sabato 8 novembre 2014

Ecco i 30 Cucchi d’Italia. - Carmine Gazzanni



Tutti i fermati e detenuti morti misteriosamente. Persino un paraplegico impiccato in carcere.

Morti per “infarto” con la testa spaccata. O per “suicidio” con ematomi e contusioni in varie parti del corpo. A volte basta una perizia o una cartella clinica per capire che quello che si racconta non corrisponde alla verità. Come nel caso di Stefano Cucchi, certo. Ma anche di Federico Aldovrandi e di Giuseppe Uva. Di questi abbiamo visto le foto dei volti e dei corpi tumefatti, a riprova di un omicidio insabbiato. Ma ci sono anche tanti altri casi di cui l’opinione pubblica sa poco o nulla: vite spezzate che ancora attendono giustizia.

I NUMERI
Basta partire da un numero per capire che qualcosa non torna. Secondo il report dell’associazione Ristretti Orizzonti, dal 2000 a oggi sono stati 2.356 i morti accertati nelle carceri (839 suicidi). Il calcolo è immediato: un decesso ogni due giorni. Morte naturale, arresto cardio-circolatorio, suicidio. Queste le cause più comuni. Almeno sulla carta. Perché accanto ci sono casi di pestaggio, malasanità, cure non ricevute, istigazioni al suicidio. O, semplicemente, silenzi ed omertà.

SENZA GIUSTIZIA
Federico Aldrovandi è morto nel 2005 a Ferrara durante “un controllo di polizia”. Aveva solo 18 anni: picchiato fino a morire, pestato a sangue da chi lo aveva fermato. Un caso, uno dei pochi insieme a quello di Riccardo Rasman, che è giunto a sentenza con la condanna dei 4 poliziotti che lo avevano fermato. Non per tutti, però, la giustizia ha avuto il suo normale corso. È il 2008 quando viene fermato Giuseppe Uva a Varese. Qui viene massacrato: alla famiglia lo Stato riconsegnerà un corpo senza vita, pieno di ecchimosi sul volto sul corpo. Come detto, però, i casi sono diversi. Tanto che Ristretti Orizzonti ha stilato un dossier in cui si raccolgono ben 30 storie che “richiederebbero un approfondimento nelle sedi opportune”. Un numero, peraltro, che in crescita dato che, ad esempio, l’ultimo caso “sospetto” (per cui ci sono 11 indagati) di Riccardo Magherini non è conteggiato.

VITE SPEZZATE
Mauro Fedele aveva 33 anni. La versione ufficiale parla di “arresto cardiocircolatorio”. Peccato però che al padre Giuseppe, come lui stesso denuncerà, sia stato restituito un corpo pieno di lividi: “ha la testa fasciata e ha segni blu su collo, sul petto, specialmente a destra, come uno zoccolo di cavallo”. Esattamente come capita a Marcello Lonzi: arresto cardiaco, ma corpo ricoperto di lividi. O ad Aldo Bianzino a Perugia: fermato per possesso di stupefacenti, il giorno dopo muore. Ufficialmente per “infarto”. Peccato che tale ipotesi sia stata esclusa dal medico legale che invece avrebbe riscontrato 4 emorragie cerebrali, 2 costole rotte e lesioni a fegato. Esattamente quanto capitato a Manuel Eliantonio. Nell’autopsia si parla di “arresto cardiaco”. Ma, racconta la madre, in obitorio “l’ho trovato gonfio, di tutte le sfumature di colori, le orecchie blu, il petto gonfio, la testa come una palla da bowling, naso rotto, occhio livido”. Chiudiamo con Gianluca Frani, paraplegico. Si è suicidato, dicono gli atti. Impiccandosi. Come abbia fatto ad appendersi allo scarico del water però resta un mistero.

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