  le crisi finanziaria e politica di fine 2011 dell'Italia ed evidenziando gli obiettivi di Bruxelles per il 2013. 

Berlusconi. "L'Italia aveva preso impegni di consolidamento di bilancio nell'estate 2011 per facilitare l'intervento Bce nel mercato secondario per acquistare titoli di Stato: quando il governo Berlusconi decise di non rispettare più gli impegni assunti il costo del finanziamento per lo Stato è aumentato soffocando la crescita dell'Italia, poi con la formazione del governo Monti la situazione si è stabilizzata. Questo è un chiaro esempio di fattore fiducia" che ha prodotto dei risultati positivi in termini di premio sul rischio.

La crisi. "Quest'anno - ha continuato Rehn - sarà un test essenziale per la credibilità" dell'Ue e dell'Eurozona. Un anno fa "c'era seria preoccupazione per l'Italia e la Spagna" e "profonda incertezza sulla Grecia", mentre le "Cassandre predicevano la fine dell'eurozona". Oggi la situazione è cambiata ma "nonostante alcuni progressi ci sono ancora sfide" e per questo servono "riforme equilibrate e ambiziose" del mercato del lavoro che "rimuovano gli ostacoli all'occupazione" favorendo anche i "contratti a durata indeterminata" e la "contrattazione collettiva" per il reinserimento dei lavoratori.

Le priorità.  Per il commissiario Ue, i prossimi programmi di riforma nazionali devono essere il "mantenimento del ritmo delle riforme economiche" e il "proseguimento del consolidamento fiscale" a cui "non c'è alternativa", in quanto un debito al 90-100% del Pil è un "serio ostacolo" alla crescita. Uno dei cardini delle riforme per il 2013 dovrà quindi essere il "ripristino della competitività dell'industria europea sia manifatturiera che dei servizi". Il Commissario Ue ha ricordato che tra il 2000 e il 2011 sono stati persi 2,5 milioni di posti di lavoro nel manifatturiero tra Francia, Germania, Italia e Spagna. In Francia e Spagna sono stati bruciati 750mila posti, in Italia 370mila e in Germania 570mila.

Riforme.
 Per proseguire con il "riequilibrio dell'economia europea" che è ora "in corso", ha sottolineato il commissario Ue agli Affari economici "dobbiamo mantenere il ritmo delle riforme economiche". Allo stesso tempo "dobbiamo proseguire con il consolidamento fiscale: un debito al 90-100% del Pil ha un serio e negativo impatto sulla crescita", ha continuato Rehn, sottolineando che "negli ultimi 4 anni in Europa il debito è salito dal 77% a circa il 90% per quest'anno e il prossimo". Questo "peso sulla crescita" implica che "non c'è alternativa a un consolidamento intelligente differenziato anche Paese per Paese a seconda dello spazio di manovra fiscale". Per realizzare le riforme, Rehn ha ricordato l'idea proposta dal rapporto sul futuro dell'Unione economica e monetaria di un "meccanismo di solidarietà" per aiutare e incentivare i paesi a sostenerne i costi insieme agli "impegni vincolanti".

Unione bancaria.
 Inoltre, per Rehn bisogna "completare il lavoro sulla supervisione unica bancaria, con un meccanismo di risoluzione" delle banche dell'Eurozona. "Le finanze pubbliche in Europa stanno migliorando" ma per il commissario finlandese "dobbiamo convincere i mercati sulle prospettive a lungo termine dell'euro". In questo senso per Rehn è fondamentale "l'iniziativa della Commissione per una 'vera' Unione economica e monetaria" e che prevede "nel breve termine proposte concrete sull'Unione Bancaria e sviluppo di un meccanismo decisionale europeo".

http://www.repubblica.it/economia/2013/01/29/news/rehn_crisi_europa-51496766/?ref=HRER2-1

Mps, ora si valuta anche l’ipotesi di truffa. Al setaccio bonifici per 17 miliardi.


Monte dei Paschi di Siena


L'inchiesta trova nuovi spunti e segue nuove tracce. Ci sono i miliardi che viaggiano da una parte all’altra dell’Europa e arrivano fino in Asia, operazioni finanziarie complessissime corrisposte per cassa, dunque cash, mancanza di una "due diligence" formale, prezzi che lievitano di 4 miliardi in due mesi. Intanto la Fondazione sembra pronta a mettersi da parte. Trovati 20 milioni a ex top manager.

