lunedì 18 marzo 2013

Beppe Grillo: Le Risposte alle 10 Critiche più comuni verso il M5S. - MARCO CANESTRARI



QUALE E’ IL MESSAGGIO CENTRALE DEL M5S? Sensibilizzare la popolazione verso questi 3 obiettivi:
 
 
TRASPARENZA E CONTROLLO DEI POLITICI DA PARTE DEI CITTADINI: Avere un sistema di leggi dove chi ha potere decisionale su ampia scala è osservato e controllato in ogni momento dai cittadini che l’hanno messo al potere.
 
MENO POTERE E SOLDI AI POLITICI: Togliere molti dei poteri e dei privilegi che fanno della politica un posto immune ai problemi che invece subiscono ogni giorno tutti gli altri i cittadini. Fare in maniera che il posto del politico non sia un paradiso ambitissimo per i più furbi e insensibili.
 
CRITICHE A CUI RISPONDE QUESTO VIDEO:
1 Il M5S è un movimento populista e di protesta. Non ha basi e non ha niente di costruttivo da proporre.
2 Grillo è un dittatore come Hitler e Berlusconi. Dice di essere democratico poi invece impone ogni cosa ai suoi sottoposti senza lasciare libertà.
3 Voi non lo sapete ma dietro Grillo c’è la Casaleggio e dietro la Casaleggio un sacco di persone potenti e sospette.
4 Grillo rinuncia a dare fiducia al governo e questo significa che è poco responsabile verso gli Italiani.
5 Il programma del M5S non è dettagliato nei minimi particolari.
6 I Grillini eletti sono per la maggior parte incompetenti, stupidi e inesperti.
7 Grillo è un estremista di sinistra, oppure un estremista di destra.
8 La democrazia diretta non potrà mai funzionare in Italia perché il popolo è stupido ed ignorante.
9 Grillo è miliardario ed egoista quindi non mi fido di lui.
10 In televisione ho visto che…
 
Per chi non se ne fosse ancora reso conto, siamo a cavallo di una singolarità che coinvolgerà a cascata tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica a livello mondiale. Ora tocca a tutti noi, al WEB, un compito importantissimo, quello di fare capire alle persone cosa sta accadendo, colmando i vuoti che la tv non vuole o non sa affrontare per accompagnare i cittadini attraverso questo periodo di transizione mai accaduto prima. Moltissimi dei riferimenti che seguivamo prima topperanno alla grande, molte teste salteranno e di conseguenza ci sarà smarrimento e confusione e la tv non sarà lì a confortarci. C'è bisogno del contributo di tuttima comunque vada sarà un enorme beneficio! Non abbiate paura, non fatevi inculcare le idee dalla televisione, ci sono venti freschi in arrivo!
 
E’ vero che la società è il prodotto di ciò che siamo singolarmente, ed è vero che il mercato lo fa il cliente, ma se i media si assumono il ruolo di "nuovi educatori della società" e i giovani vivono di televisione e la scuola non esiste più e tutti gli altri riferimenti diventano relativi e fastidiosi... allora nessuna evoluzione su ampia scala sarà mai facilitata se non si rivoluziona anche la funzione imperante dei Media, se non si migliorano cioè gli strumenti per comunicare. Il cliente o l'individuo si cambia appunto comunicando, quindi cerchiamo di migliorare, noi stessi certamente, ma non trascuriamo di agire in nessun piano!!! Né su quello individuale né su quello delrinnovamento della struttura politica ed economica… ma cambiamo prima il tipo di poltrona e poi la persona che ci si siede sopra perché c’è forte necessità di uno strumento in grado di portarci delle soluzioni e non solo di farci mettere ogni tanto una croce su una scheda - Marco Canestrari

Lavoro: più licenziati e più precari dopo nove mesi di riforma Fornero. Marco Palombi





Inchiesta di ilfattoquotidiano.it sui risultati della legge voluta dal governo Monti. Solo il 5% dei precari è stato stabilizzato, metà ha perso il posto o ha visto peggiorare il proprio trattamento. Crollo delle collaborazioni. Brunetta: "In tre mesi spariti 57 mila posti a progetto". E i contenziosi sull'articolo 18 ingolfano i tribunali. Lo scontro tra norme rigide ed economia in recessione ha portato al fallimento degli obiettivi. Raccontate le vostre storie a ilfattoquotidiano.it.

