sabato 31 maggio 2014

Quei batteri così utili. - Francesca Petrera



SALUTE – I batteri non sono tutti “cattivi” e non sempre causano malattie. Forse non ci pensiamo spesso ma nel nostro organismo si trovano miliardi di microorganismi che quotidianamente convivono con le nostre cellule per tutta la vita. Un esempio è la flora batterica del nostro intestino che aiuta a proteggerci dalle infezioni esterne e “sorveglia” il corretto processo digestivo di assimilazione delle sostanze nutritive. Ci rendiamo conto di quanto sia importante quando inizia a funzionare male, magari in seguito a una terapia antibiotica che inevitabilmente ne riduce l’attività o quando siamo colpiti da un’infezione gastrointestinale. In realtà gran parte della nostra salute si basa sul delicato equilibrio tra le nostre cellule e questa miriade di “estranei” che colonizzano i nostri organi. Stiamo parlando di numeri molto alti: alcuni studi hanno dimostrato che nel corpo umano sano le cellule microbiche superano di dieci volte quelle umane. Ma come si sono evoluti questi batteri in rapporto con l’uomo? Una possibile risposta arriva da uno studio pubblicato su Nature Communications.
Il microbioma
Si chiama microbioma ed è lo studio del genoma di questi organismi colonizzatori, diventato così importante da essere oggetto di studio di numerosi progetti internazionali. Il microbioma è di fatto una manifestazione del nostro stato di benessere e gli scienziati stanno da diversi anni cercando di studiarlo in maniera più approfondita perché senza capire le interazioni tra i nostri genomi umani e quelli microbici, è impossibile ottenere un quadro completo della nostra biologia.
Oggi grazie alle importanti novità tecnologiche è possibile studiare nel dettaglio questi microorganismi, analizzando il loro genoma e cercando di capire come variano non solo in relazione allo stato di salute, ma anche rispetto all’età, lo stile di vita e l’origine di ciascuno di noi.
La medicina del ventunesimo secolo evolve la sua attenzione verso la prevenzione delle malattie, ma sono necessari nuovi e migliori modi di definire il nostro stato di salute. Il microbioma intestinale rappresenta molti aspetti legati alla nostra fisiologia normale. Ad esempio guida la sintesi di vitamine essenziali al metabolismo di ciò che ingeriamo e dei lipidi che produciamo, e modula anche l’attività del sistema immunitario, fondamentale per rispondere alle infezioni che arrivano dall’esterno. Ma non basta: i ricercatori hanno spiegato che il microbioma intestinale determina anche la suscettibilità a malattie come l’obesità, il diabete e le malattie infiammatoria intestinali.
Siamo cittadini o cacciatori?
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Un gruppo internazionale di ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, dell’Università di Bologna, dell’Istituto di tecnologie biomediche del CNR a Segrate, assieme a colleghi inglesi, americani e della Tanzania ha analizzato la variazione nella flora intestinale per capire come questi batteri possono essersi co-evoluti con l’uomo. In realtà già si sapeva che il microbioma intestinale delle popolazioni provenienti da Africa e Sud America è diverso da quello delle comunità occidentali industrializzate di Europa e Nord America. Questa diversità sembra riflettere un adattamento ai diversi stili di vita, ma fino ad oggi mancava una correlazione tra il microbioma e la condizione di cacciatore-raccoglitore, una condizione rurale importante se si considera che per il 95% della storia evolutiva l’uomo ha basato la propria esistenza sulle attività di caccia e agricoltura.
Per farlo sono stati analizzati i campioni di feci di 27 volontari appartenenti alle tribù Hadza di cacciatori-raccoglitori della Tanzania (provenienti dai campi Dedauko e Sengele , situati nell’ecosistema della Rift Valley intorno alle rive del lago Eyasi nel nord-ovest della Tanzania), con quelli di un gruppo di 16 italiani, analizzati come controllo rappresentativo della popolazione occidentale.
Sono stati scelti proprio gli Hadza perché sono considerati simili agli esseri umani del Paleolitico: tipicamente vivono in piccoli accampamenti mobili e sono a tutti gli effetti una delle ultime comunità al mondo di cacciatori-raccoglitori. La tipica dieta Hadza consiste di cibi selvatici che rientrano in cinque categorie principali: carne, miele, baobab, bacche e tuberi. In questa comunità non viene praticata la coltivazione o l’addomesticamento e gli Hadza ricavano praticamente meno del 5% del proprio introito calorico da prodotti agricoli. I risultati, appena pubblicati sulla rivista Nature Communications, dimostrano come il microbioma intestinale degli Hadza sia più vario rispetto a quello di controllo prelevato dalle popolazioni urbane italiane.