L’inchiesta su Mps - deflagrata con lo scoop del Fatto Quotidiano su un accordo segreto per truccare i conti -  trova nuovi spunti e segue nuove tracce. Quelle di tanti soldi, troppi per l’acquisto di Antonveneta per esempio. Ma non solo. Ci sono i miliardi che viaggiano da una parte all’altra dell’Europa e arrivano fino in Asia, operazioni finanziarie complessissime corrisposte per cassa, dunque cash, mancanza di una “due diligence” formale, prezzi che lievitano di 4 miliardi in due mesi, una montagna di operazioni sui derivati, da sempre un rischio per gli investitori, che potrebbero celare aggiustamenti di bilanci e nascondere la verità agli organi di controllo, nuove ipotesi di reato che si affacciano sulla scena: più la procura di Siena scava sull’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi, più la partita diventa complessa e ampia. Gli inquirenti, secondo alcuni quotidiani, avrebbero trovato 20 milioni di euro nei conti Gianluca Baldassarri, ex responsabile dell’area finanza dell’istituto senese. Il manager, già indagato nell’inchiesta aperta l’anno scorso, avrebbe utilizzato ben tre scudi fiscali per far rientrare i soldi in Italia nel corso di un decennio.  
Al vaglio l’ipotesi di truffa ai danni degli azionisti. A cominciare dai reati contestati agli indagati, che sarebbero meno di dieci, tra cui ci sarebbe anche l’ex presidente di Monte Paschi di Siena Giuseppe Mussari (notizia mai confermata ma neppure mai smentita): i magistrati – anche alla luce delle carte arrivate da Milano sui derivati dell’operazione Alexandria con la banca Nomura – starebbero infatti valutando se sia ipotizzabile anche il reato di truffa ai danni degli azionisti. Un’ipotesi, questa, che andrebbe ad aggiungersi a quelle già avanzate di manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni dell’autorità di vigilanza, aggiotaggio.
Ma i pm vogliono soprattutto capire come sia stato possibile che in soli due mesi il prezzo di Antonveneta sia schizzato dai 6,6 miliardi pagati dal Banco Santander ai 9,3 (più oneri vari che hanno fatto salire il prezzo definitivo a 10,1 miliardi circa) tirati fuori da Mps. Ai quali vanno aggiunti almeno altri 7,9 miliardi di debiti Antonveneta, che l’istituto senese si è accollato. Quel che è certo, perché documentato, è che in soli 11 mesi – dal 30 maggio 2008 al 30 aprile 2009 – il Monte ha effettuato bonifici per oltre 17 miliardi. Soldi che sono finiti ad Amsterdam, Londra e Madrid. L’elenco dei bonifici è agli atti dell’inchiesta e già sul primo versamento si sta concentrando l’attenzione degli inquirenti: il 30 maggio partono da Siena 9 miliardi e 267 milioni a favore di Abn Amro Bank con sede ad Amsterdam, che il Banco Santander – si legge nel documento informativo relativo all’acquisizione di Antonveneta inviato alla Consob da Mps – ha nominato “soggetto venditore titolare di diritti e obblighi derivanti dall’accordo”. Si tratta infatti di una cifra maggiore, anche se di poco, dei 9 miliardi e 230 milioni pattuiti al ‘closing’ per l’acquisizione.
Il secondo bonifico parte lo stesso giorno ed è destinato al Banco Santander di Madrid, per un importo complessivo di 2,5 miliardi. Il 31 marzo 2009 partono altri due bonifici, uno da un miliardo e mezzo e l’altro da 67 milioni, entrambi a favore del Banco Santander di Madrid. I restanti quattro bonifici vengono disposti da Mps il mese successivo, il 30 aprile. I primi due, ancora una volta, sono a favore del Banco Santander e riportano uno l’importo di un miliardo e l’altro di 49 milioni; gli ultimi due, da 2,5 miliardi e da 123,3 milioni, sono a favore di Abbey National Treasury Service Plc di Londra. Sono soprattutto questi ultimi due ad interessare gli inquirenti perché si tratterebbe di cifre che, secondo qualcuno, sarebbero successivamente rientrate in Italia usufruendo dello scudo fiscale.
Ma le domande non finiscono qui. Anche perché è lo stesso Monte dei Paschi, nei documenti ufficiali, ad avanzare qualche perplessità sull’operazione. Nel documento inviato alla Consob, nell’analizzare i rischi connessi ai risultati economici di Antonveneta, la banca senese affermava che “Banca Antonveneta potrebbe continuare a non generare risultati economici positivi, con possibili effetti negativi sull’attività e sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’Emittente e del Gruppo”. E’ possibile, ci si chiede in procura, che con una simile valutazione venga pagato un prezzo così alto? Ma c’è un altro elemento. “Bmps – si legge sempre nel prospetto informativo – non ha effettuato una formale ‘due diligence’ finalizzata all’aggiustamento del prezzo di acquisizione”, anche se ha avuto modo di controllare i bilanci di Antonveneta. Né, tantomeno “sono state redatte perizie di stima ai fini della determinazione del prezzo”. Dunque l’operazione è stata effettuata senza che il Monte abbia verificato dall’interno la contabilità di Antonveneta. Perché? I magistrati ne chiederanno conto ai vecchi vertici di Rocca Salimbeni.