Dice la riforma Fornero che lo scopo è “l’instaurazione di rapporti  di lavoro più stabili” e quello di ribadire “il rilievo prioritario del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (…) quale forma comune di rapporto di lavoro”. Adesso che sono passati quasi nove mesi dalla sua entrata in vigore si può dire che quell’auspicio è purtroppo destinato a rimanere tale. In realtà le due grandi direttrici di riforma – in attesa dei nuovi ammortizzatori sociali, che dovrebbero entrare a regime nel 2017, se mai lo faranno – hanno già largamente fallito: da un lato infatti la riduzione delle tutele dell’articolo 18 ha dato il via ad una serie di licenziamenti individuali prima impossibili (riuscendo per di più a peggiorare la situazione del contenzioso in tribunale), dall’altro gli irrigidimenti sul’uso dei contratti flessibili ha portato alla perdita di posti di lavoro o a un peggioramento delle condizioni di quelli già esistenti (leggi la scheda: che cosa prevede la riforma Fornero).
D’altronde, come ha detto lo stesso ministro, questa non è una riforma fatta per uscire dalla recessione, per quello “servivano i soldi”, mentre le nuove norme andranno verificate in condizioni normali: rimane però da chiedersi perché introdurre norme che rendono più facili i licenziamenti e più rigide le assunzioni in un momento in cui la priorità dovrebbe essere assicurare un posto a più gente possibile. Ecco, dunque, per capire di che si parla, un riassunto per punti della riforma e dei suoi risultati in questi mesi.
Numeri. Nei primi nove mesi del 2012 – analizzando il sistema delle comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro – risultano 640mila rapporti di lavoro interrotti con un licenziamento (tra individuali e collettivi), il che significa un aumento dell’11% sul 2011. Nello stesso periodo le dimissioni sono diminuite dell’8,7% passando da 1,22 milioni a 1,1 milioni. Vediamo come, invece, le assunzioni si sono divise tra i vari contratti disponibili nel terzo trimestre 2012, cioè con la riforma Fornero in vigore: oltre il 67% delle assunzioni è stato formalizzato con contratti a termine (1,65 milioni), solo il 17,5% a tempo indeterminato (430.912) e il 6,4% con contratti di collaborazione (156.845 unità). L’apprendistato ha riguardato appena il 2,5% delle assunzioni. Rispetto ai mesi precedenti si registra un crollo per le collaborazioni (-22,5%) e per gli “altri contratti” flessibili (-24,3%).
Le difficoltà sui nuovi contratti. Spiega l’ex ministro Renato Brunetta: “In 3 mesi, da luglio a settembre 2012, sono andati persi oltre 57 mila lavori “a progetto”, da luglio a dicembre 2012 circa 302mila posti di lavoro. E la situazione, già drammatica, è destinata a peggiorare. La Banca d’Italiaha stimato che nei prossimi mesi si assisterà a un’ulteriore flessione della domanda: il tasso di posti vacanti, già basso, si è ancora ridotto da 0,7 a 0,5% delle posizioni lavorative attive nel terzo trimestre. Mentre un’indagine del sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro mostra chiaramente tutte le difficoltà dei datori di lavoro nell’utilizzo dei nuovi contratti: nei primi tre mesi del 2013 le imprese dell’industria e dei servizi hanno previsto di rinunciare a 80.200 posizioni.
Come se non bastasse il contratto di apprendistato, su cui la riforma Fornero ha puntato come canale privilegiato d’ingresso al lavoro, rimane pressoché inutilizzato: nel terzo trimestre 2013 ne saranno attivati appena 8.800 (il 3,9% dei flussi in ingresso programmati totali nel periodo). Addirittura nel secondo trimestre 2012, prima quindi dell’arrivo della riforma Fornero, se ne attivavano di più: circa10.300”.
