sabato 7 giugno 2014

Dal marciume dell'Expo allo Tsunami del Mose. - Elio Veltri

  

  

Dopo il marciume dell'EXPO, neanche il tempo di elaborare il lutto del paese in mutande, ecco lo tsunami di Venezia
Tutto il ceto politico, quello arrestato e quello indagato, ma anche quello che ha taciuto o ha girato la testa dall'altra parte, c'è  dentro fino al collo. 
La verità è che i partiti non arrivano mai prima della magistratura e non perchè non sanno, ma perchè non vogliono
E' tipico dei partiti del nostro tempo. 
Nella prima repubblica c'era la partitocrazia con i partiti. 
Ora scorazza la partitocrazia senza partiti. 
E quando arrivano le manette ascoltiamo espressioni di meraviglia: Orsoni, una persona tanto per bene, ma chi l'avrebbe mai detto! 
Galan , si è vero un po' disinvolto, ma tutto sommato uno che ha saputo governare!. 
Gli organi di garanzia nei partiti non esistono. 
Nessuno ha la curiosità di conoscere le spese elettorali effettive dei candidati; le assunzioni con lauti stipendi dei familiari e degli amici; gli acquisti di case di lusso e le ristrutturazioni milionarie; i tenori di vita  che nessuna indennità di carica potrebbe giustificare. 
Nessuno. 
Tutti tacciono;  l'omertà e i ricatti la fanno da padroni. 
Questo sono diventati i partiti oggi. 
Risultato: il Mose che sarebbe dovuto costare un miliardo e ottocento milioni di euro, è già costato cinque e ne serve ancora uno, se va bene, per completarlo. 
E poi ci si meraviglia che l'Europa ci considera un vigilato speciale e che il debito pubblico, nonostante il pareggio di bilancio in Costituzione, continua ad aumentare. 
Mi viene in mente che  nel 1991, esattamente un anno prima di Mani pulite, usciva per Laterza il libro Milano degli scandali di Gianni Barbacetto e mio, con la prefazione di Stefano Rodotà. 
A Milano, nessun editore aveva voluto pubblicarlo. 
Vito Laterza aveva dovuto superare molti ostacoli nella sua stessa casa editrice. Mi aveva detto: caro Veltri,   non posso correre il rischio di chiudere la casa editrice, è necessario trovare un prefatore autorevole. 
Gli chiesi se Bobbio sarebbe andato bene e andai a Torino a parlargli.  Gli raccontai un po' del libro e mi chiese di mandargli i due primi capitoli. Lo feci, li lesse e mi scrisse che era rimasto shoccato perchè mai avrebbe pensato che il paese fosse ridotto tanto male e la corruzione imperversasse persino a Milano. Ma trovò una scusa: la carica di senatore a vita, super partes, e non scrisse la prefazione. 
Laterza gli mandò una lettera che era una frustata: caro Bobbio, troppo comodo non sporcarsi mai le mani. 
A quel punto proposi all'editore Stefano Rodotà, il quale accettò. 
Era presidente del PDS e quando si seppe che aveva accettato di scrivere la prefazione al libro scoppiò un putiferio. 
Da una parte Craxi ordinò ai socialisti di non partecipare ad alcuna presentazione e dall'altra l'ala migliorista del vecchio PCI minacciò di deferire il Presidente del partito alla Commissione di garanzia. 
Ma Stefano non arretrò di una virgola, sfidò i suoi interlocutori a un confronto pubblico e scrisse una prefazione che sembra scritta oggi. 

“Sono queste storie di ordinaria corruzione. In esse non si riflette una patologia, ma quella che ormai sta diventando (è già diventata?) la fisiologia dell'intero sistema politico amministrativo dell'Italia Repubblicana. 
Non sono cronache di una lontana provincia, isolata e dissonante, ma del centro produttivo del paese. 
Non sono campioni estratti con un'opera minuziosa d'indagine da un mondo in ombra, ma vicende ben note, già arrivate alla conoscenza dell'opinione pubblica”. 
E poi la stoccata: ”La corruzione si è fatta da tempo metodo di governo”. Sono passati ben 23 anni da quelle cronache, nella organizzazione sempre più vasta e raffinata della tela della corruttela e nella indifferenza sempre più assordante dei cittadini che ci convivono. Aveva ragione Calvino, il quale “nell'Apologo sull'onestà nel paese dei corrotti”, che introduce il libro, scriveva: ”Avevano potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti”. E ancora:”In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto, gli onesti erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare”.

Ah! Grande Calvino. Come ci manchi! E Come ci mancano gli intellettuali come Pasolini. Sono scomparsi e nel momento in cui la loro presenza sarebbe stata più necessaria. Ma è impossibile che se ne affaccino in un paese senza anima e senza memoria.

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