Verifiche fiscali su altre operazioniSul tavolo dei magistrati anche i documenti relativi di due verifiche fiscali che hanno interessato altrettante operazioni fatte dal Monte. La prima riguarderebbe la vendita portata a termine nell’autunno 2011 di Palazzo dei Normanni a Roma, l’ex sede delle esattorie. La seconda verifica fiscale, già conclusa nel 2012, avrebbe invece interessato una plusvalenza di 120 milioni scaturita dal rastrellamento, nel 2005, da parte di Mps di azioni Unipol, quando il gruppo assicurativo era impegnato nella scalata alla Bnl, poi non andata in porto.
La vendita di Palazzo dei Normanni sarebbe stata chiusa a 142 milioni, e non 130 come sempre stato detto. Lo storico edificio, non lontano dal Colosseo, sorge su un’area di circa 6000 metri quadrati, con una superficie di 36 mila metri quadri. L’edificio venne ceduto dal Monte a un fondo immobiliare gestito da Mittel. La verifica si concentrerebbe anche sulla velocità con cui venne chiusa la trattativa con l’acquirente direttamente dai vertici del Monte. Tra le ipotesi, che sarebbero al vaglio degli inquirenti, anche quella direttamente collegata al bilancio della banca che, grazie alla vendita ‘veloce’, venne chiuso in utile. Senza contare che Immobiliare Sansedoni, società partecipata del Monte e incaricata della vendita, avrebbe avuto in mano offerte migliori ma le cui trattative rischiavano di protrarsi per le lunghe. Vero è che anche il mercato immobiliare, in quel periodo, era già quasi ai minimi e da tempo il Monte aveva messo in vendita il palazzo senza riuscire a trovare un acquirente.
La seconda verifica, chiusa nel 2012, avrebbe evidenziato una serie di competenze errate nella registrazione dei bilanci. In sostanza, il Monte grazie alle operazioni sul mercato sui titoli di Unipol avrebbe ottenuto una plusvalenza di 120 milioni di euro, portati a tassazione nel 2006 anziché nel 2005, quando – secondo le indagini – fu effettuato l’acquisto. Non un semplice escamotage fiscale ma un’operazione, questa, che avrebbe consentito a Mps di ottenere un consistente vantaggio fiscale, con un risparmio del 95% grazie a una modifica del Testo unico. 
La Fondazione pronta a farsi da parte. Incontro Draghi Grilli. Intanto la Fondazione Mps sembra pronta a farsi da parte per sopravvivere. E’ questa la situazione in cui si trova l’ente senese, primo azionista storico della banca, a un anno e passa dalla dura ristrutturazione di oltre un miliardo di debiti. L’indicazione è emersa dalla bozza del documento programmatico non ancora reso noto, in cui viene scritto che Palazzo Sansedoni è disposto a scendere sotto la soglia del 33,5% per garantirsi la “sopravvivenza” e l’equilibrio finanziario. Un orientamento che, di fatto, andrebbe a combaciare con l’auspicio del presidente del Monte, Alessandro Profumo, da tempo disponibile a far entrare nuovi azionisti nella compagine azionaria della banca più antica del mondo, purché di lungo periodo. Su questo è tornato l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, che in un incontro con la stampa estera ha precisato che discussioni aperte non ce ne sono. 
Ieri potrebbero aver parlato della banca e aver ricostruito i fatti degli scorsi anni il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli e il presidente della Bce, Mario Draghi. Il numero uno dell’Eurotower ha fatto tappa infatti a Milano e incontrato il titolare di Via XX Settembre, oggi atteso alla Camera per riferire sulla questione di Rocca Salimbeni. Sui temi dell’incontro le bocche restano cucite ma non si esclude che Mps sia stato quello centrale. Draghi all’epoca dei fatti era alla Banca d’Italia e fu proprio lui ad autorizzare l’acquisto di Antonveneta e a monitorare da vicino il Monte fino al suo passaggio a Francoforte. Intanto il tema centrale della vicenda resta l’operazione su Padova, il boccone troppo grosso e mai digerito dalla banca che nel 2007 pagò 10 miliardi al Santander per rilevarla. Un argomento al vaglio della magistratura senese che sta indagando su presunte tangenti insieme al caso dei derivati che provocherà una perdita di oltre 700 milioni. Viola ha precisato di non avere evidenze di casi di corruzione in questo ambito anche se, intervistato a ‘Porta a porta’, ha detto “non li avrei spesi” quattro miliardi in più per comprarla dagli spagnoli. “Più che altro non avrei comprato Antonveneta tutta per cassa”. Commenti sul tema derivati sono arrivati invece da Profumo. Secondo il presidente la grande massa di titoli di Stato in portafoglio, che ha comportato la richiesta di 3,9 miliardi di Monti Bond, è stata comprata “per coprire le perdite dell’operazione Alexandria” e “sono questi titoli che ora generano perdite”. “Si tratta di operazioni interconnesse” all’acquisto di Antonveneta, ha concluso. L’esame del portafoglio dovrebbe passare al vaglio del Cda di Mps mercoledì 6 febbraio.