Da precari a disoccupati. Solo il 5% dei precari è stato stabilizzato dopo la riforma Fornero e solo un altro 4% è passato ad un contratto flessibile con più tutele, mentre il 27% ha direttamente perso il lavoro e il 22% è scivolato verso un contratto peggiore. E’ il risultato di un sondaggio online dei giovani della Cgil a cui hanno partecipato 500 precari (i risultati, ovviamente, sono puramente indicativi). Spiega Tommaso Dilonardo, avvocato del lavoro, fondatore e presidente di Work in Progress, Centro di ricerche sociali sul lavoro e le nuove forme di occupazione: “Non è stata agevolata in modo elastico l’entrata nel mondo del lavoro dei giovani, anzi: prima i contratti a progetto e simili venivano sì stipulati in modo illegittimo, ma consentivano l’ingresso nel mercato del lavoro. La riforma Fornero, invece, ha irrigidito i parametri e adesso gli imprenditori sono più timorosi nell’adottare questi contratti per la paura della trasformazione del contratto a tempo indeterminato”.
Da stabili a disoccupati. Ancora Dilonardo di Work in Progress: “Stiamo assistendo nelle aule di tribunale, ma anche nelle commissioni territoriali delle Direzioni provinciali del lavoro, a una grande crescita dei licenziamenti tra gli ultracinquantenni. Questo perché alle aziende costano molto di più rispetto ai colleghi giovani e, inoltre, dopo la legge Fornero, non è più previsto il reintegro. Se l’obiettivo del governo era di agevolare l’uscita dal mercato del lavoro, allora ci sono riusciti”.
Da partite Iva a più partite Iva. Rileva la Cgia di Mestre: “E’ stata una vera esplosione: nel 2012 sono state aperte 549.000 partite Iva. Di queste ultime, 211.500 (pari al 38,5% del totale) sono ascrivibili a giovani con meno di 35 anni. Se infatti rispetto al 2011 le aperture totali sono cresciute del 2,2%, tra i giovani l’aumento è stato quasi esponenziale: +8,1%”. I settori maggiormente interessati sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le professioni e le costruzioni, la zona il Mezzogiorno. Spiega il segretario Giuseppe Bortolussi: “L’aumento del numero delle partite Iva in capo ai giovani lascia presagire, nonostante le misure restrittive della riforma del ministro Fornero, che questi nuovi autonomi lavorino prevalentemente per un solo committente”. In sostanza, fissando paletti astratti come i 18mila euro di soglia minima di reddito si finisce per garantire l’uso di “partite Iva false” e per di più senza controlli.
Costo del lavoro. Nonostante il peso del fisco sul lavoro fosse già alto, la riforma Fornero l’ha ulteriormente aumentato. Lo denuncia un documento di febbraio della Fondazione studi dei Consulenti del lavoro: colpa, per così dire, dell’aumento dei contributi dovuti per l’Aspi, dei nuovi fondi di solidarietà e dell’aumento delle aliquote previdenziali (che, in realtà, si sta scaricando anche sul netto che arriva in tasca ai precari). Conclusione: “Un elenco di criticità che fanno diventare illusoria la crescita dell’occupazione e che confermano la tendenza alla chiusura delle aziende”.
“Tsunami giudiziario”. E’ l’effetto della riforma Fornero sui tribunali del lavoro secondo Agi, associazione che raccoglie oltre 1.500 avvocati giuslavoristi: “Lo diciamo oggi – ha spiegato il presidente Fabio Rusconi – a distanza di qualche mese dall’entrata in vigore: ora si può fare una diagnosi e, a livello interpretativo, l’impatto del rito carente e lacunoso sull’articolo 18 è stato devastante, come uno tsunami”. La questione è molto tecnica, ma il processo del lavoro partorito dalla riforma è straordinariamente cavilloso e si è risolto, per opinione unanime di avvocati e magistrati, in “una moltiplicazione dei processi” e in “un aggravio del carico già esorbitante della giustizia del lavoro”.
Al 31 dicembre, spiega Agi, i ricorsi con il rito Fornero sono stati 610 in tutto, 260 tra gennaio e febbraio, numeri che raddoppiano e addirittura triplicano se si considera che per lamentele diverse dal licenziamento il ricorso va fatto separatamente. E’ tanto vero, ha raccontato Panorama, che al Tribunale di Milano esiste ormai un apposito “ufficio Fornero”.
Segnalate a ilfattoquotidiano.it le vostre storie legate alla riforma Fornero: assunzioni, licenziamenti, cambi di contratto, contenziosi sull’articolo 18… Inviate un’e-mail di massimo 1.500 battute all’indirizzo redazioneweb@ilfattoquotiodiano.it specificando nell’oggetto: “Legge Fornero” 