Tra uomini e donne Hadza è stata riscontrata una certa differenza nella composizione batterica della flora intestinale e questo probabilmente riflette quella che è la divisione sessuale del lavoro nella vita di tutti i giorni. Mentre le donne si occupano principalmente della cura dei bambini e restano al campo, nutrendosi di tuberi e piante, gli uomini spesso si allontanano e si cibano di miele e carne lontano dall’accampamento. Un esempio in questo senso è l’aumento di Treponema riscontrato nelle feci delle donne, il che faciliterebbe l’assorbimento dei nutrienti dalle fibre vegetali nella loro dieta. Nelle popolazioni occidentali il Treponema è considerato un patogeno opportunista: il T.pallidum è il batterio responsabile della sifilide e della framboesia, una malattia tropicale. Questo genere batterico è però in grado di idrolizzare efficientemente la cellulosa, aiutando la degradazione delle fibre.
I ricercatori ipotizzano che la diversità del microbioma trovata nelle zone rurali popolazioni africane e ora negli Hadza, sia la manifestazione dello stato ancestrale per gli esseri umani. L’adattamento allo stile di vita occidentale post-industrializzato coincide con una riduzione della biodiversità intestinale, causando una diminuzione della stabilità della stessa flora intestinale, con implicazioni sulla salute.
Gli studi del microbioma su larga scala
Quello di Nature Communications non è che l’ultimo articolo scientifico pubblicato sull’argomento. Ci sono diversi progetti internazionali che stanno studiando il microbioma umano, principalmente quello intestinale che contiene la più alta densità di batteri.
indexLo Human Microbiome Project (HMP) dei National Institutes of Health è un progetto di 5 anni partito nel 2008, con lo scopo di sviluppare strumenti e raccogliere dati per la comunità scientifica per studiare il ruolo di microbi sia in condizioni di salute che in quello di alcune malattie. In particolare il progetto riguarda lo studio delle comunità microbiche che abitano diverse aree del corpo umano: cavità nasali, cavità orale, pelle, tratto gastrointestinale e tratto urogenitale, per valutate il potenziale metabolico di queste comunità.
Va nella stessa direzione anche lo Human Microbiome & Metagenomics Project del Genome Institute della Washington University che sta applicando le nuove tecnologie di sequenziamento per analizzare i genomi dei milioni di microbi che vivono nel corpo umano e valutare come cambia il microbioma in relazione ai diversi stati di salute e malattia. Tra i diversi sotto-progetti c’è ad esempio quello per lo studio del Morbo di Crohn per capire come cambia la relazione tra le cellule dell’intestino e i batteri in questa condizione di infiammazione cronica del tratto gastrointestinale.
Questi sono solamente due esempi di quanto la comunità scientifica stia lavorando per conoscere meglio questo lato inesplorato del corpo umano che per anni è stato trascurato e considerato importante solo da un punto di vista “patologico”. Le moderne tecnologie hanno dimostrato che il microbioma ha un ruolo fondamentale anche in condizioni di salute e che il suo studio riguarda diversi campi, che vanno dalla nutrizione all’immunologia, dall’oncologia all’evoluzione, solo per citarne quattro.
Quando la dieta cambia il microbioma
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Bastano tre giorni per cambiare il microbioma del nostro intestino. Il microbioma intestinale è cioè in grado di rispondere rapidamente ai cambiamenti dell’alimentazione, venendoci incontro anche nelle situazioni in cui gli stili di vita alimentari sono piuttosto diversi e variabili nel corso della nostra vita. Almeno questo è quanto è stato scoperto all’inizio di quest’anno da Lawrence David, professore al Duke Institute for Genome Sciences and Policy e colleghi. La dieta a base animale aumenta il numero di microrganismi resistenti agli acidi biliari e causa invece una diminuzione dei livelli di Firmicutes che metabolizzano polisaccaridi vegetali alimentari. Le attività misurate riflettono sostanzialmente le differenze tra mammiferi, erbivori e carnivori, ma i dati dimostrano come microbi di origine alimentare causano una transitoria colonizzazione dell’intestino da parte di nuovi batteri, funghi e persino virus. Questo dovrebbe insegnarci a prestare maggiore attenzione a ciò che mangiamo e che i bruschi cambiamenti nella nostra dieta (magari per seguire la moda del momento) potrebbero essere la causa delle malattie tipiche delle società occidentali, come la malattia infiammatoria intestinale e l’obesità .

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