Biblioteca Girolamini, Dell’Utri indagato a Napoli per concorso in peculato.


Marcello Dell'Utri


Il senatore del Pdl nei guai per alcuni libri antichi che avrebbe ricevuto dall'ex direttore De Caro, già arrestato. Volumi fatti sparire dalla biblioteca napoletana. La spoliazione dell'ente - erano sparite 1500 opere poi in parte ritrovate - aveva portato in carcere cinque "topi di biblioteca" arrestati dai carabinieri. Oggi altre sei ordinanze di custodia cautelare.

Marcello Dell’Utri ha sempre avuto una passione per i libri antichi. E già a Firenze il senatore del Pdl è stato indagato per una storia di tangenti. Ma oggi, nella seconda tranche di un’inchiesta della Procura di Napoli, il politico risulta indagato per concorso in peculato. La spoliazione della storica Biblioteca dei Girolamini a Napoli aveva portato in carcere cinque “topi di biblioteca” arrestati dai carabinieri per la tutela del Patrimonio artistico proprio per il furto di antichi volumi e manoscritti custoditi nella biblioteca. In carcere era finito Massimo Marino De Caro, direttore della struttura fino al 19 aprile 2012 quando aveva annunciato la sua autosospensione dall’incarico dopo il sequestro della struttura. Nel registro degli indagati c’era finita anche Maria Grazia Cerone, collaboratrice del senatore Marcello Dell’Utri. Che avrebbe ricevuto alcuni dei numerosi volumi sottratti dalla Biblioteca dall’ex direttore De Caro.
Oggi, a distanza di otto mesi, dai primi arresti la svolta. I carabinieri hanno eseguito sei ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip di Napoli. L’accusa è associazione a delinquere finalizzata al peculato, alla falsificazione ed alla ricettazione di migliaia di volumi antichi. Gli arresti sono stati eseguiti a Genova, Napoli, Ozzano dell’Emilia (Bologna), Porano (Terni), Santa Maria Capua Vetere (Caserta). L’operazione, coordinata dalla Procura di Napoli, nasce appunto dall’indagine, denominata “Library Lost”  avviata nell’aprile 2012, quando fu accertato dall’ente erano spariti 1500 volumi di pregio. La scomparsa dei libri fu messa in relazione con la discussa nomina dell’allora neo-direttore della biblioteca De Caro, già consigliere del Ministro per i Beni e le Attività culturali. Vennero subito avviati i contatti con l’Interpol tedesca, per bloccare i libri in procinto di essere venduti presso una casa d’aste di Monaco di Baviera. Quattro delle sei ordinanze di custodia cautelare sono state notificate questa mattina dai carabinieri a persone già detenute, alle quali viene ora contestato il reato di associazione per delinquere. Sono inoltre stati arrestati un legatore di Bologna, che secondo l’accusa provvedeva a cancellare dai libri rubati i contrassegni della Biblioteca dei Girolamini ed un ‘runner’ che faceva da cerniera tra gli antiquari e il gruppo che si appropriava dei volumi. Gli investigatori hanno ricostruito nei dettagli i meccanismi attraverso i quali la Biblioteca veniva depredata e attraverso quali canali i libri finivano in importanti librerie antiquarie. Agli atti dell’inchiesta ci sono anche le dichiarazioni di noti antiquari che hanno iniziato a collaborare con gli investigatori.