Comunque tentino di presentarla, è stata una vittoria della democrazia. Grazie alla presenza dei parlamentari del M5s. - Sergio Di Cori Modigliani




Chi ha vinto? Chi ha perso?
Trattandosi di battaglie politiche, per poter comprendere ciò che sta accadendo è necessario cercare di capire quali risultati siano stati raggiunti e da chi.
Nel suo libretto rosso, il presidente Mao sostiene che quando il nemico approva ciò che faccio e mi fa i complimenti, allora io mi devo fermare, analizzare e interrogarmi: vuol dire che è arrivato il momento di cambiare strategia. Il rivoluzionario non va in cerca di applausi, lotta per cambiare la società. Quando il nemico mi vede non deve essere contento, deve essere terrorizzato alla sola idea che io esista, perché io rappresento la sua fine.
Prendendo per buono questo assioma e leggendo le reazioni delle persone più disparate su facebook e sui bloggers in rete, i sostenitori del M5s possono davvero dormire sonni tranquilli. Berlusconi fa sapere che “il vero nemico e pericolo della democrazia è Grillo e il suo movimento” mentre da parte del PD si fa notare, per bocca del suo vice-segretario Enrico Letta Bilderberg “nonostante il M5s abbia fatto di tutto per metterci il bastone tra le ruote, siamo riusciti a dare inizio alla legislatura a dispetto del loro atteggiamento”.
Con le votazioni di ieri si è chiusa -in maniera molto veloce considerando gli standard italiani- la prima fase di questo dopo elezioni.
Penso che il M5s sia l’unica realtà politica che ne esce vittoriosa, con dei risultati davvero importanti, riuscendo a centrare degli obiettivi fino a poco tempo fa davvero impensabili. Da oggi, si apre una nuova fase.
La natura stessa del movimento si basa sullo smascheramento delle contraddizioni del potere in Italia. In questo senso, il M5s sta ottenendo dei risultati davvero prestigiosi, di cui, il più rilevante in assoluto, e poco reclamizzato, consiste nella totale e definitiva sconfitta del ragionier vanesio Mario Monti.
Già questo fatto sarebbe sufficiente per comprendere quanto grande sia stata (e strada facendo spero che lo sarà sempre di più) la forza d’impatto della presenza del M5s nel parlamento italiano.
 Dopo aver perso le elezioni e aver raccattato una percentuale di voti inferiore del 40% alle sue aspettative, il ragionier vanesio si è lanciato in una squallida inerpicata sugli specchi, cercando di allearsi con chiunque pur di essere nominato presidente del senato e da lì piroettarsi verso la presidenza della Repubblica. Perfino i membri della cupola mediatica sono rimasti esterrefatti dal suo comportamento. Altro che aplomb! Da uomo pragmatico, dopo aver capito che nessuno lo voleva candidare, si è incontrato prima con Alfano e poi con Cicchitto per chiudere un accordo personale. Si è presentato alla riunione dei suoi e ha comunicato la decisione presa: il Cialtrone non era più tale, bensì un prezioso e nobile alleato con cui andare d’accordo; così come, per il Cavaliere, l’uomo che aveva rovinato l’Italia, diventava d’un tratto l’uomo con il quale aggiustare l’Italia. Se il M5s non fosse esistito, tutto ciò sarebbe stato considerato normale (parte del cosiddetto “fare politica”). Sia Monti che Berlusconi avrebbero chiarito la necessità di allearsi per far fronte al “pericolo Grillo” andando a immediate nuove elezioni e Monti sarebbe stato il garante del fronte delle destre, unito e compatto nell’interesse comune. Ma i senatori ex PD convertiti Monti, consapevoli che, a quel punto, sarebbero finiti in bocca a Berlusconi, si sono ribellati con forza minacciando di dimettersi, insieme ad altri di provenienza berlusconiana. Asserragliato in una stanza, è stato obbligato dai suoi ad assumere una linea chiara, di fatto impossibile per il ragionier vanesio, non avendo né idee né ambizioni politiche, essendo il suo unico obiettivo quello di esercitare in maniera piatta e impiegatizia il compito affidatogli dalle banche e dalla BCE. Diversi giornalisti hanno riferito (alcuni con candido stupore) la ferocia caratteriale dell’attuale presidente del consiglio, ormai scoperto, che urlava indispettito. Nel mio quotidiano surrealista, così avrei sintetizzato la notizia rispetto alla giornata di ieri: “Elezioni al Senato: Mario Monti definitivamente sconfitto. Dopo la batosta elettorale, si allea con Berlusconi nella notte, ma viene contestato dai suoi che lo fanno fuori dopo una convulsa riunione d’altri tempi”.
Altri tempi, per l’appunto.
Linda Lanzillotta, donna intelligente, ha capito che i tempi sono cambiati e ha guidato la rivolta. Troppo tardi, però. Ormai, è finita incastrata dentro un partito che ha smascherato il proprio volto alla nazione: una pattuglia guidata da un personaggio privo di etica, sempre pronto ad allearsi con chiunque sia disposto a mettersi al suo servizio.
Rigor Montis è stato eliminato nella totale indifferenza del paese e dei media.
Ad eccezione di Giuliano Ferrara, sempre abile e intelligente ad annusare l’aria che tira.
Qui di seguito, in copia e incolla, un articolo uscito oggi sul suo quotidiano “Il Foglio”, a firma Fabrizio d’Esposito.
Il titolo dell’editoriale è: 

Monti ancora sconfitto, adesso rischia di scomparire per sempre”.

A Palazzo Madama, ieri pomeriggio, erano solo due i senatori a vita presenti. Per uno, su invito del neopresidente Pietro Grasso, c’è stata un’ovazione alla fine della seduta. Per l’altro, invece solo imbarazzi e silenzi. Il primo è Emilio Colombo, dinosauro democristiano. Il secondo è lo sconfitto Mario Monti, premier dimissionario da dicembre. Per il Professore di Scelta civica l’analisi della sua disfatta è più psicologica che politica. Ammette un senatore centrista, a microfoni spenti: “Il premier oggi (ieri per chi legge, ndr) ha perso completamente la lucidità”. Spiega sgomento un big del Pd che ha seguito la trattativa decisiva dell’altra notte, tra venerdì e sabato: “Era come impazzito, a ogni nome che abbiamo proposto per sbloccare lo stallo con il centro lui ha risposto: ‘O me o nessuno’. Questo nonostante avesse promesso di tirarsi indietro dopo il no di Napolitano”. Un’ambizione tignosa che ha scorticato a sangue la celebre sobrietà incarnata dall’uomo in loden verde. Monti è salito su una giostra perdente che in 24 ore lo ha portato da Bersani e Napolitano ai berlusconiani e infine all’isolamento nel polo di centro, spaccatosi per la sua ostinazione. Riassunto della puntata precedente: venerdì mattina, Monti pretende dal Pd la candidatura a presidente del Senato, Bersani oscilla e a risolvere la questione è il Quirinale che intima al premier di fare un passo indietro istituzionale. A quel punto il Pd offre ai centristi la Camera (Balduzzi o Dellai) poi lo stesso Senato (l’ex formigoniano Mario Mauro), ma Monti continua a dire no. IL SABATO NERO del Professore si apre con una scena del tutto diversa. Gli squali del Pdl fiutano il colpaccio e vanno in pressing sui montiani, a tutto campo. B. ha messo in campo Schifani e gli schieramenti hanno numerosi contatti. Da un lato, per il Pdl: Gasparri, Quagliariello, Verdini, Bonaiuti. Dall’altro, per i centristi: Mauro, l’ex aclista Oli-vero, Della Vedova. Viene anche organizzato un faccia a faccia tra Monti e Berlusconi, grazie al lavorìo di Federico Toniato, uomo ombra del premier a Palazzo Chigi. L’annuncio del vertice tratteggia scenari che vanno oltre i voti di Scelta civica a Schifani nel ballottaggio con Grasso: lo stesso Monti presidente del Senato o leader del centro-destra oppure ancora capo dello Stato. Un centrista autorevole decifra così il mistero montiano: “Vuole il Senato per andare al Quirinale”. Casini, senatore anche lui, aiuta il premier a fare i conti sui voti. Prima della seduta pomeridiana, il gruppo di Monti si riunisce e si spacca. La scelta è di votare scheda bianca e non fare “la stampella di nessuno”. Ma c’è una fronda filodemocrat: Olivero, Lanzillotta, Maran, Ichino. Gli ultimi tre provengono proprio da quell’area. Il confronto è duro ma prevale la linea dell’unità per non indebolire ancora di più il confuso Monti. Si vota scheda bianca. Gasparri denuncia: “I montiani piegano la scheda prima di entrare nella cabina per farsi controllare”. È il caso della Lanzillotta che si avvicina al seggio e piega la scheda davanti a tutti. Poi dichiarerà: “I nostri voti sono stati decisivi per l’elezione di Grasso: siamo 21 e la differenza di voti rispetto a quelli ottenuti da Schifani è stata di 20 voti”. Grasso passa che è già buio e ancora Gasparri si prende la sua vendetta: “I montiani ci hanno offerto cose oscene”, avrebbero votato Schifani in cambio di un disimpegno del Pdl per favorire la nascita di un governo tra Pd e Scelta civica. Commento di un berlusconiano: “Secondo Monti loro dovevano fare il governo e noi andarci a nasconderci nei cessi. Roba da mentecatti”.

Ormai impresentabile, l’appannata figura di Rigor Montis provoca un incredibile scossone all’interno del PD, di cui sapremo gli esiti soltanto la prossima settimana. Enrico Letta e Matteo Renzi perdono (entrambi) il loro più potente e poderoso alleato.
La presenza del M5s, in soli due giorni ha “letteralmente obbligato” il PD, il PDL e Mario Monti ad arrampicarsi sugli specchi, smascherandone la loro natura, denudandoli dinanzi al paese, provocando insurrezioni o malumori interni ai loro partiti.
Non provo  stima per Giuliano Ferrara, ma ne rispetto sempre la lucida intelligenza e la sua imbattibile abilità di sintesi. La sua analisi, nella stampa mainstream, è la migliore in assoluto. Racconta il circo delle vanità, il commercio ignobile delle cosiddette alleanze e in un altro corposo editoriale così conclude la sua interpretazione della giornata: “…Ci stanno tutti: chi per finta chi davvero. E inizia l’azzardo. Via la Finocchiaro, tenutaria dei vecchi equilibri: “Se dicessi che non sono dispiaciuta non sarei sincera”. È dispiaciuta ma si va avanti. Al mattino a Montecitorio appare ora tutto più semplice, i grillini si appollaiano sugli scranni più alti e aspettano l’esito. Sono compresi dalla parte, ma timorosi, impreparati a reggere l’urto così possente. Il loro apriscatole ha davvero funzionato, ma neanche lo sanno”.
Lo dice con rammarico il sagace Giuliano Ferrara, con un tono intriso di sana autocritica identifica e riconosce il grandioso successo politico del movimento a cinque stelle, di cui oggi si tenta disperatamente di appannarne il risultato.
In politica, ciò che conta è la battaglia e il suo esito, per poi poter portare avanti il proprio programma. E la si conduce a piccoli passi vincenti, uno dopo l’altro.
In due giorni, gli eletti in parlamento del M5s hanno liberato il paese del peso politico di Enrico Letta e di Mario Monti.
E vi pare poco, come inizio?
Il resto sono tutte chiacchiere da bar, fumo negli occhi, e il consueto squallido tentativo di scompaginare i fatti istillando paure, scenari inesistenti, per introdurre pessimismo e sospetti.
A nome di tutti noi che vi abbiamo eletto, grazie per l’eccellente lavoro.
Se non fosse stato per la vostra presenza, avremmo adesso Veltroni presidente della Camera, Schifani presidente del Senato, e la scelta obbligata per la carica di presidente della Repubblica tra Gianni Letta e Massimo D’Alema.
L’aria sta cambiando.